- 2 -
Si ritiene altresì che un sistema è neutrale quando assoggetta tutti i redditi
finanziari al medesimo prelievo fiscale. La neutralità, impone dunque che il prelievo
minimizzi le distorsioni: nel caso della tassazione del risparmio, l’imposta non deve
incidere sulla struttura dei rendimenti delle attività finanziarie (ciò determinerebbe
un’elevata mobilità del capitale creando condizioni per arbitraggi e distorsioni).
Si deduce quindi che un sistema è “non neutrale” quando, per scelte di politica
economica e fiscale si canalizza il risparmio verso particolari investimenti
finanziari
(4)
.
Il requisito dell’efficienza, invece, assume due significati: da un lato, un
sistema è efficiente se concepito in modo da lasciare il mercato libero di operare,
cioè non è preferibile l’intervento statale ed in questo senso tale requisito si confonde
con quello della neutralità; sotto altro profilo l’efficienza viene concepita come la
capacità che ha un sistema di garantire l’effettivo pagamento dell’imposta attraverso
idonei strumenti di accertamento e controllo.
Da questo punto di vista l’efficienza è collegata alla semplicità del sistema, che
non è un requisito specifico della tassazione delle attività finanziarie, ma è di
fondamentale importanza dal punto di vista economico. Il prelievo fiscale, infatti, è
un prelievo coercitivo, imposto a contribuenti che cercano di opporvisi attraverso
comportamenti elusivi ed evasivi. La natura coercitiva del sistema fiscale comporta,
così, dei costi, anche significativi, diretti a prevenire e sanzionare quei
comportamenti che compromettono la raccolta delle imposte. Il ricorso ad un sistema
fiscale “semplice”, che riduca adempimenti burocratici, può ridurre questi costi e
rendere quindi più efficiente il prelievo. Un sistema che appaia ai contribuenti
semplice e non farraginoso, può infatti rendere questi ultimi più collaborativi e può
anche rendere più efficace l’attività di accertamento dell’amministrazione.
Si nota dunque che, nel campo delle attività finanziarie, la semplicità è un
obiettivo in parte ricollegabile ai precedenti requisiti: un prelievo complessivo e
neutrale è infatti un prelievo semplice, in quanto elimina ogni articolazione
normativa.
(4)
Come accade in Italia ed in molti altri Paesi europei, dove è conseguita una politica fiscale diretta alla
canalizzazione del risparmio verso i titoli del debito pubblico.
- 3 -
Da ciò si deduce che tali requisiti sono collegati ma allo stesso tempo
indipendenti, quindi non è detto che un sistema sia “ottimale” solo quando sono
presenti tutti e congiuntamente i suddetti requisiti.
1.1. L’attuazione dei requisiti nel diritto positivo.
Una volta individuati i requisiti di ordine generale a cui un sistema di
imposizione delle rendite finanziarie deve tendere, è necessario determinare le
modalità di applicazione degli stessi all’interno del diritto positivo.
Si tratta di verificare come i requisiti della completezza, neutralità ed
efficienza possano essere introdotti nell’ordinamento, ovviamente senza che si
pongano in contrasto con i principi giuridici del diritto positivo vigente.
La prima fase per attuare il passaggio dal piano economico a quello giuridico,
consiste nell’analizzare e considerare i soli principi generali e costituzionali
dell’ordinamento, mentre il diritto positivo può essere considerato solo in una fase
successiva.
Un sistema d’imposizione delle rendite finanziarie completo, neutrale,
efficiente e allo stesso tempo conforme ai principi dell’ordinamento, deve essere un
sistema che attragga ad imposizione tutti i redditi finanziari, ma non anche quelle
fattispecie che esulano dalla definizione di reddito contemplata nel nostro
ordinamento; che assoggetti ad imposta tutti i redditi finanziari, ma nel rispetto
dell’art. 47 della Costituzione, che tutela il risparmio in tutte le sue forme; che
preveda metodi di controllo della ricchezza finanziaria non estranei all’ordinamento,
ma “modificati” per tenere conto delle particolari caratteristiche che oggi giorno
assume la ricchezza finanziaria.
L’analisi giuridica dovrà approfondire e riprendere i singoli requisiti, verificare
la loro compatibilità ai principi dell’ordinamento e risolvere una pluralità di questioni
giuridiche riguardanti la completezza, la neutralità e l’efficienza.
