CAPITOLO PRIMO
CONSIDERAZIONI GENERALI SULLA
NORMATIVA IN TEMA DI RECESSO.
SOMMARIO: 1.1 La nascita del diritto di recesso; 1.2 Verso la riforma
della s.r.l.; 1.3 Il “nuovo” diritto di recesso nella s.r.l.: la riforma del 2003;
1.4 Sulle funzioni del recesso; 1.5 I rimedi atti a paralizzare il recesso. In
generale; 1.5.1 a) La revoca della delibera; 1.5.2 (segue): Le cause
legittimanti diverse dalla delibera; 1.5.3 b) Lo scioglimento; 1.6 Il
problema del termine per ricorrere ai rimedi ex art. 2473 comma quinto
c.c.; 1.7 Il potere del socio di revocare il recesso; 1.8 Cenni sul problema
delle lacune e dell’analogia nella nuova disciplina del recesso.
1.1 La nascita del diritto di recesso.
Un primo embrione del diritto di recesso apparve nel nostro
ordinamento con il codice di commercio del 1865, nel quale era
contenuto un generico cenno alle possibilità di recedere dalle
società commerciali
1
. La sua presenza definitiva si ebbe con il
codice di commercio del 1882 che lo introdusse contestualmente
alla previsione del principio maggioritario (fu inquadrato come
principio derogatorio rispetto alla regola per cui un contratto può
essere modificato solo con il consenso di tutti i contraenti
2
; l’idea
era concederlo al socio che dopo avere investito in una società si
fosse trovato in una situazione completamente diversa
3
).
1
R. RORDORF, Il recesso del socio di società di capitali: prime osservazioni
dopo la riforma, in Le Società, 2003, p. 923 ss.
2
A. DACCO’, Il diritto di recesso: limiti dell’istituto e limiti all’autonomia privata
nella società a responsabilità limitata, in Rivista del Diritto Commerciale e del
Diritto Generale delle Obbligazioni, 2004, p. 471 ss.
3
S. PARMIGGIANI, La dichiarazione di recesso del socio di s.r.l., in
Giurisprudenza Commerciale, 2009, p. 529 ss.
1
Inizialmente fu ricondotto alla categoria dei diritti
individuali, ma in seguito si ritenne che il recesso non potesse
essere considerato tale, in quanto il diritto individuale pone un
limite all’operare del principio maggioritario, mentre il recesso
presuppone il pieno operare di quest’ultimo.
La successiva introduzione del recesso nell’ambito del
contratto sociale creò però dei problemi concernenti la stessa
organizzazione che il contratto aveva definito: il diritto in
questione, qualora esercitato, poneva la società nella situazione
di dover liquidare il socio recedente, comportando una
diminuzione delle risorse patrimoniali, con un tale effetto
disgregante, da poter mettere in discussione la sopravvivenza
della stessa, oltre a poter essere pregiudizievole nei confronti dei
terzi creditori.
L’istituto in oggetto fu sempre più messo ai margini. Infatti:
vi fu una graduale riduzione delle ipotesi legittimanti fino ad
arrivare ai pochi casi previsti nel codice civile del 1942; furono
prospettati criteri di liquidazione penalizzanti per il socio
recedente; nella giurisprudenza successiva al codice si radicò la
preoccupazione che il recesso avrebbe messo in pericolo le
aspettative dei creditori sociali che nel capitale sociale trovavano
garanzia di redditività dell’impresa loro debitrice.
Per contro v’era un’obiettiva difficoltà del socio di spogliarsi
delle sue partecipazioni
4
, dato che non v’era un vero e proprio
mercato cui fare riferimento, con il rischio di ritrovarsi
prigioniero della partecipazione e sottoposto ad eventuali abusi
della maggioranza
5
.
4
Circostanza che successivamente contribuì all’introduzione di nuove ipotesi di
recesso.
