3
Introduzione
Il mio lavoro è cominciato dalla volontà di andare a trattare un mito arcaico,
collocabile alle origini della società e della città stessa di Roma: il mito romuleo.
La figura di Romolo, nella tradizione romana, è senza alcun dubbio piuttosto
enigmatica, di difficile interpretazione, ma il contesto più interessante in cui
analizzare il rapporto che la società romana aveva sviluppato verso questo mito è
quello augusteo. La propaganda augustea, così come il progetto politico messo in
piedi da Ottaviano Augusto, fu straordinaria: un meccanismo perfetto in cui nessun
elemento sembra lasciato al caso. Dall’ acquisizione dei titoli e dei poteri politici a
poco a poco fino alla restaurazione religiosa, dalla capacità di presentare la guerra
contro Antonio e Cleopatra come una guerra tra culture, e non come una nuova
guerra civile, fino alla capacità di applicare la dura legge anche verso le persone più
vicine, come la figlia Giulia: la politica augustea era studiata nei minimi dettagli
1
.
Oserei dire che i Romani non si accorsero che la res publica era caduta fino almeno
al 13, quando Augusto designò di fatto Tiberio come successore riconoscendogli la
tribunicia potestas e l’imperium maius proconsulare. Augusto era stato però capace
fino ad allora di presentarsi come un normale cittadino che in un momento di crisi
dello stato si era posto al servizio della cittadinanza. Così si giustificavano i poteri
straordinari e i titoli concessi: Augusto non era rex come Romolo, ma nemmeno
dictator come Silla e Cesare, era princeps, primus inter pares. Il progetto politico
non si può leggere nella sua interezza però se non lo si integra con la propaganda,
pilastro portante del potere augusteo. Il Carmen saeculare oraziano o la discesa
negli Inferi di Enea
2
virgiliana non sono soltanto pezzi di straordinaria letteratura:
vederli come tali limiterebbe la loro comprensione. Anche la letteratura fece quindi
la sua parte nella politica augustea
3
, senza considerare l’architettura, l’arte, la
numismatica, l’epigrafia, alle quali purtroppo non ho potuto dedicare lo spazio
necessario per una trattazione completa
4
.
1
Per una trattazione completa sulle politiche intraprese da Augusto, la presa di potere e il
primo principato si veda CECCONI 2018, pp. CLXXXIX-CXCIV e FRASCHETTI 2018, pp.
XVII-LXXXVIII e POMA 2017, pp. CLIII-CLXV
2
VERG. Aen. 6, 756-887
3
Per una ampia trattazione della letteratura augustea, soprattutto nella prima fase, si veda
LA PENNA 2018
4
Per la presenza di elementi di propaganda nell’arte, nella architettura, nella numismatica
si veda ZANKER 1989
4
In un contesto come quello delle origini del principato il mito romuleo non poteva
che suscitare un grande interesse. Augusto sentiva probabilmente la necessità di
avvicinare se stesso alla figura del fondatore e primo re di Roma, appropriandosi di
una memoria storico-mitica comunitaria. Il processo era facilitato dalle origini
vantate dalla gens Iulia, Enea e prima ancora Afrodite, e dal lavoro in parte già
svolto da Cesare. Molto restava ancora da fare e lo sforzo di conciliazione tra
passato mitico, passato storico e presente sembra esser costante nella poesia
augustea.
Ma perché seguire il percorso di Ovidio e in particolare dei Fasti? La fase storica
che porta dal declino della res publica al principato è lunga e complessa e il potere
augusteo non poteva certo costituirsi senza una solida base ideologica. Se dunque
il pensiero e l’ideologia della propaganda augustea sono complessi, tanto più tale
complessità si trova in Ovidio e nella sua opera. Come si vedrà nel dettaglio, la
figura stessa del poeta fa sorgere qualche dubbio per quanto riguarda una precisa
collocazione all’interno o all’esterno del mondo augusteo. Ovidio non è un fervente
partigiano augusteo, ma è un ottimo poeta e un eccellente propagandista, che però
solleva qualche critica, che da altri autori non era stata mossa o era stata nascosta.