• La completezza.
Per questo requisito è necessario determinare quali redditi finanziari devono
essere assoggettati ad imposizione. A tal fine sarà necessario individuare delle
definizioni che tengano conto delle differenze tra le diverse fattispecie ed
- 4 -
eventualmente distinguerle in categorie reddituali
(5)
. L’unitarietà dal punto di vista
giuridico non può, infatti, essere mantenuta dato che le fattispecie hanno
configurazioni differenti e per questo necessitano di criteri impositivi e di regole di
determinazione della base imponibile diverse, con la conseguenza di dover creare
varie categorie di redditi finanziari (redditi di capitale e redditi diversi di natura
finanziaria).
In conclusione si può affermare che dal punto di vista pratico l’unitarietà ha
dei vantaggi relativamente ai fenomeni elusivi, mentre un sistema basato su una
ripartizione dei redditi finanziari è preferibile dal punto di vista dell’equità ma deve
essere accompagnato da idonee norme di chiusura, essendo questo un sistema più
esposto all’elusione
(6)
. Nel caso in esame uno dei principali fenomeni elusivi è
rappresentato dalla trasformazione di una fattispecie di reddito in un’altra
(7)
.
• La neutralità (ed equità).
Questo requisito sembra essere esclusivamente di natura economica, per cui
giuridicamente sarà necessario verificare se le discriminazioni presenti nel sistema
siano in contrasto con i principi di natura fiscale, in particolar modo con il principio
di uguaglianza previsto dalla Costituzione.
A tal fine per essere neutrale un sistema dovrebbe seguire il criterio della
completa inclusione, nella base imponibile dell’imposta personale progressiva, di
tutti i redditi finanziari. La neutralità si sostanzia dunque nell’esigenza che
l’imposizione dei redditi finanziari non condizioni le scelte degli operatori e non
discrimini fra soggetti risparmiatori e prodotti finanziari.
Viste le finalità della neutralità, non è detto che un sistema sia neutrale solo
perché si basi su un’imposizione progressiva; infatti un sistema può essere neutrale
anche escludendo da tassazione tutti i redditi di natura finanziaria o ancora
applicando un’imposizione sostitutiva.
(5)
Mentre dal punto di vista economico viene mantenuta l’unitarietà della categoria dei redditi finanziari, dal
punto di vista giuridico devono operarsi delle distinzioni tra redditi derivanti da un impiego “statico” del capitale e redditi
derivanti da un impiego “dinamico” del capitale.
(6)
L’elusione fiscale è quel fenomeno in base al quale un contribuente, allo scopo di ottenere un vantaggio
fiscale (che può consistere nel non pagare un’imposta o pagarla in misure minore), pone in essere un atto che non avrebbe mai
compiuto o utilizza strumenti giuridici anomali o inconsueti.
(7)
Fenomeni del genere si verificano attraverso la trasformazione di interessi o dividendi non tassabili o
tassabili in misura minore.Si parla in questo caso di coupon washing (per gli interessi) e/o di dividend washing (per i dividendi)
che consistono nella vendita del titolo, rispettivamente obbligazionario o azionario, un momento prima del pagamento
dell’interesse o del dividendo ad un soggetto che gode di un regime fiscale privilegiato e nel successivo riacquisto dello stesso
titolo dopo l’incasso degli interessi o del dividendo. In questo modo il contribuente non viene assoggettato ad imposta sugli
interessi o sul dividendo, ma consegue o può conseguire una plusvalenza non tassata o comunque tassata con un regime fiscale
meno oneroso (in quanto il titolo comprende i ratei d’interesse o i dividendi maturati).
- 5 -
Dal punto di vista giuridico non si tratta di ricercare il migliore criterio di
neutralità (se imposizione sostitutiva, progressiva o totale esenzione), ma di ricercare
all’interno dell’ordinamento principi e ragione giuridiche che giustifichino l’utilizzo
dell’uno o dell’altro criterio impositivo.
Un’attenta analisi giuridica deve quindi verificare se sia corretto assoggettare
interamente ad imposizione il reddito finanziario o se, sia più conforme ai principi
dell’ordinamento assoggettare ad imposizione solo una parte del reddito finanziario,
escludendo dall’imposta quella parte di esso che va a compensare l’erosione per
inflazione del capitale.