5
A. DACCO’, Op. Cit., p. 472 ss.; G.V. CALIFANO, Il recesso nelle società di
capitali, Padova, 2010, p. 5 ss.; S. PARMIGGIANI, Op. Cit., p. 529 ss.; A.
CARESTIA, Commento all’art. 2473, in Società a responsabilità limitata (art.
2
Antecedentemente alla “Riforma organica della disciplina
delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della
legge 3 ottobre 2001, n. 366”
6
avvenuta per mezzo del Decreto
Legislativo 17 gennaio 2003 n. 6, al recesso del socio nella
società a responsabilità limitata si applicavano le norme
riguardanti la società per azioni, con alcune variazioni (quindi vi
era una disciplina pressoché unitaria). L’articolo di riferimento,
richiamato per le s.r.l. dall’art. 2494 c.c., era il 2437 c.c. che
disponeva:
“I soci dissenzienti dalle deliberazioni riguardanti il
cambiamento dell’oggetto o del tipo della società, o il
trasferimento della sede sociale all’estero hanno il diritto di
recedere dalla società e di ottenere il rimborso delle proprie
azioni, secondo il prezzo medio dell’ultimo semestre, se queste
sono quotate in borsa, o, in caso contrario, in proporzione del
patrimonio sociale risultante dal bilancio dell’ultimo esercizio.
La dichiarazione di recesso deve essere comunicata con
raccomandata dai soci intervenuti all’assemblea non oltre tre
giorni dalla chiusura di questa, e dai soci non intervenuti non
oltre quindici giorni dalla data dell’iscrizione della
deliberazione nel registro delle imprese.
E’ nullo ogni patto che esclude il diritto di recesso o ne rende
più gravoso l’esercizio”.
Oltre a questi casi, l’art. 2343 c.c., richiamato per le s.r.l. dal
2476 c.c., indicava come ipotesi di recesso la revisione della
stima del valore dei beni in natura o crediti, dalla quale risultasse
un loro valore inferiore di oltre un quinto da quello del
conferimento in origine.
2462 – 2483), in La riforma del diritto societario, a cura di G. Lo Cascio, Milano,
2003, p. 137.
6
Legge 3 ottobre 2001, n. 366 “Delega al governo per la riforma del diritto
societario”, anche detta legge-delega Castelli.
3
In base a tutto ciò il recesso era identificato come strumento
di reazione del socio al potere della maggioranza di introdurre
determinate modificazioni dell’atto costitutivo su condizioni che
avevano determinato il socio recedente nell’investimento
7
.
Esprimeva il conflitto tra due interessi: quello della maggioranza
ad un costante adeguamento dell’organizzazione della società al
variare delle condizioni di mercato o delle situazioni
dell’impresa, e quello della minoranza a non vedere modificata
senza il suo consenso tale organizzazione e le condizioni che
avevano portato all’investimento
8
.
Per i motivi riportati in apertura questo strumento era
utilizzato in via eccezionale, e l’art. 2437 c.c. era interpretato
restrittivamente sia in ordine alla possibilità di stabilire
statutariamente ulteriori ipotesi di recesso (vigeva infatti il
principio di tassatività delle cause di recesso con conseguente
loro limitazione), sia in ordine alla configurabilità di un
meccanismo che consentisse al socio receduto di ottenere un
rimborso della quota idoneo a salvaguardare la sua posizione
economico-patrimoniale
9
.
Era utilizzabile solo in presenza di delibere assembleari di
particolare importanza ed era poco conveniente sul piano
patrimoniale, poiché il socio recedente nelle società non quotate,
come si legge dal vecchio disposto del 2437, poteva ottenere la
liquidazione in proporzione al patrimonio sociale risultante dal
bilancio dell’ultimo esercizio. Il tutto a tutela del principio di
conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, infatti tale
7
P. REVIGLIONO, Il recesso nella società a responsabilità limitata, Milano,
2008, p. 10.