Così Ovidio è un autore di straordinario interesse in uno studio come quello che ho
cercato di svolgere, poiché ci fornisce in una sola opera diversi punti di vista, più o
meno critici, più o meno favorevoli, epici ed elegiaci. Nella lettura del testo dei
Fasti mi sono imbattuto in due versi che mi hanno incuriosito. Quando si va alla
ricerca di qualcosa si ha l’illusione di trovarla dovunque: riconosco che potrei aver
letto questi versi con eccessiva malizia, ma li ho trovati comunque interessanti. Nel
libro III Ovidio parla della festa di Anna Perenna e dice
quae tamen haec dea sit, quoniam rumoribus errat,
Fabula proposito nulla tegenda meo
5
.
Il poeta afferma che riguardo all’identità della dea ha pensato che niente debba esser
nascosto. Dopo aver concluso il mio studio è inevitabile chiedermi se Ovidio qui
non stia facendo un’allusione silenziosa, che passa quasi inosservata: ci sono stati
aspetti su cui ha ritenuto invece opportuno tacere? I Fasti in effetti affrontavano un
5
OV. fast. 3, 543-544
5
tema abbastanza generico, il calendario, che allora però poteva dare diversi spunti
interessanti per parlare di miti, eventi storici, feste e celebrazioni, divinità ed eroi.
Diverse devono essere le questioni su cui preferì sorvolare, alcune delle quali,
almeno in parte, erano senza dubbio relative al mito romuleo.
L’obiettivo del mio studio è stato quindi analizzare la presenza di Romolo e il
rapporto tra questa figura arcaica e il presente nei Fasti di Ovidio, spesso facendo
incursioni anche nei testi di altri autori di età augustea, come Livio, Virgilio, Orazio,
o in altri testi dello stesso Ovidio, come le Metamorfosi. L’attenzione si è
concentrata in particolare sulle perplessità, i dubbi, i problemi osservati da Ovidio
relativamente al fatto che il princeps Augusto assumesse come modello il rozzo e
ignorante rex Romolo. Ho diviso il mio lavoro in tre sezioni principali, precedute
da un’analisi dei punti di contatto tra Romolo e Augusto. Nella prima sezione mi
sono occupato delle difficoltà del modello romuleo nell’ambito delle principali
vicende mitiche, cioè la generazione e l’abbandono dei gemelli, la fondazione di
Roma e l’assassinio di Remo e infine il ratto delle Sabine. Ho voluto invece
dedicare la seconda sezione al rapporto tra il modello romuleo e la politica religiosa
di Augusto, attraverso il calendario, le festività dei Lupercalia e dei Lemuria e il
tema dell’apoteosi. Infine, la terza sezione tratta delle perplessità e delle
reinterpretazioni del modello romuleo nella propaganda augustea a partire dai dubbi
e dall’istinto pacifista di Ovidio stesso fino alla possibilità di vedere il princeps
come unione tra due diversi modelli, quello romuleo e quello numano. Questa
ripartizione mi ha permesso di osservare come nei diversi contesti Ovidio e la
propaganda augustea in generale abbiano accolto, rigettato, rielaborato l’eredità di
una tradizione “scomoda”, il mito di Romolo.
7
1. Augusto come Romolo
Nonostante la mia attenzione si sia andata a concentrare quasi esclusivamente sugli
aspetti negativi, sulle ambiguità e sui dubbi di Ovidio riguardo il modello romuleo,
non possiamo tacere completamente l’importanza di tale elemento. La figura di
Romolo era naturalmente di grande importanza in quanto fondatore della città di
Roma, anche se la storia romana aveva trovato ampio spazio da dedicare anche ad
altri personaggi storico-mitici, come Enea, che non aveva avuto nessun legame
diretto con Roma, ma era stato protagonista di una delle opere più note e
straordinarie della letteratura augustea, l’Eneide.
Tum vos, o Tyrii, stirpem et genus omne futurum
exercete odiis cinerique haec mittite nostro
munera. Nullus amor populis nec foedera sunto.
Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor
qui face Dardanios ferroque sequare colonos,
nunc, olim, quocumque dabunt se tempore vires
6
.
