4
INTRODUZIONE
L’accertamento definitivo della responsabilità penale o il semplice sospetto di colpevolezza in
ordine ad una fattispecie di reato, sanzionata con una pena detentiva, non possono determinare
il totale disconoscimento, nei confronti dei soggetti ristretti, di tutte le situazioni giuridiche
soggettive di cui ciascun individuo è titolare in virtù della sua sola dimensione ontologica
1
, e
a difesa delle quali, sono previste, a livello universale, forme di tutela giurisdizionale più o
meno intense, ogni qual volta si prospetti una possibile violazione.
Eppure, occorre constatare che il percorso attraverso il quale si è giunti a riconoscere
universalmente, in capo al soggetto detenuto, imputato o condannato che sia, la titolarità di
quei diritti garantiti dall’ordinamento interno e da quello internazionale come diritti inviolabili
dell’essere umano non sia stato agevole né di breve durata.
Invero, l’ingresso nel sistema carcerario comporta l’assoggettamento della persona a
stringenti limiti e serrati controlli che, inevitabilmente, comprimono la sfera personale e
privano l’individuo di facoltà e prerogative fondamentali per regioni proprie dell’esecuzione
penale.
Siffatta situazione è certamente foriera di concreti pericoli per la sopravvivenza e il pieno
godimento dei diritti fondamentali della persona, primo fra tutti, il diritto al rispetto della
dignità umana. Per tale ragione tanto il legislatore interno
2
, quanto quello internazionale
3
,
sono stati indotti, seppur lentamente, a riconoscere nel soggetto in vinculis un soggetto
debole, necessario destinatario di specifiche norme funzionali alla salvaguardia della
conservazione di quella sfera personale sacra e inviolabile che non può e non deve subire
incisioni ulteriori che non trovino una valida giustificazione in motivi di ordine e sicurezza e,
non ultimo, nell’obiettivo primario di assicurare una regolare e proficua esecuzione della
pena.
Peraltro, se la pretesa punitiva dello Stato deve risultare fondata e legittima, altrettanto vale
per quella esecutiva, teleologicamente orientata alla rieducazione del colpevole
4
, la quale,
perciò, deve rispondere a canoni di legalità non meno rigidi e garantisti.
1
L’umanità [l’essere uomo] è essa stessa una dignità:l’uomo non può essere trattato dall’uomo (da un altro uomo
o da se stesso) come un semplice mezzo ma sempre anche come fine. In ciò, appunto, consiste la sua dignità
Così KANT I., In “Metafisica dei costumi”, 1797.
2
L. 26 luglio 1975 n. 354, c.d. Riforma dell’Ordinamento penitenziario.
3
A titolo esemplificativo: Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, Trattato di Lisbona ecc.
4
Art. 27 Cost., comma 3:le pene devono tendere alla funzione del condannato.
5
In una simile prospettiva di civiltà, l’ordinamento, è chiamato a predisporre in favore dei
soggetti detenuti non solo strumenti di tutela negativa, volti al mantenimento di quelle facoltà
connesse a posizioni soggettive pre-esistenti alla restrizione carceraria e con essa non
incompatibili, ma soprattutto, forme di tutela positiva dirette a conseguire modifiche
comportamentali tali da far ben sperare in ordine ad un cambiamento della personalità del
condannato, sempre nell’ottica di una piena risocializzazione. D’altronde appare
incontrovertibile che l’interesse generale all’esecuzione della pena e, l’interesse particolare
del detenuto di vedersi riconosciuta e preservata la propria sfera soggettiva, possano risultare
confliggenti. Va, però, sottolineato che costituisce un dovere del legislatore evitare che il
disposto contenuto nell’art.27, terzo comma Cost. si riduca ad una mera affermazione di
principio e venga disatteso nella pratica. Non sarebbe, infatti, coerente un sistema
ordinamentale che postulasse il principio della rieducazione del colpevole e, parimenti,
disconoscesse lo stesso come soggetto giuridico attivo, titolare di diritti, interessi legittimi e
aspettative pienamente azionabili in giudizio e, connaturati, oltre che alla sua condizione di
detenuto in espiazione di pena, in primo luogo alla sua natura di essere umano. In altre parole,
il fine rieducativo non può essere in alcun modo realizzato negando al reo un trattamento
civile e rispettoso della dignità umana.