8
F. CHIAPPETTA, Nuova disciplina del recesso di società di capitali: profili
interpretativi e applicativi, in Rivista delle Società, 2005, p. 487.
9
D. GALLETTI, Il recesso del socio nelle società di capitali, Milano, 2000, p. 12;
F. MAGLIULO, Il recesso e l’esclusione, in La riforma della società a
responsabilità limitata, a cura di C. Caccavale, F. Magliulo, M. Maltoni, F.
Tassinari, Milano, 2007, p. 247-248.
4
istituto era considerato un ostacolo allo svolgimento degli affari
sociali
10
.
1.2 Verso la riforma della s.r.l.
Nonostante la necessità di dare vita ad un modello societario
a garanzia limitata si sentisse già in precedenza, l’introduzione
della s.r.l. nel nostro ordinamento avvenne con il codice civile
del 1942, nella prospettiva di sostituire la società per azioni nei
casi in cui questa appariva troppo complessa, date le abituali
ridotte dimensioni dell’azienda (coerentemente a quanto già
avvenuto in più paesi dell’Europa del tempo).
La carenza di tali previsioni fu l’avere istituito un modello
non autonomo, e spesso ispirato, per mezzo di numerosi richiami
ed in loro mancanza di applicazioni analogiche, alla disciplina
del modello a base azionaria. Anzi, a dire il vero, la sola
differenza rispetto a questa era l’impossibilità di emettere azioni
ed obbligazioni, oltre alla ovviamente consequenziale autonoma
regolamentazione della quota di partecipazione
11
.
Altra mancanza del legislatore fu l’eccessiva rigidità nella
tutela del capitale sociale e della stabilità societaria, a dispetto
della minoranza e delle posizioni individuali
12
. Tanto è vero che i
soci molto spesso dovevano subire le variazioni dell’assetto
operate dalla maggioranza, senza poter reagire e restando
10
P. PISCITELLO, Riflessioni sulla nuova disciplina del recesso nelle società di
capitali, in Rivista delle Società, 2005, p. 518-519.
11
F. TASSINARI, Evoluzione storica e tipo normativo, in La riforma della società
a responsabilità limitata, a cura di C. Caccavale, F. Magliulo, M. Maltoni, F.
Tassinari, Milano, 2007, p. 4 ss.
12
N. CIACCIA, Commento all’art. 2473, in Società a responsabilità limitata.
Disciplina, struttura e problemi applicativi, a cura di S. Sanzo, Milano, 2009, p.
155.
5
prigionieri della società, con la conseguenza che i conflitti
intrasocietari usualmente si aggravavano
13
.
La riforma, in base a quanto detto, si inserisce in un quadro
normativo caratterizzato dalla sostanziale identità normativa del
recesso in tutte le società di capitali e dall’intenzione del
legislatore di tutelare il principio maggioritario e la garanzia
patrimoniale dei terzi rispetto all’interesse del socio o dei soci di
minoranza. Situazione che risultava obsoleta di fronte alle ormai
mutate esigenze economiche
14
.
La necessità di staccare le due discipline iniziò a farsi sentire
per mezzo della dottrina, che con alcuni autori ritenne che la
tecnica del richiamo per singoli articoli o addirittura commi fosse
un intendimento esplicito del legislatore, per cui andava preclusa
un’automatica applicazione analogica. Ad essa, tuttavia, andava
criticato che con la tecnica prospettata si avvallavano troppe
lacune normative.
Per ovviare alle presunte carenze venne teorizzato il metodo
tipologico, il quale affermò che a seconda dei casi era possibile
disapplicare le stesse norme della s.r.l. qualora incompatibili al
relativo modello ed applicare in via analogica sia le regole
previste per il modello azionario che quelle in tema di società di
persone
15
.
