6
Introduzione
Un'analisi, il più possibile completa dell'istituto referendario all'interno del nostro
ordinamento, può essere divisa in tre parti fondamentali. La prima (capitoli I, II, III)
mira a considerare il referendum da un punto di vista storico ed etimologico nonché a
valutarne le caratteristiche; la seconda (capitoli IV, V, VI) intende invece discutere le
tipologie dell'istituto e descriverne l'intero procedimento; la terza (capitolo VII), infine,
analizza le possibili riforme per comprenderne le prospettive future.
L’istituto in questione rappresenta senza dubbio, uno dei temi di diritto pubblico di
maggior rilievo. E’ immediato notare come l’accoglimento di questo strumento di
democrazia diretta da parte di un ordinamento statuale valga a caratterizzare l’assetto e
la struttura costituzionale dello stesso ordinamento, sia per quel che riguarda i rapporti
dei cittadini con lo Stato, i loro diritti e – in specie – l’effettiva partecipazione popolare
alla formazione e modificazione del sistema normativo, sia sotto il profilo della stessa
titolarità dei poteri sovrani.
Per queste ragioni il referendum, ancor oggi da alcuni osteggiato, ha avuto e continua
tuttora ad avere degli entusiastici sostenitori soprattutto tra i fautori del principio della
sovranità popolare, al punto da ritenersi, da alcuni, inconciliabile con il carattere
democratico di un ordinamento l’assenza di questo istituto.
Attualmente referendum è parola altisonante; la sola idea di ricorrervi per abrogare
alcune leggi, non tutte egualmente significative, pare un fatto rivoluzionario, tale da
porre fine al marasma istituzionale o gettare le basi per una nuova Repubblica. Intorno
all’istituto si giocano carriere politiche, si alternano speranze e illusioni non sempre
accompagnate da una adeguata conoscenza delle finalità, dei meccanismi e dei possibili
esiti referendari.
E’ necessario in sostanza rendersi conto che il referendum è l’unico strumento legale in
mano al popolo in grado di rompere il dominio della democrazia rappresentativa; la
realtà opposta, quella cioè della democrazia diretta, è oggi infatti relegata ai margini del
sistema.
L’obsolescenza di questo concetto non è peraltro opinione unanime; se da un lato alcuni
ritengono possibile il governo popolare diretto limitatamente a civiltà passate o
numericamente esigue (come le Landsgemeinden svizzere) altri, al contrario,
sottolineano l’aspetto innovativo della “democrazia telematica” con le rilevanti
7
prospettive derivanti dall’utilizzo dei sistemi informatici che potrebbero in un futuro
prossimo permettere al cittadino di partecipare, direttamente da casa propria, al destino
del paese.
Oggi però l’istituto del referendum sta cambiando; è evidente infatti la trasfigurazione
che esso sta subendo dato che ha ormai ben poco in comune con lo strumento
eccezionale, con il correttivo alla democrazia rappresentativa, diretto a produrre una
semplice abrogazione o con l’atto di mera legislazione popolare negativa cui pensavano
i padri costituenti nel formare l’articolo 75 della Costituzione.
Dalla concezione originaria la prassi si è dunque allontanata sotto diversi aspetti; questo
cambiamento si manifesta in due tendenze. Anzitutto – e di questo si è appena fatto
cenno, ma giova ribadire – il referendum è attualmente impiegato e considerato come
un’ordinaria fonte del diritto, del tutto fungibile con le altre fonti primarie di modo che
attraverso di esso, con cadenza quasi annuale, si operano delle modifiche normative che
per i più svariati motivi non trovano adeguata attenzione nelle istituzioni
rappresentative. In secondo luogo, in occasione dei referendum elettorali, si è svelata la
vocazione dell’istituto a trasformarsi da atto puramente abrogativo in atto
potenzialmente manipolativo; non si può infatti negare che in questa, ma anche in altre
materie, i quesiti sono stati talvolta strutturati in modo da produrre effetti manipolativi e
ciò è da imputarsi totalmente alla scelta dei promotori, che spesso prediligono la tecnica
dell’abrogazione di frammenti di disposizioni sempre più ridotti e di per se privi di
significato attribuendo allo strumento una flessibilità di cui altrimenti sarebbe privo.
Sono queste le ragioni che hanno in sostanza determinato ed in qualche modo
giustificato gli interventi di quella che è la principale “garante” circa il corretto uso
dello strumento referendario: la Corte Costituzionale. Le sentenze della Consulta (tra
queste in particolare la “storica” n.16/78) hanno combinato la storia del referendum con
la storia delle polemiche tra chi accusa la Corte di essersi autoinvestita di un ruolo di
controllo politico che non le compete e chi la difende dicendo che aver respinto tante
richieste referendarie è servito a scongiurare un pericolo più grande: lo stravolgimento
della forma di governo parlamentare.
Sono queste le ragioni per le quali è necessario comprendere le caratteristiche, le
peculiarità, gli utilizzi e le prospettive dell’istituto al fine di ottimizzarne l’impiego e di
evitare veri e propri comportamenti “repressivi” in materia da parte degli organi di
governo.
