II
incrementali. Lo studio ha fatto emergere un nuovo, interessante, stadio di tale linea
evolutiva: i metodi agili.
La Parte Seconda di questo lavoro descrive il tentativo, da parte del candidato, di
avviare una valutazione “sul campo” della tesi sostenuta nella Prima Parte.
L’occasione è stata offerta da Shared Sercice Center by Pirelli & Telecom Italia (SSC),
consorzio nato con l’obiettivo di mettere sotto lo stesso tetto l’informatica di due
colossi: Telecom Italia e Pirelli. SSC ha offerto, in maniera cortese e attenta, la
possibilità di frequentare le proprie risorse e strutture al fine di effettuare la valutazione
dell’impatto di un’innovazione tecnologica all’orizzonte sul contesto organizzativo del
Centro Sviluppi Software (CSS), il centro di eccellenza di produzione del software di
SSC. In particolare si cercherà di valutare l’impatto sul Centro Sviluppi Software della
futura adozione, da parte del Gruppo Pirelli & Telecom Italia, della nuova versione di
SAP, un software standard che permette di integrare tutti i processi di elaborazione
aziendale.
La finalità e poi i risultati di questo caso aziendale non devono apparire incoerenti con
l’approccio delle parte teorica, anzi è la prima analisi, nella direzione tecnologia verso
organizzazione, di una ricerca più ampia che miri ad indagare l’esistenza di un percorso
inverso che dall’azione sociale dell’organizzazione porta a strutturare ancora la
tecnologia. Pertanto si continuerà ad usare il termine “impatto”, convinti della
bidirezionalità del rapporto tecnologia ed organizzazione.
La metodologia di riferimento, coerentemente a quanto sostenuto nella Prima Parte, sarà
il Business Process Reengineering, il cui motore sarà l’innovazione tecnologica.
Pertanto dopo un indispensabile momento di approfondimento delle metodologie e delle
tecnologie coinvolte nel cambiamento (cap. 6 e 7) saranno illustrate le fasi operative del
caso aziendale. Le prime interviste ai responsabili e al personale SSC e i primi
documenti aziendali analizzati hanno fornito il contenuto del capitolo ottavo, in cui
viene descritto l’articolato contesto aziendale del CSS all’interno di SSC.
Il capitolo nono riporta la mappatura e la rappresentazione, mediante opportune
tecniche, dei processi che costituiscono l’attuale assetto tecnologico – organizzativo del
CSS.
Il capitolo decimo illustra la messa a punto di un modello di diagnosi finalizzato ad
evidenziare i gap, in termini di attività, competenze e ruoli che la fase di progettazione
del cambiamento, di cui si forniscono le linee guida agli eventuali prosecutori di questo
lavoro, dovrebbe colmare per accogliere la nuova tecnologia.
1
Parte Prima
ORGANIZZAZIONE AZIENDALE E PRODUZIONE DEL SOFTWARE
2
Capitolo 1
L’INNOVAZIONE ORGANIZZATIVA BASATA SULLE ICT:
IL BUSINESS PROCESS REENGINEERING
1.1 INTRODUZIONE
Fin dalle prime applicazioni in ambito aziendale, le tecnologie dell'informazione e della
comunicazione si sono rivelate elemento di forte influenza sull'organizzazione e sulla
sua struttura.
Tuttavia, lo sviluppo coerente di organizzazione e tecnologia rimane ancora oggi un
obiettivo da raggiungere.
Questo capitolo si propone di dare sostegno a una tesi essenziale: limitare la
comprensione delle ICT (Information and Communication Technologies) ai soli
specialisti comporta non solo il rischio di errori nelle scelte degli investimenti in
tecnologie, ma anche la perdita di opportunità di miglioramento dell'attività del singolo
ruolo, delle unità organizzative, dei processi di business, dell’intera organizzazione e dei
suoi rapporti con gli interlocutori del suo del suo settore.
In questo senso, ruolo delle ICT nell’organizzazione verrà descritto facendo riferimento
a tre dimensioni di analisi:
ξ strutturazione dell’organizzazione: funzionale oppure per processi;
ξ orizzonte temporale: breve (visione statica) oppure medio-lungo (visione
dinamica);
ξ confini organizzativi: organizzazione (visione intra-organizzativa), oppure
sistemi di organizzazioni (visione inter-organizzativa).
3
1.2 FUNZIONI, SISTEMA INFORMATIVO, ICT
La struttura organizzativa più comunemente adottata nelle aziende è quella per funzioni.
Le funzioni sono definite come aggregazioni di uomini e mezzi necessari per lo
svolgimento di attività della stessa natura: così, per esempio, la funzione di produzione
raggruppa tutte le risorse umane e fisiche necessarie allo svolgimento delle attività
produttive, la funzione amministrativa raggruppa tutte le risorse necessarie allo
svolgimento delle attività di tipo contabile e così via (Mintzberg, Lampel, 1999).