L’insoddisfazione nei confronti dell’assetto preesistente della
materia fu alla base della relativa riforma. Infatti, è dalla
Relazione Mirone
16
, illustrativa allo schema del disegno di legge
13
P. PISCITELLO, Recesso ed esclusione nella s.r.l., in Il nuovo diritto delle
società, in Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e
G. B. Portale, Torino, 2007, Vol. III, p. 718.
14
G.V. CALIFANO, Il recesso cit., p. 13.
15
F. TASSINARI, Evoluzione storica cit., p. 4 ss.
16
C. RIZZO, Brevi note sulla legge di delega al governo per la riforma del diritto
societario: la società a responsabilità limitata, in Rivista del Notariato, 2002, p.
1191 ss., ricorda che la Commissione Mirone fu istituita nel 1998 e presentò uno
6
in materia, che si evince la necessità di andare oltre alla rigidità
ed agli oneri eccessivi che caratterizzavano questo modello
societario, espandendolo rispetto a quello della società per azioni
e delle società di persone. Pertanto si riteneva di dover adeguare
la disciplina dei modelli societari alle esigenze economiche delle
imprese: l’s.r.l. non doveva sopportare gli stessi vincoli del
modello azionario, perché composta principalmente da soci
imprenditori, e non da soci risparmiatori (come accade nella
s.p.a.), giacché non è possibile in essa ricorrere al capitale di
rischio
17
.
In sintonia a quanto detto l’Art. 3.1 della L. 366/2001 recita:
“La riforma della disciplina della società a responsabilità
limitata è ispirata ai seguenti principi generali:
a) prevedere un autonomo ed organico complesso di norme,
anche suppletive, modellato sul principio della rilevanza
centrale del socio e dei rapporti contrattuali tra i soci;
b) prevedere un’ampia autonomia statutaria;
c) prevedere la libertà di forme organizzative, nel rispetto del
principio di certezza nei rapporti con i terzi”.
Insomma si avvertiva la necessità di affrancare la normativa
della s.r.l. da quella della s.p.a., disciplinandola in modo
semplificato (adeguandola ai principi comunitari) e modellandola
dando rilevanza centrale al socio ed ai rapporti contrattuali tra
soci (legati spesso da forti vincoli personali, date le usuali
dimensioni ridotte dell’impresa) piuttosto che alle azioni come
avveniva nelle s.p.a. In essa avrebbe dovuto ritrovarsi un’ampia
autonomia dei soci nel definire il proprio modello organizzativo,
in modo meno oneroso dal punto di vista amministrativo (come
accade nelle società di persone cui ora la s.r.l. è avvicinata). Tale
schema di legge delega che fu approvato il 26 maggio 2000, il quale divenne Legge
366/2001.
17
G. ZANARONE, Introduzione alla nuova società a responsabilità limitata, in
Rivista delle Società, 2003, p. 58 ss.
7
modello avrebbe dovuto essere preferibile per le imprese a
ristretta base sociale
18
.
Tutto ciò era volto al più generale fine di incrementare la
produttività del sistema economico favorendo la nascita, la
crescita e la competitività delle imprese sia a livello nazionale
che internazionale, conformando il nostro ordinamento a quelli
del resto d’Europa per evitare pregiudizi all’economia nazionale
derivanti da una minore appetibilità di esso
19
(si tratta di obiettivi
legati imprescindibilmente alla capacità innovativa dell’impresa,
la quale è dipendente dalle scelte dell’imprenditore - per questo
l’ordinamento doveva limitare nel minor modo possibile queste
ultime, ma sempre nel rispetto degli interessi coinvolti)
20
.
