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INTRODUZIONE
In questa tesi si analizza il comma 3 dell’art. 116 Cost. introdotto nel testo
costituzionale dall’art. 2 della l. cost. n. 3 del 18 ottobre 2001. L’art. 116, co.
3, Cost. prevede il c.d. regionalismo differenziato, ovverosia la possibilità di
attribuire forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto
ordinario, ferma restando la peculiare posizione delle Regioni a statuto
speciale (art. 116, co.1, Cost.).
Il primo capitolo si apre con un excursus storico della vicenda del
regionalismo differenziato in Italia: dalla caduta del regime fascista alla l.
cost. 18 ottobre 2001 n. 3; poi si delineano i caratteri del modello del
regionalismo differenziato.
Nel secondo capitolo si analizzano le varie fasi del procedimento previsto
dall’art. 116, co. 3, Cost. Si affronta il tema riguardante la previsione di un
preliminare referendum volto a promuovere un pronunciamento popolare
sulla necessità di avviare la procedura di regionalismo differenziato.
Nel terzo capitolo si affronta, da un punto di vista prevalentemente
giuridico, il tema del finanziamento delle funzioni dell’autonomia
differenziata.
Nel quarto capitolo si trattano gli ambiti materiali cui possono applicarsi le
“ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” di cui all’art. 116, co.
3, Cost.
Infine, nell’ultimo capitolo viene descritto il percorso di attuazione dell’art.
116, co.3, Cost., che, tuttavia, al momento in cui si scrive, nessuna Regione
ha portato a compimento.
5
CAPITOLO I
Il regionalismo differenziato: una premessa
Sommario: 1. Introduzione ‒ 2. Dalla Costituzione del 1948 alla l. cost. n. 3
del 2001 ‒ 3. Il modello di regionalismo differenziato. Profili teorici
1. Introduzione
I paragrafi che seguono trattano del regionalismo differenziato sotto due
aspetti, innanzitutto storico, ossia, partendo dalle “specialità” come prima
forma di differenziazione tra le Regioni, per poi sottolineare che nella prassi
ha prevalso un regime uniforme delle autonomie territoriali a cui il
legislatore, a partire dagli anni novanta del secolo scorso e sotto la spinta
dell’Unione europea, ha cercato di porre rimedio con una serie di riforme
volte a riorganizzare l’ordinamento nazionale sulla base dei principi di
sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione. L’altro aspetto è quello
teorico, che cerca di spiegare in che cosa consiste la c.d. “clausola di
asimmetria” introdotta dalla l. cost. 18 ottobre 2001 n. 3.
2. Dalla Costituzione del 1948 alla l. cost. n. 3 del 2001
Fin dai tempi immediatamente successivi al crollo del fascismo si erano
andate aggregando istanze volte all’ottenimento di forme particolari di
autonomia. Le ragioni adottate a sostegno delle varie rivendicazioni
autonomistiche si basavano in primo luogo sulla presenza, molto accentuata
in Sardegna e in Sicilia, di tendenze separatiste
1
alle quali il Governo cercò
di rimediare dotando queste Regioni di organi provvisori: un alto
commissario, nominato dal Presidente del Consiglio, affiancato da una
consulta regionale rappresentativa delle organizzazioni politiche,
1
L. PALADIN, C. CRISAFULLI, Commentario breve alla Costituzione, Padova, Cedam,
1990, p. 689.
6
economiche, sindacali e culturali locali. Nonostante ciò la situazione della
Sicilia non migliorò, così venne concesso all’isola un ordinamento
autonomo con uno statuto speciale, elaborato da una commissione istituita
appositamente dalla consulta regionale e adottato quasi integralmente dal
governo nazionale col d.lgs. lgt. 455/1946.
Nel 1945, al fine di fronteggiare i problemi legati alle particolari condizioni
geografiche, economiche e soprattutto linguistiche della popolazione
valdostana fu istituita la “circoscrizione autonoma” della Valle d’Aosta,
nuovo ente pubblico territoriale dotato di competenza amministrativa in
determinate materie.
Nel 1946, con l’accordo De Gasperi-Gruber, i capi di governo italiano e
austriaco riconobbero particolari condizioni di autonomia alle popolazioni
di lingua tedesca della provincia di Bolzano.
Nel medesimo periodo, con il referendum istituzionale del 2 giugno 1946,
svolto a suffragio universale e diretto, fu stabilito che la forma istituzionale
dello Stato fosse quella repubblicana e si elesse un’Assemblea Costituente
incaricata di stabilire il nuovo assetto costituzionale.
Il dibattito fu senz’altro condizionato da quelle prime già maturate
esperienze di tipo regionale che avrebbero poi rappresentato, assieme al
Friuli Venezia Giulia, le uniche forme differenziate di autonomia
2
.
Per rispondere alle specifiche esigenze di questi territori i Costituenti
decisero di istituire un modello regionale, generalmente collocabile tra uno
Stato federale e uno accentrato
3
, con un sistema di autonomie regionali
ispirato a un modello di regionalismo parzialmente differenziato
4
o duale
caratterizzato dalla presenza di Regioni di diritto comune (o ad autonomia
ordinaria) che sono destinatarie di una disciplina generale dettata dal Titolo
V della Parte II della Costituzione e Regioni ad autonomia differenziata (o,
2
R. BIN, G. FALCON (a cura di), Diritto regionale, Bologna, il Mulino, 2016, p. 71-72.
3
A. CARIOLA, F. LEOTTA, Art. 116, in R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI (a cura
di), Commentario alla Costituzione, vol. III, Torino, 2006, p. 2180.
