2
Ma ancora quanto esposto non é sufficiente: accanto agli argomenti di cui sopra v’é uno sforzo
sempre costante a indicare le principali problematiche di carattere dottrinario, non solo per
arricchire e corredare l’esposizioni di dati normative e giurispreudenziali, ma anche e soprattutto,
come già affermato, per fornire al lettore quelle flessibilità di pensiero e completezza necessarie per
interpretare ed affrontare nuovi problemi teorici e pratici.
Vale la pena ricordare che soprattutto in alcuni mercati, come quello italiano, si é ancora all’inizio
di uno sfruttamento massiccio ed economicamente rilevante dell’energia elettrica prodotta per
conversione solare; é palese il contrasto di questo dato fattuale con gli obiettivi internazionali e
comunitari cui il nostro ordinamento é sottoposto e con le previsioni di mercato.
Dunque, tirando le fila del discorso, dai suddetti righi emerge lo scopo per cui nasce la ricerca che
di seguito si espone: fornire un mezzo capace di fornire al giurista di impresa una adeguata
“toolbox” per gestire i processi di espansione aziendale nella direzione del fotovoltaico; offrire ai
legislatori locali degli spunti su come indirizzare le proprie politiche fiscali dell’ambiente;
descrivere ai possibili investitori stranieri le business oportutities che il mercato italiano riserva alle
energy companies; indicare all’operatore del diritto sia interno sia esterno alla struttura aziendale le
guide lines rispetta alle quali impostare l’impugnazione di atti innanzi alle diverse giurisdizioni.
Infine, last but not least, é interessante riflettere sulla necessità, non accoglibile in questa sede, di
iniziare uno studio sistematico del fotovoltaico in Paesi che grazie alla loro collocazione geografica
possono divenire degli importantissimi produttori oppure “autoproduttori” di energia elettrica per
conversione solare.
Per tutti i motivi sopra esposti, l’analisi che viene condotta nei seguenti capitoli, presenta una
struttura “aperta” nel senso che oltre a rispondere a delle domande, intende rappresentare uno
strumento attraverso il quale affrontare la fiscalità ambientale e, in particolare, al settore
dell’energia fotovoltaica, con spirito problematico e attento alle business oportunities che ne
conseguono.
3
SISTEMA NORMATIVO E FISCALE DEL DIRITTO
EUROPEO DELLA PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA
DA FONTI RINNOVABILI
-CAPITOLO 1-
4
AGEVOLAZIONE FISCALE E PRINCIPIO DI NON DISCRIMNIAZIONE NEL MERCATO UNICO DELLA
PRODUZIONE ENERGETICA
L’analisi del settore del fotovoltaico abbisogna della disamina dei principali fattori fiscali interessati
e delle questioni di fiscalità ambientale maggiormente rilevanti sia sotto un profilo pratico ed
operativo sia da un punto di vista meramente teorico.
Allo scopo di realizzare ciò, preliminarmente affronta, nel proseguio della presente trattazione, i
presupposti giuridici del mercato energetico: il processo di liberalizzazione e le sue origini da
ricercare nel diritto comunitario, i certificati verdi, la normativa che regola gli aspetti
amministrativistici della produzione di energia elettrica attraverso fotovoltaico e poi, viene la
dettagliata analisi degli aspetti fiscali maggiormente rilevanti.
In particolare, rispetto a quest’ultimo punto di approfondimento, la normativa agevolativa del
fotovoltaico viene considerata rispetto ai principali rapporti di criticità con il sistema impositivo
italiano: l’iva, la natura giuridica della “tariffa incentivante”, le II.DD e eventuali ritenute
applicabili al corrispettivo per la cessione di energia.
Già da questi primi righi si deve evincere che la leva fiscale su determinati settori produttivi e su
determinate scelte del consumatore finale ha un peso determinante .
In tale prospettiva, vengono analizzate nel corso dell’opera alcune peculiarità della applicazione del
“modulo tributario” alle tematiche ambientali, con particolare riferimento all’istituto dell’
“agevolazione fiscale”, il quale rappresenta l’instrumentum principale di intervento del normopoieta
fiscale.
E’ opportuno sottolineare, in questa sede, alcuni aspetti ricostruttivi del concetto di agevolazione
fiscale
2
: secondo l’orientamento che sembra attualmente prevalere, può ravvisarsi agevolazione in
senso tecnico allorché concorrono, in una determinata disciplina tributaria favorevole al
contribuente, specifici requisiti di natura funzionale e strutturale:
- sotto il profilo funzionale, si ritiene sussistere un’agevolazione fiscale, e non una minore
tassazione nell’ambito della disciplina base ed ordinaria di un dato tributo, allorché il trattamento di
favore è motivato da ragioni extrafiscali, che nulla cioè hanno a che vedere con i criteri di
ripartizione e di concorso nella spesa pubblica cui ogni cittadino è tenuto ai sensi dell’articolo 53
della Costituzione
3
: si parla, in questi casi, di "utilizzo extrafiscale dell’imposta", o di "spesa
pubblica implicita" o "mediante imposta", o ancora di "finanziamenti indiretti, virtuali e impliciti".
Più precisamente, la dottrina ritiene che le agevolazioni fiscali costituiscano corretta applicazione
dei principi costituzionali che emergono coordinando ed interpretando sistematicamente il principio
di capacità contributiva con altri principi e valori extratributari costituzionalmente garantiti
4
.
Ciò è particolarmente importante, in quanto consente di valutare criticamente quell’orientamento
giurisprudenziale
5
, contraddetto dalla più recente dottrina
6
, secondo il quale le agevolazioni
2
Sulle agevolazioni tributarie, cfr. in particolare: D’AMATI, Agevolazioni ed esenzioni tributarie, in Novissimo Dig.
It., Appendice, Torino 1980, p. 153 ss.; FICHERA, Le agevolazioni fiscali, Padova 1992; ID., Imposizione ed
extrafiscalità nel sistema costituzionale, ESI, Napoli 1973; MOSCHETTI-ZENNARO, Agevolazioni fiscali, in Digesto,
IV ed., Torino 1988, I, p. 84 ss.; LA ROSA, Esenzioni e agevolazioni tributarie, in Enc. giur. Treccani, XIII, Roma
1989; ID., Esenzione (diritto tributario), in Enc. dir., XV, Milano 1966, p. 567 ss.; ID., Le agevolazioni tributarie, in
Trattato di diritto tributario, diretto da Amatucci, I, 1, Padova 1994, p. 401 ss.; ID., Verso la scomparsa delle
agevolazioni tributarie?, in Riv. dir. trib., 1991, I, p. 173 ss..
3
LA ROSA, Le agevolazioni tributarie, in Trattato di diritto tributario, cit., p. 414 ss..
