2
Il capitolo quarto Ł destinato all esposizione di due casi-studio: il centro commerciale
Le Barche di Mestre e la citt di Perugia. In entra mbi i contesti non siamo di fronte a
situazioni di contrasto tra strutture extraurbane e negozi cittadini. Il primo Ł stato scelto
per la sua peculiarit , in quanto rappresenta un ca so di centro commerciale urbano
localizzato in centro-citt piuttosto ben integrato nella vita cittadina e che non deve
affrontare grossi contrasti col piccolo dettaglio. Il secondo caso pratico riguarda il tipico
esempio di una citt in cui la situazione del detta glio urbano versa in una situazione
problematica gi da diversi anni, a causa dello svi luppo di grandi superfici esterne alla
cintura urbana; l Amministrazione comunale di Perugia cerca di far fronte a questo
problema impegnandosi a risolvere la questione del rilancio del Mercato Coperto,
struttura presente in pieno centro storico.
Il quinto ed ultimo capitolo si apre con la descrizione di due nuovi concept che a loro
volta minacciano il successo del centro commerciale extraurbano: i factory outlet ed i
parchi commerciali. Accanto a questi vengono delineate le tendenze generali future
della distribuzione commerciale, assieme ad una nuova dimensione del marketing legata
all esperienza dell acquisto. Oltre a queste nuove traiettorie, ultimamente riaffiora un
nuovo interesse nel commercio urbano e si stanno diffondendo anche in Italia delle idee
e delle figure ad hoc: town centre management, marketing urbano e city logistics. Per
ultimi vengono presentati i principi generali della riforma Bersani sul commercio e la
sua difficile applicazione nei vari contesti regionali.
3
Capitolo 1
1 La struttura distributiva italiana: cause ed effetti
1.1 La distribuzione commerciale italiana nella storia ed i primi
tentativi d ammodernamento
Il servizio commerciale Ł il prodotto della distribuzione e viene definito come
l insieme delle attivit necessarie a mettere a dis posizione dei consumatori i beni che
questi desiderano nei tempi, nei luoghi, e nelle modalit desiderate 1.
La struttura del commercio in Italia Ł sempre stata polverizzata. Ci Ł dovuto alla
particolare distribuzione della popolazione sul territorio nazionale, costituito perlopiø da
una moltitudine di centri urbani di dimensione medio-piccola e tra loro limitrofi. Questa
conformazione ha di fatto impedito fino a met degl i anni 80, a differenza degli altri
paesi piø industrializzati, il rapido diffondersi di grosse superfici di vendita dentro e
fuori le citt , relegando le strutture commerciali all interno dei centri storici. Secondo i
dati a disposizione2, nel 1960 in Italia solamente il 2,1% delle vendite al dettaglio erano
effettuate da grandi magazzini e grosse catene di supermercati, mentre il 95,2%
provenivano dai piccoli negozi indipendenti. Nell ultimo secolo l Italia ha introdotto
dall estero vari format distributivi per colmare il ritardo nell innovazione in questo
settore e che hanno via via sempre piø insidiato il piccolo dettaglio tradizionale.
1.1.1
Il grande magazzino
La formula del grande magazzino, ovvero una superficie di vendita medio-grande in
prevalenza d’abbigliamento situata in citt , vide la sua comparsa nel nostro paese,
replicando il modello del department store americano, nel 1927 con l’apertura della
Rinascente a Milano3. Una variante del grande magazzino (stessa merceologia trattata,
1
Lugli, Pellegrini, 2005, Marketing distributivo, la creazione di valore nella distribuzione
despecializzata, UTET, Torino
2
Morris, 1999, Contesting retail space in Italy: c ompetition and corporatism 1915-60 , International
Review of Retailing, Distribution and Consumer Research
3
Collesei, Casarin, 1998, La relazione industria-distribuzione tra conflitto e collaborazione, Cedam
4
ma qualit e prezzi piø bassi) Ł data dal magazzino popolare, formula inventata negli
USA da Frank Woolworth, esportata in Europa agli inizi del 900 e i cui primi esempi
nostrani, entrambi partiti da un trasferimento di risorse finanziarie ed imprenditoriali
della Rinascente, sono l’UPIM, inaugurata a Verona nel 1928, e la Sams, Societ
anonima magazzini standard, che diventer Standa, a Milano nel 1931. Grande
magazzino e magazzino popolare, quest’ultimo detto anche a prezzo unico , vedono
una costante crescita nel numero di aperture fino all’inizio degli anni ’80, quando
comincia per loro una fase di lento declino. Tuttavia negli anni della dittatura, con
l Italia chiusa a tutte le esperienze provenienti dall estero e in un regime di autarchia
economica, queste due formule si distinguono per il grande attivismo4. Un altro merito
storico di queste tre insegne, Rinascente-Upim-Standa, Ł stato sicuramente quello di
aver dato vita ad un imprenditorialit commerciale capitalistica nel nostro paese5, la
quale tuttavia ha avuto difficolt ad affermarsi di ffusamente tra i commercianti.