4
E. DE MARCO, Lo Stato istituzionalmente decentrato tra Costituzione e realtà, in
Rassegna Parlamentare, 2004, fasc. 2, p. 490.
7
meglio, ad autonomia speciale) che sono destinatarie di una disciplina
derogatoria (rispetto alla disciplina generale dettata per le Regioni nel Titolo
V) che è prevista per ciascuna Regione speciale dal rispettivo statuto avente
la forma della legge costituzionale ai sensi dell’art. 116 Cost.
5
.
Nei fatti si è affermato un regime uniforme delle autonomie territoriali
6
con
la piena omogeneità di regime delle Regioni speciali con quelle ordinarie
7
.
A ciò hanno indotto diversi fattori, il primo dei quali era la sostanziale
compattezza delle classi politiche regionali con quella nazionale e l’esistenza
di un assetto partitico che guardava al livello statale di governo come a
quello di esclusivo riferimento per ogni scelta di un qualche rilievo, anche
se a ricadute prettamente locali; la circostanza che la forma di governo
regionale riproduceva appieno condizioni e modalità di funzionamento di
quella statale; il fatto stesso che la carriera del ceto politico trovava naturale
sviluppo solo in ambito nazionale sino a sottovalutare il livello locale, hanno
costituito potenti elementi di omogeneità politica ed istituzionale e, di
conseguenza, di configurazione del modello regionale.
Non a caso, l’esperienza più interessante è stata per molto tempo quella
altoatesina, appunto anche per la presenza di un assetto partitico diverso da
quello esistente in ambito statale.
All’omogeneità di quello speciale con il regionalismo ordinario hanno
condotto, peraltro, altri elementi. L’attuazione del regionalismo nel 1970
trovava le Regioni speciali quasi nella parabola discendente della rispettiva
storia, mentre altre Regioni prendevano l’iniziativa politica nel clima di
riforme che il regionalismo medesimo introduceva
8
; il modello complessivo
è passato da un’originaria conformazione di tipo garantista-difensivo,
5
F. PASTORE, Introduzione. La crisi del modello duale di regionalismo in Italia, in F.
PASTORE (a cura di), Il regionalismo differenziato, Atti del Convegno di Cassino del
5.04.2019, Padova, Cedam, 2019, p. 1-2.
6
L. ANTONINI, Il contesto italiano dell’uniformità e la prospettiva della differenziazione,
in A. MASTROMARINO, J. M. CASTELLÀ ANDREU (a cura di), Esperienze di
regionalismo differenziato. Il caso italiano e quello spagnolo a confronto, Milano, Giuffrè,
2009, p. 3.
7
A. CARIOLA, F. LEOTTA, Art. 116, cit., p. 2185.
8
Op. ult. cit., p. 2185.
8
rimasta solo nelle intenzioni del costituente
9
, nella quale le autonomie
regionali erano viste come un possibile limite alle derive autoritarie dello
Stato e quindi connotate da un ruolo frenante
10
, ad una forma di
regionalismo cooperativo tutt’altro che limpida e lineare
11
: allorquando il
modello cooperativo si è affermato, lo stesso ha quasi di necessità assunto
una dimensione riferita generalmente a tutte le Regioni ed in un movimento
a guida di quelle politicamente più forti
12
. Il paradosso del metodo implicato
nel regionalismo dell’uniformità, peraltro è stato quello di non essere
riuscito, nonostante i vari decenni d’applicazione, a garantire l’unificazione
delle condizioni di vita. Sulla scorta di questa esperienza deludente,
funzionale più all’egualitarismo che all’eguaglianza, a partire dagli anni
novanta del secolo scorso ha cominciato a trovare spazio la prospettiva della
differenziazione, sebbene all’interno di un panorama ancora fortemente
orientato alla logica dell’uniformità. Più precisamente, l’art. 3 della l. n. 142
del 1990, in una prospettiva di “coordinamento garantito”, era diretto a
favorire la devoluzione di tutte le funzioni regionali non aventi carattere
unitario agli enti territoriali, mettendo contestualmente la Regione in
condizione di calibrare l’assetto delle funzioni in relazione alle
caratteristiche delle popolazioni e dei territori. In questo modo la Regione
poteva porsi come l’ente di riferimento del sistema delle autonomie locali,
mentre l’uniformità dei principi previsti dalla stessa legge n. 142 veniva
modulata con una possibilità di differenziazione degli assetti.
La rottura dell’uniformità del regime locale dei precedenti ordinamenti e la
possibilità di configurare la Regione come “centro propulsore e di
coordinamento del sistema delle autonomie”
13
, era stata poi confermata
dalla Corte costituzionale nella sent. n. 343 del 1991, dove l’ente regionale
era stato riconosciuto come un punto di sintesi tra l’uniformità dei principi
9
L. ANTONINI, Il contesto italiano dell’uniformità e la prospettiva della differenziazione,
cit., p. 3.
10
L. ANTONINI, Il regionalismo differenziato, Milano, Giuffrè, 2000, p. 8.
11
L. ANTONINI, Il contesto italiano dell’uniformità e la prospettiva della differenziazione,
cit., p. 3.
12
A. CARIOLA, F. LEOTTA, Art. 116, cit., p. 2186.
13
L. ANTONINI, Il contesto italiano dell’uniformità e la prospettiva della differenziazione,
cit. p. 5.