In conclusione, anche in questo caso si presentano una serie di soluzioni tutte
teoricamente praticabili e idonee al raggiungimento della neutralità del sistema, fra
cui solo l’analisi giuridica può privilegiare la soluzione più corretta, considerando la
sua coerenza all’interno dell’intero sistema.
• L’efficienza.
Si tratta di un requisito essenzialmente di natura giuridica, in quanto è compito
del diritto positivo individuare validi strumenti di controllo e di repressione.
Ricordiamo infatti che efficienza significa essere in grado di controllare tutti i redditi
finanziari assoggettati a tassazione, prevenendo e punendo le evasioni e le
irregolarità compiute dai contribuenti.
Questo aspetto è oggi di fondamentale importanza in quanto la
globalizzazione, l’internazionalizzazione dei mercati finanziari e l’introduzione di
nuovi prodotti ha reso sempre più difficile il controllo dei redditi finanziari (sia quelli
percepiti nello Stato di residenza sia quelli conseguiti all’estero).
Per tutte queste ragioni l’Amministrazione si avvale, nello svolgimento
dell’attività di accertamento e nella fase istruttoria, di soggetti quali gli intermediari,
autorizzati ad operare nei mercati finanziari
(8)
.
(8)
Sono i soggetti previsti dalla legge del 2 gennaio 1991, n. 1 ed ora disciplinati dalla legge 23 luglio 1996, n.
415, quali le SIM (società di intermediazione mobiliare), le banche e le società fiduciarie iscritte nell’apposito albo.
- 6 -
2. Ricostruzione della categoria dei redditi finanziari: reddito
prodotto, reddito-entrata ed esclusione degli incrementi
meramente patrimoniali.
Prima di dare una definizione di reddito finanziario, è necessario verificare
quali fattispecie economiche, che realizzano un incremento di ricchezza, possano
essere assoggettate ad imposizione.
Per il requisito della completezza, è necessario che siano assoggettati ad
imposta tutti i redditi generati da un “impiego del risparmio”: non solo, quindi, i
redditi derivanti da un impiego “statico” del capitale, (ossia quei redditi conseguiti
dal mero godimento del capitale dove esso è fonte diretta del reddito, come gli
interessi o gli utili societari), ma anche i redditi derivanti da un impiego “dinamico”
del capitale, dove esso è oggetto di attività ed operazioni dunque è strumentale per la
produzione del reddito (come i guadagni di capitale o capital gains o plusvalenze
(9)
o
redditi diversi di natura finanziaria).
Si tratta, quindi, di due fattispecie di reddito distinte che rientrano
rispettivamente nella nozione di reddito prodotto e in parte in quella del reddito-
entrata
(10)
; definizioni che determinano, nella nuova disciplina, la classica distinzione
tra redditi di capitale e redditi diversi.
Con la nozione “reddito prodotto” s’intende quel reddito che deriva
direttamente dallo svolgimento di un’attività produttiva, o collegato attraverso un
rapporto giuridico ad una fonte di produzione; la nozione “reddito entrata” indica,
invece, ogni incremento di ricchezza.
Tale distinzione è stata mantenuta anche in seguito all’attuazione della delega
conferita al Governo, contenuta nel comma 160 dell’art. 3 della L. n. 662/1996, per il
(9)
In questa sede interessano solo le plusvalenze finanziarie, cioè derivanti da operazioni su titoli, valori
mobiliari e altri prodotti finanziari.
(10)
Entrambe le concezioni includono nel concetto di reddito gli incrementi patrimoniali derivanti da un’attività
del contribuente o da una fonte produttiva di carattere patrimoniale, come gli interessi dei capitali investiti e i canoni di
locazione degli immobili. Le due nozioni si distinguono perché il reddito entrata include anche gli incrementi patrimoniali di
carattere straordinario e non preordinato.
Sull’argomento cfr. MONTESANO, A proposito del nuovo regime di tassazione dei capital gains di natura
finanziaria, alla luce della riforma introdotta con il D.Lgs. n. 461/1997, in Boll. Trib. n. 12/1999, pag. 941 ss.; GALLO, Il
reddito di capitale come frutto economico, in Il fisco n. 20/1998, pag. 6520 ss.; GALLO, La nozione dei redditi di capitale alla
luce del D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461, in Dir. prat. trib. n. 4/1998, 1219 ss.
