4
questo specifico punto non furono in certi casi nemmeno essi immuni
da critiche
3
.
Eppure se solo si andasse ad osservare quelle che erano le
enfatiche disposizioni che accompagnarono, negli atti fondamentali, la
disciplina della materia referendaria si potrebbe pensare che quello
che abbiamo anticipato poc’anzi e che si andrà poi a riprendere più
dettagliatamente, sia dettato da un eccessivo spirito critico.
Questo perché aiutandoci con l’articolo 62 delle disposizioni
statutarie della Regione Lombardia nel quale si definiva il referendum
come “ elemento di collegamento organico tra la comunità regionale
ed i suoi organi elettivi” o con l’articolo 69 di quello abruzzese che
stabiliva come “la regione riconoscesse al referendum su leggi
regionali il carattere di un fondamentale istituto democratico” ,
finendo poi con l’assunto dell’articolo 53 della Statuto del Piemonte
secondo cui “il referendum su leggi, regolamenti e provvedimenti
amministrativi contribuisce a realizzare il rapporto tra gli orientamenti
che maturano nella comunità regionale e l’attività degli organi
regionali”, il dato che si doveva trarre era di un ruolo fondamentale
che si era deciso di affidare a tale strumento, tanto più in un ambito
come questo che a detta di molti
4
era sicuramente più confacente a
vedere una maggiore sperimentazione ed utilizzazione di detti istituti.
Come spiegare, allora, che né l’una né l’altra delle due
situazioni si sono poi realmente verificate e che in realtà se da una
parte non si è poi andati al di là della sostanziale riproposizione di
quelli stessi strumenti già indicati dal Costituente, dall’altra, seppur
come si cercherà di indicare nel capitolo relativo alla reale
3
Si guardi ad esempio al fatto che quello pugliese era sul punto estremamente succinto.
4
Tra questi si citerà per il momento M. VILLONE “Gli istituti di democrazia diretta nella
recente legislazione regionale” in Democrazia e diritto 1989 pag. 29
5
utilizzazione di essi in ogni singola regione un utilizzo dello strumento
referendario lo si è avuto, è incontestabile però che si sia registrato un
netto scarto non solo con l’esperienza statale ma anche con quella
delle autonomie locali, seguendo alcune linee di pensiero
5
sulle quali
visto il tema di fondo non sarà possibile andare più in là di questo
breve accenno,
Molte sono state e sicuramente saranno ancora i tentativi di
dare una spiegazione a queste incongruenze che, così come è possibile
documentare, sono state da alcuni spiegate con le lacune che hanno
accompagnato le leggi che tale istituto, in dettaglio, disciplinavano e
su cui si cercherà di dar conto nel primo capitolo e che invece da altri
sono state fatte risalire ad una scarsa qualità delle materie oggetto di
leggi regionali, in via ipotetica abrogabili, per evidenziare come
andando ad analizzarle attentamente si potesse notare un minore
interesse alla promozione di referendum su di esse.
Qui, invece, si è preferito percorrere una strada diversa, non
necessariamente migliore, che potrebbe a mio parere aiutare a poter
poi comprendere meglio tutte quelle osservazioni che si verranno a
portare ad ogni singolo punto controverso con il quale ci si verrà a
confrontare.
Per far questo, allora, si sono ripresi i lavori dell’Assemblea
Costituente sull’articolo 75, vedendo quali furono sul tema le diverse
linee di pensiero, molto spesso del tutto trasversali alle varie correnti
politiche e culturali presenti all’interno della stessa Assemblea, che si
ripresentarono puntualmente anche in occasione della discussione
sull’oggetto di questo lavoro.
5
Per una maggiore conoscenza di questo specifico tema si rimanda a AA.VV. “Referendum
e democrazia diretta” in Reg. gov. loc. 1986
6
Prima di procedere con tale attività ho voluto ripercorrere
molto brevemente quella che era stata la storia antecedente
dell’istituto referendario in questo paese.