4
MOSCHETTI, in Trattato di diritto tributario, diretto da Amatucci, I, 1, Padova 1994, p. 262 ss.; LA ROSA, Le
agevolazioni fiscali, in Trattato di diritto tributario, cit., p. 402 ss., e spec. p. 416 ss..
Nella fattispecie in esame, l’incentivo all’attività edilizia – che costituisce il fine evidente della disposizione contenuta
nell’art. 33, comma 3 – oltre a rappresentare un indirizzo per l’iniziativa economica privata (art. 41, comma 3 della
Costituzione), appare diretto a conformare le modalità di godimento della proprietà (art. 42, comma 2, della
Costituzione), promuovendo nel contempo l’incremento del patrimonio edilizio, anche abitativo (art. 47, comma 2, della
Costituzione), e l’incremento occupazionale (art. 35 della Costituzione).
5
Cass. 8 ottobre 1997, n. 9760, in Comm. trib., 1998, II, p. 95; Cass. 27 febbraio 1997, n. 1763, in Mass. Foro it., 1997;
Cass. 9 agosto 1990, n. 8111, in Foro it., 1990, I, c. 3419; Cass. 24 luglio 1989, n. 3496, in Foro it., 1990, I, c. 1626.
5
tributarie, costituendo deroga al principio di capacità contributiva, non sarebbero suscettibili di
interpretazione analogica, ma semmai solo di interpretazione estensiva;
- sotto il profilo strutturale, meno decisivo peraltro del precedente, si ritengono generalmente indizi
della sussistenza di un’agevolazione fiscale in senso tecnico l’esistenza di limiti temporali o
territoriali di efficacia, la collocazione della disposizione di favore in testi normativi specificamente
dedicati ad agevolazioni fiscali, l’esistenza di una disciplina formalmente derogatoria, il
coinvolgimento in senso agevolativo di una pluralità di tributi. Particolarmente significative si
prospettano soprattutto, nel caso in esame, queste due ultime circostanze: il beneficio riguarda
infatti diverse imposte (registro, ipotecaria, catastale), e quindi difficilmente può giustificarsi in
base a ragioni strutturali interne alla disciplina delle singole imposte.
A ciò si aggiunga, infine, la disciplina della decadenza dalle agevolazioni – la norma prevede una
"condizione" per il trattamento agevolato, consistente nell’utilizzo edificatorio entro cinque anni –
nell’ipotesi in cui lo scopo, prefissato dal legislatore, non venga raggiunto.
Tutte le ragioni suindicate fanno, quindi, valutare di poco peso l’obiezione che potrebbe effettuarsi
alla ricomprensione della disciplina fiscale in esame tra le agevolazioni tributarie in senso tecnico;
obiezione che potrebbe essere fondata, essenzialmente, sulla natura "a regime" della disciplina di
favore, non soggetta a limiti temporali (anche se la stessa non è compresa nel testo unico delle
disposizioni sull’imposta di registro): si tratta di profili strutturali la cui presenza o meno è
puramente eventuale nella disciplina delle agevolazioni fiscali, e come tale considerata
generalmente di non eccessivo rilievo
7
.
Si differenzia dalla esenzione e dalla esclusione perché quest’ultime hanno un valore integrativo
della norma cui si riferiscono.
Vanno, poi, affrontati due problemi di ordine preliminare: a) la comprensione di come l’analisi
economica e le relative scelte di politica legislativa affrontino i problemi legati alla salvaguardia
ambientale; b) riflettere su come poter adoperare strumenti economici e fiscali per intervenire
direttamente sull’ambiente, senza confidare in modo esclusivo su procedure di carattere
amministrativo, le quali tendenzialmente si dimostrano meno veloci e incisive rispetto all’effettivo
verificarsi del problema.
I suddetti problemi hanno un importante peso nella elaborazione di valide politiche di policy
ambientale, soprattutto quando involgono delle utilities di rilevanza strategica per lo sviluppo
economico, come il settore energetico.
Infatti, il deteriorarsi delle condizioni ambientali si mal concilia con una mera indicazione
legislativa delle modalità attraverso cui incrementare sia lo sviluppo economico sia il benessere; in
tale conteso, la tassa o l’esercizio del potere impositivo dello Stato devono divenire uno strumento
per correggere il cattivo funzionamento del mercato, come quello appena delineato.
In dottrina
8
é stato affermato, in modo condiviso dallo scrivente, che: “taxes on pollution would
consitute a very appealing component of our overall revenue system. Any system of taxation creates
a myriad of incentives for individual and firms, incentives that lead to a variety of adjustements in
economic behaviour. What is troubling is that the vast majority of these adjustements are harmful.
They introduce distortions into the functioning of the economy, with resulting losses in social
welfare”.
Le tasse ambientali trovano il loro punto di forza nella circostanza che sono direttamente
indirizzate verso il raggiungimento di uno scopo normativamente già prefissato.
6
In senso critico rispetto all’affermazione giurisprudenziale della inapplicabilità per analogia delle agevolazioni fiscali,
v. in particolare MOSCHETTI-ZENNARO, Agevolazioni fiscali, cit., p. 84 ss.; LA ROSA, Le agevolazioni fiscali, in
Trattato di diritto tributario, cit., p. 40
7
La dottrina ha rilevato, soprattutto in tema di IVA, che a volte l’adozione di un approccio legislativo
fondamentalmente casistico comporta l’introduzione di regimi sostanzialmente agevolativi nel quadro della disciplina
base del tributo: LA ROSA, Le agevolazioni tributarie, in Trattato di diritto tributario, diretto da AMATUCCI, I, 1,
Padova 1994, p. 401, nota
8
W.E Oates “Taxing pollution: An idea Whose Time Has Come”, Resource, 1988 pg 27-31.
6
E’ conveniente ribadire che, nel settore produttivo preso in considerazione, lo scopo della
legislazione fiscale deve essere quello di influenzare le scelte economiche in modo compatibile con
una azione politico-amministrativa mirante ad un tendenziale rispetto del livello tollerabile
dell’effetto serra: in altre parole, come già rilevato, diviene sempre più pressante l’esigenza di
creare una legislazione capace di concretizzare scelte di politica ambientale.
A ben vedere, infatti, sembra questo il fine di politica che si intende raggiungere attraverso la
legislazione nazionale, comunitaria e internazionale in ambito ambientale, anche se si appalesa
insufficiente se priva di una adeguata normativa fiscale che incida direttamente sulle singole scelte.
Di fronte al problema ambientale legato alla produzione energetica, le strade che possono essere
seguite sono, essenzialmente, riconducibili a due opzioni: a) la creazione di una normativa che
imponga la rimozione o/e riduzione dell’emissione di gas e rifiuti causativi dell’effetto serra e di
altre forme di degrado ambientale, che, però fino ad ora non ha dimostrato un particolare successo,
poiché una sua integrale applicazione richiederebbe adozione di misure tecniche, le quali, a loro
volta, inciderebbero pesantemente sul costo e sui cicli produttivi; b) il secondo approccio
legislativo, che può essere preso in considerazione, é rappresentato dalla promozione di impianti
produttivi che adottano tecniche basate sull’emissione di inquinati più bassa o nulla. Fino ad ora, é
questo l’indirizzo di politica legislativa che presenta maggiori prospettive di sviluppo,
considerando, con molta attenzione, l’incremento della ricerca tecnologica legata.