- 7 -
riordino della tassazione dei redditi di natura finanziaria
(11)
. In seguito all’attuazione
di tale delega è stato emanato il D.Lgs. n. 461/1997 per il “riordino della disciplina
dei redditi di capitale e dei redditi diversi”.
In effetti l’unificazione delle due categorie sarebbe stata, per il nostro sistema,
una scelta troppo radicale e sarebbe andata contro il vigente Tuir approvato con
D.P.R. n. 917/1986. In questo caso, infatti, il legislatore non ha dato una nozione
omogenea dei redditi in esame, ma ha fatto un’elencazione casistica, che include
fattispecie puntuali e tassative di redditi finanziari e in particolare riconduce la
categoria dei redditi di capitale alla nozione di reddito prodotto e le plusvalenze
finanziarie a quella di reddito-entrata.
Si è così preferito novellare completamente l’art. 41 e l’art. 81, per la parte
inerente alla tassazione dei redditi di natura finanziaria, piuttosto che creare un’unica
categoria reddituale omnicomprensiva tanto dei redditi di capitale che dei redditi
diversi.
Fino all’entrata in vigore nel 1988 dell’ultimo Tuir, il nostro sistema
d’imposizione dei redditi, non prendeva in considerazione il concetto di reddito-
entrata e si uniformava esclusivamente alla nozione di reddito prodotto: di quel
reddito, cioè, che deriva direttamente dallo svolgimento di un’attività produttiva o,
in generale da una fonte produttiva. Ciò determinava che sia i redditi di capitale che i
redditi diversi erano ricondotti alla nozione di reddito prodotto e cioè erano presi in
considerazione solo in quanto derivanti (dunque prodotti) da atti negoziali e/o
speculativi
(12)
.
E’ solo con il Tuir del 1988 che si è introdotto il concetto di reddito-entrata,
riconducendo ad esso ogni plusvalenza indicata nell’art. 81 ed eliminando il fine
speculativo.
Anche il D.lgs. n. 461/1997 non ha unificato le due nozioni di reddito , ma si è
limitato a rendere ancora più netta tale differenziazione: la soppressione della
(11)
Altre legislazioni, come quella degli USA, hanno seguito una via diversa da quella della diversificazione tra
plusvalenze finanziarie (reddito entrata) e redditi di capitale ( reddito prodotto); si è creata, infatti un’unica categoria di redditi
finanziari, comprensiva sia dei redditi di capitale che dei redditi diversi.
(12)
Infatti nel nostro sistema tributario era prevista la sola imposizione del reddito prodotto, stando alla
definizione di presupposto IRPEF contenuta nell’art. 1 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (“Presupposto dell’imposta sul
reddito delle persone fisiche è il possesso di redditi in danaro o in natura continuativi od occasionali, provenienti da qualsiasi
fonte”). Il nuovo testo unico delle imposte sui redditi (d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) ha riformulato tale principio: l’art. 1
non fa più riferimento alla fonte produttiva, ma stabilisce che presupposto dell’IRPEF è il possesso di redditi, in danaro o in
natura “rientranti nelle categorie dell’art.6”.
- 8 -
categoria dei redditi di capitale (prodotti) e il conseguente passaggio ad una nozione
di reddito-entrata, sarebbe apparsa eccessiva e in contrasto con i principi del nuovo
Tuir.
Nella nuova disciplina dunque il reddito-entrata viene identificato con quei
proventi finanziari differenziali, che consistono in una differenza positiva, privi della
speculatività e della preordinazione, che mal si conciliano con la definizione di
reddito prodotto. Vengono mantenuti così, nella categoria dei redditi di capitale solo
i redditi da considerare realmente “prodotti” e cioè derivanti da un rapporto avente
ad oggetto l’impiego del capitale. Le plusvalenze e tutti i vari proventi differenziali
sono ora ipotesi di reddito-entrata.
