DEFINIZIONI ED INQUADRAMENTO NORMATIVO
16
il diritto di scegliere e di far prevalere la propria scelta, cioè ha il diritto di
governare. Questa è la regola prima del metodo democratico. La minoranza,
o le minoranze, non possono imporre le proprie scelte, almeno fino a che
non diventino maggioritarie. Ma proprio la regola del governo della
maggioranza garantisce la protezione delle minoranze, posto che il diritto
della maggioranza presuppone il diritto all’esistenza di una minoranza (
26
).
La giustificazione ideologica del potere di decisione della maggioranza
si trova nella tendenza alla formazione della volontà generale con il più
grande accordo possibile fra la medesima e le volontà individuali, sicché
quando il numero delle volontà individuali, con le quali la volontà sociale
concorda, è superiore al numero di quelle con cui essa è in contrasto, viene
raggiunto il massimo valore di libertà possibile, intendendosi libertà come
autonomia (
27
). Tuttavia, in concreto, non è sempre vero che la volontà della
maggioranza corrisponda in modo più sicuro all’interesse reale della
comunità, né può dirsi che le scelte maggioritarie siano, per il solo fatto di
corrispondere al maggior numero delle volontà individuali, giuste e
nemmeno opportune. Anche per questo, va garantita la protezione delle
minoranze, per la funzione correttiva che esse assumono nei confronti delle
decisioni di maggioranza e quindi per la possibilità che si deve loro
assicurare di ottenere la sostituzione delle loro valutazioni e delle loro scelte
a quelle della maggioranza. Protezione dei diritti delle minoranze significa
infatti, in primo luogo, protezione del diritto della minoranza di divenire
maggioranza.
(
26
) F. CUOCOLO, Istituzioni, cit., pag. 95.
(
27
) Rileva il KELSEN (Vom Wesen und Wert der Demokratie, 1929, tr. it. Bologna, 1955,
pag. 13) che “sarebbe impossibile giustificare il principio maggioritario con l’opinione che più
voti abbiano maggior potere di pochi voti. Dalla presunzione puramente negativa che un
individuo non vale più dell’altro, non si può ancora dedurre, positivamente, che la volontà della
maggioranza, sia quella che deve valere… C’è soltanto un’idea che porta, per una via
ragionevole, al principio maggioritario; l’idea che se non tutti gli individui almeno il più gran
numero di essi sono liberi, vale a dire che occorre un ordine sociale che non sia in contrasto col
più piccolo numero di essi”; cfr., F. CUOCOLO, Istituzioni, cit., pag. 96.
DEFINIZIONI ED INQUADRAMENTO NORMATIVO
17
Democrazia
“consociativa”
Va anche osservato – sempre sotto il profilo metodologico – che il
concetto di democrazia maggioritaria è stato in tempi recenti posto in
discussione, prospettandosi ipotesi di democrazia partecipativa o di
democrazia consociativa, nelle quali la regola della maggioranza verrebbe,
se non esclusa, quanto meno considerata in termini meno assoluti, posta la
partecipazione, nella seconda ipotesi e con riferimento a un sistema a
multipartitismo moderato, di tutti i partiti di una certa consistenza alle scelte
governative. Osserva L. Elia che “il multipartitismo moderato può dar luogo
ad un assetto definibile come «consociativo», nel quale tutti i partiti che
raggiungono una certa consistenza hanno parte nella composizione del
Governo. Si tratta di larghe coalizioni, in cui perde progressivamente rilievo
il carattere di centro proprio di alcuni partiti, perché tutte le forze politiche
risultano affiancate (e scolorite) in uno schieramento che preclude, per
lunghi periodi, l’esistenza stessa di una opposizione” (
28
). Questa
ricostruzione, forse eccessivamente rigorosa, potendo lo schema
consociativo realizzarsi anche nel permanere di opposizioni di qualche
rilevanza, anticipava quanto si verificò in Italia fra il 1976 e il 1979 (con i
governi di “solidarietà nazionale”) (
29
). Va anche aggiunto che oggi, con i
nuovi sistemi elettorali, tendenzialmente maggioritari, le ipotesi
“consociative” risultano meno facili, essendosi determinata una più netta
distinzione fra maggioranza di governo e opposizione (
30
).
