5
INTRODUZIONE
Le migrazioni hanno sempre fatto parte della storia dell'uomo: da millenni le
persone abbandonano le proprie terre alla ricerca di un luogo che possa offrire loro
migliori condizioni di vita, rifugio dalle guerre, speranza, opportunità, casa; da sempre
migrare ha significato attraversare i confini e ha contribuito a plasmare e a generare
società e culture. Tuttavia, grazie anche alle innovazioni tecnologiche che hanno reso
più semplici, sicuri ed economici gli spostamenti, mai come al giorno d'oggi i flussi
migratori hanno subito una crescita esponenziale, dando vita in alcuni casi a vere e
proprie migrazioni di massa, e mai come oggi essi hanno avuto effetti di cambiamento
così epocali, tanto sui Paesi d'origine dei migranti
1
quanto su quelli di arrivo.
L'imponenza di questo fenomeno ha comportato la risposta degli ordinamenti
giuridici delle varie “nazioni-obiettivo” le quali, benché in modi anche profondamente
diversi l'uno dall'altro, hanno in linea generale assunto un atteggiamento di chiusura
nei confronti dell'alterità portata dal migrante e hanno dispiegato meccanismi volti a
rendere instabile la sua presenza nel Paese, a sfruttare il lavoratore in maniera quasi
oggettuale, cercando, quando e quanto possibile, di escluderlo dalla comunità dei
cittadini ed erodere i suoi diritti, fondamentali e non.
Scopo di questo lavoro è indagare gli effetti di tale risposta sulle norme e sugli
strumenti posti a tutela del diritto fondamentale dello straniero all'unità familiare,
attraverso l'analisi della normativa inerente all'istituto del ricongiungimento familiare,
suo principale veicolo di realizzazione. La famiglia rappresenta, infatti, “il nucleo
naturale e fondamentale della società
2
”, nonché il luogo per eccellenza in cui si
sviluppa e fiorisce la personalità del singolo e della collettività; come tale, la sua
garanzia è una delle condizioni indispensabili alle migrazioni, oltre che alla
realizzazione e alla dignità dell'essere umano.
Il riconoscimento del diritto al ricongiungimento, la facoltà cioè dello straniero
di poter ricostruire il proprio nucleo familiare anche in un Paese diverso da quello di
1
Molto poco analizzati sono gli effetti sui Paesi e sulle società di provenienza dei migranti; a tal
proposito si rinvia a: A. SAYAD, La doppia assenza. Dalle illusioni dell'emigrato alle sofferenze
dell'immigrato, Milano, 2002.
2
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, art. 16, par. 3.
6
appartenenza, è da sempre – necessariamente - un'istanza divisa tra tendenze e
necessità contrastanti. Da una parte, infatti, la sua affermazione risponde all'esigenza
di garantire e tutelare il diritto fondamentale dell'uomo all'unità familiare, senza alcun
dubbio posto in capo anche agli stranieri e ben radicato nel nucleo dei valori degli Stati
(o quantomeno della maggioranza di essi); dall'altra, tuttavia, esso è un diritto
“costoso” il quale apre le porte all'ingresso degli stranieri al di fuori delle eventuali
quote prefissate, limita il potere sovrano dello Stato e, se è vero che facilita
l'integrazione degli stranieri, esso ne rende anche più semplice lo stabilimento
permanente sul territorio e il cambiamento della società che ciò comporta.
Nonostante le numerose dichiarazioni e convenzioni di diritti ratificate dagli
Stati, sempre più spesso le politiche nazionali dell'immigrazione, cercando di
ostacolare la sedentarizzazione del migrante, ne espongono la tutela dell'unità
familiare alla propria discrezionalità ed introducono gravi restrizioni e preoccupanti
limiti al godimento di tale diritto, specie quando chiamate a confrontarsi con la tutela
di famiglie che fuoriescono dal modello tradizionale. La crisi economica che sta
investendo il mondo, inoltre, ha poi pesantemente contribuito ad aggravare una
situazione di per sé già precaria e critica, attraverso l'introduzione generalizzata di
norme ancora più stringenti nei confronti dei migranti e dei loro diritti, ad esempio
rendendo più complesso ed oneroso l'accesso al ricongiungimento familiare.