8
Parte I
Capitolo I
STORIA DEL REFERENDUM
1.1 Considerazioni generali.
E’ vero, come dice Orazio nella sua lettera ai Pisoni, che il fiume dell’umanità rimonta
alla sorgente e molte cose le quali già perirono nelle insidie del tempo, rivivranno;
multa renascetur, quoe jam cecidere. Cosi rivivranno ancora le antiche assemblee
popolari, come già rivivono e danno buoni risultati in alcuni paesi retti a forma
democratica, le quali si riunivano all’aria aperta, sulle piazze, all’ombra degli alberi o
nelle chiese, per discutere e deliberare sui più grandi interessi municipali. Questo
ricorrere direttamente al corpo elettorale chiamasi ora, con parola latina “referendum”, e
di tutti i modi con i quali i cittadini partecipano direttamente all’esercizio del potere
legislativo e amministrativo, è quello che più merita di essere studiato.
Giangiacomo Rousseau
1
nel suo “Contrat social”, dopo aver sostenuto la sovranità del
popolo, e affermato che questa sovranità non può in nessun caso essere alienata né
rappresentata, viene ad ammettere un sistema identico a quello del referendum, là dove
conoscendo l’impossibilità dell’applicazione pratica delle sue teorie, ammette che il
popolo possa eleggere rappresentanti, che egli chiama commissari, ma che ogni legge
che il popolo in persona non avesse ratificata si debba avere per nulla.
Al pensiero di Rousseau si è soliti contrapporre, in tema di deliberazioni popolari,
quello di Montesqieu
2
il quale sostenendo in pieno un governo di tipo rappresentativo
1
ROUSSEAU, Du contrat social, III, p.15, ora in Ouvres Complètes, Geneve, 1964, p.430.
2
MONTESQIEU, De l’esprit des lois, lb. XI cap.6, ora in Ouvres complètes, Paris, 1951.
9
afferma che la volontà del popolo deve essere espressa soltanto nella scelta dei suoi
rappresentanti.
3
1. 2 Definizione.
In una curiosa discussione al Consiglio comunale di Parigi si sollevò una questione sul
significato del referendum. Qualcheduno aveva “cercato nel dizionario”, ed aveva
trovato che è una “parola svizzera”. E qualcheduno, ricordando la “Signora veto”,
propose di mandarli tutti e due davanti all’ufficiale di Stato Civile per unirli in
matrimonio. Certamente referendum è una parola latina e fu usata specialmente nel
diritto diplomatico, dove l’ambasciatore ha un determinato mandato e se ne esce deve
domandare istruzioni, riferirne al suo governo, dopo la cui approvazione solamente
l’atto si ha per valido.
In diritto costituzionale il referendum si presenta specialmente sotto forma di una
ratifica e consiste nell’accettazione o nel rigetto di leggi già votate dalle Assemblee
rappresentative per parte del popolo
4
.
Il referendum è quindi la manifestazione della volontà popolare, espressa in speciali
comizi, per approvare o respingere un determinato provvedimento o una legge, che ha
una particolare importanza . Quando il governo o anche la rappresentanza di un ente
autarchico territoriale intende proporre una riforma o, in genere, una modificazione
dell’attuale stato giuridico, qualunque sia il carattere della proposta, politico, economico
o morale, e gli animi si agitano e si manifestano le opposte e vivaci opinioni, è utile
conoscere quale sia l’avviso delle masse interessate, che sono le vere destinatarie
dell’atto di governo o dell’amministrazione locale, prima di deliberare definitivamente
o, deliberatala, prima di porla in vigore.
Il referendum è istituto di carattere democratico. Nella dottrina della rappresentanza
politica rappresenta l’ideale assoluto, giacché è la manifestazione diretta della volontà
popolare, che i puristi delle dottrine popolari, tipo Rousseau, ritengono non possa
delegarsi a determinati organi (Parlamento, Consigli ecc.). Ma altri costituzionalisti
l’hanno inquadrato nella dottrina dello Stato rappresentativo, osservando che esso ha
luogo mediante un ordinamento legislativo, che è emanato dallo stesso Stato; il quale, in
3
ROUSSEAU, Du Contrat Social, “toute loi que le peuple n’a pas ratifiée est nulle”;
MONTESQIEU, De l’esprit des lois, “ne doit entrer dans le gouvernement que pour choisir ses
representants”.
4
BRUNIALTI A., Referendum, in Enciclopedia Giuridica Italiana, XIV parte I, 1900.
10
determinate circostanze, sostituisce il popolo organizzato agli organi della
rappresentanza popolare, e fa del popolo un organo di governo. Si tratterebbe, in
sostanza, di una momentanea sospensione dell’attività intermediaria degli organi
rappresentativi. In tal modo si è cercato di conciliare il referendum con il sistema
parlamentare. Ma il conflitto rimane egualmente, perché il risultato del referendum può
riuscire contrario a quella che è notoriamente l’opinione della maggioranza
parlamentare e la maggioranza sarà obbligata a sottostarvi. In tal caso tra rappresentanti
e rappresentati non può mancare una crisi di fiducia e il mandato dovrebbe aver fine.
