Per avere un’idea precisa circa il dramma della delusione foscoliana, che è, poi, il
dramma dei patrioti italiani, si rimanda a quella pagina della presente tesi, in cui è citata
la lettera dedicatoria dell’ode “Bonaparte liberatore”.
Che dire, poi, dello struggimento e del dramma del Foscolo (la figura rappresentativa
del patriota italiano e dell’intellettuale che è pronto a difendere i propri valori sino
all’estremo sacrificio), che prova il senso del dolore nel parlare della sua Italia (questo
sentimento è rintracciabile nella lettera del 17 marzo, contenuta nelle “Ultime lettere di
Jacopo Ortis”): “Nasce italiano, e soccorrerà un giorno alla patria: - altri sel creda; io
risposi, e risponderò sempre: La natura lo ha creato tiranno: e il tiranno non guarda a
patria; e non l’ha”.
Ho creduto necessario descrivere la costante alternanza dei due sentimenti contrastanti,
in antitesi l’un l’altro, presenti durante tutto il periodo napoleonico: entusiasmi e
delusioni. Non a caso, ho avvertito il desiderio profondo di spiegare lo stato d’animo
degli uomini di lettere, dei patrioti e del popolo stesso, i quali sono stati i protagonisti
della storia, hanno vissuto le vicissitudini delle continue battaglie napoleoniche, hanno
gioito, ma anche sofferto; e, infine, hanno lasciato traccia e testimonianza del loro
impegno riempiendo intere pagine di storia o raccontando di se stessi attraverso i versi
di una poesia.
Nelle pagine che seguono, ho voluto portare testimonianze vive, attraverso la citazione
d’alcuni versi tratti dalle opere letterarie dei poeti che hanno vissuto quei particolari
momenti storici, soffrendo per i loro drammi e le loro delusioni, impegnandosi per
l’affermazione di valori umani indissolubili.
Seguirò la scia tracciata dalla delusione avuta dalla maggior parte degli intellettuali
europei d’inizio Ottocento, circa l’amara consapevolezza che quel meraviglioso
movimento di rinnovamento, portato avanti dalle tesi illuministiche rivoluzionarie, non
era stato completato e, anzi, era rimasto per tanti aspetti non attuato. Lasciandomi
trasportare dalle innovazioni letterarie, che influenzano, per forza di cose, la cultura,
sgombrerò il campo da ogni residuo illuministico e da ogni aspra polemica contro il
“tradimento napoleonico”, portando il lettore a comprendere l’intima genesi
dell’ideologia romantica, nascente dalle ceneri dell’esasperata razionalità. Ecco, allora,
in che modo inquadrerò quel mirabile Alessandro Manzoni, che ha saputo coniugare la
vecchia e la nuova ideologia e lo ha fatto utilizzando la storia, vista come ponte
attraverso il quale unire i singoli avvenimenti e le singole situazioni umane con il
progetto divino provvidenziale e imperscrutabile.
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Nella mia tesi utilizzerò il Manzoni (mi voglia scusare il poeta), proprio perché egli ha
saputo comprendere la forza della fede cristiana, rinnovarne i contenuti, ristabilirne i
limiti, rifonderne i valori, ridarne gli onori; ciò, in virtù della necessità di ricompattare i
fedeli: uomini persi, lasciati allo sbando, poveri nei valori e traditi negli ideali.
L’imperativo morale che appariva prioritario, durante l’epoca della Restaurazione e
lungo il periodo Risorgimentale italiano, era quello di coniugare la propria vita con gli
ideali cristiani, soprattutto quelli d’amore e sostegno verso il prossimo. Appare chiaro,
quindi, il mio naturale interesse nei riguardi di quegli uomini che hanno saputo
comprendere la necessità di ricristianizzare il popolo e di tutelarne i diritti: e chi, se
non don Giovanni Bosco, con la sua mirabile opera di sostegno ai poveri?.
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1.
L’epoca napoleonica. Amori e delusioni.
La crisi dell’illuminismo alla vigilia della rivoluzione francese rappresenta
concretamente il preludio dell’epoca napoleonica, oltre ad essere la fase preparatoria di
quel gran rinnovamento dei valori umani che costituirà, in seguito, la genesi della
nostra modernità.
L’epoca napoleonica, studiata nella sua complessità, attraverso i poliedrici sviluppi
della storia, percorrendo le strade dei mutamenti da lei apportati nella società europea e
italiana, deve essere arricchita da un’adeguata ricerca culturale e ideologica, utile a
comprendere le ragioni che hanno portato al nascere di una letteratura, per certi versi,
imponente. Non solo un gusto estetico, non solo un desiderio del passato e dei suoi
fasti, non solo una struggente nostalgia dell’antica felicità; ma, soprattutto, l’intima
necessità di vivere un’esistenza pacifica e serena, nella sicurezza dei valori inviolabili
dell’uomo (i temi fondanti dell’illuminismo francese).