In conclusione nella nuova disciplina dei redditi finanziari è stata mantenuta la
distinzione sistematica tra:
• reddito prodotto, dove rientrano i redditi di capitale e cioè quei redditi che
costituiscono il frutto (anche economico e non solo civile) dell’impiego del
capitale;
• reddito-entrata, dove rientrano i redditi da capitale di natura finanziaria e ogni
provento differenziale in cui il negozio di impiego del capitale, quando c’è,
non si pone come causa produttiva del provento stesso.
Stando, quindi, ai principi del nostro ordinamento, l’unica delimitazione alla
fattispecie delle rendite finanziarie, è che deve trattarsi di redditi derivanti da un
impiego od utilizzo di capitale. Deve trattarsi di un impiego effettivo e strumentale
del capitale, più precisamente di un capitale iniziale; restano quindi fuori dalla
categoria gli incrementi patrimoniali, cioè gli accrescimenti di ricchezza di un
patrimonio iniziale che non derivano da un impiego od utilizzo strumentale di
capitale. E’ necessario, infatti, che il patrimonio sia utilizzato come un capitale,
dunque sono tassati solo gli incrementi di capitale, cioè gli accrescimenti di
ricchezza generati da un utilizzo strumentale del capitale iniziale, al fine di ottenere
un risultato positivo.
Da ciò si deduce che si vuole tassare solo l’accrescimento di ricchezza
effettivo e non potenziale, dunque si utilizza il principio secondo cui l’imposta va
applicata sui redditi in quanto realizzati.
- 9 -
In conclusione si può dire che l’imposizione si deve attuare solo sugli
incrementi effettivi di capitale e non su quelli potenziali (quali gli incrementi
meramente patrimoniali); tutto ciò trova un preciso riscontro sia nel diritto positivo
che nella tutela costituzionale che statuisce il principio della capacità contributiva.
3. Centralità della nozione di reddito di capitale nella disciplina
delle rendite finanziarie.
Nel precedente paragrafo si è affermato che rientrano nella categoria dei delle
rendite finanziarie i redditi derivanti da un impiego di capitale (siano essi un reddito
prodotto o un reddito entrata) con l’esclusione degli incrementi meramente
patrimoniali.
Si arriva così a costituire una categoria di reddito che comprende una vasta
gamma di fattispecie, determinando il problema del se e del come suddividere i
redditi finanziari in categorie distinte (ovvero se essi possono rispondere a stessi
criteri impositivi o distinti per categorie).
Bisogna verificare, quindi, se ai redditi di capitale in senso stretto possono
essere applicate le stesse regole di determinazione della base imponibile dei guadagni
di capitale, oppure se devono applicarsi regole proprie.
Fondamentale è, pertanto, definire il reddito di capitale
(13)
al fine di verificare
quali fattispecie economiche rientrino in tale categoria e quali ne rimangono escluse.
Storicamente l’art. 41 del Tuir non ha mai fornito una definizione di reddito di
capitale, ma ha sempre individuato tali redditi secondo un metodo casistico e tale
mancanza ha originato diverse posizioni nella dottrina.
Secondo un primo orientamento, il reddito di capitale è “il frutto civile o
meglio quella parte dei frutti civili che, nel sistema impositivo, non sono tassati ad
altro titolo”. Il reddito di capitale è dunque quel “reddito che deriva dal godimento di
un capitale o è il corrispettivo che il soggetto ritrae in base ad un rapporto di causa-
(13)
Sulla nozione di reddito di capitale vedi: ESCALAR, Contributo allo studio della nozione di reddito di
capitale, in Rass. Trib., 1997, pag. 285 ss; CASTALDI, I redditi di capitale, in Giur. sist. di dir.trib., diretta da TESAURO,
Torino, 1994, pag. 282 ss.; GALLO, I redditi di capitale, in Il reddito d’impresa nel nuovo testo unico, Padova 1988, 315 ss.;
GALLO, I redditi di capitale nel nuovo testo unico, in Commentario al Testo Unico delle imposte sui redditi, ETI, ROMA-
MILANO, 1990, pag. 315; GALLO, Il reddito di capitale cit.; MARCHETTI, Alcune riflessioni sulla nozione di reddito di
capitale, in Rass. trib. 1990, 781 ss.; MARCHETTI, Il risparmio nel sistema cit., pag. 53.
- 10 -
effetto da negozi giuridici che abbiano per oggetto l’impiego del capitale per il suo
mero godimento”
(14)
.