Quindi, per chiarire, nel progetto riformatore del diritto delle
società di capitali non quotate, la Commissione Mirone ha
indicato, quale principio guida nella concreta elaborazione delle
nuove norme, la concezione delle compagini quali soggetti
gestori d’impresa e quindi bisognevoli di una disciplina semplice
ed elastica della loro organizzazione e dei modi di formazione
delle relative decisioni, realizzabile soprattutto mediante lo
strumento dell’autonomia statutaria, quale potere dei soci in sede
costituente e dell’assemblea durante la vita della società, di
18
V. SALAFIA, La bozza di legge delega Mirone di riforma del diritto societario e
l’autonomia statutaria, in Le Società, 2000, p. 1421 ss.; M. PERRINO, La
“rilevanza del socio” nella s.r.l.: recesso, diritti particolari, esclusione, in
Giurisprudenza Commerciale, 2006, p. 810 ss., e in La nuova disciplina della
società a responsabilità limitata, a cura di V. Santoro, Milano, 2009, p. 106 ss. V’è
chi, come F. GALGANO, R. GENGHINI, Le nuove società di capitali e
cooperative, Tomo I, in Il nuovo diritto societario, in Trattato di diritto
commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da F. Galgano, Padova,
2006, Vol. XXIX, p. 785, ritiene che oggi le s.r.l. siano un tipo intermedio fra le
s.p.a. e le società di persone.
19
G. ALPA, La riforma del diritto societario, percorsi di lettura, in Vita Notarile,
2003, p. 6; A. NIGRO, La società a responsabilità limitata nel nuovo diritto
societario: profili generali, in La nuova disciplina delle società a responsabilità
limitata, a cura di V. Santoro, Milano, 2009, p. 5.
20
G. ZANARONE, Introduzione cit., p. 58 ss.;
8
elaborare regole di organizzazione e funzionamento adatte al tipo
di attività economica svolta dalla società ed al contesto in cui
essa opera
21
. Infatti, nella Relazione che accompagna il progetto
di legge delega, si legge che “l’intento di fondo del progetto di
riforma è quello di porre a disposizione degli imprenditori
diversi modelli normativi, tra i quali gli stessi possono
liberamente scegliere a seconda delle loro esigenze”.
22
Con l’approvazione della bozza Mirone va evidenziato che si
esclusero automatismi nell’adozione di modelli societari (così
come auspicato dall’art. 2 lett. e) della legge delega): ai soci fu
riconosciuta ampia libertà di scelta del modello reputato più
adatto (sia in materia di vita interna che di rapporti tra membri)
23
,
indipendentemente dalla dimensione dell’azienda e dal numero di
essi, il quale andava valutato volta per volta in base alla maggior
convenienza. Certo però i due modelli, s.p.a. ed s.r.l., andavano
differenziati significativamente in modo da rispondere l’uno alle
esigenze delle grandi compagnie societarie e l’altro a quelle delle
piccole
24
, contrariamente a quanto avvenuto nella realtà fino a
quel momento dove il fatto che la s.r.l. fu plasmata dal legislatore
del 1942 sulle regole della s.p.a. portò a trasferirne le stesse
rigidità ed oneri, con conseguente diffusissimo ricorso a questo
secondo tipo ed ovvia marginalizzazione del primo anche in casi
dove l’uso del modello azionario non avrebbe dovuto esservi.
Non mancavano comunque situazioni opposte.
Quanto detto è testimoniato dalla delega contenuta nella
Legge 3 ottobre 2001 n.366, che aveva individuato le linee guida
della riforma in tema di recesso. Dal testo si desume fosse
21
V. SALAFIA, La bozza cit., p. 1421 ss.
22
P. MONTALENTI, La riforma del diritto societario nel progetto della
Commissione Mirone, in Giurisprudenza Commerciale, 2000, p. 378 ss.
23
G. ALPA, Op. Cit., p. 6.
24
V. SALAFIA, La riforma del diritto societario dalla bozza Mirone alla legge
delega, in Le Società, 2001, p. 1293.