Infatti, il tema del referendum e della sua immissione non era
tema nuovo di cui dover discutere, poiché su di esso si era nel nostro
paese già cominciato a dibattere durante l’epoca liberale
6
.
Già allora, in effetti, nacquero i primi dibattiti dottrinali aventi
ad oggetto il referendum politico e la sua capacità di convivenza con il
sistema di governo rappresentativo, un’osservazione che si ripeterà
molte volte nel corso del tempo e la cui risposta sarà decisiva anche
nel prosieguo di questo lavoro, ma soprattutto si cominciò ad indicare
come ambito di attività, particolarmente sensibile ad essere oggetto di
tali consultazioni, quello cd amministrativo, tanto che già nel 1881 si
ebbe la prima proposta legislativa tesa a prevedere votazioni popolari
dirette a sottoporre al vaglio del popolo i più rilevanti impegni di
spesa assunti dai Comuni urbani.
Sul fronte invece del dibattito su referendum a carattere
“statale”, un accelerazione si cominciò ad averla agli inizi del 1900
allorquando da parte di esponenti di parte cattolica si intravedeva la
possibilità di utilizzare questo strumento su questioni che essi
indicavano di carattere morale
7
.
La verità è allora che, non potendo parlare di un tema
completamente nuovo sul quale dover dibattere, l’elemento che in un
qualche modo fece pendere la bilancia verso un approccio improntato
ad una concezione maggiormente restrittiva ed ad un risultato che
come abbiamo sopra visto ha poi attirato molte osservazioni dubbiose,
6
Interessante sull’argomento quanto descritto da S. BASILE “Il referendum nell’Italia
liberale” in Democrazia e referendum 1974
7
Si vedano gli interventi in quel periodo di Don Luigi Sturzo in G. LEONE “Don Sturzo”
Ed. Politica Popolare, Napoli, 1959
7
fu proprio un certo timore verso una possibile configurazione del
popolo come soggetto capace di contrapporsi allo Stato accompagnata
inoltre da non poche considerazioni di carattere esclusivamente
politico.
Il risultato fu così quello che venne fuori dai lavori costituenti,
lavori che comunque erano partiti da basi profondamene diverse
rispetto a ciò che si ebbe ad avere in ultimo.
Infatti la primissima bozza su cui si trovò ad operare la seconda
sottocommissione, la cd “bozza Mortati” aveva al suo interno non
poche indicazioni positive.
In essa si prevedevano intanto due diverse ipotesi di
referendum ad iniziativa del Capo dello Stato con atto controfirmato
dal Presidente del Consiglio
8
, uno per sospendere una legge già
approvata dal Parlamento ed un altro per dar seguito ad un disegno di
legge respinto dal Parlamento, inoltre venivano ad essere incluse
anche due ipotesi di consultazione ad iniziativa popolare, una per
arrestare un procedimento legislativo, l’altra per abrogare una legge
già entrata in vigore.
Tale proposta, non trovò però l’accettazione della maggioranza
dei componenti della seconda sottocommissione, tanto che il progetto
che venne presentato dalla Commissione dei 75 alla presidenza
dell’assemblea Costituente, non conteneva i referendum ad iniziativa
del Capo dello Stato, prevedendo invece una consultazione di tipo
arbitrale per risolvere eventuali controversie tra i due rami del
Parlamento su di un disegno di legge.
8
Il Mortati insistette molto su questo punto proprio per evitare le critiche che invece si
ebbero comunque in relazione alla nuova configurazione che si sarebbe delineata dei poteri
presidenziali
8
In aggiunta a questo si venivano anche a prevedere un
referendum di tipo sospensivo, che veniva cioè a sospendere l’entrata
in vigore di una legge già approvata dalle camere allorquando vi fosse
stata entro quindici giorni dalla pubblicazione una richiesta
referendaria, ed uno di tipo abrogativo, oltre naturalmente a quello
riguardante le modificazioni territoriali, di cui parleremo nel primo
capitolo, ed a quello confermativo di leggi di revisione costituzionale
Questo progetto che aveva comunque poco di quello delineato
dal Mortati, venne però non considerato sufficientemente in linea al
disegno complessivo che si era voluto creare cosicché, alla fine, si
decise di mantenere unicamente tra tutti quelli proposti il referendum
abrogativo.