Lo scoppio della seconda guerra mondiale segna una brusca interruzione della
diffusione del grande magazzino, a causa del venir meno di adeguate coperture
finanziarie.
Nel periodo 43- 45 l Europa intera subisce pesanti distruzioni e in molte citt italiane
le aziende della distruzione si devono impegnare in una grandiosa opera di
ricostruzione, che per avviene piuttosto velocemen te per due ordini di motivi6:
• il recupero della funzione commerciale Ł assolutamente indispensabile alle
imprese per collocare le merci nel mercato,
• accanto alla funzione prettamente economica, la ripresa del commercio urbano
assume il significato piø generale di rinascita della citt e della sua vitalit
Il primo censimento del 1951 permette di verificare la consistenza degli esercizi
commerciali in sede fissa che quindi ammontano a circa 500.000 unit 7. Negli anni 50
4
Rossi, 1998, Il commercio e l artigianato dentro le citt , Etaslibri
5
Spranzi, 1991, La distribuzione commerciale, FrancoAngeli
6
Rossi, 1998, Il commercio e l artigianato dentro le citt , Etaslibri
7
ibidem
5
e 60, nel periodo del cosiddetto boom economico, si verificano importanti
cambiamenti8 a livello socio-economico:
• aumento sensibile dei consumi privati pro capite,
• importanti fenomeni di inurbamento (la popolazione residente nelle citt fino a
10.000 abitanti passa dal 44,66% nel 1951 al 35,19% nel 1971),
• nascono i grandi marchi industriali supportati dall avvento della pubblicit .
Pur essendo quindi presenti le condizioni per fronteggiare l incremento della domanda
aggiuntiva con una decisa spinta in direzione della distribuzione moderna, in Italia si Ł
preferito favorire il punto vendita tradizionale. Lo scarso sviluppo dato alla
distribuzione moderna in quegli anni Ł in buona parte frutto di una volontaria decisione
di politica economica, che ha privilegiato lo sviluppo del settore industriale a discapito
del comparto distributivo, considerato marginale e come semplice valvola di sfogo per
le crisi occupazionali dell industria9.
1.1.2
Il supermercato
Il primo supermercato, anch’esso di derivazione statunitense, consistente nella vendita
di articoli food e non food di uso domestico corrente, con una superficie di almeno 400
mq, venne introdotto a Roma nel 1957 e vide una diffusione piø rapida nel territorio
nazionale rispetto al grande magazzino, tuttavia piø contenuta numericamente e come
superficie media in rapporto agli altri paesi europei avanzati. La grande crescita
distributiva di questo format Ł favorita anche dal concomitante diffondersi del
frigorifero nelle case degli italiani, accessorio che permise la formazione di scorte
alimentari di maggior entit . I primi player ad ent rare in questo business10 furono la
Sma, che poi verr assorbita dalla Rinascente, e la Supermarket, che in seguito cambier
nome e diventer Esselunga, a cui seguiranno PAM ne l Veneto e VØGØ a Torino e
Milano. Sentendosi insediati dall ingresso di questo nuovo format, i grandi magazzini
8
Spranzi, 1991, La distribuzione commerciale, FrancoAngeli
9
Collesei, 2000, Marketing, Cedam
10
Rossi, 1998, Il commercio e l artigianato dentro le citt , Etaslibri
6
reagirono inserendo un reparto alimentare a self-service nei loro assortimenti, creando
per dei problemi di posizionamento agli occhi dei consumatori.