Le essenziali considerazioni finora esposte costituiscono il filo conduttore di questo lavoro
dedicato essenzialmente all’analisi del principale mezzo di tutela che l’Ordinamento
penitenziario predispone in favore del soggetto in vinculis (rectius dei suoi diritti).
L’elaborato,infatti, si articola in due parti essenziali: nella prima si darà risalto alla figura del
soggetto in vinculis come soggetto di diritti, ripercorrendo le tappe legislative interne e
internazionali che hanno rappresentato, e tuttora rappresentano, un baluardo imprescindibile a
difesa dei diritti delle persone sottoposte a restrizione della libertà personale. La seconda
parte sarà, invece, dedicata all’analisi dei meccanismi giurisdizionali predisposti
dall’Ordinamento penitenziario ai fini della tutela dei diritti, degli interessi e delle semplici
aspettative del soggetto detenuto che sono spesso oggetto di pesanti violazioni, sia da parte
dell’autorità giudiziaria competente in materia di esecuzione penitenziaria, sia da parte
dell’Amministrazione penitenziaria a cui è demandato il compito di dare concreta esecuzione
alle pene detentive e alla misure di sicurezza. L’attenzione sarà in particolare focalizzata sulle
recenti modifiche legislative che sembrano aver reso più efficace la tutela del soggetto in
vinculis.
6
CAPITOLO I- IL DETENUTO SOGGETTO DI DIRITTI
SOMMARIO 1.1. Le fonti internazionali e la legislazione interna a presidio delle persone private della
libertà personale; 1.2. La libertà personale come diritto “inviolabile”anche nei confronti del detenuto;
1.3. I diritti diversi dalla libertà personale- 1.3.1.(Segue)Diritto alla rieducazione; 1.3.2.(Segue)Diritto
alla salute; 1.3.3.(Segue)Diritto all’istruzione, alla formazione professionale, al lavoro; 1.3.4.
(Segue)Diritto di professare la propria fede religiosa e di farne propaganda; 1.3.5. (Segue)Diritto
all’affettività; 1.4. Le limitazioni all’esercizio dei diritti nei circuiti di massima sicurezza; 1.5. La fase
esecutiva della pena: il lungo percorso verso la “giurisdizionalizzazione” 1.6. Dal procedimento di
sorveglianza al procedimento “atipico” di reclamo.
1.1. LE FONTI INTERMAZIONALI E LA LEGISLAZIONE INTERNA A PRESIDIO
DELLE PERSONE PRIVATE DELLA LIBERTA’ PERSONALE
La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, approvata dall’Assemblea Generale
dell’ONU in data 10 dicembre 1948, rappresenta il primo atto internazionale di carattere
generale specificamente dedicato all’affermazione dei diritti primari della persona umana
5
.
Benché privo di efficacia vincolante
6
, il documento enuncia le libertà e i diritti civili,politici e
socio-economici fondamentali dell’individuo, riconoscendoli come essenziali e irrinunciabili.
Di qui discende, per gli Stati membri dell’Onu, l’obbligo di garantirne la trasposizione
nell’ordinamento giuridico internazionale e in quello proprio di ciascuno Stato, mediante
l’adozione di norme cogenti. A riprova di ciò, la Dichiarazione si chiude (artt.28-30)
evidenziando la necessità di un ordine nazionale e internazionale in cui i diritti umani trovino
la giusta atmosfera democratica per potersi concretamente esplicare.
5
DEAN F, Diritto penale internazionale, Perugia, 1999, pp. 27-28.