L’ordinamento giuridico italiano prevede una serie di istituti giuridici
volti ad immettere il popolo nel governo dello Stato. A tal proposito si suol
(
28
) L. ELIA, voce Governo (forme di), in Enciclopedia del diritto, vol. XIX, Milano,
Giuffrè, 1970, pag. 653.
(
29
) F. CUOCOLO, Istituzioni, cit., pag. 97.
(
30
) I riflessi che la legge elettorale ha sul sistema politico verranno trattati, più diffusamente,
infra, cap. II, par. 5. In tale sede, verrà specialmente analizzata l’influenza che la modifica del
sistema elettorale avvenuta in Italia nel 1993 ha avuto sull’istituto del referendum
costituzionale.
DEFINIZIONI ED INQUADRAMENTO NORMATIVO
18
parlare di forme di democrazia diretta e indiretta (o rappresentativa) per
indicare, nel primo caso, quegli istituti nei quali sono attribuiti direttamente
al corpo elettorale poteri di decisione o di impulso in ordine all’attività di
governo, e nel secondo caso, quegli istituti in cui il governo del popolo
avviene indirettamente, ossia attraverso dei rappresentanti politici designati
del corpo elettorale.
Democrazia
rappresentativa
La democrazia rappresentativa si realizza mediante la periodica elezione
popolare di rappresentanti politici agli organi del potere legislativo e
collegando il Governo a questi attraverso l’istituto della fiducia (art. 94
Cost.: “Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere”). Sul piano delle
garanzie, poi, si deve rilevare che è stata prevista un’ampia tutela delle
minoranze e che al Presidente della Repubblica è stato attribuito il potere di
sciogliere le Camere qualora tali assemblee rappresentative non riescano più
ad assicurare una ordinata e continua attività di governo; è da notare che il
principio dell’elettività si estende anche agli organi direttivi delle Regioni,
delle Province e dei Comuni. In base all’intensità del rapporto in virtù del
quale i componenti di un organo elettivo adempiono nell’interesse pubblico
alle funzioni loro assegnate, si parla di maggiore o minore rappresentatività
di un organo di questo genere, considerandosi più rappresentativo un organo
eletto di recente rispetto ad un organo in carica già da qualche tempo,
oppure un organo eletto in modo diretto rispetto ad un organo formato
mediante un sistema di elezione di secondo grado (
31
).
Democrazia
diretta
La sovranità popolare è esercitata anche direttamente dagli stessi
cittadini mediante manifestazioni unitarie di volontà (come avviene nelle
(
31
) Cfr., D. NOCILLA, L. CIAURRO, voce Rappresentanza politica, in Enciclopedia del
diritto, vol. XXXVIII, Milano, Giuffrè, 1987, pag. 543 e ss.
DEFINIZIONI ED INQUADRAMENTO NORMATIVO
19
consultazioni elettorali e referendarie), o atti individuali o parziali (ad es.
l’iniziativa legislativa e la petizione).
Gli istituti della democrazia diretta sono: il referendum abrogativo delle
leggi ordinarie e degli atti aventi valore di legge (art. 75 Cost.); il
referendum costituzionale che può inserirsi nel procedimento di formazione
delle leggi costituzionali (art. 138 Cost.); i referendum in materia di
creazione, fusione o modifiche territoriali di Regioni e, come sembra, in
materia di creazione o di modifiche territoriali (con legge regionale) dei
Comuni (artt. 132 e 133 Cost.); ed, ancora, l’iniziativa popolare delle leggi
(art. 71 Cost.) e la petizione (art. 50 Cost.), mediante la quale i cittadini
possono rivolgersi alle Camere per proporre provvedimenti legislativi o
esporre comuni necessità.
Democrazia
decentrata o
pluralista
“Il corpo elettorale, sia nel referendum che nelle elezioni, si presenta
come un organo collegiale sui generis del popolo, come un’organizzazione
legale di quest’ultimo, cioè un ulteriore strumento attraverso il quale
avviene l’esercizio della sovranità popolare” (
32
). È da ricordare che la
democrazia si realizza, oltre che attraverso il corpo elettorale, “anche in
maniera decentrata consentendo che le società intermedie a carattere
politico ed i singoli individui possano concorrere a determinare l’indirizzo
politico dello Stato e ad evidenziare le esigenze, gli interessi, le istanze della
collettività che siano ritenuti degni o, comunque, suscettibili di
considerazione e di tutela (democrazia decentrata o pluralista)” (
33
).
