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l’organizzazione dello spazio all’interno dello stesso, lo sviluppo di abilità artistiche che gli
permettano attraverso l’autoproduzione di portare avanti anche un discorso culturale.
Il rischio di una tale prospettiva decostruttiva e libertaria infatti è quella di ricadere in
espressioni totalmente nichiliste che nell’esperienza inglese portarono violenza e
ladrocinio e con essi forti contraddizioni all’interno della scena traveller.
In risposta a questa degradazione totale ad un certo punto le posse di traveller che
organizzavano feste di musica tekno si unirono al circuito degli storici festival hippy.
In questo contesto dove il valore della vita viene rielaborato e non distrutto si forma nel
1991 uno dei primi Sound System, gli Spiral Tribe, punto di riferimento ‘ideologico’ per
l’intera scena europea.
La differenza fondamentale tra le altre feste di musica elettronica in discoteca e i tekno
party, era ed è quello di sancire l’amore tra il viaggio fisico e mentale, come metafora di
una vita ritmata da continui processi di ricerca e di liberazione attraverso percorsi di
sovversione metropolitana.
Il governo inglese si rese immediatamente conto della potenzialità trasgressiva di queste
feste e dell’impossibilità di gestire e regolamentare occupazioni di spazi privati o pubblici
da parte di decine di migliaia di persone e per questo mise a punto una serie di
provvedimenti legislativi che resero a questo movimento la vita impossibile e costrinsero le
tribes inglesi, la travelling nation, a spostarsi oltremanica.
In un primo momento approdarono in Francia, dove lo scenario si espanse a macchia
d’olio con la proliferazione di tribes, pubblicazioni ed etichette tekno-sovversive, che
attraverso l’evocazione di un caos analogico-digitale si proponevano di liberarsi da una
società postmoderna che impone il consumo informazionale come unico strumento di
appagamento.
Da lì il fenomeno si allargò ulteriormente verso il resto d’Europa e quindi in Italia dove le
prime feste organizzate da Spiral Tribe e da altre posse inglesi e francesi ebbero luogo
intorno al 1994 e furono destinate ad avere un largo seguito, con la formazione di tribes
indigene che cominciarono ad organizzare settimanalmente i free party nelle zone limitrofe
alle principali città come Milano, Torino, Bologna e Roma.
Il rave party è quindi un fenomeno metropolitano e la sua tipica ubicazione è una fabbrica
abbandonata, più o meno vicina al centro cittadino, che viene occupata temporaneamente;
per raves che assumono le dimensioni di festival (ovvero le migliaia di persone) nella
stagione estiva vengono scelti anche luoghi di migliore impatto naturalistico come basi
militari abbandonate e sponde di fiumi e laghi.
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L’evento viene pubblicizzato tramite un flyer, cioè una specie di locandina contenente un
numero di telefono detto infoline che viene distribuito nei centri sociali o in alcuni punti
focali di ritrovo nelle città più grandi e pubblicato su siti internet dedicati. Solitamente il
luogo non è ancora stato scelto al momento della messa in circolazione del volantino e per
questo motivo a poche ore dall’inizio della festa viene attivata l’infoline attraverso la quale
si ricevono le indicazioni stradali per arrivare nel luogo che è stato nel frattempo
individuato.
Nonostante la fondamentale importanza del materiale informativo citato, le informazioni
circolano principalmente attraverso una fitta rete informale di conoscenze che con questo
scambio di notizie cementa l’unione della comunità raver. Il rave infatti gira intorno alle
persone e vive e si alimenta della loro volontà di condividere il bisogno di caos, di rumore
e di apertura verso universi conoscitivi negati dall’ipocrisia del buonsenso e dai ritmi
alienanti della produttività.
Il fatto che si denomini ‘free’ è una caratteristica fondamentale: il rave è gratuito ed è
aperto a tutti; la sua gratuità ha un alto significato simbolico perché in questo modo si
slega dalle logiche economiche e capitalistiche che obbligano a pagare anche per servizi
di cui non si vuole usufruire.
Il fatto che non ci sia selezione e pagamento all’ingresso significa che chiunque può
entrare e ‘provare’, guardare e amare o odiare questa realtà, e scegliere se consumare
bevande, cibo, procurarsi sostanze stupefacenti, comprare magliette, gadget, dischi,
ballare e condividere il sentimento collettivo.
‘Free’ significa libertà di scegliere come spendere i propri soldi, ma anche libertà di portare
della merce e di organizzare un banchetto per venderla in una sorta di libero mercato
completamente slegato da ogni forma di privilegio. Nessuno all’interno del rave party infatti
monopolizza una particolare attività, sia essa commerciale o artistica: chiunque può
organizzare un bar, e ai prezzi che desidera, chiunque può vendere qualunque cosa
perché a nessuno è riservato il diritto di proprietà e decisione sul luogo occupato
temporaneamente; la preclusione di uno di questi diritti a un soggetto particolare non solo
è inesistente, ma addirittura inconcepibile .
Anche dal punto di vista artistico questa religione della libertà di invenzione di strategie
alternative di sopravvivenza ha risvolti molto interessanti, basti pensare che nello spazio
liberato dal rave chiunque sia in possesso di un impianto musicale, cioè qualsiasi sound
system di qualunque dimensione, può ‘montare’, cioè scegliere un luogo dove organizzare
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una zona di ballo indipendente, ma non solo: anche in assenza di un impianto proprio, un
musicista può chiedere alla tribe che possiede l’impianto di suonare.