E’ allora di estrema importanza, al fine di quanto si è detto fino
a questo momento, rileggersi alcuni degli interventi avvenuti sia in
sede di commissione che in aula, che certamente influirono sulle
decisioni appena descritte
9
In ordine ai referendum sospensivi, ad esempio, la critica più
frequente che si venne ad avere fu quella che una simile previsione
avrebbe avuto come prima conseguenza lo snaturare il fulcro di un
sistema parlamentare, come quello che si era disegnato, poiché la
naturale conseguenza di una simile inclusione nella Carta
Costituzionale sarebbe stata, a detta di chi era critico, quella di far sì
che il popolo si sarebbe potuto sovrapporre alla volontà
dell’assemblea, impedendo ai propri rappresentanti di “dare
esecuzione alla sua volontà deliberata nella forma della legge”,
creando il pericolo di organizzare, da parte di partiti di massa, un forte
ostruzionismo extra - parlamentare anche perché l’unica limitazione
che si veniva ad avere, l’esclusione per quelle leggi dichiarate urgenti
9
a maggioranza assoluta e quelle votate con una maggioranza dei due
terzi, avrebbe in linea teorica riguardato ben pochi atti normativi.
In ordine invece all’altra tipologia rimasta solo sulla carta,
quella “arbitrale” le motivazioni che furono usate, con successo, per
impedirne una sua immissione, furono dettate dal voler evitare
un’alterazione delle figure degli organi costituzionali, in questo caso
del presidente della Repubblica.
In sintesi motivazioni che potevano tutte essere riconducibili ad
una volontà tesa a far prevalere la centralità e delle istituzioni
rappresentative e dei partiti di massa per i quali si temeva forse un
qual certo pericolo di minore rappresentatività a fronte della
possibilità di un utilizzo tanto diversificato di uno strumento come
quello referendario
10
.
Una simile spiegazione sarebbe poi suffragata sia dal fatto che
la legislazione attuativa del principio costituzionale dovette attendere
più di venticinque anni prima di vedere la luce sia dal fatto che in ogni
caso essa costituì uno scossone per l’intero sistema se è vero che
proprio in simultanea con l’aversi dei primi due quesiti referendari si
ebbero i primi casi di scioglimento anticipato delle camere
11
.
Tanto più che occorre altresì indicare come anche il fatto che
proprio nel 1970 si ebbe l’approvazione della legge 352 non fu il
frutto di un caso bensì la risposta da parte di un partito politico, la
Democrazia Cristiana
12
, all’approvazione della legge sul divorzio che
proprio da parte dei cattolici aveva subito forti critiche.
9
Gli interventi più critici furono senza dubbio quelli degli onorevoli Perassi e Lussu
10
Proprio sul tema del rapporto tra referendum e partiti di massa A. BARBERA in
“L’istituto del referendum” ci fa notare come ci fu una condivisione delle possibili
problematiche di convivenza tra Luigi Einaudi e molti esponenti del P.C.I.
11
Questa interessante annotazione è presentata da V. Onida in E. BETTINELLI (a cura di)
“Referendum, ordine pubblico e Costituzione” Roma 1979
12
Si ritiene da parte di alcuni, infatti, che dietro l’approvazione di questa legge vi fu un
tacito accordo tra maggioranza ed opposizione per cui la prima nel far approvare più
10
Arrivando ora a dover concludere questi primi spunti di
riflessione e ritornando per un attimo a quello che era il presupposto
da cui eravamo partiti, il cercare di dare una spiegazione preliminare
alle contraddizioni con le quali ci verremo a trovare nel corso di
questo itinerario teso ad analizzare l’istituto referendario all’interno
dell’ordinamento regionale, attraverso considerazioni di carattere qui
prettamente storico, ritengo che esse potranno essere ora, forse se non
maggiormente giustificabili sicuramente meno incomprensibili, così
come sicuramente lo è il disegno complessivo da cui i Costituenti
vollero partire per delineare quelle che sarebbero dovute essere le
linee fondamentali sulle quali poggiare tutta quanta l’articolazione
costituzionale dello Stato e che non deve mai essere dimenticato
soprattutto in relazione a temi di così difficile attuazione come lo é la
partecipazione popolare.