(
32
) G. M. SALERNO, voce Referendum, in Enciclopedia del diritto, vol. XXXIX, Milano,
Giuffrè, 1998, pag. 262.
(
33
) T. MARTINES, Diritto costituzionale, Milano, Giuffrè, 1994, pag. 237. L’immissione
del popolo nel governo dello Stato, avviene anche “mediante l’attribuzione ai cittadini associati
in partiti politici del potere di concorrere, con metodo democratico, a determinare la politica
nazionale (art. 49 Cost.) ed ai cittadini associati in sindacati del potere di autotutelare gli
interessi della categoria alla quale appartengono in quanto imprenditori o prestatori d’opera
avvalendosi del contratto collettivo di lavoro (art. 39 Cost.) e del diritto di sciopero (art. 40
DEFINIZIONI ED INQUADRAMENTO NORMATIVO
20
Sistema semi-
rappresentativo
In definitiva è da notare che il collegamento fra governanti e governati e
la garanzia che l’azione dei primi sia tendenzialmente conforme alla volontà
dei secondi, vengono assicurati in Italia con la combinazione delle suddette
modalità (
34
). Vale anzi osservare che il metodo della democrazia
rappresentativa è la regola mentre quello della democrazia diretta è
l’eccezione (
35
). Tra l’altro, dall’esame delle diverse forme referendarie
previste nel nostro ordinamento positivo, sembra discendere che in Italia il
referendum non si configura come un vero e proprio procedimento di
decisione popolare, del tutto svincolato dal processo decisionale degli
organi rappresentativi; viceversa, il referendum determina, a seconda dei
casi, l’eventualità o la necessità dell’intervento deliberativo popolare nelle o
sulle scelte proprie degli organi rappresentativi (
36
). La democrazia accolta
dal nostro sistema costituzionale non è allora né completamente
rappresentativa, perché si consentono interventi diretti del popolo su
specifiche decisioni pubbliche adottate dai rappresentanti o in via di
Cost.), che è un correttivo della posizione di disuguaglianza economica in cui vengono a
trovarsi i lavoratori rispetto ai datori di lavoro, di modo che il principio democratico trovi
attuazione anche nel campo dei rapporti di lavoro. Oltre che dei partiti e dei sindacati occorre
far menzione, poi, dei «gruppi di pressione» (economica, politica, professionale, culturale,
religiosa, ecc.), la cui attività sfugge, sì, ad ogni disciplina formale (…) ma che non per questo
deve essere valutata in modo del tutto negativo se ed in quanto sia diretta a conoscere ed ad
elaborare, secondo una visione non unilaterale e non circoscritta a determinati interessi
corporativi, i dati della realtà sociale. Meritevoli di attenzione sono anche le altre «società
intermedie» fra il cittadino e lo Stato che costituiscono «altrettanti scalini che, per gradi
successivi, fanno ascendere a visuali sempre più ampie, sino ad arrivare allo Stato»
(MORTATI): la famiglia, le associazioni culturali, politiche, economiche, le comunità
religiose, la comunità scolastica, tutte quelle formazioni sociali, insomma, nella quali – per
adoperare ancora una volta le parole della nostra Costituzione – l’uomo svolge la sua
personalità e si realizza la c.d. «partecipazione democratica». Né sono da sottovalutare i
fenomeni del c.d. «associazionismo spontaneo» (si pensi, ad esempio, al «movimento
studentesco»), …”.
(
34
) Anche il procedimento ex art. 138 Cost., come meglio si vedrà, infra, cap. I, par. 4,
consiste in una combinazione della democrazia rappresentativa e della democrazia diretta: la
prima ovviamente è data nella fase parlamentare, mentre la seconda nell’eventuale fase
referendaria.
(
35
) F. CUOCOLO, Istituzioni, cit., pag. 97.
(
36
) G. M. SALERNO, Referendum, cit., pag. 263.
DEFINIZIONI ED INQUADRAMENTO NORMATIVO
21
adozione, né prevalentemente o totalmente diretta, poiché non è accolto il
principio secondo il quale tutte le risoluzioni delle pubbliche autorità
debbano essere sempre e necessariamente sottoposte alla volontà popolare.