Per queste ragioni altri scrittori riconoscono apertamente nel referendum una forma di
governo popolare, limitato a determinate materie o interessi, per i quali vi è una
implicita riserva da parte del popolo nel mandato conferito agli eletti. Questa più logica
concezione urta però a sua volta con il carattere non sempre obbligatorio del
referendum. In effetti, alcune volte, esso è facoltativo. Vi sono Costituzioni nelle quali i
governi, mentre non possono farne a meno in determinate circostanze, sono liberi di
provocarlo in altre. In tale ordinamento il governo popolare si manifesta soltanto per i
casi in cui ricorre l’obbligatorietà; in quelli facoltativi si deve ravvisare una specie di
abdicazione dei poteri degli organi rappresentativi, per lasciare il diritto e la
responsabilità del provvedimento alla fonte originaria del potere, cioè al popolo
5
.
1.3 Origine etimologica.
L’origine etimologica del referendum è un latinismo
6
che proviene dalla locuzione “ad
referendum”
7
adottata originariamente nel linguaggio diplomatico per designare un
5
CARBONE, Referendum, in Novissimo digesto italiano, XIV, 1967, p.1106 sgg.
6
Il termine latinismo si adotta in due significati sensibilmente diversi. Nello stesso modo in cui
gallicismo può essere preso in senso puristico, e significare una parola abusivamente entrata in
italiano dal francese che si raccomanda di evitare; o invece riferirsi ad un vocabolo, antico o
moderno che sia, di cui si constata obiettivamente la provenienza francese; anche latinismo può
riferirsi a parole ancora sentite come latine, e giudicate rispetto alla sintassi o all’impasto lessicale
dei singoli scrittori in modo favorevole o sfavorevole, oppure può obiettivamente significare una
parola che è stata introdotta nel lessico italiano a un certo momento della sua storia, attingendola al
lessico latino. (MIGLIORINI B., Lingua d’oggi e di ieri, Caltanissetta – Roma, 1973, p.225-226.)
7
Dalla espressione latina “ad referendum” definibile grammaticalmente come l’accusativo del
gerundio del verbo “refero”, si è dedotto che il termine referendum non possa essere volto al
plurale modificandolo in “referenda”.
Relativamente alla lingua inglese nella quale, mancando il sussidio fornito dall’articolo variabile,
si deve necessariamente distinguere la forma singolare da quella plurale di ciascun sostantivo, si
11
accordo concluso sotto riserva di ratifica e poi utilizzata all’interno della
Confederazione Svizzera relativamente a talune decisioni che, non rientrando nel
mandato imperativo conferito ai delegati, erano adottati da questi ultimi “ad
referendum”, in quanto successivamente portate davanti ai rappresentanti affinché
questi le approvassero.
E’ interessante riferire che, al tempo dell’ Assemblea Costituente, un famoso linguista
propose di volgere in italiano il termine di diretta derivazione latina, cioè di sostituire
“referendum” con “referendo”; lo stesso studioso ricorda che gli fu risposto che
“referendo” assomiglia troppo a reverendo per non rischiare di favorire un partito
rispetto ad un altro
8
.
Va altresì rilevato che G. D’Annunzio, rielaborando il testo della cosiddetta “Carta del
Carnaro” ovvero della Costituzione data nel 1920 alla città di Fiume ma in pratica, mai
entrata in vigore, sostituì il termine giuridico referendum con “riprova”, termine
probabilmente più letterario ma concettualmente più restrittivo
9
.
Tale particolarità si può notare dal confronto tra l’art.42 del testo elaborato da Alceste
de Ambris, allora Segretario degli Affari Civili del Comando dell’Esercito Liberatore in
Fiume e la rivisitazione di G. D’annunzio nell’art. LVII
10
.
afferma, autorevolmente, che il plurale preferibile sarebbe “referendums” perché “referenda”
indicherebbe più decisioni su cui riferire, e non una pluralità di consultazioni di cui ciascuna sia
relativa ad una sola decisione. In francese utilizzando la normale regola grammaticale, si è soliti
indicare il plurale del referendum con l’aggiunta della “s” finale; stessa soluzione è applicata in
tedesco, ove, utilizzando la normale regola grammaticale che disciplina il plurale dei termini
aventi la desinenza finale in “um”, il plurale è quindi espresso con “referenden”. In italiano il
termine in oggetto è comunemente utilizzato nella sua forma unica “referendum” sia per il
singolare che per il plurale, rispettando in tal modo, correttamente, l’invariabilità dell’espressione
da cui deriva. Inoltre, va aggiunto, poiché il termine referendum è direttamente tratto
dall’espressione latina “ad referendum”, se ne può dedurre che, in ordine al termine in oggetto sia
formalmente corretto il corrente e prevalente uso del carattere tipografico corsivo, carattere
utilizzato di norma per i vocaboli appartenenti a lingue diverse da quella in cui si scrive.
(SALERNO G.M., Il referendum, Padova, 1992, p.16 nota 33).