Questa rappresentazione consente di definire in modo relativamente semplice i compiti
da svolgere, le persone responsabili, le risorse assegnate, le procedure da seguire.
Secondo questo criterio, l'intera azienda viene suddivisa in unità organizzative
funzionali.
Le ragioni di questa scelta non sono necessariamente pragmatiche, ma legate aIla
cultura economico-aziendale dominante, basata sui principi consolidati delle teorie di
Adam Smith e Frederick W. Taylor, i fautori del principio della divisione del lavoro
secondo cui le persone lavorano con la massima efficienza quando svolgono pochi
compiti ripetitivi.
La visione funzionale enfatizza le relazioni tra ruoli all'interno di una funzione, dando
scarsa rilevanza alle relazioni interfunzionali. Ne segue che, secondo questo approccio,
il sistema informativo complessivo, inteso come l’insieme di attività di gestione
dell’informazione, può essere visto come l’unione di sottosistemi informativi dedicati a
ciascuna funzione. Pertanto, le applicazioni software focalizzate sulla singola funzione
consentono di raggiungere un alto livello di automazione delle sue attività tipiche,
spesso però senza tenere in considerazione le esigenze (in termini di compatibilità e
integrazione) di chi dovrà usufruire dei risultati delle relative elaborazioni, in particolare
se esterno alla funzione stessa. Questa impostazione porta spesso a ridondanza e
conseguente inconsistenza dei dati: in un' organizzazione che utilizza applicazioni
software a supporto di specifiche funzioni spesso accade che ciascuna applicazione
faccia uso di un archivio di dati separato, anche se la percentuale di sovrapposizione dei
dati utilizzati dalle varie funzioni è piuttosto elevata.
L’elevata specializzazione, inoltre, nasconde uno dei principali limiti di questo
approccio: nel buon funzionamento complessivo di un' organizzazione giocano un ruolo
tutt' altro che irrilevante le interazioni tra aree funzionali diverse, in termini di scambi di
beni e informazioni.
4
In aggiunta, la rigidità intrinseca a qualunque sistema automatizzato fa sì che i sistemi
informatici di tipo funzionale finiscano spesso con l'esasperare la separazione tra aree
diverse, creando delle vere e proprie barriere alla comunicazione. Questo svantaggio è
ancora più penalizzante se prendiamo in considerazione le relazioni inter-organizzative,
che sono totalmente estranee alla visione basata sulle funzioni (Tagliavini M., Ravarini
A., Sciuto D., 2003).
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1.3 PROCESSI, SISTEMA INFORMATIVO, ICT
Con il termine “processo” si fa riferimento a un insieme di attività attraverso le quali le
risorse di un' organizzazione (individui e mezzi) realizzano la mission organizzativa
trasformando input (materiali o immateriali) in output, ossia in prodotti/servizi che
trasferiscono valore al fruitore degli stessi.
L’interesse della visione per processi rispetto a quella tradizionale per funzioni, si coglie
con particolare evidenza alla luce dell' obiettivo generale di creazione del valore, che
include gli obiettivi specifici di profitto e di miglioramento delle prestazioni di costo,
tempo e qualità.
La scomposizione di un’organizzazione nei suoi processi, operazione tutt’altro che
immediata, consente, tuttavia, di evidenziare le relazioni tra diverse unità organizzative,
spostando l’attenzione da norme e procedure di un’area ristretta agli obiettivi globali
dell’organizzazione. Questa interfunzionalità porta a descrivere i fabbisogni informativi
in modo più completo e preciso, consentendo quindi di progettare un sistema
informativo più efficace.I sistemi informatici a supporto dei processi hanno una
caratteristica che li rende intrinsecamente diversi dai sistemi funzionali: sono
tipicamente sistemi modulari, in cui ciascun modulo è finalizzato al supporto di
specifiche categorie di processi, caratterizzati da un altissimo livello di integrazione.
Questa proprietà è conseguenza di due fattori cruciali: tutti i moduli sono sviluppati da
un'unica azienda (e quindi intrinsecamente compatibili fra loro) e tutte le informazioni
rilevanti riguardanti l'organizzazione sono concentrate in un unico archivio centralizzato
accessibile da tutti i moduli.
Le soluzioni informatiche di questo tipo ricadono sotto il generico nome di sistemi ERP
(Enterprise Resource Planning): tali sistemi hanno sostanzialmente saturato il mercato
delle grandi aziende nonostante la loro introduzione richieda tempi piuttosto lunghi e
comporti un impatto organizzativo significativo, perché richiede tipicamente di
modificare le procedure e di utilizzare nuovi strumenti. E’ quindi piuttosto frequente
che la fase di avviamento di tale sistema sia caratterizzata dalla cosiddetta resistenza al
cambiamento, atteggiamento che può generare difficoltà e inefficienze che, se
sottovalutate, possono portare perfino al fallimento dell'intero progetto (Tagliavini M.,
Ravarini A., Sciuto D., 2003).