rapidamente la legge n°898 del 1970 (quella appunto che introduceva nel nostro paese
l’istituto del divorzio) otteneva uno strumento che potesse poi permettere a quegli ambienti
cattolici che più erano stati contrari a questa legge di poterne chiederne l’abrogazione.
Favorevole a questa tesi oltre a A. BARBERA, op. cit, anche P. G. GRASSO in “La
questione del divorzio nell’evoluzione del diritto costituzionale” Milano 1982
11
CAPITOLO I
I REFERENDUM REGIONALI NELLA
COSTITUZIONE DEL 1948 E NEI PRIMI
STATUTI
1.1 I LAVORI DELL’ASSEMBLEA COSTITUENTE E
LA PRIMA NORMATIVA SUL TEMA
La storia dei referendum regionali altro non è che il risultato di
una lunga evoluzione dottrinale e legislativa che si è snodata fin dal
1946.
Occorre per questo partire da ciò che avvenne non solo in
Assemblea Costituente ma, ancor meglio, occorre evidenziare quelle
che furono le lunghe ed appassionate sedute che avvennero in II
sottocommissione sul tema.
Qui, infatti, ci si venne a trovare, subito, davanti ad un primo
quesito da risolvere, allorquando si dovette decidere se prevedere o
meno in Costituzione una norma generale, la quale trovasse poi la sua
attuazione nei singoli statuti
13
o se preferire una semplice legge per
tutti gli organi dello Stato a cominciare da quelli nazionale per
arrivare poi a quelli locali
14
.
13
La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente,
Camera dei Deputati – Segretariato generale, Roma 1970, pag. 1516, intervento del
deputato Laconi (seduta del 13/12/1946)
14
Idem pag. 1518 intervento del deputato Fuschini (seduta del 13/12/1946)
12
Tale visione fu però da alcuni
15
molto contrastata con la
motivazione che una non uniformità avrebbe maggiormente garantito
l’eventuale differente utilizzo di tale strumento tra le varie
componenti, cosicché si arrivò all’inserimento nel progetto di un
capoverso espressamente rivolto in tal senso, nel quale si faceva
comunque salvo il rinvio alla disciplina esplicita di cui sarebbe stato
competente ciascun statuto.
Si decise quindi di far partire il dibattito dalla formula proposta
dal Mortati “Gli statuti regoleranno l’esercizio dei diritti d’iniziativa e
di referendum in armonia ai principi posti negli articoli precedenti. Gli
statuti regoleranno altresì il referendum su determinati provvedimenti
amministrativi”
16
mentre continuavano le discussioni sul valore che
tale strumento avrebbe dovuto avere all’interno del nascente
ordinamento regionale soprattutto, come vedremo anche
successivamente, in relazione a quale sarebbe dovuta essere la
connessione tra previsione statale e regionale.
Contemporaneamente, sempre da parte della sottocommissione,
si stava cominciando a confrontarsi sulle singole tipologie referendarie
che si sarebbero dovute prevedere.
Qui, diventa di estremo interesse notare come la prima
intenzione dei costituenti fosse quella di prevedere un referendum che
poco aveva di quella formulazione sancita poi dall’attuale articolo
123.
Infatti, la prima stesura dell’articolo 19 del progetto indicava la
possibile previsione di un referendum che avesse la funzione di
15
Idem pag. 1518 Interventi dei deputati Mortati e Perassi il quale fortemente sostenne che
“può darsi che nella legislazione statale il referendum non abbia alcuna o scarsa
applicazione il che non esclude affatto che nel campo più ristretto di Regioni possa invece
avere vasta applicazione”
16
Idem pag. 1520
13
sostituire il controllo di merito su determinazioni deliberazioni della
Regione che impegnassero il bilancio per più di cinque anni, in misura
superiore al decimo delle entrate annuali
17
.