8
MIGLIORINI B., Lingua d’oggi, cit. p.226
9
NEGRI-SIMONI, Le Costituzioni inattuate, Roma, 1990, p.58
10
Del referendum
Art.42 Tutte le leggi approvate dai due rami del potere legislativo possono essere sottoposte a
referendum quando questo sia chiesto da un numero di elettori non inferiore ad un quarto dei
cittadini aventi diritto di voto.
Della riprova popolare
12
Il termine referendum nella letteratura italiana, se si escludono le opere di carattere
prettamente giuridico, è nel complesso recente. Va detto infatti che nel dizionario
“Tommaseo” (1916) esso non è riportato; manca cioè una definizione in tal senso.
Riferendoci invece a tempi più recenti si può considerare come nel “Battaglia”
11
il
termine venga inserito dandone una definizione esauriente
12
1.4 Origini storiche dell’istituto.
La ricerca delle origini storiche del referendum ci riconduce alle strutture politico-
giuridiche di alcuni antichi Cantoni della Svizzera.
Più che alle Landsgemeinden (assemblee popolari) esistenti in diverse di quelle
repubbliche
13
- e nelle quali le libere comunità popolari organizzate secondo criteri che
ricordavano quelli degli antichi germani, a partire dai secoli XI e XII si davano le leggi,
realizzando così vere e proprie forme di governo diretto
14
– ci si deve riferire a
istituzioni fiorite nei Cantoni di Berna, Vallese e Grigioni.
Art LVII. Tutte le leggi sancite dai due corpi del Potere legislativo possono essere sottoposte alla
riprova del consenso o del dissenso pubblico quando la riprova sia domandata da un numero di
elettori uguale per lo meno al quarto dei cittadini in diritto di voto.
11
BATTAGLIA, Referendum, in Grande dizionario della lingua italiana, 1916.
12
Tale opera riporta come primo esempio di utilizzo del termine un periodico “La Illustrazione
Italiana”, datato 19 settembre 1909, con riferimento ad un articolo relativo alle
municipalizzazioni: << I popolari hanno deciso di impegnare Roma nelle municipalizzazioni. A
sentirli, queste municipalizzazioni creeranno nella Capitale la vera vita nuova, sin qui sempre
desiderata e mai raggiunta. Sui disegni complessi e grandiosi della giunta è indetto per il 20
settembre – fra le feste per la patriottica ricorrenza – un referendum popolare, che fin d’ora si
prevede favorevolissimo>>.
Un altro importante esempio è quello di GOBETTI nelle sue “Lettere dalla Francia” nelle quali
egli descrive la sconfitta nazionalfascista in quel paese: <<La repubblica parlamentare francese fa
un passo vigoroso verso i regimi di democrazia moderna. Se il popolo ha potuto l’11 maggio
eleggere una Camera che si è rifiutata di riconoscere Presidente Millerand e lo ha liquidato,
evidentemente siamo in pieno regime di democrazia diretta. Nelle condizioni in cui le Sinistre
hanno impostato la lotta elettorale si può parlare di un vero e proprio referendum e di una
applicazione del mandato imperativo. Così sotto l’apparenza di una modesta vittoria elettorale si
viene prospettando in Francia una grande vittoria delle democrazie dirette>>.
13
Erano le repubbliche di Uri, Schwyz, Obwalden, Nidwalden, Gersau, Zong, Glaris, Appenzell-
Rhodes-Exterieures, Appenzell-Rhodes-Interieures.
14
CURTI, Le referendum, histoire de la legislation populaire en Suisse, Paris, 1905, p.297.
13
Nel Cantone di Berna, infatti, soprattutto a partire dal XVI secolo, le più importanti
decisioni (arruolamento di mercenari, alleanze con Stati esteri) venivano sottoposte a
voto popolare
15
. Ed è proprio in questa istituzione che viene comunemente ravvisata una
prima forma di referendum
16
.
Nell’antico cantone Vallese, poi, due volte all’anno, i deputati delle dizains (decurie)
che componevano il cantone stesso, si riunivano in consiglio e prendevano delle
decisioni ad referendum, delle quali dovevano, cioè riferire e rendere conto alle loro
comunità. Soltanto in seguito all’approvazione della maggioranza di queste, le predette
deliberazioni entravano in vigore.
Nei Grigioni , infine, dove fin dal XII secolo i Comuni erano indipendenti e uniti in
leghe, i rappresentanti di queste si riunivano in una Dieta federale. Le loro deliberazioni
non erano, però, vincolanti, in quanto dovevano essere votate nei singoli comuni. Non
era, tuttavia, la maggioranza della popolazione cantonale a decidere: ogni comune,
infatti, contava per uno o più voti, a seconda del suo contingente d’imposta fondiaria, e
la maggioranza dei voti comunali era condizione indispensabile per l’entrata in vigore
delle deliberazioni prese nella Dieta federale, le quali divenivano vincolanti anche per i
comuni che non le avevano accettate
17
.
La possibilità di intravedere nelle istituzioni dei Cantoni sopra ricordati gli antecedenti
storici del moderno referendum svizzero è stata, peraltro, contestata da alcuni Autori, i
quali hanno considerato piuttosto quelle antiche forme di referendum come istituti di
diritto internazionale
18
, da tenere ben distinti dal moderno referendum svizzero, istituto
di diritto costituzionale
19
.