Didone preannuncia l’odio tra Cartagine e Roma, che si concretizzerà nelle guerre
puniche, già identificando Roma ed Enea, che si presenta quindi nella tradizione
come il progenitore della stirpe romana. Enea segna la continuità della storia di
Troia e soprattutto degli dei locali portati fino al Lazio, segna l’avvio della storia
della stirpe romana. La nascita dei Romani come popolo però non si può porre
certamente al tempo di Enea né durante la lunga sequenza dei re albani: se la stirpe
di Roma prende avvio dal progenitore Enea, è poi con Romolo che nascono i
Romani. Con Romolo sorge la città, che grazie al suo rex si ingrandisce, rafforza e
organizza. La figura di Romolo non poteva essere certamente eliminata né
accantonata, ma faceva ormai parte della storia tradizionale, seppur secondo
strutture semi-mitiche o mitico-storiche. Chiunque avesse cercato di portare avanti
un progetto come quello augusteo doveva necessariamente rivolgersi anche, se non
6
VERG. Aen. 4, 622-627
8
soprattutto, alle memorie più arcaiche, come appunto le vicende di Romolo e della
fondazione di Roma.
Le operazioni di Augusto sulla sua genealogia sono state oggetto di ampio dibattito
7
e possono essere importanti anche per l’interpretazione dei Fasti, che, a ben vedere,
si presentano come opera incentrata sulla famiglia di Augusto:
invenies illic et festa domestica vobis:
saepe tibi pater est, saepe legendus avus
8
.
Augusto infatti è stato in grado di fare una cosa rarissima: ha disegnato la propria
genealogia non solo proiettandola verso il futuro, attraverso matrimoni e adozioni,
ma anche verso il passato, tramite un delicatissimo studio e lavoro storico-
antiquario. In parte già Augusto godeva della pesante eredità del padre adottivo.
Non soltanto infatti poteva infatti definirsi figlio di Cesare a seguito dell’adozione,
ma addirittura poteva definirsi figlio del divus Iulius e godere dei capisaldi della
genealogia che Cesare gli aveva trasmesso, le coppie Enea-Venere e Romolo-
Marte
9
. Evidentemente un’eredità del genere veniva vista come molto utile ai fini
di propaganda e legittimazione, probabilmente senza porsi, almeno inizialmente,
molti dei problemi che solleva Ovidio nei Fasti. La trattazione del calendario non
dava la possibilità di fare un unico racconto come nell’Eneide, ma il testo ovidiano
poteva essere anche così una grande risorsa per la propaganda augustea, collegando
singole festività a figure interne alla genealogia di Augusto. Si poteva rendere in
forma poetica quello che si cercava di fare allora con il calendario romano, cioè
creare una doppia compenetrazione tra Augusto e la tradizione romana, soprattutto
più arcaica: Augusto entra nell’anno romano, attraverso le celebrazioni della sua
nascita, delle sue vittorie, della morte del padre, e la tradizione romana entra nella
propaganda augustea, legittimando il potere di Augusto
10
. Il calendario romano
andava costituendosi come una lunga narrazione della gloria di Roma e delle
personalità più importanti della storia romana, perlopiù legate ad Augusto da una
parentela. Augusto ha in sé lo stesso sangue del divus Iulius, del fondatore Romolo
7
Si veda BARCHIESI 1994, p. CXXX
8
OV. fast. 1, 9-10
9
Si veda BARCHIESI 1994, p. CXXX
10
Si veda BARCHIESI 1994, p. CXXXII
9
e del pius Enea e sembra che tutte queste figure portino qualcosa in dono alla
propaganda augustea che cerca di elaborare la nuova figura del princeps. In effetti
Romolo è molto presente nel calendario romano sotto Augusto
11
, quanto mai prima,
e di conseguenza è molto presente anche nei Fasti, creando quasi un lungo percorso
attraverso tutta la vita del fondatore di Roma. Non era il calendario ad aver bisogno
di Romolo, ma Augusto.
La questione del sangue era sempre stata di fondamentale importanza nella
tradizione romana, ma con il principato augusteo diventa elemento cardine
dell’apparato propagandistico e della legittimazione del potere la continuità del
sangue: non era necessario soltanto cercare di garantire una successione (cosa che
per Augusto fu molto difficile, date le diverse sventure che capitarono alla sua
famiglia
12
), ma era necessario anche garantire ai successori un apparato di
personalità e memorie che riguardassero le vicende familiari, ma che toccassero
anche l’interesse nazionale. Bisogna ricordare infatti che Romolo era stato il padre
dei Romani laddove Enea ne era stato progenitore: dire di essere imparentati con
essi voleva dire avere in sé il sangue di Roma, quello delle origini.