Il primo capitolo verterà su un'analisi della tutela di cui il migrante gode a
livello internazionale, per poi concentrarsi maggiormente sull'aspetto comunitario
della materia: le garanzie fornite alla protezione del diritto all'unità familiare nei
principali documenti (la CEDU e la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea)
nonché nella giurisprudenza della Corte di giustizia e della Corte europea dei diritti
dell'uomo. Si analizzerà poi il percorso che ha condotto l'Unione europea ad ottenere
la competenza concorrente in relazione all'immigrazione e i principali atti normativi al
riguardo.
Il secondo capitolo si concentrerà, invece, sulla tutela e sulla normativa
comunitaria inerente al diritto al ricongiungimento familiare, suddividendo
necessariamente la trattazione in due parti: nella prima ci si occuperà del diritto al
ricongiungimento familiare posto in capo ai cittadini dell'Unione europea ed incarnato
dalla direttiva 2004/38/CE, ricostruendo lo sviluppo del principio di libera circolazione
7
e prestando particolare attenzione al ricongiungimento con i familiari cittadini di Paesi
terzi. La seconda parte, al contrario, si occuperà del diritto al ricongiungimento
familiare contenuto nella direttiva 2003/86/CE e posto in capo ai cittadini
extracomunitari residenti in uno Stato membro; si analizzeranno gli aspetti principali
e più controversi del documento e si concluderà con l'analisi del ricorso del Parlamento
europeo presso la Corte di giustizia.
Il terzo capitolo si occuperà del nostro Paese fornendo, innanzitutto, un quadro
normativo della disciplina dell'immigrazione che prenderà piede dalla tutela
costituzionale dello straniero e della famiglia, e proseguirà affrontando, da un punto di
vista cronologico, l'evoluzione della materia nei vari interventi legislativi. Il capitolo
si focalizzerà, poi, sulla disciplina del ricongiungimento nel Testo unico
dell'immigrazione, analizzando dettagliatamente la disposizioni al riguardo,
concentrandosi sugli aspetti particolarmente controversi e sulle modifiche normative
introdotte dal legislatore italiano nel corso del tempo.
Il quarto ed ultimo capitolo, infine, approfondirà l'analisi di tre aspetti
particolarmente problematici legati alla disciplina del ricongiungimento e sorti in
seguito all'evoluzione della nostra società, i quali rappresentano, sebbene in modi
diversi, un'alterità rispetto alla tradizione sociale e giuridica del nostro Paese. Si
comincerà con la trattazione del matrimonio poligamico e delle difficoltà da esso poste
all'ordinamento italiano; si proseguirà poi con il ricongiungimento familiare all'interno
delle convivenze more uxorio, prestando particolare attenzione alle unioni
omosessuali, e si concluderà con l'istituto islamico della kafalah, la sua idoneità quale
situazione atta al ricongiungimento e la diverse soluzioni al riguardo raggiunte dalla
giurisprudenza.
8
CAPITOLO PRIMO
RICONGIUNGIMENTO, IMMIGRAZIONE E UNITÀ FAMILIARE A
LIVELLO INTERNAZIONALE ED EUROPEO
1 – Diritto all'unità familiare e ricongiungimento a livello internazionale
Parlare di ricongiungimento familiare significa, inevitabilmente, seguire un
percorso che si snoda lungo due binari i quali possono frequentemente entrare in
conflitto tra di loro: da una parte, l'obbligo di assicurare il rispetto dei diritti
fondamentali di cui lo straniero è titolare; dall'altra, la presenza di normative nazionali
– spesso rigorose – volte a disciplinare l'ammissione degli stranieri sul territorio.
