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INTRODUZIONE
La storia dell’istituto del recesso, nell’ambito della disciplina delle
società per azioni, è storia tormentata e, al contempo, peculiare, segnata da
progressive mutilazioni sullo sfondo di aspre contrapposizioni di interessi e
di opinioni.
Se, infatti, all’origine è dato riscontrare un certo equilibrio fra
estensione del principio maggioritario e previsione del recesso, non ancora
ridotto a soli tre casi, la successiva evoluzione legislativa denota, pur fra
contrasti di notevole risonanza nelle sedi elaborative, un sostanziale
disfavore del legislatore nei confronti dell’istituto, tale da farlo fondatamente
apparire come del tutto eccezionale.
Tale carattere si manifesta, con tutta evidenza, già nel vigore
dell’abrogato codice di commercio, il cui art. 158 limitava il recesso a casi
specificamente individuati, ammettendolo peraltro nelle ipotesi di aumento
del capitale e di fusione. Nella relazione Mancini esso era spiegato in
termini di facoltà eccezionale, concessa a salvaguardia di chi, dopo aver
concorso «con una somma determinata ad una società avente un certo
scopo», possa essere «da un voto dell’assemblea generale travolto in una
società diversa». Si precisava, nondimeno, che un tale diritto «sarebbe
esiziale alla società, se potesse venire abusato»dovendo quindi essere
«ristretto nei limiti rigorosi».
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Le successive restrizioni presero avvio dalla legge (L. 1-4-1915, n.
431) che sospendeva il recesso limitatamente alle fusioni deliberate entro lo
stesso anno d’entrata in vigore del provvedimento. Significativo, agli effetti
della comprensione dei motivi di fondo che hanno determinato questa prima
breccia nella disciplina codicistica del recesso, è l’acceso dibattito che l’ha
preceduta. Da un lato, asserito che il recesso costituiva «l’unica garanzia
anzi l’unico diritto spettante alle minoranze», si giudicavano le nuove
disposizioni «un ulteriore modo di asservimento del piccolo al grande
capitale»; dall’altro, si riteneva invece «.assurdo, perché contraddittorio,
pretendere che la forza unitaria collettiva delle grandi società anonime
debba essere indebolita per un’eccessiva cura degli interessi o dei capricci
dei minuscoli azionisti».
Le esigenze dell’organizzazione corporativa e, in generale, del
sistema delle società di capitali dovevano prevalere nelle scelte del
legislatore sull’interesse del singolo, se successivi provvedimenti, approvati
negli anni venti e negli anni trenta, hanno progressivamente ridotto le
possibilità di recesso per il socio con l’eliminazione delle ipotesi di aumento
del capitale e di fusione, favorendo in tal modo le dinamiche societarie, che
si erano in quegli anni intensificate con processi di integrazione e di
concentrazione aziendale.
Il legislatore del ’42, consentendo al socio di recedere in tre ipotesi
tassative, ha inteso dare un assetto più definito di quanto non avesse fatto
in passato ai rapporti interni di potere fra maggioranza e minoranze
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azionarie: la maggioranza, se può modificare gli elementi essenziali del
contratto sociale, non ha alcun potere d’impedire al socio che dissente di
recedere nelle ipotesi previste, essendo nullo- secondo quanto dispone
l’ultimo comma dell’attuale art. 2437c.c.- «ogni patto che esclude il diritto di
recesso o ne rende più gravoso l’esercizio»
L’istituto è stato profondamente segnato dall’opera del legislatore
dell’ultima riforma societaria ed il risultato riflette l’intento di apprestare in
materia una disciplina molto circostanziata e particolarmente attenta alla
considerazione degli interessi del soggetto che recede dal contratto di
società.
Si è detto che la nuova disciplina del recesso sia addirittura indicativa
di un mutamento di politica del diritto societario, che in un certo senso si
muoverebbe da una prospettiva di tipo istituzionalistica (che privilegia
l’interesse della società quale istituzione di gruppo) a una prospettiva più
centratamente contrattualistica (che attribuisce maggior rilievo alle esigenze
del singolo partecipante al contratto sociale).
Per tradizione il diritto di recesso costituisce uno strumento di tutela
del socio, ed in generale delle minoranze, a fronte di modificazioni anche
radicali dell’assetto contrattuale della società. D’altronde l’esigenza di
consentire un adattamento costante della società alle mutazioni della realtà
economica, non può essere frustrata dall’interesse contrario della
minoranza a mantenere inalterato l’assetto contrattuale originario.