Ovidio non si lascia sfuggire l’occasione e nei Fasti introduce una lista degli avi di
Augusto
13
, disegnandone l’intera genealogia a partire da tempi antichissimi, fin da
Dardano ed Elettra. Si sottolinea però come questa genealogia di cui Augusto può
fare vanto sia un’eredità, ricevuta da Romolo, che
principiumque sui generis revolutaque quaerens
saecula cognatos venit adusque deos
14
.
Così sembra che Augusto e Romolo abbiano condiviso un interesse di carattere
storico-antiquario e genealogico: entrambi in effetti si ponevano a capo di una
nuova struttura, l’uno come rex della nuova città, l’altro come princeps nella res
publica, ed entrambi avevano necessità di giustificare e legittimare la loro
posizione. La genealogia augustea non è però un interesse solo dei Fasti, un
11
Si veda BARCHIESI 1994, p. CXXXII
12
Per l’indicazione dei successori di Augusto e il difficile passaggio di potere si veda
CECCONI 2018, p. CCXI-CCXIII
13
OV. fast. 4, 31-56
14
OV. fast. 4, 29-30
10
riferimento si trova anche nelle Metamorfosi. Anche qui si trova una lunga lista dei
successori di Enea
15
, interrotta dalla singolare vicenda erotica di Pomona
16
e
Vertumno
17
, per poi riprendere da Amulio e Numitore, fino alla fondazione della
città e alla guerra contro i Sabini
18
.
Il progetto augusteo prevedeva un piano di ricostruzione e di rinascita della res
publica romana. La “cosa pubblica” passa però ad una nuova forma di governo a
poco a poco, il principato, grazie al progressivo passaggio di poteri nelle mani di
Ottaviano, fino al 2 a.C. con l’assunzione del titolo di pater patriae. Il progetto di
rifondazione di Roma prevedeva interventi all’interno della città e nelle province,
nella politica militare, nella religiosità, nel controllo di usi e costumi attraverso la
restaurazione dei grandi valori del passato
19
. Evidentemente un’opera del genere
non poteva accantonare la figura di Romolo, che si presentava anzi come il modello
per eccellenza: si doveva necessariamente creare un legame tra Romolo e Augusto
e riuscire ad adattare Romolo a modello del princeps. Il legame più evidente era
certamente quello familiare. Tale legame viene garantito dal libro VI dell’Eneide,
in cui Virgilio non solo inserisce la lunga discendenza futura di Enea
20
, ma
preannuncia anche la nascita di Ottaviano Augusto
21
, discendente da Enea in quanto
appartenente alla gens Iulia, iniziata da Iulo-Ascanio, e quindi discendente anche
di Romolo. Il problema arrivava però nel presentare Romolo come modello del
princeps, poiché la tradizionale rozzezza, bellicosità e ignoranza di questa figura
così arcaica male si potevano adattare a ciò che Augusto voleva rappresentare per
lo stato romano. Augusto, seguendo il percorso del padre Cesare, cercava di
associare a sé Romolo per simboleggiare la rinascita di Roma sotto la sua egida, ma
anche il ritorno ai valori etico-morali delle origini
22
, il mos maiorum. Proprio allora
però Ovidio individua le maggiori difficoltà nei Fasti, ogni qual volta debba
sforzarsi di adattare il Romolo storico-mitico a quello che era il modello romuleo
richiesto dalla propaganda augustea. Il compito di Augusto era appunto garantire al
principato una solida genealogia, tanto verso il futuro quanto verso il passato.