Per definire la presente forma di stato democratica, si sono suggerite le
forme di democrazia “semi-diretta” o democrazia “semi-rappresentativa”; si
tratta di definizioni spesso adoperate per definire ordinamenti democratici
rappresentativi caratterizzati dalla presenza di consistenti strumenti di
democrazia diretta (
37
).
Differenziazioni
“qualitative”
È molto discussa in dottrina la differenziazione “qualitativa” degli atti di
esercizio della sovranità popolare, dal punto di vista giuridico ma
soprattutto da quello politico.
Da una parte, tenendo conto che, secondo il principio democratico, la
fonte del potere politico deve essere il consenso degli stessi governati, si
sostiene che gli strumenti di democrazia diretta sono la “vera” forma di
espressione della democrazia; in particolare il referendum ed il plebiscito
(
38
) avrebbero una specie di “plusvalore democratico”, ovvero appaiono
(
37
) Sul nostro sistema definito “semi-rappresentativo” cfr., per tutti, C. MORTATI,
Istituzioni, cit., pag. 399 e ss. In senso difforme, cfr. M. MAZZIOTTI DI CELSO, Lezioni di
diritto costituzionale, I, Milano, Giuffrè, 1985, pag. 178, il quale, rilevando che nel nostro
ordinamento gli istituti di democrazia diretta hanno importanza “secondaria”, cioè soltanto
complementare rispetto alla struttura fondamentalmente rappresentativa, critica l’applicabilità
al nostro ordinamento della definizione di “democrazia semi-diretta”.
(
38
) “Il plebiscito sta ad indicare (secondo l’opinione che sembra più fondata) un pronuncia
del corpo elettorale, compiuta sempre in circostanze eccezionali e straordinarie, non in
relazione ad un atto normativo, bensì in rapporto ad un mero fatto od evento (aggiudicazione di
territorio, mantenimento o mutazione d’una forma di governo, ecc.). Ed assai spesso è stato
regolato mercé appositi accordi internazionali; che hanno, appunto, mirato a risolvere, in forma
democratica, delle questioni di vitale importanza per i popoli interessati”, cfr., P.
BISCARETTI DI RUFFIA, voce Democrazia, in Enciclopedia del diritto, vol. XII, Milano,
Giuffrè, 1964, pag. 117. “Che si tratti di atto, latamente attinente ai principi di democrazia, è
provato dalla circostanza che esso, comunque, si risolve in un ricorso (nell’attribuzione, quindi
di un qualche rilievo) ad una manifestazione di volontà popolare al fine di collegarvi una
decisione degli organi di governo dello Stato. Ciò che, invece, tende ad obliterare il significato
democratico della richiesta di intervento popolare è appunto la totale arbitrarietà della
decisione sull’an, sul quomodo e sul quando di tale richiesta, la quale consente di rendere
l’intervento popolare come meramente strumentale ai fini della eventuale gestione autoritaria
DEFINIZIONI ED INQUADRAMENTO NORMATIVO
22
come l’autentica formula verso cui tendere (
39
). Le decisioni adottate
direttamente dai cittadini sarebbero dotate, perciò, di una “prevalenza”
rispetto alle decisioni provenienti dai soggetti appartenenti alle strutture
istituzionali dello Stato; e talvolta siffatta “prevalenza” – fondata appunto
sulla maggiore vicinanza (o quasi coincidenza) sussistente nel rapporto tra
popolo e sua organizzazione legale (corpo elettorale e referendario) rispetto
al rapporto tra popolo e strutture rappresentative – è intesa non solo in senso
meramente politico, ovvero incidente essenzialmente sul rapporto di
responsabilità e quindi di rappresentanza politica, ma anche in senso più
propriamente giuridico (
40
).
A quest’ultima asserzione è opponibile l’obiezione fondata sull’assenza
di un’espressa disposizione costituzionale che, distinguendo tra le diverse
modalità di esercizio della sovranità popolare, attribuisca “prevalenza”
giuridica alle deliberazioni unitariamente provenienti dal popolo, le quali, al
contrario, risultano poste al medesimo livello degli atti legislativi (v. art. 75
del potere da parte di chi lo richiede. Non è un caso che tale significato di minore
democraticità, se di non-democraticità e basta, entrato nell’uso comune, specie con l’impiego
dell’aggettivo “plebiscitario” nel senso riduttivo di “una adesione popolare non meditata o
addirittura addomesticata”, A. CHIAPPETTI, voce Plebiscito, in Enciclopedia del diritto, vol.