Ma, nonostante i buoni risultati in termini energetici ed ambientali della suddetta scelta, v’é un
grosso problema connaturato: i costi elevati che ricadono sul soggetto titolare dell’impianto
fotovoltaico.
Ed é proprio in relazione a questo punto che si può agevolmente dimostrare la rilevanza e
l’influenza di politiche fiscali, come quella italiana, ma ancora meglio come quelle tedesca e
spagnola, che da un lato incentivano con agevolazioni fiscali la produzione di energia attraverso
fonti rinnovabili, dall’altro, aumentano o comunque non diminuiscono la pressione fiscale sulla
produzione di energia ottenuta con modalità inquinanti o tradizionali.
Sempre nella suddetta ottica deve essere analizzato un aspetto determinante della politica normativa
(nello specifico nel caso italiano, spagnolo e tedesco): non si incentiva la mera installazione di
impianti, ma il loro effettivo esercizio, monitorato da organismi deputati; sempre sullo stesso tema
vale la pena ricordare anche che é sempre in sede legale che vengono stabiliti particolari standards
riguardanti la componentistica da adoperare per quanto riguarda gli impianti fotovoltaici.
In altre parole, una impostazione, elaborata in tal modo, mira a superare un teorema che si é
affermato largamente nella legislazione della economia: l’abbassamento del costo delle risorse
energetiche avrebbe stimolato il saggio di sviluppo della crescita economica di un paese, senza
considerare, però, che tale logica determina un incremento, come é successo, dei costi di natura
sociale da essa dipendenti.
E’ paradigmatico di ciò, la circostanza che, in ordine cronologico, la nascita della Ue é preceduta
dalle intese in materia energetica dei paesi fondatori, i quali si proponevano la creazione di un
network energetico europeo, capace di unificare e gestire i modo efficiente la produzione di
energetica europea.
Ma, come appare evidente, l’approccio di cui sopra ha lasciato irrisolto il problema di accorciare le
distanze della forbice tra la politica ambientale con quella dello sviluppo economico sostenibile e
concretamente competitivo
9
.
9
Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo e al Comitato economico e sociale Europeo -
Per un utilizzo più efficace degli incentivi fiscali a favore della R&S {SEC(2006)1515} /* COM/2006/0728 def: “1.1.
Compatibilità con le libertà fondamentali. Quando analizza un incentivo fiscale a favore della R&S, la Commissione
ritiene incompatibili con le libertà del trattato UE le restrizioni territoriali sia implicite che esplicite. Un esempio di
restrizione esplicita è la disposizione giuridica che limita il beneficio di un incentivo fiscale a favore della R&S alle
attività svolte a livello nazionale. Le restrizioni territoriali violano la libertà di stabilimento impedendo alle società di
svolgere o esternalizzare le proprie attività di R&S in altre zone dell’UE. Una restrizione territoriale esplicita era al
centro della causa CGE Laboratoires Fournier (C39/04), in cui la CGE si è pronunciata contro la legalità del “Credit
d’Impôt Recherche” francese in vigore all’epoca. In base al “Code Général des Impôts” francese, le imprese
7
Partendo da tali considerazioni di carattere generale, è importante rilevare che la politica legislativa
sottesa alla normativa inerente alla produzione di energia elettrica attraverso tecnologia fotovoltaica
si impernia anche sullo strumento giuridico della agevolazione fiscale.
Quest’ultima costituisce uno mezzo di realizzazione di finalità economiche e sociali attraverso
mezzi tributari e paratributari.
AGEVOLAZIONE FISCALE E PRINCIPIO DI NON DISCRIMNIAZIONE NEL MERCATO UNICO
Bisogna subito rilevare che il legislatore europeo se da un lato favorisce l’applicazione dello
strumento della agevolazione dall’altro limita la discrezionalità degli Stati membri in modo che una
misura di tal fatta non possa incrementare particolarismi economici locali.
Nella sopra descritta prospettiva, si possono leggere diverse disposizioni dei trattati Ue, come altre
norme contenute nella legislazione secondaria: in tal modo si ha un “sistema” tributario europeo che
si informa ai suddetti criteri sia nel diritto primario sia in quello derivato
10
.
industriali, commerciali o agricole beneficiavano di un credito d’imposta per le spese di ricerca affrontate in Francia.
La CGE stabilì che la normativa che restringe il beneficio di un credito d'imposta alle attività di R&S svolte sul
territorio nazionale viola il principio della libera prestazione di servizi. In base a tale sentenza, introducendo una
discriminazione riguardo al luogo di stabilimento del prestatore di servizi, tale normativa era atta a ostacolare le
attività internazionali di quest’ultimo ed era direttamente contraria all’obiettivo della politica di R&S della Comunità,
che consiste nello sfruttare a pieno il potenziale del mercato comune grazie all’eliminazione degli ostacoli giuridici e
fiscali alla cooperazione fra imprese. L’incentivo fiscale francese è stato rapidamente modificato per tenere conto della
sentenza. Negli esempi seguenti le restrizioni territoriali sono di tipo implicito: un incentivo fiscale che copre i costi di
R&S sostenuti in qualsiasi parte della UE ma soggetti a un'approvazione da parte dell'amministrazione che favorisce gli
operatori nazionali rispetto alle società non residenti che desiderano fornire servizi R&S, es. quando tale approvazione
è necessaria solo per i costi di R&S sostenuti all’estero, oppure quando l’onere amministrativo è maggiore per le
società non residenti; un incentivo fiscale che copre i costi per le attività di R&S subappaltate, ma limita la parte di tali
attività che può essere subappaltata a soggetti non residenti. D'altro canto, un incentivo fiscale che limita la parte di
attività di R&S che può essere subappaltata senza fare distinzioni fra subcontraenti residenti e non residenti sarebbe
accettabile. In linea di principio, la CGE ha riconosciuto che, in determinate circostanze specifiche, le restrizioni al
campo di applicazione degli incentivi fiscali potrebbero essere giustificate da deroghe espressamente previste dal
trattato o per altri motivi considerati da essa ragioni imperative di interesse generale . La CGE, tuttavia, accetta tale
restrizione solo quando è certa che gli obiettivi a cui si mira non possono essere conseguiti ricorrendo a misure meno
restrittive (principio di proporzionalità). In passato gli Stati membri hanno cercato di difendere le restrizioni territoriali
dinanzi alla CGE ricorrendo a vari argomenti: a) Controllo fiscale Gli Stati membri hanno sostenuto che l’esigenza di
un controllo fiscale efficace costituisce una ragione imperativa di interesse generale, tale da giustificare una restrizione
territoriale. La CGE ritiene che, in linea di principio, uno Stato membro ha il diritto di applicare misure volte ad
accertare in modo chiaro e preciso l’importo delle spese detraibili a titolo di spese per la ricerca (Baxter, Fournier).
