INTRODUZIONE
L’Italia è percepita a livello internazionale come una nazione ad elevato rischio
di corruzione che assume dimensioni e un perimetro ben più ampio che in altri paesi
sviluppati. Le cronache degli scandali nazionali ne forniscono frequenti conferme. I
comportamenti illegali e, soprattutto, le interferenze delle organizzazioni criminali
con l’attività di impresa ostacolano il corretto funzionamento del mercato
concorrenziale e lo sviluppo di un’economia sana.
E’ dato notorio che il fatturato delle imprese illegali supera il 10% del PIL
italiano, ove per tali imprese si intendono tutte quelle attività svolte in regime di non
osservanza delle leggi. Può trattarsi di inosservanze “gravi” quali il riciclaggio di
denaro “sporco”, l’inquinamento ambientale, la mancata osservanza di norme sulla
sicurezza sul lavoro, la contraffazione di marchi o di inosservanze “lievi” quali il
mancato pagamento di imposte comunali, l’occupazione abusiva di suolo pubblico,
ma è innegabile che il mancato rispetto di qualunque norma crea un ingiusto
vantaggio economico che penalizza le imprese che si adeguano “in toto” al vivere
civile.
Poiché l’approccio repressivo al malaffare non è risultato idoneo a una
deterrenza effettiva, di recente si sono affiancati strumenti di tipo premiale, mirati a
sostenere concretamente chi svolge un’attività imprenditoriale improntata al rispetto
di regole etiche e di normative specifiche, volte a incentivare un’emancipazione
culturale verso comportamenti virtuosi, atti a determinare positive ricadute
reputazionali in quanto oggetto di pubblico riconoscimento (Azzollini, 2015).
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Nella prospettiva di premiare le imprese che osservano le norme “in toto” è nata
l’idea di attribuire alle stesse un rating di legalità che misuri la trasparenza di ogni
attività esercitata, offrendo al sistema paese un contributo per la costruzione di
un’economia sana, competitiva. Il rating di legalità vuole agevolare l’impresa a
vincere la concorrenza nei confronti delle aziende che si collocano nell’area grigia
dell’illegalità.
Uno dei primi esponenti a porre il problema della legalità dell’impresa quale
fattore di crescita è stato il delegato di Confindustria Sicilia, Antonello Montante
nelle prime settimane del 2012, chiedendo ai poteri dello Stato di intervenire per la
tutela dei soggetti economici “sani” del mercato. L’appello fu accolto dall’allora
Presidente del Consiglio Mario Monti, che intervenne con la legge del 24/03/2012 n.
27, istitutiva del rating di legalità che rientra tra i rating etici.
Da allora vi è stata tutta una serie di normative tendenti a rafforzare e a premiare
le imprese sane, agevolandole nel ricorso al credito e nell’ottenimento di fondi
pubblici. Per la realizzazione di queste finalità è necessaria la piena e leale
collaborazione di tutti gli stakeholders dell’impresa, in particolare delle banche per la
concessione dei finanziamenti, della Pubblica Amministrazione per l’aggiudicazione
di bandi e degli stessi esperti contabili che coadiuvano l’impresa nella sua attività
ordinaria per la redazione del bilancio nel rispetto di tutte le regole di trasparenza e
buona fede.
Nel corso del lavoro saranno esaminati gli aspetti giuridici ed economici
considerati dagli intermediari bancari per l’emissione del rating, (cd rating interno).
Si esaminerà poi il ruolo delle agenzie di rating, della natura contrattuale che le
legano agli emittenti e le eventuali azioni di responsabilità in cui incorrono. Si
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esamineranno le norme tendenti a disciplinare i conflitti di interesse con particolare
riferimento alle direttive UE. Si passerà poi all’esame delle norme giuridiche che
regolano l’attribuzione dello specifico rating di legalità ed infine saranno esaminati i
vantaggi che derivano alle imprese portatrici di stellette in seguito all’accresciuto
merito creditizio. Ci si soffermerà inoltre sugli aspetti critici del rating di legalità
individuandone suggerimenti per il miglioramento.
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CAPITOLO I
DEFINIZIONE DI RATING E SOGGETTI DEPUTATI
ALL’ATTRIBUZIONE DEL RATING – ASPETTI GIURIDICI E
FINANZIARI
1. Definizione di rating
Il rating, termine che tradotto in italiano significa classificazione, è un metodo
utilizzato per valutare sia i titoli obbligazionari, sia le imprese in base al loro rischio
finanziario. Si può far risalire l’origine del rating al documento riguardante la storia
finanziaria delle ferrovie e dei canali degli Stati Uniti, pubblicato da Henry Varnum
Poor, che si batté affinché le aziende fossero obbligate a rendere pubblici i propri
bilanci al fine di tutelare la buona fede dei possibili investitori. Il suo progetto fu
continuato dal figlio Henry William che, insieme all’analista finanziario Luther Lee
Blake, ideò indici finanziari chiari e trasparenti da applicare alle imprese che ne
avessero fatto richiesta a seguito della fondazione dell’agenzia Standard & Poor’ s
(De Laurentis, Caselli, 2006).