XXXIII, Milano, Giuffrè, 1983, pag. 945 e ss.
(
39
) Attraverso il referendum si ha una “manifestazione «immediata» della «volontà» del
popolo «sovrano»”, A. MANGIA, Referendum, Padova, Cedam, 1999. “Il «plusvalore
democratico» degli strumenti di democrazia diretta è collegato al concetto di democrazia come
autogoverno del popolo; poiché, si dice, ostacoli di natura tecnica e fattuale impediscono al
popolo di decidere rapidamente ed efficacemente, si è costretti a ripiegare sugli strumenti
rappresentativi”, G. M. SALERNO, Referendum, cit., pag. 263, nota n. 299.
(
40
) Sulla prevalenza, non solo politica, ma anche giuridica, della pronuncia abrogativa nei
confronti della potestà legislativa del parlamento, cfr. E. TOSATO, Sovranità del popolo e
sovranità dello Stato, in Studi in onore di G. M. De Francesco, II, Milano, Giuffrè, 1957, pag.
26, nota n. 29; e F. CUOCOLO, Note introduttive sul referendum, in Studi per il ventesimo
anniversario dell’Assemblea costituente, Autonomie e garanzie costituzionali, IV, Firenze,
Vallecchi, 1969, pag. 168 n. 27, il quale esprime ancor più incisivamente nelle Istituzioni di
diritto pubblico, cit., pag. 279, la tesi secondo la quale l’atto referendario “esprime in modo più
sicuro la volontà sovrana del popolo e deve prevalere per un principio organizzativo essenziale
del sistema, giuridicamente rilevante e quindi vincolante”. La sensazione di una certa
superiorità politica della pronuncia referendaria sembra fondata sulla “scala della
responsabilità” (popolo, corpo elettorale, Parlamento, Governo) riassunta da D. NOCILLA,
Brevi note in tema di rappresentanza e responsabilità politica, in Scritti in onore di V.
Crisafulli, II, Padova, Cedam,1958, pag. 566.
DEFINIZIONI ED INQUADRAMENTO NORMATIVO
23
e 123 Cost.) oppure inserite all’interno dei procedimenti volti alla
produzione delle disposizioni costituzionali o legislative (v. art. 132, 133 e
138 Cost.). E difatti, pur non contestando l’indubbio significato politico
della pronuncia referendaria, si è escluso che essa si presenti quale fonte
sopraordinata rispetto, ad esempio, alla legge del Parlamento; la diretta
pronuncia popolare, si aggiunge, non sarebbe inquadrabile nell’attività
direttiva dello Stato, dato che il corpo votante – sia nelle elezioni che nel
referendum – rimane in realtà soggetto inorganizzato (tranne che nel solo
specifico momento dell’attività elettiva o referendaria), che, esposto a
incontrollate fluttuazioni, non si presenta come vero e proprio organo di
direzione politica stabile della comunità statale. Il rifiuto di configurare il
corpo votante nelle consultazioni popolari come titolare della sovranità, si
inserisce in una più complessiva critica degli strumenti di democrazia
diretta, che, si nota, se fossero utilizzati indiscriminatamente, porterebbero
alla stessa estinzione della funzione di direzione politica (
41
).
A sfavore della sovrapposizione delle consultazioni referendarie alla
democrazia rappresentativa sono stati indicati tre argomenti principali:
a) i cittadini comuni non hanno né le capacità analitiche né l’informazione
adeguata per prendere decisioni consapevoli;
b) le decisioni dei parlamentari consentono – rispetto alle decisioni
referendarie – maggiore flessibilità e capacità di compromesso con i
punti di vista e gli interessi delle minoranze, tenendo conto delle diverse
intensità delle preferenze individuali;
c) le consultazioni referendarie indeboliscono il prestigio e l’autorità dei
rappresentanti e del governo rappresentativo o perché scavalcano i
(
41
) G. M. SALERNO, Referendum, cit., pag. 263.
DEFINIZIONI ED INQUADRAMENTO NORMATIVO
24
parlamentari o perché incoraggiano gli stessi parlamentari a evitare
tematiche fortemente conflittuali per “delegarle” agli elettori (
42
).