Esso può anche imporre al soggetto passivo non residente di dimostrare in modo chiaro e preciso che le perdite che
quest'ultimo afferma di avere subito corrispondono, in base alle norme nazionali che disciplinano il calcolo dei benefici
e delle perdite, alle perdite effettivamente sostenute (Futura e Singer[). Fino ad ora, tuttavia, la CGE ha concluso
(Baxter, Futura e Singer e Fournier) che, nei casi in oggetto, le restrizioni non erano proporzionate agli obiettivi. Ad
esempio, in Baxter e Fournier la CGE ha concluso che l’esigenza di un controllo fiscale efficace non può giustificare la
normativa nazionale che non considera valide prove presentate da un soggetto passivo in relazione alle attività di R&S
svolte in altri Stati membri. In questi casi, si fa riferimento alla direttiva relativa alla reciproca assistenza, considerando
che gli Stati membri dovrebbero essere in grado di ottenere le informazioni necessarie e pertinenti in virtù di tale
direttiva o in applicazione di convenzioni fiscali bilaterali.. b) Perdita di gettito fiscale. In numerosi casi gli Stati
membri hanno sostenuto che l’imposizione di una restrizione potrebbe essere giustificata dall’esigenza di evitare la
perdita di gettito fiscale. La CGE, tuttavia, fino ad ora ha affermato chiaramente che le considerazioni di bilancio non
sono accettabili di per sé.
10
A scopo semplicemente descrittivo é opportuno riportare una breve disamina dei lineamenti del diritto tributario
europeo: “L’articolo suddetto deve essere letto in relazione alle tematiche della creazione del mercato unico europeo e
alla creazione del sistema di armonizzazione tributaria dei diversi stati membri
10
.Al tal proposito vale la pena
individuare il quadro normativo e di politica economica in cui si inserisce la sentenza i commento: il diritto tributario
comunitario.In particolare, i trattati, tra cui soprattutto quelli istitutivi delle Comunità europee, hanno comportato
l’unificazione del mercato tra gli Stati aderenti con l’adozione di politiche economiche unitarie, l’istituzione di una
tariffa doganale comune da applicare nei confronti dei Paesi terzi e la libera circolazione di persone, merci, servizi e
capitali all’interno della Comunità europea. E’ il Trattato CEE a condizionare l’esercizio della potestà normativa
8
tributaria: attraverso l’obbligo di armonizzare le legislazioni nel settore dell’imposizione indiretta, di ravvicinare le
disposizioni legislative e regolamentari interne che incidono sul corretto funzionamento del mercato comune e di evitare
che disposizioni degli Stati membri falsino le condizioni di concorrenza sul mercato comune. Poi, con la stipula del
Trattato di Roma, gli Stati membri hanno assunto l’obbligo di natura internazionale di astenersi da qualsiasi
comportamento che possa pregiudicare il perseguimento di finalità proprie dell’ordinamento comunitario. Per tali
motivi, il diritto comunitario tributario comprende sia le norme e i principi contenuti nel Trattato istitutivo della C.E.
che regolano l’attività tributaria della Comunità, sia le norme comunitarie di carattere tributario destinate ad incidere
direttamente o indirettamente sugli ordinamenti degli Stati membri. Il sistema delle fonti del diritto comunitario è
costituito dal diritto primario e dal diritto “derivato”. Il primo, direttamente elaborato dagli Stati membri, è contenuto
nel Trattato istitutivo della Comunità economica europea e nei successivi trattati che lo hanno rivisto e modificato (Atto
unico europeo, Maastricht, Amsterdam). Il Trattato istitutivo della Comunità economica europea è una convenzione
internazionale recepita nell’ordinamento con legge ordinaria di ratifica: con tale ratifica è stato inserito nel sistema
italiano delle fonti del diritto, un meccanismi in base al quale nell’ordinamento italiano valgono anche le norme
comunitarie. Il secondo, invece, è costituito dagli atti giuridici adottati dagli organi comunitari, posti in essere attraverso
processi deliberativi indipendenti da quelli degli Stati membri, ma destinati ad incidere sugli ordinamenti giuridici degli
Stati membri e sulle posizione giuridiche dei singoli
10
. Nel sistema delle fonti devono ricondursi anche i principi
qualificati dalla Corte di Giustizia come “diritti fondamentali”. Le norme del Trattato indicano se, nel settore da esse
disciplinato, la Comunità ha una competenza esclusiva, tale da precludere qualsiasi intervento degli Stati membri,
ovvero una competenza concorrente, che si affianca a quella degli Stati. L’ambito di competenze della Comunità si è
gradualmente ampliato; a tale evoluzione è intervenuto l’art. 5, inserito dal Trattato di Maastricht, che ha sancito il
principio di sussidiarietà, sul quale si basa l’attuale linea di demarcazione delle competenze fra Comunità e singoli
Stati: ovvero “ la Comunità interviene, nei settori che non sono di sua esclusiva competenza, soltanto se e nella misura
in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono
dunque essere realizzati meglio a livello comunitario.”Nelle materie di competenza esclusiva della Comunità, la
necessità dell’azione comunitaria è presunta: ne consegue che la comunità non ne debba dimostrare l’indispensabilità e
che la Comunità dispone della pienezza dei suoi mezzi d’intervento. Viceversa, nelle materie di competenza
concorrente, l’art.5 impone alla Comunità di valutare di volta in volta la necessità della propria azione, in quanto può
operare solo quando la sua azione risulta più efficace. Dato che la fiscalità non rientra tra i campi di competenza
esclusiva, ogni intervento di armonizzazione comunitaria della normativa fiscale è chiaramente subordinato alla prova
della circostanza che l’intervento comunitario possa risultare più efficace. La politica fiscale resta, dunque, appannaggio
degli Stati membri, che mantengono sovranità tributaria. L’azione della Comunità in materia fiscale è ammessa solo se
sostanzialmente strumentale al raggiungimento dell’obiettivo del mercato unico: in questo senso, vengono in
considerazione disposizioni in materia fiscale –contenute da art. 90 a 92- volte a porre limiti di ordine negativo alla
potestà tributaria dei singoli Stati membri. L’art. 90 prevede, infatti, il divieto di operare imposizioni fiscali
discriminatorie nei confronti di prodotti importati da altri Stati membri rispetto a prodotti interni, affinché tali merci
circolino in condizioni di neutralità fiscale. Il successivo art. 91 prevede il divieto per gli Stati membri di concedere
sussidi ai prodotti destinati all’esportazione, attraverso la concessione di rimborsi fiscali superiori alle imposte
effettivamente pagate. Tuttavia l’art. 92 concede la possibilità agli Stati membri di applicare imposte speciali sulle
importazioni o di concedere agevolazioni alle esportazioni al fine di compensare eventuali divari fiscali tra gli Stati
membri ( ma per periodi limitati e con previa autorizzazione del Consiglio). Dalle norme considerate deriva quindi un
condizionamento in negativo per i singoli Stati, a cui il Trattato vieta di introdurre discriminazioni tributarie a carico dei
soggetti esteri, affinché l’esercizio del potere tributario dei singoli Stati sia effettuato nel rispetto delle “libertà
fondamentali” comunitarie.