Il diritto all'unità familiare si caratterizza come uno dei principi che, in
riferimento alle tematiche dell'immigrazione, pone maggiori freni alle possibilità di
azione e di intervento degli Stati, essendo stato più volte qualificato come diritto
fondamentale della persona e, per questo, non derogabile. Già l'art. 16, terzo comma,
della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 si afferma, ad esempio,
che la famiglia rappresenta: “il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto
ad essere protetta dalla società e dallo Stato”. L'art. 12 dello stesso documento, inoltre,
sancisce il divieto di interferenze nella vita privata e familiare, mentre la violazione
del diritto all'unità familiare è stata qualificata dalla Corte Internazionale di Giustizia,
nella sentenza del 1986 circa il caso Nicaragua
3
, come un vero e proprio trattamento
inumano.
L'unità familiare assume un'importanza particolare quando questa è riferita allo
specifico settore dei processi d'immigrazione, sia in quanto portatrice di effetti positivi
in termini di integrazione dello straniero nella società
4
, sia in quanto elemento
essenziale per assicurare la vita familiare stessa. Il pieno godimento di quest'ultima,
infatti, è garantito solo quando viene assicurata alla famiglia anche la materiale
3
Case concerning Military and Paramilitary Activities in and Against Nicaragua (Nicaragua v. United
States of America), sentenza del 27 giugno 1986, I.C.J. Reports 1986, p.14 ss.
4
R. BORRELLO, Il diritto all'unità familiare nel diritto dell'immigrazione: riflessioni generali di diritto
costituzionale interno e comparato, in R. PISILLO, P. PUSTORINO, A. VIVIANI (eds.), Diritti umani
degli immigrati, tutela della famiglia e dei minori, Napoli, 2010, p. 42.
9
vicinanza fisica dei suoi componenti; elemento, questo, messo naturalmente in crisi
dalle caratteristiche stesse della lontananza dovuta all'immigrazione.
La tutela dell'unità delle famiglie di migranti rappresenta dunque per gli Stati
un dovere gravoso che limita le loro competenze in materia di immigrazione, ponendo
di fatto obblighi sia positivi – in tema di ricongiungimento familiare - sia negativi – in
tema di limiti all'espulsione
5
e/o alla non ammissione all'ingresso. Non è tuttavia
possibile, sebbene l'unità familiare sia qualificata come diritto fondamentale della
persona, parlare di principio assoluto e inderogabile: gli Stati, dopo aver compiuto un
bilanciamento fra interessi nazionali e il diritto all'unità familiare, possono comunque
procedere ad espellere o negare la possibilità di ricongiungimento per ragioni di ordine
pubblico o sicurezza nazionale
6
. I numerosi trattati sui diritti umani che qualificano la
famiglia come principio fondamentale, infatti, non stabiliscono limiti chiari all'azione
degli Stati in questi due ambiti e, per lo più, si limitano a fornire indicazioni o
raccomandazioni.
7
Nella Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo,
ad esempio, nell'articolo 10, comma 1, si afferma:
ogni domanda presentata da un minore o dai suoi genitori in vista di entrare
in uno Stato Parte o di lasciarlo ai fini di un ricongiungimento familiare sarà
considerata con uno spirito positivo, con umanità e diligenza.
Dalla prassi degli Stati risulta comunque preminente l'inclinazione a tutelare
l'unità familiare qualora essa sia già presente e formata sul territorio nazionale. Questo
significa, di fatto, che l'ingerenza statale tende a colpire maggiormente la ricostruzione
del vincolo familiare attraverso l'istituto del ricongiungimento, e quindi negando la
possibilità di ingresso legale al migrante, piuttosto che la separazione dei componenti
mediante l'espulsione di uno di essi (in particolare quando il provvedimento riguarda
il genitore di un minore). Tale approccio degli Stati è facilmente spiegabile dal
momento che il ricongiungimento permette di aggirare, di fatto, i requisiti posti dai
governi all'ingresso dei migranti nel proprio territorio, modificando i criteri per
5
G. FERRANDO, Il contributo della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo all'evoluzione del diritto di
famiglia, in M. C. ANDRINI (a cura di), Un nuovo diritto di famiglia europeo, Padova, 2011, p. 145.