Ad oggi, il supermercato Ł entrato in una fase di maturit 11 e se ne possono riscontrare
varie tipologie:
• supermercati di prossimit : modesta superficie di vendita, strategia fondata sulla
vicinanza
• supermercati di catene: dimensioni medie, ubicazione in zone ricche di
opportunit , come la compresenza di grandi magazzin i
• supermercati di alta gamma: assortimento con marche nazionali ed
internazionali, situati in zone centrali di citt m edie e grandi e in centri turistici
alla moda
• supermercati discount: dimensione varia, localizzati sia in periferia di grosse
citt sia in posizione centrale di un area formata da piø comuni di piccole
dimensioni
1.1.3
L ipermercato
Per quanto concerne l’ipermercato, nato in Belgio ma poi diffusosi compiutamente in
Francia a partire dal 1963, classificato come superficie di vendita food e non food
(bazar) superiore ai 2500 mq, localizzata in ambito extraurbano e con disponibilit di
ampio parcheggio, il divario con gli altri stati europei economicamente comparabili
all’Italia Ł addirittura maggiore. Entrato in Italia nel 1972 nei pressi di Milano con
l insegna Carrefour, a met anni ’90 il numero di i permercati nel nostro paese Ł di circa
150 unit 12 con una quota di mercato di appena il 5%, nel 2001 sono 50013, a fronte di
piø di mille presenze in Francia. Questa ulteriore disparit si spiega, oltre ai differenti
comportamenti d’acquisto degli italiani ed alla carenza di imprese della grande
distribuzione operanti in Italia, soprattutto nella difficolt di poter dirottare fuori citt un
11
Collesei, 2000, Marketing, Cedam
12
Collesei, Casarin, 1998, La relazione industria-distribuzione tra conflitto e collaborazione, Cedam
13
Manicardi e Montalto, 1-2/2003, Le tipologie dell a distribuzione , Mark Up
7
traffico che per varie ragioni (di lavoro, commerciali, ) si muove dalla periferia al
centro.
Nel 1969, un indagine delle varie Camere di Commercio su 12.000 negozi dell Italia
settentrionale, e quindi della parte economicamente piø attiva, fornisce un quadro della
situazione italiana14 che appare significativo dello stato di arretratezza in cui versa la
distribuzione:
• il 95% delle aziende commerciali presenta un solo punto vendita,
• il 40% ha una superficie inferiore a 25mq,
• solamente il 4,2% pratica il self-service,
• 1/3 dei negozi non possiede il telefono,
• appena l 11% ha in dotazione un registratore di cassa,
• il 73% non ha mai effettuato un inventario,
• il 41% non esercita una contabilit sistematica.
Per fornire un’ulteriore dato sulla diversit della situazione italiana15, tra il 1881 e il
1983 il rapporto tra negozianti indipendenti e popolazione attiva passava dal 2,5% al
10,4%; nello stesso arco di tempo in Inghilterra lo stesso indice al contrario scendeva
dal 2,8% al 1,7%. Oltre a problemi di natura strutturale, si sono potuti verificare ben
pochi cambiamenti (nuovi ingressi, ampliamento degli spazi, riconversione di edifici)
nell offerta commerciale all interno dei centri cit tadini, a causa di numerosi vincoli
legislativi tesi alla salvaguardia del patrimonio artistico ed architettonico.
Un altra ragione di relativa arretratezza del nostro paese Ł da individuare nella scarsa
propensione all innovazione ed alla ricerca di formule di vendita moderne che ha
contraddistinto i negozianti. Gi di per sØ poco propensi ad attuare nuove tecniche di
vendita a causa della loro et media piuttosto elev ata, hanno goduto di una sorta di
rendita di posizione , con una gestione del punto vendita di tipo familiare e con poche
conoscenze manageriali, trascurando di dover analizzare e seguire le tendenze dei
mercati odierni caratterizzati da forte variet ed instabilit . Molte volte, ci che ha
14
Rossi, 1998, Il commercio e l artigianato dentro le citt , Etaslibri
15
Morris, 1999, Contesting retail space in Italy: c ompetition and corporatism 1915-60 , International
Review of Retailing, Distribution and Consumer Research
8
determinato il valore effettivo dell azienda commerciale Ł stata la possibilit di cedere
la licenza , piuttosto che il potenziale d affari e bacino d utenza del punto vendita.