Ma, negli art. 93 e 94 si affronta anche in positivo il tema della convergenza dei sistemi impositivi; attraverso la
possibilità per la Comunità di emanare, anche in materia fiscale, atti normativi destinati ad avere, direttamente o
indirettamente, efficacia negli Stati membri.
L’art. 93 stabilisce che il Consiglio possa adottare tutte le disposizioni che riguardano l’armonizzazione delle
legislazioni fiscali relative alle imposte indirette, nella misura in cui tale armonizzazione sia necessaria per assicurare
l’instaurazione e il corretto funzionamento del mercato interno.
L’armonizzazione è, dunque, limitata alle sole imposte indirette ( ciò spiega perché l’unica imposta armonizzata a
livello europeo sia l’imposta sul valore aggiunto -IVA-), mentre non è prevista una analoga armonizzazione in materia
di imposte dirette.
Tuttavia, l’art. 94 ha permesso alla Comunità un margine di coordinamento anche nell’ambito relativo alle imposte
dirette : ogni intervento della Comunità in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio deve essere valutato alla luce
della sua natura strumentale alla realizzazione del mercato comune, essendo subordinato alla rimozione degli ostacoli
che incidano direttamente sul funzionamento di tale mercato.
Ulteriore ostacolo al coordinamento fiscale in materia di imposte dirette è poi rappresentato dalla regola dell’unanimità.
Dato che l’azione comunitaria in materia di imposte dirette deve essere sempre approvata con il consenso di tutti gli
Stati membri, il rifiuto anche di uno solo di essi è stato, fino ad oggi, in grado di penalizzare il processo di
coordinamento fiscale delle legislazioni nazionali.
9
Considerando tali premesse di carattere generale, la presente analisi della agevolazione fiscale nel
diritto comunitario, viene realizzata rispetto al principio di non discriminazione fiscale, al tema
degli aiuti di stato e a quello dell’armonizzazione fiscale.
In rapporto al primo principio sopra menzionato enunciato nell’articolo 90 e ss del trattato Ue,
bisogna rilevare l’approccio del normopoieta comunitario volto a reputare illegittima ogni misura
fiscale nazionale che operi discriminazioni (con imposte) ai danni di prodotti importati oppure
favorisca quelli nazionali (con agevolazioni fiscali).
Le norme succitate sono di diritto primario ed essendo di emanazione diretta non richiedono
l’emanazione di provvedimenti di diritto comunitario e di diritto interno e possono essere fatte
valere dagli interessati innanzi ai giudici nazionali rispetto alla legislazione degli Stati membri
assunta come lesiva di posizioni giuridiche previste nei trattati.
Al riguardo la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha sovente segnalato che l’articolo 90
Trattato U.E deve essere interpretato estensivamente, in modo tale da garantire che tutti i regimi
fiscali direttamente o indirettamente incompatibili con la parità di trattamento delle merci di
produzione nazionale e quelle importate.
Il Giudice comunitario, ha altresì precisato che le norme fiscali che possono essere reputate lesive
devono concernere alla cosiddetta fiscalità degli scambi
11
.
Al riguardo, é interessante osservare, in modo preliminare e prima di entrare in riflessioni di
carattere meramente teorico, la massima della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità
Europee del 2 aprile 1998 c-213/96 secondo cui: “...un'imposta di fabbricazione che colpisce
l'energia elettrica di origine nazionale con aliquote differenziate, a seconda del modo di produzione
della stessa, mentre grava sull'energia elettrica importata con un'aliquota unica, superiore
all'aliquota minima, ma inferiore all'aliquota massima che si applica all'energia elettrica di origine
nazionale, costituisce un tributo interno ai sensi dell'art. 95 [ora 90] del Trattato e non una tassa di
effetto equivalente a un dazio doganale ai sensi degli artt. 9 e 12 quando, da un lato, la detta
imposta fa parte di un sistema generale di tributi che colpisce non solo l'energia elettrica in quanto
tale, ma anche varie fonti di energia primaria, e, dall'altro, sia l'energia elettrica importata sia
quella di origine nazionale sono soggette ad un medesimo regime tributario e l'imposta viene
prelevata dalla medesima autorità, nonché secondo le medesime procedure, quale che sia l'origine
dell'energia elettrica. Il fatto che l'elettricità importata sia tassata al momento dell'importazione e
l'elettricità di origine nazionale lo sia al momento della produzione è privo di importanza ai fini
della qualifica di un tributo siffatto, perché, tenuto conto delle caratteristiche dell'energia elettrica,
questi due momenti corrispondono ad una medesima fase della distribuzione, che è quella
dell'arrivo dell'elettricità nella rete nazionale. 5 Il diritto comunitario, nella fase attuale del suo
sviluppo, non limita la libertà di ciascuno Stato membro di istituire un sistema di tassazione
differenziata per taluni prodotti, anche similari, ai sensi dell'art. 95, primo comma, del Trattato, in
funzione di criteri oggettivi, come la natura delle materie prime utilizzate o i processi di produzione
seguiti. Siffatte differenziazioni, tuttavia, sono compatibili col diritto comunitario solo se
perseguono scopi compatibili anch'essi con quanto prescritto dal Trattato e dal diritto derivato e se
le loro modalità sono tali da evitare qualsiasi forma di discriminazione, diretta o indiretta, nei
confronti delle importazioni dagli altri Stati membri, o di protezione a favore di prodotti nazionali
concorrenti. L'art. 95 del Trattato non osta pertanto a che l'aliquota di un tributo interno che
colpisce l'energia elettrica vari a seconda delle modalità di produzione e delle materie prime
utilizzate, qualora tale differenziazione sia fondata su considerazioni di natura ambientale. Infatti,
la tutela dell'ambiente costituisce uno degli scopi essenziali della Comunità. Questa ha in
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In merito alla problematica della gestione fiscali degli scambi all’interno del mercato comunitario si ricordi la
sentenza del 3 maggio 2003 C-243/03 della Corte di Giustizia delle Comunità Europee secondo cui : “ viene meno agli
obblighi incombentigli in forza del diritto comunitario, in particolare ddegli articoli 17 e 19 della sesta direttiva 77/388
in materia di armonizzazione, uno Stato membro che introduce una norma particolare la quale limiti la detraibilità
dell’imposta sul valore aggiunto afferente all’acquisto di beni strumentali in quanto finanziati mediante sovvenzione”.