In virtù delle premesse sopra esposte, è necessario tracciare quel gusto artistico e
letterario che si sarebbe, poi, appellato “neoclassicismo”.
Il Neoclassicismo assurse a vera e propria “arte della Rivoluzione”, volta ed esprimere
“l’ideale repubblicano e storico della borghesia progressista”
(1)
.
Prima di analizzare compiutamente le linee guida che hanno caratterizzato la nascita e,
poi, tutto il percorso culturale del movimento neoclassico, si deve tener conto che
l’etichetta di “Neoclassicismo” non fu autonomamente elaborata da nessun esponente di
quella scuola. In effetti, non ci fu mai, in questo vasto movimento di riflessioni
estetiche e di produzione artistica, una coscienza precisa e polemica di sé, rispetto, per
esempio, al preromamticismo dello “Sturm und Drang”. Il termine “Neoclassicismo”
compare effettivamente, per la prima volta, nelle “Lezioni di storia della Letteratura”
di G. Finzi (1888).
Il tramonto degli ideali culturali illuministici vide un’improvvisa accelerazione proprio
a seguito della svolta politica sostenuta dalla rivoluzione napoleonica. In Italia, la crisi
del riformismo illuminato mise a nudo l’illusione di un’evoluzione pacifica e graduale
delle strutture sociopolitiche, mentre gli esiti più radicali del giacobinismo furono
sovente letti come lo scacco definitivo delle tesi illuministiche settecentesche.
A tal riguardo, la critica proposta da Edmund Burke, eminente uomo politico inglese,
nelle sue “Riflessioni sulla rivoluzione francese” (1790), ebbe un’influenza enorme. La
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sua aspra analisi, che contrapponeva l’esperienza costituzionale moderata inglese a
quella francese reazionaria, colpiva le idee di sovranità popolare e quelle dei diritti
dell’uomo (ampiamente sventolate da Napoleone), negando il concetto francese di
libertà come patrimonio universale naturale. Secondo il Burke, il principio di libertà si
basa essenzialmente sulla capacità dell’uomo d’auto-realizzarsi all’interno del processo
di presa di coscienza dei popoli nella storia. Proprio il tema della storia (e della storia
nazionale) rappresentò per Burke uno dei passaggi essenziali della sua critica
all’Illuminismo (nella polemica contro l’astratta e antistorica ragione illuministica) e
una delle grandi linee di forza di quel movimento che fu, successivamente, definito
“romantico”.
Di fronte alla crisi della “ragione illuministica” e alla nascita embrionale di una
“psicologia delle passioni”, della volontà e delle idee (esemplare è il caso di Cabanis e
degli idéologues), il Neoclassicismo rappresenta in qualche modo l’espressione
ufficiale dell’età napoleonica.
Il ritorno alla classicità si era già profilato negli anni Sessanta e Settanta del XVIII sec.
promosso dalle scoperte archeologiche di Ercolano, dall’apertura al pubblico dei musei
romani e da numerosi scritti teorici, in particolare la “Storia dell’arte nell’antichità”
(1764) di Johann Joachim Winckelmann e il “Laocoonte” (1766) di Gotthold Ephraim
Lessing. Diffusi in Italia, questi testi promossero una nuova valutazione dei monumenti
dell’antichità classica. Il movimento era stato ulteriormente favorito dalle relazioni e
dai resoconti dei viaggiatori che inserivano nel loro viaggio di formazione (grand tour)
l’Italia, come meta privilegiata.
In Winckelmann compare anzitutto la teorizzazione dell’imitazione degli antichi, nei
termini di una rielaborazione di un repertorio formale, adattato e ricostruito. Egli
vagheggia una Grecia felice, prima della scissione fra Natura e Umanità, depositaria di
una bellezza che fonde semplicità e grandezza. Il Bello diventa, allora, conforme al
Vero e alla Ragione e coincide con il Buono. Si vengono, così, formulando prima
un’estetica e poi uno stile, soprattutto architettonico, che si esprime anche nella scultura
e nella pittura, sino a diventare una vera “moda”, che influenza ogni espressione
artigianale, dai mobili agli abiti, agli oggetti d’uso. Le opere di Canova, le scenografie
di Andrea Appiani, l’architettura di Valadier furono le punte di diamante di un vasto
processo di rinnovamento del linguaggio artistico.