Comunque – pur senza voler scendere nel merito della questione – è d’uopo rilevare che
l’espressione “referendum” risulta per la prima volta usata, specie nei Cantoni Vallese e
Grigioni, per indicare l’obbligo, facente capo ai rappresentanti di “riferire” sulle
deliberazioni da loro adottate alle comunità dei cittadini che li avevano eletti onde
ottenere l’approvazione del loro operato da parte di quelle comunità; approvazione che
15
PERASSI, Il referendum. La dottrina giuridica, Roma, 1911, p.53.
16
Il referendum nel Cantone di Berna venne tuttavia meno in seguito al prevalere del patriziato nel
1653.
17
Analoghi istituti, anche se meno sviluppati, si rinvenivano pure nei Cantoni di Zurigo e Lucerna.
18
JAEGER, Lezioni di diritto svizzero, Milano, 1944, p.143.
19
In particolare Perassi che appronta la sua critica sui referendum dei Cantoni Vallese e Grigioni.
Non pare, tuttavia, che tale opinione abbia trovato consensi di rilievo in dottrina.
14
si poneva, appunto, come requisito indispensabile per la validità delle deliberazioni
medesime.
Appare, così, insita in quelle istituzioni cantonali, un’idea fondamentale, quella del
consenso popolare alle leggi e, più in generale, alle deliberazioni dei rappresentanti –
che sta a base dell’odierno referendum svizzero; anche se poi del tutto diversi erano i
presupposti su cui si fondavano
20
, configurandosi allora gli eletti come i delegati di
singole comunità di cittadini
21
.
L’istituto referendario riapparirà dall’inizio del diciannovesimo secolo nella prassi di
molti Cantoni ed infine nelle Costituzioni cantonali ed in quella federale del 1848, la
quale, difatti, venne sottoposta a referendum cantonale di approvazione. Già nel 1802
però la seconda Costituzione elvetica del 2 luglio 1802 era stata sottoposta a votazione
popolare
22
; la sua approvazione, avvenuta il 1 giugno 1802, costituisce la prima
votazione del popolo svizzero espressa con un “si” o un “no” su un testo
costituzionale.
23
1.5 Altri esempi storici di decisione diretta.
Da ultimo va segnalato che talvolta analizzando le origini storiche del referendum si
risale a forme di democrazia diretta molto antiche, ovvero alle Landsgemeinden
(Assemblee cantonali) tuttora esistenti in alcuni Cantoni svizzeri
24
;altri esempi sono le
Town meetings (assemblee cittadine) di alcuni Stati del New England, se non addirittura
20
CURTI, Le referendum, cit., p.38 sgg. e GUELI, La Costituzione federale svizzera, Firenze,
1947.
21
L’idea della necessità di approvazione popolare delle leggi si mantenne viva nella storia della
Svizzera anche quando le Landsgemeinden cantonali persero la loro importanza e le forme di
referendum dei Cantoni di Berna, Vallese e Grigioni caddero in disuso.
22
SALERNO G.M., Il referendum, cit., p.17.
23
Si è però rilevato che si sarebbe trattato di una consultazione popolare con funzione non già di
approvazione, bensì di veto, e ciò si deduce dal fatto che le astensioni vennero considerate come
manifestazione di volontà positiva e pertanto sommate ai sì. Per questa ragione tale costituzione fu
adottata da 72.000 si contro 92.000 no e 167.000 astensioni.
24
In particolare il Landsgemeinde esiste tuttora in cinque Cantoni della Svizzera centrale e
orientale (Obwald, Midwald, Glaris, Appenzell Rhodes-Interieures e Appenzel Rhodes-
Exterieures); è formato da tutti i cittadini attivi (in passato ne erano escluse le donne) che si
riuniscono periodicamente per discutere, deliberare in ordine agli affari di governo, e procedere
alle elezioni.
15
le decisioni popolari che si tenevano nella Atene di Pericle oppure ai plebisciti
dell’antica Roma.
Relativamente a quest’ultimo caso si fa riferimento alla famosa prima secessione della
plebe del 493 A.C..
Fino allora i plebei, in quanto tali, avevano avuto una loro organizzazione a carattere
religioso, con proprie divinità, propri templi, propri culti; ma ad una vera
organizzazione politica di quest’ultima si addivenne solo allorché, divenute sempre più
intollerabili le sue condizioni economiche e sociali, per le carestie e per le usure, la
parte militare di essa si ritirò in un campo trincerato fuori dalla città e il patriziato per
ottenere il rientro, dovette consentire che i plebei si dessero propri “magistrati”: i tribuni
plebis.
La dottrina moderna è concorde sulla circostanza che alla creazione dei tribuni si sia
pervenuti attraverso un atto connesso con un “giuramento” della plebe. E invero, in
qualunque modo si voglia ricostruire la sequenza delle vicende che portarono alla
istituzione dei tribuni – deliberazione unilaterale della plebe in una propria assemblea
durante la secessione e loro nomina ad opera della stessa plebe, ovvero deliberazione
della plebe e successiva elezione ad opera dell’intero popolo in un comitium curiatum,
le fonti convergono sul punto che le leges sacratae che sancirono la inviolabilità
tribunizia furono oggetto di uno ius iurandum compiuto dalla plebe medesima. In ciò si
vede chiaramente emergere un fatto nuovo; è la plebe – o meglio l’assemblea plebea –
che ora interviene come elemento attivo nel porre un precetto e nello stabilire una
sanzione in cui incorre chi lo viola
25
.