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1.3.1 I PRINCIPI CHIAVE DELLA GESTIONE PER PROCESSI
La gestione per processi si fonda su alcuni principi cardine che vengono qui illustrati.
1. Diffondere la “cultura di processo”. Occorre identificare i principali processi
aziendali, abituarsi a valutarne il contributo alla generazione di valore, focalizzarne le
prestazioni complessive e imparare a definire “obiettivi di processo”.
2. Attivare catene interne di clienti e fornitori. Si tratta di considerare funzioni e reparti
a valle come veri e propri clienti. Occorre essere rapidi e flessibili nel servire i clienti
interni e imparare a lavorare per il cliente, non per la funzione. Infine è necessario
coinvolgere in una logica di partnership anche i fornitori veri e propri.
3. Individuare il process owner. Occorre identificare un “proprietario del processo” che
se ne faccia carico e che ne presidi l'efficacia e l'efficienza complessiva.
4. Bilanciare l'utilizzo della logiche pull e push, trovando opportuni punti di snodo.
Secondo la logica di tipo pull ci si attiva solo quando un cliente richiede effettivamente
l'output del processo; mentre secondo la logica push le attività si pianificano e si
attivano in anticipo. Occorre riconoscere quando usare l'una e quando l'altra, gestendo
opportunamente i punti di snodo.
5. Decentrare i processi di supporto e la gestione delle informazioni. Occorre far sì che
l'informazione sia gestita ed elaborata il più possibile da chi opera nei processi primari.
6. Usare le tecnologie dell'informazione e della comunicazione per ridisegnare i
processi, migliorare il coordinamento e accelerare la risoluzione dei problemi. Tutto
ciò è molto diverso dall'utilizzare la tecnologia semplicemente per ridurre il contenuto
di lavoro e controllare gerarchicamente il comportamento delle persone.
7. Ricomporre le attività frammentate. Non basta aumentare la capacità di integrazione.
Occorre contemporaneamente ridurne la necessità, ricomponendo attività
eccessivamente frammentate, perché svolte da unità organizzative e individui differenti.
8. Introdurre la delega decisionale. Un certo grado di delega decisionale è necessario,
in quanto favorisce la rapida risoluzione dei problemi a livello locale evitando continui
ricorsi alla gerarchia. La delega è necessaria sia a livello delle singole persone, sia dei
gruppi di lavoro e dei team interfunzionali.
9. Realizzare un'organizzazione snella. Occorre modificare la struttura organizzativa,
introducendo le strutture piatte e corte, e riducendo gli staff (Bartezzaghi, Spina,
Verganti, 1999).
7
La gestione per processi, l'orientamento ai risultati, l'attivazione di catene interne
clienti-fornitori, le responsabilità di processo e di progetto, le logiche pull, l'utilizzo
delle tecnologie per la comunicazione e il coordinamento, la definizione di ruoli ampi e
integri, il lavoro in team, la delega decisionale, le strutture piatte, l'organizzazione a rete
richiedono che i contributi e gli apporti delle persone che operano nell'organizzazione
siano più ricchi e qualificati che nel passato. Questo può realizzarsi se si sviluppano
congiuntamente l'empowerment del personale, le competenze e nuovi modelli di
leadership. Le politiche di gestione e sviluppo del personale vanno quindi trasformate e
orientate in modo da creare le condizioni per lo sviluppo coerente di tali elementi.
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1.4 IL RUOLO DELLE ICT IN BASE ALL’ORIZZONTE TEMPORALE DI
RIFERIMENTO
La discussione condotta finora è implicitamente fondata sull'ipotesi che le tecnologie
informatiche costituiscano strumenti a servizio di scelte organizzative. Questa ipotesi
appare senza dubbio valida nel breve termine, ossia se l’orizzonte temporale di
riferimento e’ tale da non consentire cambiamenti all’organizzazione: in questo senso si
può parlare di visione “statica” delle ICT nell’organizzazione. In base a tale approccio,
e’ corretto ritenere che le ICT svolgano il ruolo di variabile dipendente: esse supportano
la gestione dell’informazione al fine di aiutare il funzionamento dell’organizzazione
secondo modalità già definite (figura 1.1).
Secondo questa visione, le ICT forniscono un contributo all’organizzazione in termini
di incremento della sua efficienza, consentendo di ridurre la quantità di risorse
necessarie a conseguire lo stesso risultato, e della sua efficacia, permettendo di
migliorare le prestazioni dell’organizzazione a parità di risorse impiegate.