Il Neoclassicismo, quindi, coinvolse tutti i settori della produzione artistica, ma varcò
anche i limiti del linguaggio artistico ed estetico, per influenzare, poi, profondamente
l’ideologia e la letteratura. Sul piano ideologico, il Neoclassicismo offrì un’immagine
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insieme eroica e virtuosa dell’antichità repubblicana e servì a rafforzare quei valori
eminentemente civili che l’epoca rivoluzionaria e imperiale esigeva. Quanto il
Neoclassicismo abbia influenzato il gusto, ben oltre i limiti dell’epoca, è poi
testimoniato dai viaggiatori e dagli artisti che per tutto l’Ottocento contribuirono a
creare il mito della solarità apollinea, della felicità mediterranea e, in definitiva, delle
virtù antiche. Un mito che corrispondeva alla proiezione dei desideri del presente, in un
remoto e fantastico passato.
Dal punto di vista letterario, il Neoclassicismo agì prepotentemente soprattutto nella
creazione di un immaginario letterario e nell’ispirazione ai modelli della letteratura
greca e latina; modelli che furono letti e interpretati in modo totalmente nuovo, mentre
la mitologia classica diventava patrimonio infinito di citazioni, rinvii e riferimenti. Su
tutto dominava l’affermazione di una libertà che era, soprattutto, liberazione
dell’artista, soggetto soltanto alle regole formali.
Il movimento neoclassico fu, quindi, un’esperienza sostanzialmente post-illuminista,
ma non radicalmente anti-illuminista (come avvenne, invece, per il preromanticismo,
sorto sulle basi di un’evidente reazione all’illuminismo) e tentò di costruire una serie di
modelli formali dotati d’autorevolezza e facilmente riconoscibili e condivisibili, per
rispondere ad un profondo disagio intellettuale e culturale.
Il termine “classicismo” indica, in generale, il rapporto giusto e centrale con gli ideali e
le forme del mondo classico e, in senso più particolareggiato, l’esigenza di istituire
modelli normativi validi per giungere all’espressione artistica e intellettuale. In questo
preciso contesto storico, però, con la definizione “neoclassicismo” intendiamo riferirci
allo stretto rapporto con il nascente movimento romantico. Esso vuole essere il
recupero filologico del passato, l’affermazione di un canone estetico razionale fondato
sul rigore e sulla purezza delle linee; ma anche ritorno all’incontaminato, all’eroico,
alla semplicità della natura, che l’arte classica sapeva esprimere. In questo senso, il
Neoclassicismo sviluppò anche aspetti nostalgici che in molte occasioni si fusero con la
nascente sensibilità romantica.
In Italia, la traduzione di testi classici greci e latini è uno dei fenomeni più rilevanti
dell’età neoclassica. Oltre alle celebri traduzioni della “Iliade” di Vincenzo Monti, della
“Odissea” di Ippolito Pindemonte, della “Chioma di Berenice” del Foscolo (traduzione
della versione in latino di Catullo del poemetto greco di Callimaco) e di parte della
“Iliade” di Ugo Foscolo, si ebbero - in questo periodo napoleonico neoclassico -
numerosissime traduzioni di lirici greci e latini, di tutte le tragedie greche, di tutte le
opere virgiliane.
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L’attività di traduzione è sempre caratteristica di un’epoca di formazione e di
ricostruzione del gusto: il fatto che i letterati italiani scelgano di rivolgersi al passato
piuttosto che al presente è, ancora una volta, il sintomo del loro impegno, ma anche dei
loro limiti.
Rimanendo in tema neoclassico, Vincenzo Monti pubblica, dopo appena un anno dal
suo arrivo a Roma, un “Saggio di poesie” (1779), nel quale il poeta, attraverso un
intelligente lavoro diplomatico (fatto di lettere dedicatorie), costruisce una fitta rete
d’amicizie che lo sosterranno negli anni a venire.
Il periodo culturale in cui s’inquadra l’impegno letterario del Monti è quello che
solitamente è chiamato del “Nuovo Rinascimento”. E’ un momento in cui le
magnificenze greche ritrovate tra le rovine, fatte conoscere dal Winckelmann e da
Raffaello Mengs, aprono nuovi spunti di rinascita culturale e ideologica. Un’aurea di
grandezza, di rimpianto e, insieme, d’orgoglio per gli antichi fasti ispirava – in quegli
anni – i poeti e i letterati colti. Di quel clima culturale, Monti si fece interprete in un
componimento che decretò la sua fortuna: la “Prosopopea di Pericle”, recitata
nell’agosto del 1779, composta in soli due giorni, in occasione del rinvenimento di un
busto marmoreo dell’antico statista. Nella citata opera, il rimpianto della bellezza antica
è così accorato da essere, in seguito, ammirato anche dal Carducci e, poi, dal Croce.