Infatti, come si è visto, nel rapporto rex-popolus in ordine al fenomeno della produzione
normativa, era il rex che “parlava”, che legem dicebat. Ora invece nell’assemblea
plebea, è la plebes che esprime il suo volere, il suo scitum. La differenza resterà scolpita
nella terminologia. Pur dopo che il procedimento di formazione della lex si concreterà in
un atto complesso cui concorreranno l’attività del magistrato, del popolo e del senato e
25
Senza voler forzare l’interpretazione dei dati testuali dello ius iurandum plebeo sino a stabilire
una precisa successione cronologica tra la configurazione originaria delle leges sacratae e la
concezione delle leges comiziali quale risulta attestata con qualche fondamento solo per un’età
posteriore, non possiamo tuttavia non rilevare come solo a proposito delle suddette deliberazioni
plebee si abbiano le prime testimonianze attendibili di un comportamento che rompe la serie dei
dati intorno all’atteggiamento essenzialmente passivo delle assemblee popolari romane prima della
formazione del comizio centuriato in funzione deliberante.
16
pur dopo che la lex sarà addirittura considerata uno iussus populi, l’antico valore
semantico del termine porterà assai spesso a riferirsi alla lex come a qualcosa che ancora
il magistrato “da” e che il popolo “riceve”. Di leges accipere parleranno ancora nel I
sec. A.C. Rutilio Rufo e Varrone e persino il giurista Callistrato agli inizi del III sec.
D.C. a proposito di quella che viene ritenuta una delle ultime, se non l’ultima, delle
leggi in senso repubblicano, cioè votata nei comizi (la lex Cocceia agraria, sotto
l’imperatore Nerva, alla fine cioè del I sec.D.C.), impiegherà l’espressione tradizionale
legem ferre, cioè considererà l’esistenza della norma dal punto di vista dell’attività
magistratuale.
Invece per quella “realtà nuova” che fu la partecipazione attiva dell’assemblea plebea
alla produzione normativa vediamo introdursi ab antiquo una denominazione la quale
nel suo stesso conio sembra voler registrare e perpetuare nei secoli il procedimento e il
risultato di tali “novità”: plebiscitum
26
.
Se le parole sono spesso lo specchio di una civiltà nel valore primitivo di lex e nel
nuovo termine plebiscitum è dato di scorgere il riflesso di due momenti ben distinti di
un’esperienza giuridica che viene mutando le sue basi culturali e le sue strutture
organizzative.
Il termine nuovo segna il passaggio ad una nuova storia ed è il preludio di un nuovo
ordinamento: quell’ordinamento repubblicano in cui sono i membri della comunità che
autodeterminano la propria organizzazione, quali autori di ogni atto fondamentale della
vita loro e di quella della comunità stessa. Gli antichi rapporti e le antiche concezioni
sono ormai rovesciati: la forza vincolante delle norme non sarà più nella “parola
ricreatrice” del capo, ma in quella stessa di coloro che ne sono ad un tempo gli autori ed
i destinatari, cioè dapprima la plebe, poi l’intero populus
27
.
Si tratta comunque di realtà differenti da richiamare solo in quanto esempi storici di
forme di decisione diretta da parte di assemblee popolari; non come forme arcaiche del
referendum nel senso moderno
28
.
26
Talvolta si utilizzava anche l’espressione scita populi, ma il suo impiego in luogo di lex, resta
marginale, dimostrando con ciò stesso che si tratta di una formazione tarda, modellata
sull’espressione precedente e destinata a scarsa fortuna.
27
ORESTANO R., I fatti di normazione nell’esperienza romana arcaica, Torino, 1967, p.262 sgg.
28
Tra l’altro la consultazione referendaria va nettamente tenuta distinta dal plebiscito romano, il
quale era una deliberazione normativa proveniente da comizi della plebe e vincolante (almeno
all’inizio) solo quest’ultima.
17
Nelle realtà appena citate si va al di là della semplice delibera, mediante voto, da parte
del popolo su di un determinato argomento; in questi casi infatti il popolo si riunisce
anche in uno stesso luogo, con la ulteriore facoltà di poter previamente discutere in
modo non dissimile rispetto ad un comune organo collegiale “perfetto”
29
. Si potrebbe
arrivare ad affermare che la democrazia diretta altro non è che il limite a cui tende una
forma estremizzata di democrazia rappresentativa.
L’assemblea popolare, strumento di democrazia diretta in via teorica più completo e
perfezionato rispetto al referendum, è in realtà utilizzabile soltanto in piccole e ristrette
comunità; recentemente infatti la più nota e attuale applicazione dell’assemblea
popolare, quella rappresentata dai Landsgemeinden svizzeri, è stata criticata a causa del
maggior numero di partecipanti
30
.