6
In generale, tale ingerenza deve essere prevista dalla legge, deve essere necessaria in una società
democratica e deve essere proporzionata allo scopo perseguito.
7
G. CATALDI, Espulsione degli stranieri e protezione della vita familiare nella prassi degli organi
internazionali di controllo sui diritti umani, in R. PISILLO, P. PUSTORINO, A. VIVIANI (eds.), cit., p.
136.
10
l'ammissione di forza lavoro, specie qualora gli ingressi siano regolati attraverso
sistemi di quote.
L'analisi dell'istituto del ricongiungimento familiare a livello internazionale
non può non partire dalla Convenzione sui lavoratori migranti n. 97
dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), rivista il 1° luglio 1949 e
ratificata dall'Italia il 2 agosto 1953. Essa estende anche ai familiari la protezione
garantita al lavoratore migrante, sebbene tuttavia non impegni lo Stato ad assicurare
ed autorizzare necessariamente il ricongiungimento o l'accompagnamento
8
; allo stesso
modo, un atteggiamento simile è altresì riscontrabile anche nella Convenzione OIL sui
lavoratori migranti n. 143 del 1975, ratificata dall'Italia il 10 aprile 1981, nonostante
un'affermazione lievemente più incisiva del principio. Particolarmente importante
risulta, infine, la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i
lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie del 1990. In essa, oltre a tutta una
serie di norme circa il trattamento dei lavoratori migranti e dei membri delle loro
famiglie (ad esempio nell'art. 17), può esservi letto un espresso riconoscimento del
diritto al ricongiungimento familiare nel momento in cui si afferma che:
Gli stati aderenti prendono le misure che ritengono adeguate e che sono di loro
competenza per agevolare il ricongiungimento dei lavoratori migranti con il
coniuge o con le persone con cui hanno relazioni che, in virtù della legge
applicabile, equivalgono al matrimonio e con i figli minori e celibi a loro carico
9
Numerosi sono poi gli altri strumenti convenzionali che, a livello
internazionale, trattano e/o regolano, con atti vincolanti e non, l'istituto in esame; basta
considerare, ad esempio, il Patto ONU del 1966 sui diritti civili e politici
10
, la
Risoluzione dell'Assemblea Generale dell'ONU del 1977 volta ad esortare gli Stati
membri a “promuovere nei loro territori la normalizzazione della vita familiare dei
lavoratori migranti” ovvero la già citata Convenzione ONU per la protezione dei diritti
del fanciullo del 1989
11
.
8
G. SIRANNI, Il diritto degli stranieri all'unità familiare, Milano, 2006, p. 7.
9
Art. 44, par. 2.
10
Ad esempio nell'art. 17, par.1: “Nessuno può essere sottoposto ad interferenze arbitrarie o illegittime
nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa o nella sua corrispondenza, né a illegittime
offese al suo onore e alla sua reputazione”
11
Sebbene non sancisca un vero e proprio diritto al ricongiungimento familiare, ne stabilisce
implicitamente l'esistenza nell'affermare i diritti di cui godono i fanciulli.
11
2 - Diritto all'unità familiare, immigrazione e ricongiungimento a livello europeo
L'Europa è probabilmente il luogo in cui, a livello sovranazionale, l'evoluzione
del diritto all'unità familiare e al ricongiungimento – e più in generale dei diritti
fondamentali - ha raggiunto il suo apice. Qui, per la prima volta, è stato riconosciuto
al singolo un diritto al ricongiungimento familiare e, con esso, la possibilità di
azionarlo nei confronti dello Stato presso il quale desideri ricostruire il vincolo
familiare
12
. Tale diritto, tuttavia, si caratterizza ora per una marcata differenza nel suo
godimento relativa allo status del richiedente: sia esso cittadino/a dell'Unione Europea
ovvero cittadino di Paesi terzi. Un'ulteriore precisazione, inoltre, riguarda la
complessità e l'articolazione della tutela di questi diritti in ambito europeo.