In verità, una profonda svolta in seno alla cultura neoclassica avviene proprio nel
momento in cui il vento rivoluzionario d’oltralpe si abbatte sull’Europa, esercitando
una più cospicua pressione ideologica negli animi intellettuali. I caratteri stessi del
movimento neoclassico mutano rapidamente volto e connotati geografici: Roma lascia
il suo primato a Milano (rappresentativa appare la partenza clandestina del Monti, da
Roma a Milano), capitale, prima della Repubblica Cisalpina e, poi, del Regno Italico; il
neoclassicismo diviene espressione del “regime”, promossa e potenziata dal generale
vittorioso e, poi, imperatore Napoleone Bonaparte.
In realtà, la svolta era già operante in anni precedenti la rivoluzione: il massimo
esponente pittorico del nuovo del nuovo corso – Jean Louis David – dipinge, proprio a
Roma, un quadro di fondamentale importanza, “Il giuramento degli Orazi”. L’opera,
presentata al pubblico romano nel 1785, ebbe subito gran successo e non solo per
l’evidente adesione ai canoni neoclassici, ma per la possibilità d’interpretazioni
politiche e d’incitamento alle armi.
A pari passo con la crescente forza e con i successi registrati in campo militare dalle
armate francesi, si assiste, durante il periodo di massimo splendore napoleonico, al
trapasso da un neoclassicismo assorto in un vagheggiamento estetizzante dell’antichità
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(caratterizzato dalle scoperte archeologiche di Winckelmann), ad un classicismo
impegnato sul fronte delle grandi battaglie storiche e destinato – nel volgere di pochi
anni – a celebrare i fasti imperiali.
Il mutamento ideologico di direzione, registrabile all’interno del movimento
neoclassico, ingloba anche il mito della Roma repubblicana, fatta di virtù civili e
patriottiche; che si può ricollegare in parte alle idee rivoluzionarie che cominciavano a
circolare nell’ambiente della corte di Pio VI.
In Italia, i fenomeni sociali e politici maturati in Francia, prima e dopo la presa della
Bastiglia nel 1789, erano stati seguiti dai nobili e dagli intellettuali con particolare
interesse e curiosità.
Nella Francia della fine del XVIII sec., il movimento illuminista di riforma (basato sul
principio della sovranità popolare, dell’eguaglianza e libertà di tutti i cittadini) era
rimasto, in verità, patrimonio pressoché esclusivo degli scrittori di politica, economia e
letteratura. Il Terzo stato era formato da un’enorme massa di contadini (circa 20
milioni, che costituivano l’85% dell’intera popolazione francese), da un milione e
mezzo d’artigiani ed operai; oltre che da intellettuali, professionisti, industriali,
banchieri e commercianti: la cosiddetta “borghesia cittadina”, che, pur essendo in
minoranza, costituiva la forza viva della nazione. La classe borghese, sensibile alle
nuove teorie illuministiche sull’eguaglianza e sulla sovranità popolare, non accettava
più di essere tenuta lontana dalla vita politica e dal governo dello Stato.
Subito dopo la presa della Bastiglia (14 luglio 1789), il governo della città di Parigi fu
assunto da un consiglio di cittadini, che prese il nome di “Municipalità” e fu istituita la
“Guardia Nazionale”, costituita da una milizia volontaria a difesa dell’assemblea e
dell’ordine pubblico: era un concreto segnale del tramonto dell’assolutismo regio. Il
movimento di rivolta dilagò ben presto nelle città di provincia e nelle campagne, ove
secoli di servitù e d’oppressione avevano accumulato odio senza fine. Il 26 agosto
1789, l’Assemblea Costituente francese approvò la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo
e del cittadino”, che affermava l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, la
sovranità popolare, la libertà di parola, di pensiero, di religione, di stampa e
l’inviolabilità della persona e della proprietà. In tal modo, la società politica francese si
trasformava radicalmente: essa, infatti, non era più costituita da sudditi del Regno, ma
da cittadini dello Stato.
Il disordine interno della Francia aumentava ogni giorno di più, alimentato da
malcontenti d’ogni sorta, aggravato dalla perdita di valore della moneta e da un
conseguente continuo aumento dei prezzi. Di là dei confini, i sovrani d’Austria e di
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