6
In questa sede, è opportuno ricordare che le Dichiarazioni di principi non costituiscono un’autonoma fonte di
norme internazionali secondo la dottrina dominante e la prassi a cui si sono conformati la quasi totalità dei Paesi
occidentali. Pertanto, appare ardita la tesi sostenuta dalla Corte di cassazione (Sez. Un., 31.07.1967,n. 2035 )
secondo cui, la Dichiarazione citata sarebbe operante nel nostro ordinamento ex art. 10 Cost., poiché fonte di
norme generali di diritto internazionale. Così, CONFORTI B., Diritto penale Internazionale, Milano,1995, p.
58.
7
Particolarmente indicative, in tema di riconoscimento e tutela dei diritti delle persone private,
a qualunque titolo, della libertà personale da un’autorità pubblica sono le disposizioni
contenute negli articoli 5, 9, e 10 della Dichiarazione
7
.
Ben altro spessore in termini di vincolatività, assume, invece, la Convenzione contro la tortura
e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti, firmata a New York, sempre sotto
l’egida dell’Onu, solo il 10 dicembre 1984 e ratificata dall’Italia con la legge n. 489 del 3
novembre 1988
8
. Tale Convenzione oltre a definire all’art. 1, la tortura come ‹‹qualsiasi atto
mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti,
fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona
informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso
o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far
pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di
discriminazione,(..)›› ha, fra l’altro, promosso l’istituzione di un comitato contro la tortura
(CAT). Il Comitato ha competenza a verificare lo stato di applicazione della Convenzione
medesima sulla base delle relazioni che gli Stati contraenti s’impegnano a fargli pervenire
ogni quattro anni
9
.
7
Art.5- nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o punizioni crudeli, inumane o degradanti.
Art.9- nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato.
Art.10- ogni individuo ha diritto in posizione di piena uguaglianza a un’equa e pubblica udienza davanti ad un
tribunale indipendente e imparziale ai fini della determinazione della fondatezza di ogni accusa penale che gli
venga rivolta.
8
L’ordine di esecuzione, contenuto nella l. 498/88, era, peraltro, insufficiente al rispetto dell’obbligo
convenzionale “centrale” della Convenzione (artt. 1 e 4 in combinato disposto): cioè l’obbligo per gli Stati di
legiferare affinché qualsiasi atto di tortura come pure il tentativo di praticare la tortura o qualunque complicità e
partecipazione a tale atto fosse immediatamente contemplato come reato nel diritto penale interno,
conformemente alla definizione della tortura di cui all’art.1 della Convenzione. Il secondo § dell’art. 4 della
Convenzione prevede l’obbligo per ogni Stato di stabilire per il reato medesimo pene adeguate in considerazione
della sua gravità. Le norme italiane di adattamento ordinario all’obbligo precipuo della Convenzione non fanno
parte integrante del diritto penale italiano: la legge di autorizzazione non contiene che una norma (art. 3) che è
correlato agli artt. 5-7 della Convenzione, a norme, pertanto, rivolte a far perseguire da ogni Stato parte la
tortura, ovunque e da chiunque commessa.
9
Il Comitato, qualora riceva informazioni inerenti alla pratica sistematica della tortura nel territorio di uno Stato
parte ritenute credibili e fondate, invita detto Stato a collaborare nell’esame delle informazioni e, a tal fine, a
comunicargli le sue osservazioni nel merito; può, altresì, incaricare,se ritiene che ciò sia giustificato, uno o più
dei suoi membri di procedere ad un’inchiesta riservata e richiedere urgentemente un rapporto. Inoltre, il
Comitato può ricevere e esaminare comunicazioni nelle quali uno Stato parte sostiene che un altro Stato parte
non adempia ai suoi obblighi ai sensi della presente Convenzione. Tali comunicazioni, però, possono essere
ricevute ed esaminate solo se provengono da uno Stato parte che abbia effettuato una dichiarazione nella quale
riconosce, per quanto lo riguarda, la competenza del Comitato, che pertanto, non riceve nessuna comunicazione
relativa ad uno Stato parte che non abbia effettuato tale dichiarazione. Così BRUNETTI C., ZICCONE M.,
Manuale di diritto penitenziario, p.168 ss., Piacenza ,2004.