Due infatti sono i sistemi fondamentali che è possibile riscontrare: da una parte,
quello rappresentato dalla macro-struttura composta dall'Unione europea, dai suoi
Trattati e dalla Corte di giustizia dell'Unione europea; dall'altra, quello del Consiglio
d'Europa, della Convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
libertà fondamentali (CEDU) e della Corte europea dei diritti dell'uomo. Sebbene tutti
i membri dell'Unione siano parti contraenti della CEDU, al momento l'Unione europea
non ne fa ancora parte, benché la sua adesione sia stata prevista dai Trattati di
Lisbona
13
e siano in corso trattative al riguardo.
Un'adesione formale è stata infatti più volte osteggiata ed ostacolata: nel 1996
da parte delle Corte di Giustizia, poiché avrebbe implicato una “modificazione
sostanziale del... regime comunitario di tutela dei diritti dell'uomo
14
”; più
recentemente, da parte del governo britannico, da sempre non particolarmente incline
alla CEDU, il quale ha posto il proprio veto.
Nonostante la non partecipazione, il rispetto della CEDU da parte dell'Unione
è comunque sancito nell'art. 6 del Trattato sull'Unione europea “in quanto principi
generali del diritto comunitario” ed in quanto patrimonio comune agli ordinamenti
giuridici nazionali. Inoltre, la Corte di giustizia interpreta ed utilizza anche la CEDU
12
L. TOMASI, La tutela degli status familiari nel diritto dell'Unione Europea, Padova, p. 126.
13
Art. 6, par. 2, TUE.
14
Parere 28 marzo 1996 n.2/94, Adesione della Comunità alla Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.
12
per giungere alle proprie decisioni, come se fosse parte del diritto comunitario e
“sfruttando” l'esperienza maturata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo
15
. Il ricorso
alla CEDU riguarda principalmente quei casi in cui sono chiamati in causa i diritti
fondamentali delle persone e, parallelamente, ha anche lo scopo di evitare che le
sentenze delle due corti possano risultare contraddittorie. L'eventuale adesione
dell'Unione europea alla CEDU modificherebbe sostanzialmente questo rapporto, dal
momento che la prima si vedrebbe vincolata al rispetto delle seconda in via diretta –
quindi anche in materia di diritto alla vita familiare - e non più ad utilizzarla
esclusivamente come fonte per ricostruire principi generali
16
; altresì, si risolverebbe
definitivamente il problema del possibile conflitto tra le decisioni delle corti.
2.1 – Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali e Corte europea dei diritti dell'uomo.
Il Consiglio d'Europa è stata la prima organizzazione internazionale di stampo
europeo ad occuparsi di diritti fondamentali e, per quanto rileva in questo lavoro, di
diritto alla vita familiare. Esso fu fondato nel 1949 con il Trattato di Londra e,
attualmente, è composto da 47 membri e cioè, come precedentemente detto, tutti gli
Stati europei, con la sola esclusione di Vaticano (volontariamente al di fuori
dell'organizzazione) e Bielorussia (ingresso negato per mancanza di democrazia). Il
Consiglio persegue lo scopo di promuovere i diritti dell'uomo, la democrazia e la
ricerca di soluzioni ai problemi sociali in Europa attraverso la stipulazioni di accordi
e convenzioni tra gli Stati membri – e spesso anche con Stati Terzi – i quali diventano
vincolanti solo qualora ratificati. Le numerose convenzioni del Consiglio sono volte a
disciplinare questioni estremamente varie; ai fini degli argomenti in esame basterà
ricordare la Carta sociale europea – a tutela dei diritti economici e sociali, non
precedentemente inclusi nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, la
Convenzione europea sui lavoratori migranti e, ovviamente, la CEDU.
La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
15
F. CAGGIA, Famiglia e diritti fondamentali nel sistema dell'Unione Europea, Roma, p.104.
16
A. ADINOLFI, Il ricongiungimento familiare nel diritto dell'Unione Europea, in R. PISILLO, P.
PUSTORINO, A. VIVIANI (eds.), cit., pp.107-108