I redditi di capitale vengono così assimilati alla categoria dei frutti civili
(15)
disciplinati all’art. 820 del c.c.: “sono frutti civili quelli che si ritraggono dalla cosa
come corrispettivo del godimento che altri ne abbia”.
Secondo un altro indirizzo, per individuare la nozione di reddito di capitale
occorre evitare ogni riferimento alle categorie civilistiche, prelevando la definizione
direttamente dall’art. 41 e più precisamente dalla lettera h), cioè dalla disposizione di
chiusura, che ha, secondo questo orientamento, validità definitoria
(16)
. Sarebbero
dunque redditi di capitale tutti quei proventi ricollegabili ad un impiego di capitale.
Sulle basi di questi due orientamenti, si può dare una nozione ampia del
reddito di capitale, volta a comprendere tutte le fattispecie generate da un qualunque
utilizzo di capitale o una nozione più restrittiva, che considera reddito di capitale
solo i proventi realizzati dalla capacità produttiva propria del capitale (è il fenomeno
della fruttificazione, tipico dei frutti civili e rappresenta l’incremento di ricchezza che
si distacca dal capitale a seguito della sua capacità produttiva).
Nonostante questa duplice distinzione, ciò che interessa è l’identificazione
materiale del reddito e il rapporto che deve sussistere tra il capitale e l’incremento di
ricchezza (poco importa la natura dell’atto d’impiego del capitale). L’unica
condizione essenziale per aversi reddito di capitale è che il capitale sia o l’unica
fonte del reddito o lo strumento essenziale cui è collegata la produzione e la
realizzazione del reddito. E’ necessario, quindi, che il capitale sia la fonte unica o
principale del reddito: si avrà reddito di capitale quando il reddito è prodotto solo dal
capitale, non importa se come bene direttamente produttivo del reddito o come bene-
mezzo attraverso cui si ottiene la produzione del provento; non si avrà, invece,
reddito di capitale quando il capitale è solo uno degli elementi che concorrono alla
(14)
E’ di questo avviso MARCHETTI, Commento agli art. 41-45 del D.P.R. 917/86, in L’imposta sul reddito
delle persone fisiche, D’AMATI, UTET, Torino, 1992, pag. 256; MARCHETTI, Alcune riflessioni cit.; MARCHETTI, Il
risparmio nel sistema cit., pag. 53. Sul reddito di capitale come frutto civile vedi ancora, ESCALAR, Contributo allo studio cit.
(15)
Tale impostazione era in effetti già presente nei vecchi testi unici, dove si avvisò l’esigenza di sottoporre a
tassazione le due principali fattispecie di frutti civili quali gli interessi derivanti dai capitali dati a mutuo e le rendite perpetue.
Con il D.P.R. n. 597/1973 , invece, venivano per la prima volta, ricondotte a tassazione, nell’art. 41 alcune fattispecie la cui
assimilabilità ai frutti civili era dubbia o addirittura da escludere, come le rendite e gli interessi dei capitali.
(16)
E’ invece di quest’altro avviso la maggioranza della dottrina tra cui GALLO, Il reddito di capitale cit..Questa
teoria è stata poi confermata dal D.Lgs. n. 461/1997, che ha attribuito alla lettera h), dell’art. 41 del Tuir, natura definitoria.
- 11 -
formazione del reddito (cioè quando esiste una fonte “mista” di capitale, lavoro o
altra attività).
3.1. La nuova concezione dei redditi di capitale: il reddito di capitale
come “frutto economico”.
La definizione di reddito di capitale è, dunque, alla base delle rendite
finanziarie in quanto permette la loro classificazione nelle varie fattispecie
economiche e permette di distinguerli dai redditi diversi.
La mancanza di una vera e propria definizione ha così dato adito alle varie
teorie che si contrapponevano e cercavano di risalire a tale definizione, chi partendo
dal tenore dell’art. 41 e chi rifacendosi alla figura civilistica dei frutti civili.
Questa situazione di “incertezza” è rimasta fino all’entrata in vigore del D.Lgs.
461/1997, che ha riformato completamente la materia: sono stati, infatti, riscritti sia
l’art. 41 che l’art.81, relativamente alla parte che interessa i redditi finanziari.
