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Capitolo I
Profili definitori
Sommario. 1. Considerazioni preliminari in ordine all‟oggetto. – 2. La problematica
individuazione di un valido discrimen tra reati omissivi propri e impropri.
1. Considerazioni preliminari in ordine all’oggetto
L‟indagine alla quale la presente trattazione aspira ad elargire
spessore critico e riflessivo si incentra sulla fattispecie descritta dall‟art. 40
cpv., il quale si inserisce nell‟alveo di quelle clausole generali di
incriminazione suppletiva per il tramite delle quali è possibile individuare
nuove forme di incriminazioni; clausole di incriminazione suppletiva che si
inseriscono nel più ampio quadro delle forme di manifestazione del reato,
espressione utilizzata per individuare fattispecie delittuose che nascono
dalla combinazione di fattispecie generali con quelle di parte speciale, alle
quali la clausola generale si riferisce: in forza di questa combinazione, in
altri termini, acquistano rilievo nuove fattispecie incriminatrici, sicché
viene in rilievo un secondo livello – talora persino un terzo livello - di
incriminazione atipica.
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Pur non potendosi procedere, in questa sede, ad un‟analisi del più
ampio tema delle forme di manifestazione del reato appare sentita, tuttavia,
la necessità di rilevare le incertezze nutrite intorno al significato
dell‟espressione de qua: l‟orientamento prevalente, oggi, si avvale di questa
espressione solo per esigenze di natura scientifica, <<indicando [con essa]
la molteplicità dei problemi nascenti dalla combinazione tra alcune
disposizioni della parte generale con le singole fattispecie incriminatrici di
parte speciale>>
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.
Circoscritto, sebbene liminarmente, l‟oggetto e l‟ampiezza della
fattispecie che si intende indagare, la presente trattazione si concentrerà
essenzialmente su quattro aree tematiche:
1) l‟evoluzione storica dell‟istituto, il cui percorso appare essenziale per un
adeguata comprensione delle sue radici, intrise di connotazioni che
spiccano al confine tra forma e sostanza, tra diritto ed etica;
2) l‟individuazione delle componenti strutturali della fattispecie, al fine di
porre nel dovuto rilievo la posizione che si intende assumere in ordine ai
suoi rapporti con le altre tipologie delittuose;
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Così L. RISICATO, Combinazione e interferenza di forme di manifestazione del reato, Milano, 2001, p. 35,
monografia alla quale si rinvia per una disamina approfondita sulle forme di manifestazioni del reato.
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3) il valore da attribuire alla posizione di garanzia quale centro di
imputazione di riflessi storici e dogmatici nella corretta configurazione
dell‟ambito di operatività dell‟istituto;
4) il delicato e complesso problema connesso al rapporto tra l‟art. 40 cpv. e
le altre clausole di incriminazione suppletiva.
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2. La problematica individuazione di un valido discrimen tra reati omissivi
propri e impropri.
Un‟analisi di tal guisa impone preliminarmente la necessità di
chiarire l‟aspetto formale del fenomeno che si intende circoscrivere, aspetto
che è espressivo del contenuto di cui all‟art. 40 cpv., dal momento che
talune difficoltà si stagliano già dal punto di vista definitorio, relativamente
all‟ individuazione di quell‟espressione, scevra di possibili contraddizioni,
che sia in grado di condensare efficacemente il contenuto della formula
<<Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire,
equivale a cagionarlo>>. Si tratta di un problema la soluzione del quale
non può non tenere in debita considerazione la necessità di individuare un
idoneo criterio di distinzione nell‟ambito degli stessi reati omissivi.
Sulla base di un primo orientamento
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i reati omissivi si
distinguerebbero in reati omissivi propri e reati omissivi impropri
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,
caratterizzati gli uni dalla circostanza che ad essere violata sia una norma di
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LUDEN, Abhondlungen aus dem gemeinen reutschen Strafrechj, 2. Band, Ueber den Thatbestand des
Verbrechens, Göttingen, 1840, p. 219-220, dottrina citata da GRASSO, Il reato omissivo improprio, 1983,
Milano.
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Una parte della dottrina (in particolare CADOPPI, Il reato omissivo proprio, I, Padova, 1988, p. 394)
sostiene la possibile configurabilità di una terza categoria, rappresentata dai reati quasi-impropri, i quali
integrerebbero solo apparentemente ipotesi di pura omissione trattandosi, invero, di fattispecie di
omesso impedimento dell’evento a consumazione anticipata (in questi termini si connoterebbe, ad
esempio, la fattispecie di omesso soccorso). Si tratta di un criterio non condivisibile perché la distinzione
proposta propone di ricorrere al parametro dell’evento, il quale non è in grado di mettere bene in rilievo
gli aspetti peculiari delle figure nascenti dall’incontro tra la clausola generale e la fattispecie di parte
speciale (in tal senso GRASSO, Il reato omissivo improprio, Milano, 1983, p. 8).
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comando, impositiva di un facere, gli altri dalla circostanza che ad essere
violata sia una norma di divieto. In questo senso, osserva il Vannini, il
problema non consisterebbe tanto nell‟individuazione di un criterio
discretivo nell‟ambito dei reati omissivi, quanto piuttosto
nell‟individuazione dello stesso sul piano della commissione, sicché è
possibile rilevare come, anche nel reato omissivo improprio, la norma alla
quale il comportamento antigiuridico contravviene, non può che
estrinsecarsi in un comando di azione
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.