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Un contemperamento fra le descritte opposte esigenze, si realizza nel
riconoscimento in favore del socio dissenziente (rispetto ad una data
delibera) di un diritto di recesso, esperibile in presenza di determinati
cambiamenti dell’atto costitutivo.
Tuttavia nel sistema normativo in essere sino alla riforma della
disciplina delle società di capitali, le potenzialità protezionistiche insite nel
diritto di recesso sono state fortemente compromesse dalla previsione di
una disciplina sul rimborso della partecipazione di netto sfavore per il socio
recedente. Con l’attuale riforma si assiste ad una vera e propria inversione
di tendenza da parte del legislatore, orientato nel senso di incentivare il
ricorso a questo istituto, che viene affidato per molti versi anche alla
discrezionalità ed all’autonomia statutaria.
Con riferimento alle società per azioni, l’art.4, comma 9, lett d) della
Legge 3 ottobre 2001, n.366, recante la “Delega al Governo per la riforma
del diritto societario” («Legge Delega») prescrive al legislatore delegato di
operare una “revisione” della disciplina del recesso del socio, «prevedendo
che lo statuto possa introdurre ulteriori fattispecie di recesso a tutela del
socio dissenziente, anche per il caso di proroga della durata della società»,
nonché attraverso l’individuazione di «criteri di calcolo del valore di rimborso
adeguati alla tutela del recedente, salvaguardando in ogni caso l’integrità
del capitale sociale e gli interessi dei creditori sociali».
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Nel sistema previgente era stabilita una disciplina, attraverso
l’art.2437 c.c. ante riforma, che consentiva il diritto di recesso nell’ipotesi di
delibere riguardanti:
a) Il cambiamento dell’oggetto;
b) Il cambiamento del tipo della società;
c) Il trasferimento della sede sociale all’estero.
Occorre osservare che le suddette cause di recesso erano ( e sono
ancora attualmente) inderogabili e quindi ineliminabili per via statutaria.
Nell’attuale sistema, la disciplina del recesso del socio dalla società
viene profondamente modificata, e ciò essenzialmente con riguardo: alla
previsione di nuove e ulteriori fattispecie di recesso; alla maggiore ampiezza
delle regole in materia; alla introduzione di discipline ad hoc per le diverse
tipologie di società di capitali; alla individuazione dei criteri di calcolo del
valore di rimborso del capitale al socio recedente più adeguati alla
protezione del recedente, ferma restando la tutela dell’integrità del capitale
sociale e degli interessi dei creditori sociali; alla previsione del recesso
parziale dalla società.
La ricerca qui condotta, malgrado la penuria di contributi di carattere
monografico dedicati all’argomento, muoverà dalle indicazioni dottrinali e
giurisprudenziali fornite in base al vigente testo normativo, al fine di
pervenire alla comprensione dell’istituto nella nuova configurazione data
dalla recente riforma.
Il lavoro è stato articolato in quattro capitoli dal seguente contenuto:
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• Nel capitolo I° cominceremo spiegando la natura giuridica e la
funzione del recesso, nonché i diversi aspetti della legittimazione a
tale diritto;
• Nel II° capitolo costituiranno oggetto di indagine le singole
fattispecie di recesso nel tentativo di chiarire i dubbi interpretativi,
cui hanno dato luogo nel previgente testo, alla luce della riforma;
• Nel III° capitolo si svilupperanno temi quali: la modalità di esercizio
del diritto di recesso; la determinazione dell’esatto momento in cui
si determina la fuoriuscita del socio recedente dalla compagine
societaria; i criteri di liquidazione della partecipazione azionaria;
• Nel IV° capitolo, infine, avrà sede l’analisi dottrinaria delle
conseguenze che la liquidazione delle azioni del socio recedente
esplica sull’integrità del capitale sociale.
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Capitolo I - Legittimazione all’esercizio del diritto di recesso
1. Premessa
Il diritto di recesso fu introdotto nell’ordinamento giuridico italiano dal
codice commerciale del 1882
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in concomitanza con l’espressa previsione
della legittimità di modifiche a maggioranza dello statuto societario, e venne
previsto con riferimento ai casi di fusione, reintegrazione o aumento di
capitale, cambiamento dell’oggetto sociale e proroga della durata della
società.