E’ stata mantenuta, ovviamente, la distinzione tra redditi di capitale e redditi
diversi; si riscontra poi, una maggiore precisione nell’elencazione casistica delle
fattispecie dell’art. 41, ma la vera e propria innovazione riguarda la lettera h) che
definisce finalmente la nozione di reddito di capitale. La lettera h) del nuovo art. 41
ha, inoltre, una portata fondamentale ai fini di individuare le due categorie di reddito
(redditi di capitale e redditi diversi).
Iniziamo ad esaminare la lettera h) con riguardo ai redditi di capitale. Sono
redditi di capitale “gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi
per oggetto l’impiego del capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere
realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto”.
Finora si era ritenuto che i redditi di capitale fossero redditi (prodotti) indicati
in modo tassativo nello stesso art. 41 e qualora nessuna delle sue fattispecie risultasse
adatta, si doveva disconoscere il reddito analizzato dalla categoria dei redditi di
capitale.
La precedente lettera h) qualificava redditi di capitale gli altri interessi non
aventi natura compensativa e “ogni altro provento in misura definita derivante da
impiego di capitale”. Così formulata la lettera h) non era una vera e propria norma di
- 12 -
chiusura, ma dava origine ad una fattispecie ulteriore: rendeva, infatti, imponibile
ogni altro provento equiparabile agli interessi, anche se si riferiva alle sole somme
invariabili e/o predeterminate dalle parti contraenti
(17)
.
La nuova lettera h) assumendo carattere residuale, supera questi problemi: è
infatti una norma che considera redditi di capitale ogni provento derivante da
rapporti contrattuali che abbiano per oggetto l’impiego del capitale; dove per
impiego del capitale deve intendersi la concessione anche temporanea alla
controparte della disponibilità del capitale. E’, dunque, reddito di capitale qualunque
provento (variabile o invariabile) prodotto da un impiego del capitale, dove il termine
“impiego” non si riferisce solo alle ipotesi di finanziamento/investimento, ma è
sufficiente che si trasferisca ad un soggetto la disponibilità temporanea del capitale e
che da ciò derivi un vantaggio economico (derivante dalla capacità produttiva propria
del capitale) a favore di chi ha impiegato il capitale.
Deve, peraltro trattarsi, di un impiego di capitale finanziario, cioè di un
capitale liquido e capace di produrre reddito secondo lo schema giuridico della
fruttificazione.
La lettera h) si riferisce ad un reddito-prodotto e non ad un reddito-entrata, in
quanto considera i proventi derivanti da rapporti aventi per oggetto l’impiego di
capitale: è sufficiente, per dar luogo ad un reddito di capitale, avere la disponibilità
temporanea del capitale e che, in virtù di un negozio, scaturisca un provento a favore
di colui che ha impiegato lo stesso capitale.
La nuova stesura della lettera h), assume così, natura definitoria e generale e
non consente più di assimilare i redditi di capitale ai frutti civili; al contrario tali
redditi sono da “considerarsi come frutto economico
(18)
di un capitale trasferito
temporaneamente alla controparte contrattuale che ha la sua diretta fonte produttiva
in un rapporto giuridico”
(19)
.
Si e giunti, così, grazie alla nuova disciplina, alla giuridicizzazione di un
fenomeno economico, ma non poteva essere altrimenti data la natura e la diversità
(17)
La lettera h) faceva riferimento solo a proventi non variabili dunque non poteva considerarsi residuale, ad
esempio non era tale rispetto agli utili, cioè a somme che non sono contrattualmente definite e non sono predeterminabili e/o
predeterminate. Se, quindi l’utile era tassabile perché previsto dalle lettere e) ed f) dell’art. 41, altri proventi di diversa natura,
ma affini agli utili esulavano dallo stesso art. 41.
(18)
Il frutto economico ricomprende il frutto civile ed indica tutto ciò che incrementa il patrimonio di un
soggetto, in relazione alla concessione della disponibilità temporanea di un capitale ( sia che si tratti di un provento in misura
determinata sia si tratti di un provento determinabile).
(19)
L’espressione è di MONTESANO, in A proposito del nuovo regime cit.
- 13 -
dei nuovi prodotti finanziari. La vecchia normativa non era, infatti, in grado di tenere
il passo con l’evoluzione dei mercati finanziari e rischiava di “tener fuori” molti dei
nuovi prodotti finanziari, specie quelli “derivati”
(20)
.