La tribe infatti non ha niente a che vedere con un gruppo musicale come normalmente lo
immaginiamo: le sue linee di confine sono fluide e flebili rispetto alla definizione di esterno,
e avviene continuamente un rimiscelazione di gente che si sposta da una gruppo all’altro
portando stimoli e prospettive sempre nuove.
La festa è spontanea, orizzontale ed è una potente forma di decostruzione di tutte le forme
comunicative gerarchiche, e per questo motivo è aperta al contributo personale ed artistico
di tutti quelli che ne sentono il bisogno.
Esistono peraltro altre forme artistiche che possono trovare spazio autonomamente
durante il rave, come ad esempio spettacoli di giocoleria e di fuoco che possono essere
precedentemente organizzati, così come improvvisati e spontanei, persino solitari e di
esercitazione personale.
Qualsiasi forma artistica creativa infatti viene profondamente rispettata e considerata frutto
di una coscienza liberata che attraverso l’elaborazione di prodotti culturali sovversivi e figli
della mentalità del rave, critica la società in cui viviamo decostruendola con gli stessi
mezzi con cui essa cerca di perpetuare la sua versione della vita, della cultura e della
socialità (cioè lo spettacolo e i media).
È molto comune anche l’uso creativo dell’apparecchio fotografico e della videocamera,
quest’ultimo in particolare viene incitato dalle video-installazioni che vengono proiettate
come punto di riferimento visuale durante il ballo.
La capacità di alcuni individui di produrre oggetti culturali ( siano essi musica, grafiche,
fotografie, video, spettacoli, vestiti, ecc) esercita un incredibile fascino e un positivo
desiderio di emulazione che diventa il motore essenziale attraverso cui questo movimento
si ingrandisce e si propaga.
Con questa stessa dinamica diventa sempre più comune la scelta del modulo abitativo su
quattro ruote (cioè furgoni, camper e camion adibiti a casa) che in alcuni casi viene
utilizzato come spazio fisico da vivere solo lungo la durata del rave, e questa caratteristica
definisce il raver vero e proprio, che per il resto del tempo vive in un immobile.
Coloro i quali invece normalmente vivono in case occupate illegalmente vengono
denominati squotter, e solo coloro che abbracciano totalmente la scelta di vita su quattro
ruote sono travellers.
Queste denominazioni sono puramente teoriche, perché nella realtà hanno confini molto
fluidi e possono riferirsi a scelte temporanee di vita: la chiave di lettura essenziale della
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comunità del rave party è infatti la possibilità di cambiare, di scegliere a seconda delle
aspirazioni personali il proprio stile di vita, e questo si riflette nel continuo cambiamento
della composizione della comunità stessa. Le persone cambiano, partono e ritornano
seguendo le traiettorie dettate dalla propria crescita personale, operando una rivoluzione
culturale prima che nella società, nella gestione stessa della propria vita.
Per tutti questi motivi sarebbe riduttivo parlare di una scena raver milanese, o bolognese o
italiana, e anche europea perché le commistioni, le influenze e la presenza di stranieri
attivi sul territorio italiano rendono questo movimento profondamente interculturale; i
confini tra le culture non vengono completamente annullati ma la convivenza e la
comunione di intenti fa sì che la scena sia colorata dalle influenze provenienti dai contributi
di tutti i partecipanti sintetizzando così un atteggiamento aperto e costruttivo nei confronti
della diversità culturale, che diviene ricchezza.
Ho organizzato il mio lavoro in due capitoli principali: l’analisi antropologica e l’inchiesta
etnografica.
Il primo capitolo analizza la concezione di spazio e tempo per la comunità raver, il ruolo
della musica e il rapporto con le nuove tecnologie, il particolare uso del linguaggio, verbale
e non-verbale, e gli stati alterati.
Il secondo capitolo invece traccia un profilo dei partecipanti, del loro modo di interpretare i
valori e la funzione del rave, e dei risvolti attuali che rendono quello presente un momento
particolare per questa cultura.
Nel capitolo conclusivo traccerò un resoconto sulle motivazioni che mi hanno portato a
interessarmi di questo movimento e sul concetto di estremo.
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2. ANALISI ANTROPOLOGICA DEL RAVE PARTY
La mia analisi del fenomeno del rave party prenderà in considerazione le variabili
fondamentali attraverso cui l’antropologia struttura un rito, e cioè le categorie di spazio,
tempo, musica, linguaggio e uso del corpo.
Il rave party può essere considerato un rito nella misura in cui la festa serve alla comunità
per addestrarsi a riconoscere i simboli sacri che rinviano ai concetti fondamentali condivisi,
anche se il decostruzionismo delle forme gerarchiche e dei centri di potere fa sì che il rave
in sé non sia un evento che genera un principio di autorità, come avviene per i riti in
genere, ma che anzi cerca di detronizzare questo principio ispiratore della ritualizzazione.
I simboli sacri che intervengono nei rituali producono un’idea sistematica di ordine per cui
il soggetto, di fronte all’insieme caotico di eventi imprevedibili che è il mondo, si aggrappa
ad una certezza, ad una realtà ultima, vera ed immutabile attraverso la quale trova
protezione.
Il rito del rave, con la sua rielaborazione delle categorie che analizzerò nelle seguenti
sottosezioni, cerca invece un modo per perpetuare la dimensione caotica dell’universo e
rendere recuperabile un approccio istintivo all’esistenza.