8
A ben vedere, l’attività dell’Onu è stata altresì diretta a garantire trattamenti adeguati alle
persone detenute con riguardo specifico anche ai comportamenti di chi, per le funzioni svolte,
si trovi a diretto contatto con le stesse.
In particolare, fin dal 1955, nella Risoluzione del 30 Agosto
10
contenente le regole minime
per il trattamento dei detenuti, oltre a bandire l’utilizzo di mezzi e metodi contrari al senso di
umanità nella gestione degli istituti penitenziari e nelle relazioni con i detenuti, si affrontava
lo spinoso tema del fine rieducativo della pena. Il paragrafo 65, infatti, recita ‹‹il trattamento
dei condannati a pene privative della libertà deve avere lo scopo di suscitare in essi la
volontà e le capacità che permetteranno loro di vivere nel rispetto della legge e di provvedere
a se stessi››. e ancora ‹‹il trattamento deve essere tale da incoraggiare nel soggetto il rispetto
verso se stesso e da sviluppare in lui il senso di responsabilità›› In una Risoluzione
successiva, datata 1988, si precisa che arresto, detenzione e imprigionamento devono essere
disposti solo in forza di legge e, i relativi provvedimenti, devono essere eseguiti
esclusivamente da ufficiali o persone autorizzate; parimenti si stabilisce che il soggetto
sottoposto ad arresto, detenzione, o imprigionamento abbia diritto a essere prontamente
informato delle ragioni per le quali è disposta una tale misura nei suoi confronti e abbia,
altresì, facoltà di farsi assistere da un difensore.
Nel 1990, inoltre, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato altre due Risoluzioni
recanti l’una, i principi fondamentali del trattamento delle persone detenute, e l’altra, le regole
minime in materia di misure alternative
11
.
Nel 1950, sul versante europeo, si giunse all’approvazione di un trattato avente piena
efficacia vincolante in materia di riconoscimento e tutela di diritti umani contrariamente a
quanto avvenne sullo scenario mondiale, in cui nel 1948, fu possibile soltanto promuovere
l’adozione di un testo a carattere esclusivamente programmatico, e dunque, non
giuridicamente vincolante per gli Stati che vi aderirono. Il 4 Novembre, infatti, fu firmata a
10
La Risoluzione è integralmente pubblicata, in lingua italiana, in ZAPPA G. - MASSETTI C., Il codice
penitenziario e della sorveglianza, Piacenza, 1999, p. 70. Si riporta di seguito la disposizione assai significativa,
contenuta nell’art. 5,ribadita più tardi, in termini maggiormente rigorosi, dall’art. 64 della Racc. CMCE 12
febbraio 1987 (Regole penitenziarie europee) ‹‹la carcerazione e le altre misure che hanno per effetto di togliere
un delinquente dal mondo esterno sono afflittive per il fatto stesso che tolgono all’individuo il diritto di disporre
di se stesso e lo privano della libertà. (…)Il sistema penitenziario non deve, perciò aggravare le sofferenze
inerenti a tale situazione››.
11
Si tratta delle Risoluzioni n.45/110 e 45/111; in particolare nella seconda si è affermato a chiare lettere che il
trattamento delle persone detenute deve essere condotto nel pieno rispetto della dignità umana e senza alcuna
discriminazione di sesso, razza, lingua religione ecc.. e che le persone detenute continuano a godere di tutti i
diritti e le libertà fondamentali riconosciuti e garantiti nella comunità internazionale, fatta eccezione per quelle
restrizioni connaturali allo status detentionis.
9
Roma la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (CEDU)
12
. La CEDU, occorre sottolinearlo, è il primo testo convenzionale
elaborato in seno al Consiglio d’Europa
13
, prima organizzazione internazionale a carattere
regionale, a cui è si deve il primo esperimento di tutela internazionale organica, anche di
carattere giurisdizionale, dei diritti dell’uomo.