Allorquando poi si passò dalla sottocommissione alla
discussione in sede di Assemblea plenaria per la redazione, si arrivò
ad una definitiva stesura avente come punto nevralgico la
formulazione richiesta dal relatore Ambrosini il quale, volendo
ribadire la strada, da qualcuno ipotizzata nella sottocommissione, della
volontà di rendere i cittadini “partecipi di un controllo effettivo
all’opera dei loro amministratori”, chiedeva la conferma di quanto
ipotizzato in quella che poteva essere definita come “bozza Mortati”
dove si prevedeva due diverse fattispecie referendarie.
La prima presupponeva una funzione di controllo preventivo ed
era suscettibile di essere richiesta anche dall’esecutivo regionale, la
seconda aveva ad oggetto un atto già approvato e vedeva come
soggetti promotori o una parte di Assemblea o un certo numero di
elettori.
L’Assemblea plenaria fu invece di parere contrario, negando
così l’ipotesi di un referendum preventivo o sospensivo ed arrivando
invece ad una stesura che è in definitiva quella dell’articolo 123 come
arrivato fino ad oggi.
Tale nuova stesura, fu però alla base di vivaci discussioni che
nemmeno la dottrina è riuscita per molti anni a dissolvere.
Questo perché si era in conflitto sul se si dovesse far valere il
principio dell’obbligo dell’armonia con la Costituzione e con le leggi
della Repubblica, sanciti entrambi nel comma precedente, anche in
questo ambito.
17
V. ATRIPALDI, Referendum regionale in Enc. Giur. Treccani, XXVI Roma, 1991, pag.
2
14
In realtà il problema era molto più semplice di quanto potesse
apparire, perché il non esplicito riferimento era dovuto esclusivamente
ad una scelta per così dire stilistica che aveva comportato la divisione
di quello che era un unico comma in due distinti periodi
18
.
Tuttavia il contrasto ebbe a continuare e vedeva da una parte
chi negava qualsiasi potestà ad una legislazione statale in materia e
dall’altra coloro i quali, invece, indicavano che l’istituto seppur a
carattere regionale si sarebbe dovuto adeguare in toto alle previsioni
sancite per quello statale, creando così una gerarchia ben definita
19
.
Più moderatamente altra parte intendeva siffatto limite come
riferito non a tutte le singole disposizioni legislative statali
sull’argomento, ma a quelle tra di esse che venivano a prevedere
principi generali
20
e forse era proprio questa l’interpretazione più
autentica visto anche il fatto che si era più volte in sede di II
sottocommissione cercato di prevedere diverse elaborazioni delle due
tipologie
21
.
Allorquando però ci si trovò a dar vita alla prima vera prova
normativa, la legge n°62 del 1953, la cd. “Legge Scelba”, il risultato,
forse dovuto anche al fatto di non aver ancora precisato i contorni
esatti entro i quali poter garantire un‘autonomia regionale, fu quello di
avere una disciplina, per quanto a noi interessa, che vide, intanto, la
18
Sul punto si veda F. PALERMO – F. COSENTINO, “La Costituzione italiana nei lavori
preparatori”, Roma 1974, pag. 387
19
Per la prima ipotesi si veda M. SCUDIERO, “ Il referendum negli ordinamenti
regionali”, Napoli 1971,pag. 37 mentre la seconda era fortemente sostenuta da R. BIAGI
GUERINI “I modelli di referendum statale come limite ai referendum regionali”, in Giur.