9
necessario puntare all’apertura dell’istituto nei confronti
dell’autonomia statutaria ed alla determinazione di criteri di
calcolo del valore di rimborso della quota idonei a tutelare il
recedente, salvaguardando al contempo l’integrità del capitale
sociale e gli interessi dei creditori sociali
25
. Infatti, all’art. 3.2
viene disposto che:
“…la riforma è ispirata ai seguenti principi e criteri direttivi:
…
f) ampliare l’autonomia statutaria con riferimento alla
disciplina del contenuto e del trasferimento della partecipazione
sociale, nonché del recesso, salvaguardando in ogni caso il
principio di tutela dell’integrità del capitale sociale e gli
interessi dei creditori sociali; prevedere, comunque, la nullità
delle clausole di intrasferibilità non collegate alla possibilità di
esercizio del recesso;
…”
In sintesi il leitmotiv della riforma era la valorizzazione del
carattere imprenditoriale della società, e del socio nel quadro
della governance della società (ben cinque degli otto principi
sanciti dalla legge delega all’art. 2 fanno riferimento a questo)
26
.
1.3 Il “nuovo” diritto di recesso nella s.r.l.: la riforma del
2003.
La riformulazione dell’istituto muove dall’inadeguatezza
della precedente disciplina rispetto a modelli tipologicamente
“chiusi”, in cui la mancanza di un mercato per le partecipazioni
25
E. BERGAMO, Il diritto di recesso nella riforma del diritto societario, in
Giurisprudenza Italiana, 2006, p. 142 ss.
26
S. FORTUNATO, I principi ispiratori della riforma delle società di capitali, in
Giurisprudenza Commerciale, 2003, p. 728 ss.; M. PERRINO, La “rilevanza del
socio” cit., p. 114 ss.
10
sociali, rendeva le stesse in concreto non negoziabili o
negoziabili solo all’interno della società. In questo modo la
minoranza non era protetta da comportamenti e scelte
opportunistici della maggioranza
27
.
In termini generali, con la riforma del 2003 s’è realizzata
l’auspicata diversificazione tra s.p.a. ed s.r.l. (nella quale, come
voluto, si da più importanza al socio ed ai rapporti contrattuali tra
soci), che d’ora in avanti son da considerarsi come due modelli
alternativi e differenziati
28
. Alla s.r.l. è attribuito uno statuto
legale più flessibile ed appetibile (dato che si tratta di imprese
non facenti ricorso al capitale di rischio) con un netto
avvicinamento alle società di persone, più snelle e semplici.
Mentre qualora vi fosse propensione all’accesso al mercato dei
capitali di rischio e di credito vengono apprestati i modelli
azionari
29
.
Riguardo al recesso sorprende l’entrata in vigore di un
numero esponenziale di disposizioni che ora regolano tale
istituto, che hanno portato al superamento del principio di
tassatività riconoscendo un ampio ruolo all’autonomia statutaria
nel definire le possibili cause di recesso
30
. Tale normativa nelle
s.r.l. è comunque “sintetica” se paragonata a quella degli articoli
2437 e seguenti previsti per le s.p.a.
31
.
Dall’1 gennaio 2004, con l’entrata in vigore del Decreto
Legislativo 17 gennaio 2003, n. 6, l’atteggiamento di diffidenza
27
S. MASTURZI, Commento all’art. 2473, in La riforma delle società, a cura di
M. Sandulli e V. Santoro, Torino, 2003, p. 82.
28
E. SPANO, Prime riflessioni sulla nuova s.r.l., in Le Società, 2003, p. 1184 ss.
29
M. STELLA RICHTER Jr., Di alcune implicazioni sistematiche della
introduzione di una nuova disciplina per le società a responsabilità limitata, in
Giustizia Civile, 2004, p. 11 ss.; M. PERRINO, La nuova s.r.l. nella riforma delle
società di capitali, in Rivista delle Società, 2002, p. 1118 ss.
30
R. RORDORF, Il recesso cit., p. 923 ss.
31
D. GALLETTI, Commento all’art. 2473, in Il Nuovo Diritto delle Società, a cura
di A. Maffei Alberti, Padova, Vol. III, 2005, p. 1903.
11