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ABSTRACT
Il presente lavoro, dopo un breve inquadramento teorico dei modelli e degli strumenti
formativi funzionali alla promozione della competenza psicologica (come intesa in una
prospettiva culturalista), presenta una ricerca condotta su 45 studenti della Facoltà di
Scienze della Formazione dell’Università del Salento di Lecce. Utilizzando
un’intervista semistrutturata, si sono esplorate le immagini della formazione in
psicologia e dell’utilità del resoconto psicologico. Gli studenti nel processo formativo
non apprendono solo contenuti teorici e tecnici, ma costruiscono anche rappresentazioni
della funzione psicologica attraverso modelli culturali orientati da dimensioni di senso;
in questa sede si propone il resoconto come strumento fondamentale per assumere
consapevolezza di tali rappresentazioni e delle dimensioni che le fondano, per
comprenderle e organizzare le relazioni formative e professionali.
This paper, after a short theoretical framework of the training models and tools
functional to promote psychological competence (as understood in a culturalist
perspective), presents a survey of 45 students of the Faculty of Education at the
University of Salento in Lecce. Using a semistructured interview, have explored the
images of the training in psychology and usefulness of the psychological report.
Students in the educational process not only learn theoretical and technical content, but
also build representations of the psychological function through cultural models
oriented to dimensions of meaning; here it is proposed the report as an essential tool to
take awareness of these representations and of the dimensions that are based, to
understand and organize educational and professional relations.
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INTRODUZIONE
Ritengo che le due citazioni che ho scelto di riportare in apertura di questa dissertazione
ben rappresentino e sintetizzino le questioni che saranno argomentate nelle pagine
successive; proprio per questo motivo credo che per introdurre questa trattazione sia
opportuno partire proprio da lì, da questi due spunti a mio parere pertinenti e
significativi nonostante non provengano da psicologi. La psicologia infatti è un ambito
pluridisciplinare, nasce da intuizioni originariamente non prettamente psicologiche e
nella sua evoluzione ha continuato sempre ad interloquire con altri settori della
conoscenza scientifica.
La filosofia in primis ha sviluppato pensiero su dimensioni che in seguito sono diventate
oggetto di studio della psicologia e rappresenta tuttora un campo di confine produttivo
da cui poter attingere. In particolare la filosofia ermeneutica, con la sua attenzione alla
comprensione e spiegazione dei segni prodotti dagli esseri umani e comunicati nel
linguaggio, presenta molte affinità con la prospettiva psicologica culturalista che ha
guidato questo lavoro.
Da qui nasce il mio riferimento a Wittgenstein (1990)
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, che ci parla di limiti del
linguaggio di un soggetto come limiti del suo mondo: che cosa vuol dire questo e perché
ha rilevanza in questo contributo? Avremo modo di parlare di una psicologia intesa
come scienza delle relazioni e dei significati: le relazioni umane si realizzano
essenzialmente attraverso il linguaggio (nelle sue varie forme) ed il linguaggio veicola
significati mediati da segni. Fin qui sembrerebbe non esserci niente di sconcertante ed
innovativo.
Il salto prospettico che un orientamento culturalista psicodinamico offre alla psicologia
(quindi alla comprensione del comportamento umano, alla configurazione della
professione di psicologo e a tutta una serie di altre dialettiche che attraversano la
disciplina) consiste nell’idea che i significati siano costruiti localmente, in modo situato,
e socialmente nelle relazioni ma soprattutto che siano orientati da dimensioni di senso
sovraordinate definibili come cultura. Le dinamiche simboliche di costruzione dei
significati, inscritte in situazioni storico-culturali specifiche e narrativamente
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Wittgenstein, L. (1990). Osservazioni sulla filosofia della psicologia. Milano: Adelphi.
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organizzate e manifestate, danno forma alle azioni dei soggetti e ai concetti da loro
usati.
In quest’ottica, assume qui rilevanza l’affermazione di Wittgenstein: il linguaggio con
cui una persona si esprime è manifestazione indiretta della sua cultura, che definisce i
confini del suo mondo. Ciò vuol dire che i Modelli Culturali delimitano i confini di ciò
che è pensabile e di ciò che non lo è.