Più moderatamente si è rilevato che “la democrazia diretta è un
importante elemento strutturale nell’ambito di un sistema politico. Se si può
far ricorso a una consultazione referendaria, essa può essere usata come leva
per modificare altri elementi del sistema. È certamente arduo fare
affermazioni di carattere generale, valide per tutti gli Stati, sulle funzioni
delle iniziative e dei referendum. Le conseguenze concrete della democrazia
diretta sulla struttura di un sistema politico e sul processo politico che si
svolge possono essere molto differenti a seconda della situazione politica,
della cornice istituzionale, della cultura politica e degli attori politici. Non
esiste una teoria della democrazia diretta. Quasi tutte le consultazioni
popolari hanno una storia loro propria” (
43
).
In conclusione, si può affermare che è il referendum a dover dimostrare,
caso per caso, di assumere una conformazione veramente democratica, cioè
di essere uno strumento non di acclamazione del regime, né di
manipolazione della volontà politica popolare, ma di controllo democratico
sull’operato degli organi dirigenti. “Il referendum non costituisce di per sé
una forma approssimativa di democrazia «autentica» in contrapposizione
alla transeunte struttura decisionale rappresentativa, ma acquista
(
42
) A. RANNEY, Nuove pratiche e vecchia teoria, in Democrazie e referendum, M. Caciagli
e P. V. Uleri (a cura di), Roma-Bari, Laterza, 1993, pag. 38 e ss., “molti oppositori dello
strumento referendario hanno argomentato che esso, sebbene concepito per essere un utile
complemento per le istituzioni della democrazia rappresentativa, in realtà costituisce un
pericolo per quelle istituzioni per due principali ordini di motivi. In primo luogo, esso consente
a comuni cittadini di respingere decisioni prese da rappresentanti eletti e/o consente sempre a
comuni cittadini di emanare leggi senza la partecipazione, o perfino nonostante le obiezioni,
dei parlamentari: ciò sovvertirebbe l’autorità e il prestigio dei parlamentari, dei governi e dei
capi di governo. In secondo luogo, le consultazioni referendarie forniscono una possibilità
politicamente legittima con la quale i parlamentari possono evitare decisioni difficili passando
la patata bollente all’elettorato: ciò rende loro più facile sottrarsi alle proprie responsabilità. Sia
le esperienze che le ricerche recenti sembrano corroborare queste due argomentazioni,
importanti ma difficili da verificare”.
(
43
) S. MÖCKLI, Nove democrazie a confronto, in Democrazie e referendum, M. Caciagli e
P. V. Uleri (a cura di), Roma-Bari, Laterza, 1993., pag. 56.
DEFINIZIONI ED INQUADRAMENTO NORMATIVO
25
un’«utilità» democratica soltanto se è ben strutturato nella sua disciplina
positiva e se permette al popolo di intervenire effettivamente nelle decisioni
adottate dai governanti al fine di correggerle nel senso conforme alla
volontà generale (
44
): il referendum diventa così lo strumento di correzione
del sistema rappresentativo” (
45
).
(
44
) Si veda a tal proposito, infra, cap. III, par. 6, sul ruolo dell’informazione e dei mass
media.
(
45
) G. M. SALERNO, Referendum, cit., pag. 265.
DEFINIZIONI ED INQUADRAMENTO NORMATIVO
26
3. Genesi dell’art. 138 della Costituzione italiana.
L’Assemblea
costituente
L’Assemblea costituente, formata di 556 deputati, fu eletta direttamente
dal popolo italiano il 2 giugno 1946, contemporaneamente al referendum
istituzionale sulla scelta fra monarchia e repubblica. Essa si riunì per la
prima volta il 25 giugno 1946 e, il successivo 15 luglio, decise la nomina di
una Commissione di 75 membri (designati dal Presidente dell’Assemblea
con il criterio della proporzionalità politica) incaricata di elaborare e
proporre il progetto di Costituzione.
La Commissione dei 75 (che per assicurare una maggiore speditezza ai
suoi lavori si era suddivisa in tre sottocommissioni
46
) presentò il progetto il
31 gennaio 1947 all’Assemblea costituente, assieme ad una relazione del
suo Presidente, Meuccio Ruini. La discussione del progetto in Assemblea,
iniziata il 4 marzo 1947, si concluse nella seduta pomeridiana del 22
dicembre 1947, con la votazione finale dell’intera Costituzione a scrutinio
segreto (453 voti favorevoli e 62 contrari). La Costituzione fu poi
promulgata dal Capo provvisorio dello Stato il 27 dicembre ed entrò in
vigore il 1° gennaio 1948 (
47
).