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particolare il compito di promuovere una crescita duratura e non inflazionistica che rispetti
l'ambiente e la sua azione comporta una politica in tale settore. Inoltre, la compatibilità dei metodi
di produzione dell'energia elettrica con l'ambiente costituisce un obiettivo importante della politica
energetica della Comunità. 6 L'art. 95 [ora 90], primo comma, del Trattato osta a che un'imposta
di fabbricazione, che rientra in un sistema nazionale di tassazione delle fonti di energia, colpisca
l'elettricità di origine nazionale con aliquote differenziate a seconda del modo di produzione della
stessa, mentre grava sull'elettricità importata, quale che ne sia il modo di produzione, con una
aliquota unica che, per quanto inferiore all'aliquota più elevata applicabile all'elettricità di origine
nazionale, determina, sia pure in taluni casi, un'imposizione superiore per l'elettricità importata.
Costituisce infatti violazione dell'art. 95[ ora 90] del Trattato un sistema impositivo interno
secondo il quale il tributo gravante sul prodotto importato e quello gravante sul prodotto nazionale
similare sono calcolati secondo criteri e modalità differenti, con la conseguenza che il prodotto
importato viene assoggettato, sia pure in taluni casi, ad un onere più gravoso. La circostanza che,
in ragione delle caratteristiche dell'energia elettrica, possa risultare estremamente difficile
determinare con esattezza il modo di produzione dell'energia elettrica importata, e quindi le fonti di
energia primaria utilizzate per la sua produzione, non può giustificare un siffatto sistema
impositivo, poiché delle difficoltà di ordine pratico non possono essere tali da giustificare
l'applicazione di tributi nazionali discriminatori nei confronti dei prodotti originari di altri Stati
membri. Sebbene, in linea di principio, l'art. 95 [ora 90]del Trattato non obblighi gli Stati membri
ad abolire differenze oggettivamente giustificate che il diritto nazionale stabilisca tra i tributi
interne gravanti su prodotti nazionali, ciò non vale quando l'abolizione di tali differenze sia l'unico
mezzo che consenta di evitare la discriminazione, diretta o indiretta, dei prodotti importati”.
In particolare, perché si abbia “discriminazione fiscale” é necessario che le norme considerate lesive
siano imposizioni interne che colpiscono allo stesso tempo il prodotto interno e quello importato ma
con la previsione di trattamenti fiscali più gravosi per merci e servizi importati, rispetto ai prodotti
interni similari o concorrenti.
Infatti, per “trattamento fiscale discriminatorio” bisogna intendere la situazione per la quale il bene
importato é sottoposto ad una pressione fiscale superiore rispetto a quello riservato al prodotto
nazionale, ledendo in tal modo la parità di trattamento
12
.
12
A scopo meramente esplicativo vale la pena ricordare che il principio di non discriminazione è stato utilizzato da
parte della Corte di giustizia Ce soprattutto nel settore tributario allo scopo di eliminare, o quantomeno ridurre, gli
effetti pregiudizievoli e distorsivi scaturenti da fattori quali l'appartenenza dei soggetti passivi ad ordinamenti giuridici
diversi, o la provenienza di merci da uno Stato della Comunità piuttosto che da un'altro. Del resto, è importante
ricordare che la fiscalità non rientra, se non indirettamente, nei compiti principali della Comunità indicati nell'art. 2 del
Trattato (ex B). Come ricordato nella presente trattazione, le uniche importanti disposizioni a carattere fiscale, infatti,
sono quelle contenute negli articoli da 90 a 93 (ex 95 - 99) - di cui alla parte terza del titolo VI - in materia di imposte
indirette, in cui si statuisce una proibizione di ordine generale ad operare discriminazioni fiscali nei confronti di prodotti
importati da altri Stati membri e si prevede, sempre limitatamente alle sole imposte indirette, l'armonizzazione delle
legislazioni fiscali degli Stati Ue nella misura in cui essa sia necessaria per un corretto funzionamento del mercato
interno (art. 93). La rilevata mancanza di un'analoga previsione in materia di imposte dirette ha fatto si che le iniziative
in tale delicato settore facessero leva sul disposto dell'art. 94 (ex art. 100), il quale consente al Consiglio degli Stati
membri di intervenire qualora reputi che le differenze tra le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative dei
Paesi aderenti abbiano un'incidenza diretta sul funzionamento del mercato comune. Partendo dalle predette premesse
vale la pena ricordare l’approccio della Commissione che provveduto a garantire la progressiva rimozione degli ostacoli
fiscali adoperando lo strumento operativo della integrazione negativa negative integration; l’organo comunitario
realizza ciò sottoponendo le disposizioni tributarie nazionali e convenzionali, al vaglio dei principi fondamentali del
diritto Comunitario quali, appunto, il divieto di discriminazione e le c.d. libertà comunitarie. Il principio di non
discriminazione fiscale, nella sua applicazione trova delle giustificazioni: l'esigenza di coerenza del sistema fiscale e le
norme c.d. procedurali o di accertamento. Infatti, non può essere tuttavia letto in senso assoluto, giacché, seppur non
espressamente codificata, giustifica l'esistenza di situazioni discriminatorie. Una prima fattispecie è quella della
"coerenza del sistema fiscale", per la prima volta affermata in occasione della sentenza Bachmann del 1992 dalla
Corte di Giustizia delle Comunità Europee la quale ha ritenuto che "la coerenza di siffatto regime fiscale, la cui
configurazione spetta a ciascuno Stato membro, presuppone, pertanto, che nell'ipotesi in cui sia obbligato ad
ammettere la detrazione dei contributi d'assicurazione sulla vita versati in un altro Stato membro, lo Stato in questione
possa percepire l'imposta sulle somme dovute dagli assicuratori". Nonostante ciò, la Corte ha ritenuto necessario
11
Questo fenomeno, in altre parole, si realizza attraverso imposizioni interne che colpiscano, allo
stesso tempo, i prodotti importati e nazionali, pesando maggiormente sui primi.
Non rientrano nella casistica in esame le imposte a “tassazione equivalente” ai “dazi doganali”,
costituite da quelle pretese impositive dello Stato giustificate dal presupposto d’imposta
dell’oltrepassamento della frontiera.
E’ di palmare evidenza che la surrichiamata ipotesi normativa é vietata dall’ordinamento
comunitario.