É come se pensassimo per finestre che ci permettono di guardare il mondo da alcuni
punti di vista piuttosto che da altri. Cosa non rientra nel nostro campo di pensiero per
noi non esiste – perché non esiste per la nostra mente. Un certo modello culturale rende
pensabili alcuni oggetti o aspetti dell’esperienza, mentre rende non visibili altri - a meno
che non intervenga una perturbazione del campo di senso.
In questo lavoro la formazione riflessiva in psicologia è intesa proprio come formazione
perturbante le premesse culturali implicite degli studenti, al fine di esplicitarle e
renderle oggetto di pensiero per gli studenti stessi.
Questo perché la costruzione della conoscenza non è più concepibile come processo
cumulativo e regolato a-priori. Qui si propone una concezione della formazione come
costruzione strategica di senso in contesti condivisi socialmente; l’apprendimento è
inteso come capacità di ri-significazione del proprio modo di significare.
Proposte di alterità e sollecitazioni riflessive possono innescare una perturbazione in
questa direzione perché introducono una differenza nell’universo simbolico dei soggetti:
la differenza consente di pensare altrimenti, si conosce per differenza e non per
uniformità.
Rielaborando ora la frase di Bateson “l’informazione è una differenza che crea una
differenza” (1972)
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, potremmo dire che l’alterità è una differenza che crea una
perturbazione (del campo simbolico entro cui ci si muove).
La differenza risulta inizialmente confusiva e non immediatamente assimilabile, ma
setting riflessivi possono aiutare a pensarla e quindi comprenderla: esiste così la
possibilità che un soggetto riconosca che quelli che ritiene fatti in sé sono costruzioni
della realtà basate sulle proprie premesse agite inconsapevolmente; il passo successivo è
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Bateson, G. (1972). “Form, substance and difference” in G. Bateson, Steps to an ecology of mind. New
York: Ballantine (trad. it. “Forma, sostanza e differenza”, in Verso un’ecologia della mente. Milano:
Adelphi, 1998).
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riconoscere che la propria interpretazione non è l’unica possibile, ma è solo una tra le
tante pensabili. Ci sono infiniti modi di narrare gli eventi e quindi di costruirli.
Il gioco dei punti di vista assume rilevanza nella formazione psicologica in quanto
negazione metodologica dell'esistenza di un punto di osservazione unico e vero.
E se nella pratica clinica è assolutamente necessario assumere una posizione di alterità
rispetto a ciò che ci viene proposto dal cliente, è essenziale che l’assunzione di tale
posizione debba essere esercitata a partire dalla formazione – se vogliamo che la
formazione sia davvero professionalizzante, altrimenti si post-pone la questione ad un
indefinito momento successivo con risvolti negativi sullo sviluppo di una efficace
competenza psicologica.
L’alterità è necessaria per interrogare le premesse del cliente, così come è necessaria
nella formazione per interrogare le proprie premesse.
Quando parliamo di premesse parliamo anche di soggettività. La soggettività diventa in
quest’ottica non un mero elemento di disturbo dell’esercizio della funzione psicologica
(come poteva essere vista per una psicologia che aspirava alla neutralità dello psicologo,
ritenendola possibile), ma un principio istitutivo e fondante la prassi; in quanto tale, è di
fondamentale importanza riconoscerla e analizzarla - per evitare di agirla soltanto.
Le pratiche narrative riflessive portano all’autoconsapevolezza dei propri modelli, i
quali si rivelano nel linguaggio – prima ancora che nell’azione - e proprio attraverso il
linguaggio possono essere individuati.
Proporre il resoconto come strumento della formazione riflessiva in psicologia vuol dire
pensare alla resocontazione come mezzo per far diventare testo clinico la soggettività
degli studenti, per riflettere su di essa e governarla.
La forma di scrittura dei resoconti è indiziaria del campo di senso in cui si muove chi
l’ha prodotta, campo in base al quale vengono connotati lo strumento e la sua utilità.
I modelli di resocontazione sono coerenti con le premesse di chi li scrive, soprattutto
perché per gli scopi finora delineati il resoconto non viene proposto ai formandi in
psicologia come compito strutturato. L’uso stesso del resoconto, infatti, diventa
formativo in funzione dei modelli interpretativi di chi lo scrive; ad esempio un
resoconto scritto in maniera adempitiva difficilmente potrà sembrare utile allo studente
che l’ha prodotto, ma il fatto che lo studente si approcci allo strumento in quel modo è
indicativo della sua cultura e diventa utile nel momento in cui il docente effettua una
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restituzione in cui ciò viene esplicitato rendendolo oggetto di riflessione collettiva
condivisa.