Ai fini del presente lavoro si può pertanto definire il rating, come una qualità
attribuita ad un’impresa di onorare il proprio debito, definito merito creditizio. Le
misure classiche attribuiscono il massimo merito creditizio alle aziende portatrici
della tripla “A” sino a sconsigliare ogni prestazione finanziaria alle aziende portatrici
della lettera “D” indicativa di default.
Il rating classico esamina i fattori economici dell’impresa ed in particolare le
voci di bilancio negli ultimi tempi però si è fatta strada la creazione di un rating
diverso, denominato rating etico che non si limita ad esaminare i fattori puramente
contabili ma valuta la governance dell’impresa rispetto alla tutela dell’ambiente, al
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rispetto dei Diritti Umani, valutando la responsabilità sociale d’impresa al fine di
attribuire un merito creditizio anche a codeste qualità.
Il rating può essere emesso sia dalla banca erogatrice e in tal caso si parla di
rating interno, sia da agenzie apposite ed in tal caso si parla di rating esterno. Tutti i
soggetti deputati all’attribuzione del rating devono seguire regole costanti, frutto per
la maggior parte di accordi internazionali. I più pregnanti sono gli accordi di Basilea
1, Basilea 2 e Basilea 3.
1. Il ruolo delle banche nella determinazione del rating interno
Gli scambi economici che avvengono sul mercato sono regolati in parte
immediatamente e in parte attraverso intermediari finanziari. Gli scambi economici
contrappongono una prestazione attuale ad una prestazione futura. Ogni operazione
di credito è caratterizzata dalla fiducia tra le parti, e determina la misura dell’importo
massimo che un soggetto è disposto ad accordare ad un altro per contenere il rischio
di default entro un limite accettabile. Il diffondersi del credito indiretto ha favorito la
nascita di intermediari finanziari che possono avere origine bancaria o non bancaria.
Solo gli istituti bancari autorizzati possono emettere rating interni.
Le banche si interpongono tra soggetti che dispongono di capitali o che
accantonano risparmi (cosiddetti soggetti in avanzo finanziario) e coloro che
necessitano di capitali ai fini della loro attività (soggetti in disavanzo finanziario). Le
imprese bancarie fanno della fiducia l’elemento essenziale al fine di esercitare la loro
attività. Pertanto ricevono depositi solo se riscuotono la fiducia dei risparmiatori e
concedono prestiti solo se ripongono fiducia nei soggetti da finanziare. L’attività di
intermediazione permette di raccogliere risparmi, anche di modesta entità, che vanno
a formare capitali considerevoli, offrendo nel contempo un elevato grado di sicurezza
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al risparmiatore sia per la tradizionale solidità delle banche, sia per il controllo
pubblico su di esse esercitato, sia per le forme di protezione istituzionali (Fondo
Interbancario di Garanzia). La banca opera una trasformazione qualitativa del
risparmio, trasformando depositi bancari in provvista per i soggetti economici.
Le banche presentano un’organizzazione territoriale capillare sì da coprire
l’intero territorio nazionale. L’impresa bancaria svolge pertanto un’attività nel settore
terziario dell’economia e può considerarsi un’impresa di servizi. L’impresa bancaria,
quindi, dispone sia di capitale proprio che di capitale di debito (Astolfi, Barale,
Ricci, 2008). Questi due fattori condizionano il fattore fiducia, in quanto una banca
con maggiore capitale proprio può sopportare più efficacemente l’entità del rischio.
Un istituto bancario di grandi dimensioni dispone di strumenti più raffinati al fine di
valutare la qualità della clientela e maggiore potere nel selezionarla (De Laurentis,
Caselli, 2006).
Acquisire fiducia implica l’istaurarsi di una relazione bancaria, cosiddetta
relationship banking, che identifica un rapporto banca – cliente o meglio banca –
impresa. La necessità di instaurare una relazione consente all’istituto bancario di
accumulare informazioni che si arricchiscono e possono essere utilizzate di anno in
anno. Tali informazioni hanno maggiormente un carattere qualitativo e permettono di
conoscere il profilo e la capacità dell’imprenditore. Il relationship banking quindi è
fondato sull’interazione quotidiana e non su un’analisi di indicatori esclusivamente
finanziari e patrimoniali. Importante è che la relazione sia stabile e duratura e
permetta l’acquisizione di informazioni private per poter poi valutare l’affidabilità di
ogni singolo cliente (Berger, Black, 2007).
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