Ma, l’articolo 90 del Trattato Ue non si limita alla sola previsione della ipotesi costituita dal
trattamento fiscale discriminante del prodotto importato rispetto a quello nazionale “similare”:
infatti, nel suo secondo comma vieta qualunque forma di discriminazione fiscale nel caso doi
prodotti che, pur non essendo similari, si trovano in rapporto di concorrenza anche se meramente
parziale, indiretta o potenziale.
Rispetto a tale previsione non é sufficiente che la tassazione interna sia più gravosa, poiché é
necessario dimostrare che abbia un effetto protezionistico.
Si tratta di una sfera di applicazione più ampia rispetto all’ipotesi prevista nel primo comma, anche
se abbisogna della dimostrazione del “maggior onere” e dell’effetto “effetto protezionistico”.
La discriminazione in parola può appalesarsi in diverse forme analizzate da parte della
giurisprudenza comunitaria.
Si distingue in discriminazione formale e di fatto.
Il primo caso prevede che una imposizione interna differenzia esplicitamente il trattamento fiscale
in rapporto al fatto che si tratta di prodotti nazionali oppure esteri.
Invece, la discriminazione di fatto oppure dissimulata si manifesta qualora i prodotti importati pur
essendo trattati allo stesso modo dei prodotti nazionali per cui sul piano formale non risulta alcuna
differenza di trattamento, sono sottoposti ad una pressione fiscale maggiore.
Ciò può avvenire a causa di trattamenti normativi nazionali che operano su singole categorie di
prodotti sulla base di determinati criteri oppure di determinati prodotti.
Quanto finora esposto non deve essere letto come un divieto aprioristico a porre in essere qualsiasi
trattamento fiscale differenziato, che magari, riportando il discorso al settore energetico, penalizzi
una determinata fonte di produzione rispetto che un’altra
13
.
Infatti, la disposizione comunitaria in parola va mediata e confrontata con la libertà da parte degli
Stati membri di operare differenziazioni di trattamento tra prodotti anche nel caso in cui risultino
similari e in concorrenza, purché non violativi di principi comunitari.
Il diritto comunitario non limita la capacità impositiva nazionale che può anche prevedere dei
regimi differenziati a condizione che operi in ottemperanza a dei criteri obiettivi.
In quest’ottica, l’attività del legislatore fiscale nazionale deve coesistere in armonia con quella
comunitaria, di cui diviene il corollario
14
.
L’introduzione di categorie fiscali e i criteri di differenziazione di trattamento attengono
all’esercizio di competenze degli Stati membri a condizione che siano motivati da ragioni di politica
verificare ulteriormente se vi fosse una modalità alternativa che garantisse comunque la tassazione delle somme erogate
dalle assicurazioni straniere. Viene, poi, il secondo caso di eccezione al principio comunitario in parola costituito dalla
presenza di disposizioni domestiche c.d. procedurali o, in senso lato di accertamento, miranti a prevenire l'evasione. Va
rilevato che le suddette disposizioni, infatti, ben possono contrastare con le libertà comunitarie, in primis quella di
circolazione di capitali e di stabilimento delle persone giuridiche. Sotto tale profilo, la Corte ha applicato più volte il
principio di proporzionalità, in virtù del quale, per usare come indicato nella sentenza Bordessa del 23 febbraio 1995,
occorre "accertare se la misura nazionale controversa sia necessaria alla tutela degli scopi perseguiti e se detti scopi
non possano essere perseguiti con criteri meno restrittivi della libera circolazione dei capitali". In altri termini, in
relazione al suddetto principio, le disposizioni antiabuso, per poter essere considerate legittime: devono essere idonee
allo scopo che si intende perseguire; contestualmente, poi, non devono essere eccessive rispetto a quanto strettamente
necessario per il raggiungimento dello scopo che si intende perseguire;
13
Si veda, al riguardo, la normativa svedese sulle accise applicata alla produzione energetica;
14
Sentenza Corte di Giustizia delle Comunità europee del 16 dicembre 1986 C 200/85 Commissione/Italia;
12
economica legittime e, come già rilevato, vengano create nel pieno rispetto della normativa
comunitaria.
Parimenti, un sistema impositivo non può considerarsi discriminatorio per la sola circostanza che la
categoria tassata in misura maggiore é rappresentata esclusivamente da prodotti importati in
particolare da Stati membri
15
.
Invece, allo scopo di individuare come il singolo provvedimento fiscale alteri la libertà di
circolazione dei beni e dei servizi é necessario considerare se sia idoneo a distogliere il
consumatore dall’acquisto di un determinato prodotto di fabbricazione straniera a vantaggio di un
altro prodotto appartenente alla stessa categoria merceologica.
Partendo da questi presupposti, emerge che l’attenzione dell’interprete si deve concentrare sul
contesto economico e legislativo in cui viene posta una disposizione fiscale piuttosto che sulla
singola norma. In tal senso, appare chiaro che si abbraccia un approccio caratterizzato dalla
“personalizzazione” delle controversie, comportando sfumature e sottolineature diverse legate ad
ogni singolo caso preso in considerazione
16
.
Ma, per mero tuziorismo, va rilevato che il Giudice Comunitario, non si interessa dei presupposti e
degli scopi che muovono il legislatore nazionale nella adozione di una misura, ma si limita
solamente a individuare possibili interferenze nei confronti del diritto comunitario.
***
15
Sentenza Corte di Giustizia delle Comunità europee del 14 gennaio 1981 C 140/1979;
16
Sentenza Corte di Giustizia delle Comunità europee 3 marzo 1988 causa 252/86;
13
AGEVOLAZIONE FISCALE E AIUTO DI STATO
Il tema della libertà dello Stato membro di poter attuare una politica fiscale imperniata sulla
differenziazione di trattamento tributario si acuisce rispetto al già citato istituto della agevolazione
fiscale
17
.
Attraverso l’agevolazione tributaria l’Autorità Fiscale nazionale utilizza il modulo tributario per
relizzare una diversità di trattamento impositivo su una base delle distinzioni delle fattispecie
tassabili allo scopo di raggiungere un obiettivo di carattere sociale ed economico.
In merito all’ipotesi ora in esame valgono le considerazioni sopra esposte: infatti, come già rilevato,
l’articolo 90 Ue non pone limiti alla sovranità fiscale di uno Stato di istituire il sistema di
tassazione che si ritiene più idoneo per ciascun prodotto, prevedendo ad esempio agevolazioni
oppure esenzioni, a condizione che non operi nel senso di proteggere il mercato interno ed alterare
la concorrenza dei prodotti stranieri e prodotti nazionali
18
.
In altre parole e per evidenziare quanto sopra rilevato, la differenziazione realizzata attraverso
l’agevolazione é compatibile con l’ordinamento comunitario a condizione che non ne contrasti i
principi ispiratori.
Ma v’é una peculiarità: il Giudice comunitario non indica la soppressione dell’agevolazione, ma al
contrario il suo mantenimento qualora sia giustificata da esigenze di politica economica nazionale,
la quale sicuramente non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 90 del Trattato Ue.