15
OV. met. 14, 609-625
16
Per il mito di Pomona, si veda ARESI 2017
17
OV. met. 14, 625-771
18
OV. met. 14, 772-777
19
Per una trattazione più ampia sul principato augusteo, i poteri e le iniziative di Augusto
si vedano CECCONI 2018, pp. CLXXXIX-CCXIII e FRASCHETTI 2018, pp. LV-CXXV
20
VERG. Aen. 6, 756-787
21
VERG. Aen. 6, 788-807
22
Si veda HINDS 1992, p. CXXVII
11
Già solamente la casa di Augusto sul Palatino era un segno importante di
avvicinamento alla figura romulea. Svetonio
23
ci parla di una casa piuttosto
modesta, di dimensioni contenute e dalle scarse decorazioni. Spesso la si definiva
domus publica o domus palatinae
24
, come riporta Svetonio
25
, evitando ogni
riferimento al contesto regale, ad una domus regia. Era appunto ben lontana dalla
reggia tradizionale, ma somigliava più al palazzo di età ellenistica: si trattava di un
complesso che univa funzione abitativa e funzioni pubbliche, inglobando ad
esempio anche un tempio, quello di Apollo, che appunto viene chiamato “sul
Palatino”
26
. Il processo di insediamento di Ottaviano sul Palatino in realtà è stato
molto lungo e complesso, già a partire dal 42 a.C., quando grazie alle proscrizioni
ottiene diverse case in quest’area, tra le quali quella dell’oratore Ortensio e quella
di Lutazio Catulo
27
. Probabilmente quindi già nel 42 a.C. Ottaviano voleva
presentarsi come nuovo Romolo. Appena l’anno precedente, secondo Svetonio
28
,
aveva ricevuto per il suo primo consolato lo stesso presagio che aveva ricevuto
Romolo nel momento della fondazione della città, vale a dire la visione dei dodici
avvoltoi. Quel luogo in effetti era importantissimo per la tradizione romana, poiché
vi si trovavano i resti della fondazione della Roma quadrata, cioè il solco tracciato
da Romolo, oltre al Lupercal, la grotta-santuario legata alle feste dei Lupercalia, e
la casa Romuli, cioè la capanna di Romolo. Soprattutto le case di Ortensio e di
Lutazio Catulo dovevano trovarsi in prossimità di questi resti e infatti furono di
grande interesse per Ottaviano, che volle possederle ad ogni costo
29
; i Lutazi Catuli,
padre e figlio, poi in particolare si erano già precedentemente molto interessati alle
vicende romulee, ricercando e difendendo reperti di quell’epoca
30
.
Nei Fasti Ovidio accenna alla casa Romuli un paio di volte. Innanzitutto nel libro
I:
dum casa Martigenam capiebat parva Quirinum
23
SVET. Aug. 72
24
Si veda CARANDINI 2008,p. LV
25
SVET. Aug. 57, 4
26
Si veda CARANDINI 2008, pp. LV-LVII
27
Si veda CARANDINI 2008, pp. XXX-XXXI
28
SVET. Aug. 95
29
Si veda CARANDINI 2008, pp. XXX-XXXIII
30
Si veda CARANDINI 2008, p. XXXIII
12
et dabat exiguum fluminis ulva torum
31
.
La modestia della capanna, rappresentata come piccola e povera, sembra essere un
elemento caratteristico, data anche la fase storica in cui si colloca, alle origini della
città
32
. Un altro riferimento si trova nel libro III, per bocca del dio Marte.
Quae fuerit nostri si quaeris regia nati,
aspice de canna straminibusque domum.
In stipula placidi capiebat munera somni,
et tamen ex illo venit in astra toro
33
.
Le caratteristiche messe in luce da Ovidio sono tutte indirizzate a sottolineare
nuovamente la modestia e la paupertas della casa Romuli, elemento certo molto
caro alla propaganda augustea proprio perché legato a quella idea di romanitas
tradizionale che disprezza le ricchezze e le ostentazioni. È evidente che Ovidio ne
parlava con maggior consapevolezza di noi poiché l’aspice ci fa capire che al tempo
erano già visibili, come oggi, dei resti identificati con la casa Romuli
34
.
Ovidio accenna però anche alla domus di Augusto sul Palatino, in prossimità della
casa Romuli. Mentre l’aspetto caratteristico della capanna romulea era la povertà e
la modestia, quello della domus di Augusto sembra essere il legame con il contesto
religioso.
Aufer, Vesta, diem: cognati Vesta recepta est
limine; sic iusti constituere patres.
Phoebus habet partem: Vestae pars altera cessit:
quod superest illis, tertius ipse tenet.
state Palatinae laurus, praetextaque quercu
stet domus: aeternos tres habet una deos
35
.
31
OV . fast. 1, 199-200
32
OV. fast. 1, 197-198
33
OV. fast. 3, 183-186
34
Si veda COARELLI 2008, pp. CXXXI-CXXXIII
35
OV. fast. 4, 949-954