Temendo le ricadute che il recesso avrebbe potuto avere sulla
stabilità patrimoniale dell’impresa laddove fosse stato lasciato
all’autoregolamentazione dei soci, il legislatore italiano procedeva nel corso
degli anni a circoscriverne rigidamente l’ambito di applicazione. Dopo una
serie di interventi legislativi di natura speciale volti a sospendere l’operatività
di alcune cause di recesso
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, il processo legislativo di definizione dell’istituto
trovava compimento con il codice civile del 1942, che delimitava le ipotesi di
recesso indicando tassativamente fattispecie e criteri di valutazione della
partecipazione del socio uscente.
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Nell’art. 163 del cod. comm. 1865 si faceva un generico cenno alla possibilità di recesso dalle società
commerciali. L’istituto non trovava però una sua regolamentazione e non era agganciato alla problematica
delle modifiche statutarie: si prevedeva semplicemente che dovesse «risultare da espressa dichiarazione o
deliberazione dei soci».
2
Su tutte si veda la legge 1 aprile 1915 n.431 in cui il recesso fu abolito per il caso di fusione senza
cambiamento dell’oggetto sociale e di aumento di capitale.
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La riforma societaria intervenuta nell’attuale legislatura ha
ulteriormente modificato le fattispecie di recesso del socio da Società per
Azioni, introducendo cause di recesso necessarie ineliminabili, cause di
recesso previste in principio ma eliminabili, altre cause di recesso, oltre
quelle legali, previste dallo statuto.
Per un più corretto ed approfondito studio della normativa riguardante
il diritto di recesso nel nuovo ordinamento societario, riteniamo opportuno
affiancare la vecchia alla nuova normativa, ponendo in evidenza in che
misura il legislatore societario abbia accolto le discussioni dottrinali che
riguardano l'argomento.
Poniamo pertanto dapprima lo sguardo sui singoli soggetti legittimati
ad esercitare il diritto di recesso.
2. Soggetti legittimati al recesso
-soci assenti e dissenzienti
La nuova formulazione dell'art. 2437 c.c. prevede che «Hanno diritto
di recedere, per tutte o parte delle loro azioni, i soci che non hanno
concorso alle deliberazioni riguardanti: ………».
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La norma sopra riportata risolve diverse discussioni dottrinali che
riguardavano appunto quale socio fosse legittimato ad esercitare il diritto di
recesso. Il vecchio art. 2437 c.c.
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, situandosi sulla scia dell'art.158 cod.
comm., ed in maniera del tutto omogenea a tutte le altre norme sul recesso
presenti nel nostro ordinamento, si limita laconicamente a concedere facoltà
di recesso ai soci che hanno dissentito dalle deliberazioni ivi elencate. Non
è espressamente prevista, nel comma 1° del citato articolo, la legittimazione
al recesso del socio assente; ma non vi è dubbio che ne sia abilitato, visto
che – per il 2° comma dello stesso articolo – la comunicazione va fatta «dai
soci non intervenuti non oltre quindici giorni dalla data dell’iscrizione della
deliberazione nel registro delle imprese». Dovrà trattarsi di soggetto che, al
momento dell'assemblea, abbia conseguito lo status socii, e, quindi,
acquistato le azioni prima della data dell'assemblea, nonostante manchi
ancora l'iscrizione nel libro dei soci
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Art.2437 Diritto di recesso- I soci dissenzienti dalle deliberazioni riguardanti il cambiamento dell'oggetto o
del tipo di società, o il trasferimento della sede sociale all'estero hanno diritto di recedere dalla società e di
ottenere il rimborso delle proprie azioni, …
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Il problema, che si pose al tempo delle note vicende relative alla fusione fra Montedison e Ferruzzi
Agricola, è stato correttamente risolto dal Comitato direttivo degli agenti di cambio della Borsa Valori di
Milano, nel Comunicato del 26-10-1990, n. 2529, nel senso che gli acquisti in borsa «dovranno essere
avvenuti, per consentire il recesso, ad una data che preveda nel calendario ufficiale la liquidazione di borsa
per il giorno antecedente l'assemblea». V. anche S. Luoni, Osservazioni in tema di vendita a termine di
azioni, fusione e diritto di recesso, nota ad App. Milano 12-3-2002, in Giur. It., 2002, 2103, e analogamente
I. Ferrari, nota a Trib. Lecco, 1-12-2000, in Riv. Dir. Priv.,2001, 693.