Tra le disposizioni più importanti in materia di tutela delle persone sottoposte a limitazioni
della libertà personale, si devono prioritariamente citare gli articoli 5 e 6 della Convenzione. Il
primo contiene un elenco dettagliato di tutte le ipotesi in cui è da ritenersi legittima l’adozione
di un provvedimento restrittivo della libertà personale
;
il secondo, rubricato diritto a un equo
processo, individua i requisiti alla presenza dei quali deve ritenersi instaurato un regolare
giudizio
14
. Altrettanto rilevante l’art.14 CEDU, laddove si precisa il divieto di
discriminazione fra persone nella tutela dei diritti sanciti dalla Convenzione.
12
È da precisare che l’adesione alla Convenzione in oggetto è diventata condizione per l’appartenenza degli Stati
europei al Consiglio d’Europa, e, di fatto, anche per l’ammissione all’Unione Europea. Con l’andar del tempo, la
Convenzione si è arricchita di svariati protocolli aggiuntivi n. 1, n. 4, n. 6, n. 7, n. 12, n. 13 e n. 14.
Una delle peculiarità maggiori della Convenzione consiste nel fatto che, a differenza degli altri trattati
internazionali, essa trascenda la semplice reciprocità degli Stati, avendo creato obblighi oggettivi che godono di
una protezione collettiva. Essa, pertanto, è da considerarsi strumento costituzionale dell’ordine pubblico
europeo, così BRUNETTI C., ZICCONE M., Manuale di diritto penitenziario, cit. p. 173.
13
Relativamente a tale organizzazione, si può affermare che duplice è il compito assegnatole dagli Stati membri:
salvaguardare i diritti e le libertà per metterli al riparo da misure arbitrarie dei pubblici poteri;sviluppare tali
diritti e libertà ampliandone i contenuti e, soprattutto, inserendoli in testi normativi vincolanti, la cui osservanza
è controllata da organi internazionali, in tal senso DE SALVIA M., La Convenzione Europea dei Diritti
dell’Uomo, Napoli, 1999,p.20.
14
Art. 5- DIRITTO ALLA LIBERTA’ E ALLA SICUREZZA - Ogni persona ha diritto alla libertà e alla
sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, se non nei casi seguenti e nei modi previsti dalla legge a) se è
detenuto regolarmente in seguito a condanna di un tribunale competente; b) se si trova in regolare stato di arresto
o detenzione per violazione di provvedimento emesso, conformemente alla legge, da un tribunale o allo scopo di
garantire l’esecuzione di un obbligo prescritto dalla legge; c)se è stato arrestato o detenuto per essere tradotto
dinanzi all’autorità giudiziaria competente, quando vi sono motivi plausibili di sospettare che egli abbia
commesso un reato o vi sono motivi fondati di ritenere che sia necessario impedirgli di commettere un reato o di
darsi alla fuga dopo averlo commesso; d) se si tratta della detenzione regolare di un minore decisa allo scopo di
sorvegliare la su educazione oppure della sua detenzione regolare al fine di tradurlo dinanzi all’autorità
competente; e) se si tratta della detenzione regolare di una persona suscettibile di propagare una malattia
contagiosa, di un alienato, di un alcolizzato, di un tossicomane o di un vagabondo; f) se si tratta dell’arresto o
della detenzione regolare di una persona per impedirle di entrare illegalmente nel territorio oppure di una
persona contro la quale è in corso un procedimento di espulsione o d’estradizione.
Ogni persona arrestata deve essere informata al più presto e in una lingua a lei comprensibile, dei motivi
dell’arresto e di ogni accusa formulata a suo carico. Ogni persona arrestata e detenuta conformemente alle
condizioni previste dal paragrafo 1 c del presente articolo, deve essere tradotta al più presto davanti a un giudice
o a un altro magistrato autorizzato dalla legge a esercitare funzioni giudiziarie e ha diritto di essere giudicato
entro un termine ragionevole o ad essere messa in libertà durante la procedura. La scarcerazione può essere
subordinata a garanzie che assicurino la comparizione dell’interessato all’udienza. Ogni persona privata della
libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare un ricorso a un tribunale, affinché decida entro
breve termine sulla legittimità della sua detenzione e che ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima.
Ogni persona vittima di arresto o di detenzione in violazione di una delle disposizioni del presente articolo ha
diritto ad una riparazione.