1.6 Le locuzioni “referre legem” e "referre de aliqua re”.
Volendo estendere l’indagine etimologica a talune tipiche espressioni latine, è possibile
accennare alla locuzione “referre legem”, descrivente l’attività del magistrato che
presentava le leggi all’approvazione delle assemblee; la competenza delle assemblee
popolari è duplice: da un canto spetta ad esse la scelta dei magistrati, dall’altro la
votazione delle leggi. Ma in nessuno dei due campi spetta al popolo l’iniziativa: per la
nomina dei magistrati, anche quando si passa dal voto affermativo o negativo sui nomi
proposti dai magistrati in carica alle vere e proprie elezioni, i comizi possono soltanto
scegliere tra le candidature ufficialmente presentate; per le leggi, la proposta è sempre
del magistrato, e il popolo deve approvarla o respingerla in blocco, senza emendamenti.
La proposta si dice rogatio, ed ha appunto il carattere di una interrogazione a cui il
popolo risponda: in questo senso, e non solo per l’impegno che da ambo le parti si
contrae, si poteva definire la lex come communis rei pubblicae sponsio, mettendone a
confronto le formalità essenziali con quelle del più tipico fra i contratti verbali.
L’attività del magistrato nel presentare le leggi all’approvazione delle assemblee si dice
anche legem ferre: perciò lex lata equivale a lex rogata, in contrapposizione alle leggi
emanate per delegazione legislativa dai magistrati a cui era devoluta l’organizzazione
amministrativa delle comunità soggette.
29
PERASSI T., Il referendum, cit., p.31
30
GRISEL, Initiative et referendum populaires. Traité de la democratie semi-directe en droit
suisse, Lausanne, 1987, p.37-42.
18
Il diritto di convocare il comizio spetta ai magistrati maggiori, consoli pretori dittatori:
ad esso è parallelo lo ius agendi cum plebe, spettante ai tribuni. Così i progetti di legge
come i nomi dei candidati devono essere pubblicamente esposti sulle consuete tabulae
dealbatae, avanti la votazione, per un tempo che comprenda almeno tre mercati e la
pubblicazione si dice promulgatio: nell’intervallo, se la convocazione ha scopo
legislativo, è d’uso che il proponente o altro magistrato convochi il popolo in concione
per dimostrare i vantaggi della legge proposta e per affrontare le critiche che gli
oppositori le muovano: tali riunioni si svolgono in contradditorio, e i discorsi favorevoli
si dicono suasiones, i contrari dissuasiones. Analoghe riunioni possono d’altronde
essere organizzate almeno negli ultimi due secoli della Repubblica, da uomini politici
più o meno influenti, che non rivestano attualmente nessuna carica
31
.
Nei comizi centuriati, la votazione procede secondo la gerarchia delle classi: in origine
votano per primi i cavalieri, con precedenza per i sex suffragia, quindi le 80 centurie
della prima classe rinforzate dalle due del genio: se con ciò non si aveva ancora la
maggioranza, si chiamavano via nei limiti del bisogno, le categorie inferiori;
egualmente, salvo che prima a votare è la I classe, nell’ordinamento riformato. Se poi
entro ciascuna classe le centurie votassero ad una ad una, o tutte insieme in recinti
separati, è incerto: in epoca avanzata, il voto della centuria che estratta a sorte, votava
per prima era subito pronunciato, perché in qualche modo servisse ad esempio. Quanto
ai comizi e concili tributi, sembra molto probabile – nonostante il dubbio sollevato di
recente – che le tribù votassero contemporaneamente.
In ciascuna centuria o tribù, il voto complessivo era dato dalla maggioranza di quelli fra
i componenti che avevano votato. A questo fine si erigevano opposti recinti (saepta),
nei quali entravano i cittadini di ciascuna unità per poi uscirne attraverso pontes:
32
sul
31
Per la votazione non possono essere scelti né i giorni giudiziari (dies fasti in senso stretto), né i
festivi o nefasti, e si sogliono evitare anche i giorni di mercato: quanto al luogo esso è per i comizi
e concili tributi il Foro, per i comizi centuriati il Campo Marzio. Alla mezzanotte in cui ha
principio il giorno fissato, il magistrato che dovrà presiedere l’assemblea prende gli auspici:
all’alba il popolo viene chiamato a raccolta dall’araldo; quindi il magistrato invoca gli dei e
consumato un sacrificio, da lettura, direttamente o a mezzo dell’araldo, dei nomi dei candidati
oppure della legge che propone, ed invita a votare.
32
Da ciò la frase proverbiale, sexa genarios de ponte deicere, che esprime scherzosamente la
cessazione del diritto elettorale col compimento del 60° anno: dal proverbio nacque,
probabilmente la leggenda inumana per cui i romani antichissimi avrebbero gettato i loro vecchi
nel Tevere.
19
ponticello si collocava uno scrutatore detto rogator, il quale, finché il voto fu orale,
segnava punteggiando una tavoletta cerata, i voti favorevoli e i contrari.