(
46
) Prima Sottocommissione: “Diritti e doveri dei cittadini”(presidente Tupini); Seconda
Sottocommissione: “Organizzazione costituzionale dello Stato” (presidente Terracini); Terza
Sottocommissione: “Lineamenti economici e sociali (presidente Ghiaini). Successivamente la
Seconda Sottocommissione si divise in due sezioni (l’una per il potere esecutivo e l’altra per il
potere giudiziario). Fu anche costituito un comitato di coordinamento per le diverse
sottocommissioni, composto da diciotto deputati, che approntò il testo finale del progetto di
costituzione, rappresentò la Commissione dei 75 di fronte alla Costituente, precedette al
coordinamento delle disposizioni approvate dall’Assemblea ed infine presentò il testo
definitivo della Costituzione che fu approvato dall’Assemblea con modifiche marginali. Cfr.,
M. L. MAZZONI HONORATI, Il referendum, cit., pag. 32 e s.; F. CUOCOLO, Istituzioni, cit.,
pag. 177 e s.
(
47
) T. MARTINES, Istituzioni, cit., pag. 231.
DEFINIZIONI ED INQUADRAMENTO NORMATIVO
27
La scelta della
rigidità
I lavori della Commissione dei 75 e quelli dell’Assemblea costituente
furono fortemente influenzati, per quanto concerne la disciplina delle
modalità di revisione della Costituzione, dagli studi condotti da una
Commissione tecnica istituita dal Ministero per la Costituente: la
“Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato”
presieduta da Forti e in particolare dalla sua Prima Sottocommissione
“Problemi costituzionali”, presieduta da Boeri (
48
).
Con l’eccezione di U. Terracini – il quale sostenne che una Costituzione
rigida “potrà ostacolare grandemente il processo pacifico” di “sviluppo
della Nazione”, senza “rappresentare una garanzia contro” il “ritorno di
fenomeni come quello del fascismo” – i membri della Prima
Sottocommissione manifestarono, fin dalla prima seduta (5 dicembre 1945),
un orientamento favorevole alla rigidità costituzionale, in considerazione
delle maggiori garanzie che essa offriva per la tutela dei “diritti dei
cittadini”, orientamento che venne poi confermato dalla Relazione
preliminare sul tema “Rigidità o flessibilità della Costituzione” (
49
).
La scelta della Costituzione rigida da parte della Commissione Forti non
fu tuttavia una scelta di principio. Infatti, prospettata su un “piano ideale”
(
48
) Il Ministero per la Costituente aveva promosso delle ricerche di diritto costituzionale
creando delle apposite commissioni per lo sviluppo e l’analisi di problemi specifici. A queste
era però esclusa la competenza alla stesura di un progetto di Costituzione perché esso,
presupponendo l’adozione di criteri politici, era riservato esclusivamente all’Assemblea
costituente. Tra queste commissioni si ricorda la Commissione per studi attinenti alla
riorganizzazione dello Stato (con presidente Forti), che a sua volta si articolava in diverse
sottocommissioni: la Prima Sottocommissione “Problemi costituzionali” (presidente Boeri); la
Seconda Sottocommissione “Organizzazione dello Stato” (presidente Piga); la Terza
Sottocommissione “Autonomie locali” (presidente Temolo); la Quarta Sottocommissione “Enti
pubblici non territoriali” (presidente Piccardi); e la Quinta Sottocommissione “Organizzazione
sanitaria” (presidente Pernotti); cfr., M. L. MAZZONI HONORATI, Il referendum, cit., pag.
29.
(
49
) Cfr., Relazione preliminare sul tema: “Rigidità o flessibilità della Costituzione”, in Alle
origini della Costituzione italiana. I lavori preparatori della “Commissione per studi attinenti
alla riorganizzazione dello Stato (1945-1946)”, a cura di G. D’ALESSIO, Bologna, Il Mulino,
1979, pag. 96 e 111 ss.
DEFINIZIONI ED INQUADRAMENTO NORMATIVO
28
l’alternativa fra la rigidità e la flessibilità costituzionale, essa dovrebbe
risolversi – secondo la suddetta Relazione – a favore della seconda. Ciò
perché la Costituzione flessibile “presuppone” un grado di “civiltà sociale”
tale da garantire che “la difesa delle istituzioni viene esercitata dallo stesso
popolo e dagli stessi organi costituzionali” (
50
). Tuttavia – prosegue la
Relazione – questa condizione storico-politica esiste soltanto in Inghilterra
(
51
).