Cost., 1978 pag.820
20
In tal senso F. BASSANINI – V. ONIDA, “L’attuazione delle Regioni”, Roma 1970,
pag.48 e V. CRISAFULLI, “Norme regionali e norme statali in materia di referendum” in
Riv. Amm. 1955
21
Si vedano ad esempio le diverse proposte elaborate dal Mortati o i ripetuti interventi sul
tema da parte del presidente della commissione per la Costituzione Meuccio Ruini “Per il
referendum regionale vi possono essere ragioni in cui tutti sono unanimi anche se vi sono
dubbi per il referendum nazionale” La Costituzione italiana, pag.1525
15
previsione del solo referendum abrogativo tra quelli che potevano
essere contemplati nei singoli statuti
22
ma, cosa forse maggiormente
rilevante, esso veniva ricondotto in molte delle sue modalità alla
disciplina referendaria statale.
A tutto ciò occorreva aggiungere che nelle poche parti che, non
facendo quanto detto sopra, davano autonomia normativa il risultato
fu quello di immettere una sostanziale “non autonomia”
23
prevedendo
molteplici ostacoli e norme dettagliate a tal punto che ogni singola
fattispecie era, sostanzialmente, comunque data alla volontà statuale.
Diversa, e meno travagliata, fu, invece, la genesi riguardante i
referendum attinenti sia ad ipotesi di creazione di nuove regioni,
l’articolo 132 che alla istituzione di nuovi Comuni o alla
modificazione delle loro circoscrizioni e denominazioni.
In questo caso il dibattito si incentrò quasi esclusivamente sul
carattere più aperto possibile che tali decisioni avrebbero dovuto
avere, proponendo quindi di prevedere che si dovesse, diversamente
da quello che recitava la prima formulazione che vedeva l’organo
regionale attore principale, far partire l’iniziativa dal basso e non
dall’alto coinvolgendo le popolazioni interessate, con il sistema
proprio di ogni democrazia di voto
24
.
22
Questa poteva però non essere una novità assoluta visto anche quanto indicato
precedentemente
23
Art. 3 “Lo statuto regionale deve contenere norme sul referendum abrogativo di leggi
regionali, con le limitazioni e le modalità stabilite per il referendum abrogativo delle leggi
dello Stato, salvo per il numero di richiedenti, che non deve essere inferiore ad un
venticinquesimo degli iscritti nelle liste elettorali di comuni della Regione, relative ai
cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.
Art. 4 “Lo statuto regionale deve contenere norme sul referendum abrogativo di
regolamenti regionali e di provvedimenti amministrativi di interesse generale della
Regione, con le limitazioni e le modalità di cui all’articolo precedente.
24
Determinante in tal senso fu un emendamento presentato dal deputato Recca.
16
1.2 I REFERENDUM NELLE REGIONI A STATUTO
SPECIALE
Nello stesso momento in cui si denotava come la prima volontà
nei confronti della ancora non nascenti regioni ordinarie, fosse tesa a
non garantire ad esse un’autonomia molto accentuata, almeno per il
tema che si sta qui trattando, occorre anche osservare ciò che accadeva
in quelle regioni che, invece, erano già nate: le Regioni a statuto
speciale.
Il risultato che queste portarono non fu però di una tale
eclatanza da poter far pensare che si potesse dar vita ad una stagione
che contrastasse con quanto stava, nel contempo, avvenendo in
Parlamento.
Compiendo, infatti, un‘analisi sull’attenzione che ogni singolo
statuto aveva posto in materia referendaria, il risultato finale non
sarebbe potuto dirsi molto positivo, fatta una qualche particolare
eccezione per la regione Sardegna, così come non meno perplessità
suscitarono le successive leggi di attuazione emanate in seguito.
Tralasciando, immediatamente, la Sicilia, che solo fino a pochi
anni fa prevedeva nel suo statuto solo il referendum consultivo locale,
riguardante però gli enti locali, la cui disciplina era di competenza
esclusiva dello statuto
25
, e per il quale è oramai notorio il fatto, da
alcuni sostenuto, che non potesse aversi attività sostitutiva da parte
dell’articolo 123 della Costituzione, per la ragione che nello statuto
25
Art. 14 Statuto della Sicilia, in T. MARTINES “Gli Statuti delle regioni” Milano 1980
pag.700