Un diverso orientamento
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, che sembra trovare larghi consensi – e
al quale sembra opportuno riferirsi - propone di ricorrere ad un criterio di
distinzione formale, individuando quale discrimen di riferimento la
circostanza che, mentre i reati omissivi propri
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ricevono un‟espressa
tipizzazione da parte del legislatore nella parte speciale, siffatta
tipizzazione difetta nei reati omissivi impropri, la cui incriminazione si
realizza per il tramite di un‟ operazione di rilievo ermeneutico, che si
estrinseca nella combinazione tra la clausola generale di parte generale e
una fattispecie, compatibile con detta clausola, di parte speciale.
Il discrimen proposto consente di operare una duplice valutazione: intanto
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VANNINI, I reati commissivi mediante omissione, Roma, 1916, p. 49.
5
KAUFMANN, Methodische Probleme der Gleichstellung des Unterlassen mit der Begehung, in Juristiche
Schulung, 1961, p. 173-174, citato da GRASSO, Il reato commissivo, p. 5.
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Come osserva MARINUCCI-DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, Giuffré, Milano,
2003, p. 131, i reati omissivi propri di mera omissione sono quelli nei quali il legislatore reprime: “il
mancato compimento di un’azione giuridicamente doverosa”.
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un reato omissivo improprio potrà definirsi tale in quanto ad essere violata
sia una norma di comando, impositiva di una condotta positiva volta ad
impedire l‟evento; corollario di tale rilievo è la circostanza che
l‟espressione <<reati omissivi impropri>> appare non acconcia a
circoscrivere il fenomeno, ragione per la quale, se si intende presidiare il
ricorso all‟espressione in discorso, occorrerebbe riferire l‟improprietà
dell‟omissione al fatto che le fattispecie de quibus nascono dalla
trasformazione di norme nate, in origine, per sanzionare ipotesi
commissive.
In definitiva: mi sembra più opportuno, al fine di evitare
fraintendimenti terminologici, ricorrere all‟espressione <<delicta per
omissionem commissa>>
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.
Di rilievo appaiono, inoltre, le osservazioni alle quali è pervenuta una parte
della dottrina in ordine all‟insufficienza delle teorie atte ad individuare il
discrimen tra i reati omissivi propri ed impropri, posto che nessuna delle
tesi prospettate sarebbe in grado di cogliere le peculiarità connotanti il
diverso tipo di responsabilità omissiva nascente dalla mancata osservanza
di obblighi di agire di natura diversa: secondo questo orientamento è sulla
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I reati commissivi mediante omissione – secondo la definizione di FIANDACA-MUSCO, Manuale di
diritto penale, parte generale, Zanichelli, Bologna, 2001, p. 542, consistono, come è noto, nel mancato
compimento di un’azione giuridicamente doverosa imposta per impedire il verificarsi di un evento tipico
ai sensi di una fattispecie commissiva base, ossia di una fattispecie nata originariamente per punire un
fatto caratterizzato da un comportamento positivo.
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base della necessaria distinzione tra obbligo di garanzia, obbligo di attivarsi
e obbligo di sorveglianza che sarebbe possibile apprezzare l‟incapacità dei
criteri discretivi proposti, i quali finiscono per ricomprendere nell‟una o
nell‟altra categoria di illecito, ipotesi tra loro eterogenee
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.
La categoria della quale si intende porre in essere l‟indagine
racchiude in re ipsa una molteplicità di problemi di carattere applicativo,
che di certo destano interesse e motivo di riflessione, problemi
segnatamente connessi alla necessità di verificare in quale misura questa
clausola generale di incriminazione suppletiva risulti consentanea ai
principi che sorreggono il diritto penale nelle sue diverse estrinsecazioni,
principi tra i quali rileva, in particolare, quello di legalità nel suo diverso
atteggiarsi, ora come riserva di legge, ora in termini di tassatività o
sufficiente determinatezza, ed infine, come divieto di analogia in malam
partem. Gli indefettibili interrogativi che interessano questa fattispecie
convergono, infine, nell‟imposta necessità di rinvenire un fondamento di
origine normativa dell‟obbligo di impedire l‟evento, origine per la ricerca
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Così I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, Torino, 1999, p. 7.
L’autrice (p. 10) osserva inoltre che <<quanto al criterio tradizionale (il criterio che utilizza l’evento
quale parametro discretivo), esso può soltanto svolgere una limitata funzione descrittiva *…+; quanto al
più recente criterio della tecnica di tipizzazione, esso presenta un valore puramente contingente, legato
alla formulazione positiva delle norme, ma poco o per nulla significativo in relazione alla diversa
struttura delle singole fattispecie omissive>>. Sebbene di rilievo si propongano tali considerazioni, non
sembra che si possa negare il pregio del criterio di tipizzazione, il quale ha comunque il merito non solo
di superare gli inconvenienti derivanti dal criterio tradizionale, ma anche di porre l’accento sulla
necessità di un’operazione di rilievo ermeneutico atta a consentire la configurabilità di una
responsabilità penale rispetto a fattispecie di per sé atipiche.
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della quale non è possibile prescindere da un‟attenta, ma al tempo stesso
concisa, indagine storica.