In Italia, la difesa della democrazia non è assicurata dal radicamento dei
suoi princìpi nella coscienza popolare e nelle istituzioni. Essa non può
pertanto prescindere da una Costituzione che, oltre a informarsi ai principi
della democrazia stessa, contenga una norma che preveda un procedimento
aggravato per la revisione, mettendola in tal modo al riparo da mutamenti,
privi di un’adeguata ponderazione, che potrebbero incrinare l’assetto
democratico dello Stato (
52
). La dimostrazione delle necessità di una
Costituzione rigida – argomenta la Relazione – viene data dall’esperienza
storica: è anche a causa della flessibilità dello Statuto albertino, infatti, che
si è potuta instaurare la dittatura fascista (
53
).
Bisogna però evitare che la disciplina delle modalità di attuazione del
principio di rigidità impedisca o ritardi il recepimento di “tutte quelle
istanze progressive che urgeranno nel prossimo futuro”. La rigidità –
precisa la Relazione – va perciò intesa non in modo assoluto, bensì “in
modo relativo”: ciò significa che il “congegno” per la revisione della
(
50
) Cfr., Relazione preliminare sul tema: “Rigidità o flessibilità della Costituzione”, cit.,
pag. 123.
(
51
) Ibidem.
(
52
) Ibidem.
(
53
) Ibidem.
DEFINIZIONI ED INQUADRAMENTO NORMATIVO
29
Costituzione deve essere “semplice e di facile applicazione” e che ad esso
non dovrà essere necessario ricorrere frequentemente (
54
).
La scelta del
referendum
Nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente sul tema della
revisione costituzionale, la Commissione per la Costituzione affrontò subito
il problema dell’intervento del corpo elettorale, cioè in quale maniera e
misura prevedere la partecipazione del corpo elettorale nel procedimento
(
55
).
Il confronto si svolse su due proposte: quella dello scioglimento delle
Camere e conseguente rielezione delle stesse, avanzata dall’on. Rossi nella
sua Relazione, che raccoglie inizialmente la maggioranza dei consensi, e
quella del referendum, che alla fine prevale soprattutto grazie all’iniziativa
dell’on. Perassi (
56
). È un confronto ricco di argomentazioni, nell’ambito del
quale si evidenziano puntualmente le ragioni che rendono il referendum
preferibile allo scioglimento delle Camere:
- il timore che le Camere, per evitare lo scioglimento, si oppongano alla
revisione costituzionale;
(
54
) Ibidem. La Costituzione deve infatti possedere “il carattere della elasticità o flessibilità
sostanziale. Il che può avvenire sia accogliendo nella Costituzione solo norme veramente
fondamentali, sia formulando le norme stesse, in linea di massima, con un contenuto ampio”.
(
55
) M. LUCIANI, Il referendum impossibile, in Quaderni costituzionali, n. 3/1991, pag. 514
e s.: “l’esame dei lavori preparatori della Costituzione (…) dà la netta impressione che per la
maggioranza dei costituenti il referendum fosse sostanzialmente un fastidio”; S. P.
PANUNZIO, Esperienze e prospettive del referendum abrogativo, in AA.VV., Attualità e
attuazione della Costituzione, Roma-Bari, Laterza, 1979, pag. 66: “… la classe politica che
sedeva alla Costituente fu in massima parte, se non apertamente ostile, per lo meno diffidente
nei confronti dell’istituto del referendum. Certo fu assai cauta”. Sul dissidio tra democrazia
diretta e democrazia rappresentativa nella discussione costituente, vedi anche A. MANGIA,
Referendum, cit., pag. 13 e ss., “… che l’innesto del procedimento referendario all’interno di
una costituzione integralmente costruita sul modello della democrazia «parlamentare», e
dunque sul primato dei processi rappresentativi, portasse con sé una serie di problemi (non
solo) teorici in ordine alla conformazione della forma di governo che si intendeva realizzare
(…) era del tutto evidente in sede di dibattito costituente”.
(
56
) G. FERRI, Il referendum nella revisione costituzionale, Padova, Cedam, 2001, pag. 84.