In una siffatta prospettiva l’agevolazione nel suo ambito applicativo deve involgere anche i prodotti
importati che soddisfino le condizioni per l’applicazione: il legislatore nazionale deve vagliare e
prevedere le conseguenze delle proprie scelte fiscali.
Sotto un profilo operativo, l’operazione di applicazione di regole comuni a beni della stessa
categoria fa sorgere il problema legato alla effettiva individuazione della equivalenza dei prodotti,
emergente anche dalla differenza di contesto tra lo Stato importatore e quello esportatore.
A tal proposito la Corte di Giustizia é dell’opinione che solo qualora vi sia una concreta, manifesta
ed insanabile impossibilità di assimilazione, é necessario procedere verso la soppressione della
agevolazione
19
.
Infatti, quanto innanzi esposto ha rappresentato il costante indirizzo d’azione delle istituzioni
comunitarie, tendente ad un sostanziale ed effettivo rimaneggiamento della legislazione fiscale
nazionale sia nel caso di palese discriminazione sia in quello di possibile violazione dello stesso
principio causata da confusione nel settore normativo di riferimento.
***
AGEVOLAZIONE FISCALE E DIVIETO DI AIUTO DI STATO
L’agevolazione fiscale deve essere considerata anche rispetto al divieto di aiuto di stato sancito
dall’articolo 87 del Trattato Ue. I beni esportati nel territorio di uno stato membro non possono
beneficiare di alcun ristorno d’imposizioni interne che sia superiore alle imposizioni ad essi
applicate direttamente o indirettamente, originando in tal modo una situazione di pratica
protezionistica.
L’agevolazione fiscale a favore del prodotto esportato può assumere la forma di un rimborso di
imposizione interna in misura superiore a quella effettivamente applicata, favorendo il prodotto
esportato e falsando la concorrenza tra prodotti similari o concorrenti nel paese di esportazione.
17
Autocertificazione per le imprese che si avvalgono degli aiuti di Stato (articolo 1, comma 1223). Introdotta una sorta
di autocertificazione per le imprese che intendano avvalersi di aiuti di Stato. In particolare i destinatari degli aiuti
devono dichiarare di non rientrare fra coloro che hanno ricevuto e non rimborsato aiuti ritenuti illegali o incompatibili
dalla Commissione europea.
18
Al riguardo si deve segnalare la costenante giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee (sentenza
del 10 ottobre 1978 C/148/77; sentenza 4 marzo 1986 C/106/84.
19
Al riguardo si ricordi la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee C 21/79 Commissione /Italia.
14
Questa posizione é giustificata dall’obiettivo che la U.e si é posta di creare un mercato unico ove
non vi siano delle barriere e degli ostacoli alla parità di condizioni tra gli operatori economici
nell’esercizio delle proprie attività commerciali.
Gli articoli 92 e 93 del Trattato Ue inseriscono nella normativa a tutela del pari trattamento fiscale,
una articolata casistica.
In particolare, la prima delle suddette disposizioni nel proprio paragrafo 1 vieta l’erogazione di aiuti
di Stato, che, favorendo talune imprese e produzioni incidano sugli scambi , falsino e minaccino di
falsare la concorrenza.
Viene, poi, il paragrafo 2 il quale stabilisce che sono compatibili con il mercato comune, gli aiuti a
carattere sociale connessi a singoli consumatori a condizione che non intervengano discriminazioni
connesse con l’origine dei prodotti e gli aiuti connessi in occasione di calamità naturali o eventi
eccezionali. Inoltre, il paragrafo 3 prevede che possono essere considerati compatibili: gli aiuti
destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente
basso, oppure si abbia una forma di sottoccupazione; gli aiuti destinati a promuovere la
realizzazione di importanti progetti di comune interesse europeo, oppure a a porre rimedio a gravi
perturbamenti dell’economia di uno Stato membro; ed infine, gli aiuti destinati a favorire lo
sviluppo di talune attività o di talune regioni, purché non alterino le condizioni dello scambio in
misura contraria all’interesse comune.
E’ necessario nei suddetti casi un esame preventivo da parte della Ue per valutarne la compatibilità
con i principi generali dell’ordinamento giuridico.
Per ciò che concerne la categoria degli aiuti di stato si deve operare una distinzione tra aiuti di stato
esistenti e in via di istituzione, prevedendo distinte procedure di controllo.
Riguardo la prima categoria suddetta sono previsti dei controlli comunitari permanenti e si
sviluppano in questo modo: una volta constatata l’incompatibilità assoluta con i principi comunitari
la Commissione deve ordinare la modifica o la soppressione della normativa nazionale.
Invece, in ordine alla seconda categoria, i progetti diretti ad istituire e a modificare gli aiuti siano
comunicati alla Commissione in tempi utili allo scopo di consentire a quest’ultima le proprie
osservazioni imponendo agli stati membri di non dare esecuzione alle misure progettate prima che
tale procedura abbia condotto ad una decisione definitiva.
In quest’ottica si deve leggere l’articolo 94 che fornisce al legislatore comunitario il potere di
emanare atti normativi riguardanti il settore in parola.
Alla luce delle predette considerazioni riguardo la categoria degli aiuti di stato, si deve analizzare il
concetto di agevolazione fiscale, la quale vi rientra pacificamente giacché prevista nell’articolo 92
del Trattato Ue: l’agevolazione é quello strumento fiscale grazie al quale si creano dei vantaggi a
favore di determinati soggetti, liberati da spese che incidono sul bilancio aziendale, a fronte di una
mancata entrata erariale.
D’altronde, in dottrina
20
l’agevolazione fiscale viene comunemente definita come uno strumento
che lo Stato adopera allo scopo di avvantaggiare determinati soggetti economici.
Ciò, però, non esclude che tutte le agevolazioni siano da ricomprendere nel novero dei
provvedimenti vietati dall’ordinamento comunitario, in quanto lesive della libertà del mercato
unico.
In primo luogo, per essere lesive di principi comunitari, i provvedimenti in parola devono riferirsi a
imprese o produzioni; più nello specifico, devono riferirsi a “talune” imprese o produzioni.
Infatti, quando una agevolazione o anche una norma promozionale o di vantaggio viene
generalizzata ed rappresenta una disposizione ordinaria dell’ordinamento fiscale non lede i vincoli
posti dall’ordinamento comunitario.
In linea con le considerazioni svolte si deve ricordare la tendenza del normopoieta comunitario
finalizzata alla creazione di un processo di armonizzazione normativa, funzionalizzata e strumentale
rispetto al raggiungimento di un elevato livello di effettività del mercato comunitario.
20
C.Cosciani “Problemi fiscali del Mercato Comune”, Giuffré, Milano 1958, pg 44;