La validità assoluta di questa visione, tuttavia, è stata messa in dubbio sin dalla metà
degli anni ’80, quando una serie di studi empirici ha rilevato che su un orizzonte
temporale medio-lungo (pari, in funzione del settore, a 3-5 anni) gli investimenti in ICT
non hanno portato a significativi miglioramenti degli indici aggregati di prestazione
delle organizzazioni. Questo fenomeno, noto come paradosso della produttività
(Strassmann, 1990), dimostra l'inadeguatezza della visione statica, perlomeno se
l'orizzonte di riferimento è il medio-lungo periodo.
Figura 1.1 – La visione statica del ruolo delle ICT
(fonte: Tagliavini M., Ravarini A., Sciuto D., 2003)
9
Quali sono le cause che hanno portato a un risultato così apparentemente con-
traddittorio? Attribuendo alle ICT il ruolo di pura variabile dipendente, le organiz-
zazioni hanno trascurato uno degli apporti più rilevanti che le tecnologie possono dare
all' organizzazione: contribuire alla sua trasformazione, allo sviluppo organizzativo.
Questo contributo, effettivamente, può essere rilevato solo su un lasso temporale
sufficientemente lungo (di qui la difficoltà a superare la visione “statica”), ma, in ogni
caso, può avere luogo solo se l'organizzazione mette in atto una serie di trasformazioni,
di cui gli investimenti in ICT costituiscano solo una delle leve. Le ICT sono pertanto
viste come agenti di cambiamento e supportano una visione "dinamica" del loro ruolo
nell'organizzazione (figura 1.2).
La letteratura scientifica e le esperienze sul campo indicano, tuttavia, che affinché
questa visione delle ICT porti a sensibili miglioramenti delle prestazioni complessive, è
necessario che l'organizzazione sia strutturata per processi.
Queste considerazioni costituiscono il fondamento del Business Process
Reengineering (BPR), un approccio allo sviluppo organizzativo molto diffuso, pur con
fortune alterne, durante gli anni '90, che pone al centro dello sviluppo il concetto di
cambiamento e la visione per processi (Tagliavini M., Ravarini A., Sciuto D., 2003).
Figura 1.2 – La visione dinamica del ruolo delle ICT
(fonte: Tagliavini M., Ravarini A., Sciuto D., 2003)
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1.5 IL BUSINESS PROCESS REENGINEERING
La tesi esposta in quello che è considerato il “manifesto” del BPR, Reengineering the
Work: Don't Automate, Obliterate (Hammer, 1990), è che per rendere efficaci le ICT è
necessario che i processi di business siano modificati, anche sfruttando le opportunità
concesse dalle tecnologie stesse. Intesa come principio generale, questa affermazione ha
ricevuto consensi pressoché unanimi, ma è molto accesa la discussione su quali siano le
modalità per metterla in atto.
A un estremo vi e’ l’approccio sostenuto dallo stesso Hammer: per conseguire
miglioramenti veramente significativi delle prestazioni organizzative l'unica strada
percorribile è il completo ridisegno dei processi. Secondo questa visione, bisogna
ripensare da zero il funzionamento dell'organizzazione, e ricostruirla come un insieme
di un numero limitato di processi fondamentali, per individuare i quali è bene tenere
conto delle nuove opportunità concesse dalle ICT.
Quello di Hammer è, tuttavia, un approccio particolarmente rischioso: esso comporta
inevitabilmente forti resistenze al cambiamento legate alla percezione di
indeterminatezza tipica di ogni fase di transizione e alla difficoltà ad abbandonare le
consuetudini o l'ambiente lavorativo. Inoltre, ponendo l'enfasi esclusivamente sui
processi e sulle tecnologie, è alto il rischio di sottostimare pesantemente il fattore
umano, che è invece essenziale per il successo di qualunque iniziativa di innovazione.
Nel 1993 Davenport propose un’interpretazione meno drastica del concetto di BPR
(Davenport, 1993), talvolta indicata con il nome significativo di Business Process
Improvement (figura 1.3). La metodologia suggerita da Davenport è molto più analitica,
nel senso che richiede la descrizione molto dettagliata di processi, fasi e attività. In
questo modo si possono identificare con precisione i “colli di bottiglia” di un processo e
le attività o i ruoli che, se trasformati, possono determinare grandi miglioramenti delle
prestazioni complessive dell’organizzazione.
Questo approccio ricerca, pertanto, il compromesso tra rischi e risultati di un progetto di
BPR: l'intervento su specifici punti critici, che quindi non richiede investimenti a rischio
elevato, dovrebbe permettere di conseguire risultati rilevanti per l'organizzazione.
Anche Davenport vede nelle ICT una leva molto efficace per realizzare l’innovazione
dei processi, come dimostra il titolo del suo lavoro piu’ significativo al riguardo:
“Process Innovation: Reengineering Work through Information Technology”.