I modelli simbolico-culturali degli studenti si riflettono nel loro modo di vivere la
formazione e costruiscono il modello di formazione a cui fanno riferimento.
Il modello di formazione, come qualsiasi altro significato, viene costruito
intersoggettivamente nell’ambiente sociale attraverso le interazioni e pratiche
quotidiane e non tramite un processo top-down che unidirezionalmente va dai docenti
agli studenti.
Gli studenti non sono attori neutrali, ma sono implicati nella generazione di significati
nei contesti formativi - significati che potremmo definire soggetto-contesto-dipendenti.
Il resoconto come dispositivo narrativo assume proprio una funzione di
contestualizzazione culturale, cioè connette il testo alle dimensioni contestuali e
simboliche che lo hanno generato.
L’esplicitazione condivisa delle cornici di senso che orientano la significazione degli
studenti entro il contesto formativo è finalizzata al riconoscimento e alla riflessione
intorno ai processi simbolici che fondano i testi – i resoconti così come le interazioni
discorsive del gruppo. Il discorso intorno alle diverse tipologie di narrazione
individuabili nei resoconti si configura come un pensare il pensiero narrativo, dunque
come la costruzione e la promozione dello sviluppo di una competenza psicologico-
clinica fondamentale.
L’indagine empirica condotta parte dal e si inserisce nel quadro finora presentato di
assunti teorico-epistemologici e segue una tradizione di ricerca piuttosto recente.
Intervistando 45 soggetti-campione, è stata esplorata la cultura degli studenti di
psicologia dell’Università del Salento - nello specifico la loro simbolizzazione della
formazione in psicologia e dello strumento “resoconto”.
Il metodo utilizzato è quello dell’Analisi delle Corrispondenze Lessicali e dell’Analisi
dei Cluster, il quale coglie sia la variabilità delle posizioni culturali (Modelli Culturali)
sia la globalità della cultura (Dimensioni Simboliche come matrice generativa dei
Modelli Culturali) della popolazione indagata.
Sulla base di un punto di vista psicodinamico - secondo il quale i significati, oltre ad un
aspetto convenzionale esplicito, hanno una componente inconscia (perciò implicita) di
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categorizzazione e generalizzazione - l’analisi culturale effettuata esplora e connette due
livelli distinti del significato: il livello semantico dei contenuti rappresentazionali, per
mezzo dei quali gli studenti connotano ed interpretano gli oggetti del discorso e
dell’esperienza; il livello simbolico (sovraordinato, affettivo, inconscio), che genera le
rappresentazioni (cfr. Pinto, Balestra, Del Gottardo, Salvatore e Venuleo, 2010)
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.
Si è partiti dal presupposto che gli studenti nel processo formativo non apprendano
esclusivamente contenuti teorici e tecnici e soprattutto non siano soggetti passivi
nell’apprendimento, ma che siano attori partecipi che co-costruiscono continuamente il
senso delle attività in cui sono coinvolti.
Ritenendo che “l’analisi della domanda di formazione degli studenti […] ovvero la
mappatura delle culture attraverso cui i formandi organizzano la
categorizzazione/fruizione della loro esperienza universitaria, dunque la loro
posizione/atteggiamento in essa, [possa] assumere un valore strategico” (Ivi, p. 81), si è
cercato di comprendere i Modelli Culturali e le Dimensioni Simboliche che orientano la
partecipazione degli studenti all’esperienza formativa al fine di conoscere come le loro
rappresentazioni di che cosa voglia dire formarsi in psicologia interagiscano con l’uso
del resoconto nella formazione.
In altri termini, la ricerca si propone di indagare il senso che gli studenti danno
all’utilizzo del resoconto nel processo formativo – come da loro stessi inteso; questo per
comprendere entro che tipo di cornice culturale il resoconto possa concretizzare gli
scopi per cui è concepito nella formazione in psicologia.
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Pinto, M., Balestra, A., Del Gottardo, E., Salvatore, S., Venuleo, C. (2010). Analisi della domanda
formativa e delle culture degli studenti universitari. Un’indagine empirica. Psicologia Scolastica, vol.7,
n.1, pp. 81-119.