3.2. Dalla definizione di reddito di capitale a quella di reddito diverso.
La lettera h) oltre a fornire la definizione dei reddito di capitale da, anche se in
modo indiretto, degli elementi per individuare l’altra categoria di reddito finanziario,
ossia il reddito diverso; ciò attraverso l’inciso “…esclusi i rapporti attraverso cui
possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento
incerto”.
Questo inciso, nasce dall’esigenza di distinguere i proventi realizzati da un
impiego di capitale, rientranti nell’art. 41, dai proventi “redditi diversi” che
presuppongono anch’essi un impiego di capitale, ma che rientrano nelle ipotesi
dell’art. 81.
Anche nel caso dei redditi diversi, infatti, i proventi sono realizzati attraverso
l’impiego di un capitale, ma in questa ipotesi, si è in presenza di un rapporto
aleatorio, che può dar luogo sia a proventi che a perdite (differenziali positivi e
negativi).
L’elemento che, quindi, differenzia i redditi di capitale dai redditi diversi è
l’incertezza del provento, tipica dei contratti derivati.
Per completare la definizione di reddito diverso è comunque necessario
considerare altresì l’art. 81, “aggiungendo ai proventi derivanti da impiego di
capitale la cui produzione è aleatoria, anche gli altri redditi generati o da un’attività
di negoziazione (nei quali l’impiego di capitale consiste in un investimento
finanziario) o dalla stipula di contratti derivati diversi da quelli disciplinati all’art.
81 (nei quali è indifferente che vi sia un impiego di capitale)”
(21)
.
Per quanto riguarda le fattispecie derivanti da un’attività di negoziazione del
capitale, non è necessaria la disponibilità temporanea del capitale a rendere
imponibile il provento, ma è necessario a tal fine che siano posti in essere degli atti o
(20)
Sono valori mobiliari che derivano dalla contrattazione dei titoli sottostanti. Possono avere come base titoli o
indici (future e option), tassi d’interesse (swap). Possono essere riferiti a mercati regolamentari oppure non regolamentari
(forward).
(21)
L’espressione è di GALLO, Il reddito di capitale cit..
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delle operazioni sul capitale in grado di generare un provento (che verrà tassato al
netto delle perdite). In questo caso, per essere imponibile, il provento deve essere
rappresentato da un differenziale positivo, che assume un aspetto dinamico,
contrariamente ai redditi di capitale che hanno, invece, natura statica.
L’art. 41, lettera h), aiuta anche ad interpretare l’art. 81 perché, “mentre nella
prima parte definisce positivamente il reddito di capitale (come provento derivante
da rapporti aventi ad oggetto l’impiego di un capitale), nella seconda invece lascia
intendere che si escludono dalla categoria dei redditi di capitale e si comprendono
nell’ambito dei redditi diversi quei proventi che, pur implicando un impiego di
capitale, sono caratterizzati dall’incertezza del risultato”
(22)
. L’incertezza è intesa, in
questo caso, come la possibilità di realizzare differenziali positivi e negativi.
In conclusione, grazie alla lettera h) dell’art. 41 e grazie alla lettura dell’art. 81,
possiamo dire che il reddito diverso è costituito:
• da proventi derivanti da rapporti di natura aleatoria che hanno ad oggetto
l’impiego di capitale e grazie alla loro aleatorietà sono idonei a realizzare
differenziali positivi e negativi;
• da ogni plusvalenza derivante da negoziazione, in cui l’impiego di capitale si
pone come strumento per realizzare tali proventi (che non discendono quindi
dalla capacità produttiva propria del capitale);
• dai differenziali derivanti da contratti derivati (per i quali non è necessario
l’impiego di un capitale)
• e, in via residuale, da ogni altro provento che non ha a che fare né con le
plusvalenze e i redditi differenziali, né con i redditi di capitale, ma che sono
indicati tassativamente e in via residuale dal legislatore.
Da ciò, è possibile affermare che, grazie alla riforma introdotta con il D.Lgs.
461/1997, si è giunti ad una nozione moderna e precisa dei redditi di capitale e dei
redditi diversi di natura finanziaria.
(22)
MONTESANO, A proposito del nuovo cit.