Le leggi tabellariae, emanate tra la fine del III e il principio del II secolo A.C.
sostituirono alla pronuncia la deposizione in apposite ceste di tavolette su cui ciascun
elettore aveva scritto i nomi dei candidati oppure una sigla indicante approvazione o
rifiuto della legge; gli scrutatori facevano poi lo spoglio delle tavolette
33
. Infine il
magistrato presidente interrogava successivamente gli scrutatori, e via faceva
proclamare dal banditore i voti delle rispettive unità anche questa proclamatio, come nel
comizio centuriato la votazione, si arrestava quando si fosse raggiunta la maggioranza
pro o contro il progetto o su tanti nomi di candidati quanti erano i posti da coprire
34
.
L’altra importante locuzione in qualche modo connessa con l’istituto referendario è
“referre de aliqua re”, indicante l’atto con cui si riferiva al senato o al popolo in ordine
ad una questione su cui questi ultimi dovessero poi deliberare.
E’ importante in questo senso riportare un passo di Oratio pro A. Cluentio Avito 49,
relativo ad un sospetto caso di corruzione circa una legge istitutiva di un’inchiesta
speciale che doveva essere votata dal popolo, nel quale si individua appunto
l’espressione “referendum ad popolum”; <<Non tulerunt; et quod tu Habiti pecunia
factum esse arguis neque id ulla tenuissima suspicione confirmas, factum est primum
illorum aequitate sapientia consulum, ut, quod senatus decreverat ad illud invidiae
praesens incendim restinguendum, id postea referendum ad popolum non
arbitrarentur>>
35
.
Sottolineando ancora che nel diritto romano non è mai esistito alcun istituto giuridico
qualificato come referendum, potrebbe forse concludersi che la radice verbale latina del
termine in oggetto richiama, nelle sue linee essenziali, lo svolgimento dell’attività
33
ARANGIO-RUIZ U., Storia del diritto romano, Napoli, 1957, p.90 sgg.
34
L’arresto della votazione, o della proclamazione, quando la maggioranza sia raggiunta, oltre a
produrre nel comizio centuriato la conseguenza che non tutte le classi votino, può anche falsare il
risultato delle elezioni, nel senso che una prosecuzione della votazione (o dello spoglio)
eleverebbe alla carica magistrati diversi.
Lo strano risultato si spiega ricordando come l’assemblea inizialmente non facesse che accettare o
respingere i nomi presentati dal magistrato presidente: l’inconveniente si è prodotto col mutamento
della funzione.
35
<<Nessuna proposta da parte loro. E quanto alla tua accusa, cioè che abito col suo denaro
indusse i consoli a non proporre al popolo la legge prevista dal decreto del senato per spegnere le
fiamme divampanti dell’invidia io ti rispondo che ciò fu dovuto prima di tutto al senso di giustizia
e al senno di quei consoli>>.
20
deliberativa in ordine ad un determinato argomento e quindi racchiude, in se, parte del
significato giuridico del moderno istituto referendario.
1.7 Referendum e iniziativa.
E’ stato scritto di recente in Italia che <<il referendum è istituto tanto noto da non essere
necessarie parole per chiarirne il significato>>
36
. Forse questo è vero, quando si guarda
all’esperienza e al linguaggio del proprio paese; ma non appena proviamo a fare
semplici controlli in altri sistemi politici, ci accorgiamo che le cose non stanno proprio
così. Non a caso agli inizi degli anni Ottanta un autorevole scienziato politico inglese
ammoniva che <<si deve fare molta attenzione quando si parla dei referendum, perché
essi hanno molte forme, ciascuna delle quali implica conseguenze molto diverse. Inoltre
i nomi con i quali queste varietà sono conosciute variano da paese a paese>>
37
.
Così il termine referendum viene usato sia per indicare indistintamente ogni
consultazione referendaria, sia per individuare specifiche forme referendarie da
distinguere da quelle denominate iniziativa. A sua volta il termine iniziativa soffre, per
così dire, del male opposto: viene usato in genere per indicare un unico tipo di
consultazione referendaria
38
.
Il fenomeno referendario si presenta in una varietà così ricca di forme e di tipi che il
repertorio di nomi disponibili (referendum, iniziativa e plebiscito, appunto) è del tutto
inadeguato. Ma la scarsità di nomi è il male minore, e non è il caso di cercarne di nuovi.
Sarebbe necessario, piuttosto, trovare un accordo sull’uso dei nomi esistenti,
referendum e iniziativa in particolare.
Il criterio classificatorio di fondo può essere quello che si basa sull’identità dell’attore
che promuove la consultazione referendaria. L’idea è allora quella di usare il termine
iniziativa tutte le volte che una consultazione referendaria viene promossa mediante
formale richiesta sottoscritta da un numero determinato di elettori.
36
AMBROSINI G., Referendum, Torino, 1993, p.13
37
FINER S., The changing British party system, Washington, 1980, p.214.
38
Che dire poi di plebiscito, che nella letteratura tedesca è impiegato per ogni consultazione
referendaria mentre in altri contesti, nell’italiano e nel francese, ad esempio, sottolinea l’aspetto
manipolatorio della volontà popolare da parte di un potere spesso autoritario?