Inoltre, le varie associazioni di categoria dei piccoli commercianti hanno sempre cercato
di ostacolare con vere e proprie azioni di lobbying il diffondersi di impianti della grande
distribuzione.
1.1.4
Il discount
Nei primi anni 90 fanno la comparsa nel Triveneto16 con l insegna Lidl le prime
superfici discount. Di origine tedesca, concepito negli anni 50 dai fratelli Albrecht,
creatori del marchio Aldi, il discount comprende sia il comparto alimentare che il non
alimentare (mobili, elettrodomestici, arredamento, prodotti per la casa), mentre in
ragione della grandezza e dell ampiezza dell assort imento si distingue in hard e soft. La
logica Ł quella di ridurre al massimo i costi di gestione, attraverso la scelta di prodotti
generics (senza marca) e ad altissima rotazione, eliminando quasi del tutto i servizi
offerti, permettendo cos di mantenere bassi i prezzi al pubblico. Dall anno del suo
ingresso ha avuto una rapida diffusione (nel 1996 erano gi 2200) trovando, a seguito
della crisi economica in Italia degli anni 1992-1993 un segmento ampio di popolazione
sensibile alla leva del prezzo basso nei prodotti di largo e generale consumo.
1.1.5
La grande superficie specializzata
La grande superficie specializzata si caratterizza per una superficie di vendita, urbana o
extraurbana, superiore ai 700 mq, dotata di assortimento specializzato per merceologia o
funzione di consumo e molto ampio17. Le insegne piø significative di questo format
presenti sul nostro suolo sono perlopiø di origine non italiana18. Esempi significativi
sono Ikea (mobili), Castorama (bricolage), Decathlon (articoli sportivi), Fnac (prodotti
multimediali), Mondadori e Feltrinelli (libri). Questa tipologia di vendita Ł ancora
relativamente poco presente sul territorio nazionale e di conseguenza manifesta un
interessante potenziale di crescita. Rappresenta per una seria minaccia al piccolo
16
Collesei, 2000, Marketing, Cedam
17
Collesei, Casarin, 1998, La relazione industria-distribuzione tra conflitto e collaborazione, Cedam
18
Manicardi e Montalto, 1-2/2003, Le tipologie dell a distribuzione , Mark Up
9
dettaglio non food e all ipermercato, e perci vien e detta category killer . La GSS
infatti, grazie al suo assortimento, che talvolta fa ricorso alla marca commerciale,
consente al consumatore di visionare in una sola spedizione d acquisto l intera offerta
industriale di un determinato prodotto.
Negli anni 90 il sistema distributivo italiano si trova dunque in un momento di
transizione, a fronte anche di mutamenti importanti nella composizione dei consumi
delle famiglie19. La crescente spesa destinata ai servizi si accompagna parallelamente ad
una progressiva riduzione del tasso di crescita nei consumi di beni, food e non food. Il
quadro competitivo si fa piø acceso e gli esercizi commerciali piø deboli ad affrontare
un contesto del tutto nuovo vengono estromessi dal mercato. Nel quinquennio 91- 96 il
numero dei punti vendita al dettaglio si riduce del 33% passando da 760.000 a 510.000
unit , con un decremento piø vistoso nel comparto a limentare (-33,9%) rispetto a quello
non alimentare (-32,8%).
A fine anni 90 la situazione del settore delle vendite al dettaglio in Italia Ł cresciuta in
termini di ammodernamento generale; tuttavia permangono forti gap col resto d Europa.
Un esempio20 Ł dato dal confronto con Francia e Germania, in cui sono attivi oltre 200
mq. di superficie di grande distribuzione per 1.000 abitanti, mentre in Italia il valore
massimo di questo indicatore Ł dato dal Veneto con 175 mq. di superficie ogni 1.000
abitanti.
Da sottolineare infine che le cinque principali forme di distribuzione su superficie
medio-grande descritte (grande magazzino, supermercato, ipermercato, discount e GSS)
sono presenti essenzialmente nel centro-nord della penisola, con un meridione
ancor oggi arretrato da questo punto di vista e che presenta lacune per quanto riguarda
le infrastrutture.
19
Horvath, 46/98, Piccole imprese commerciali ed in novazione: l appartenenza ad un centro
commerciale come possibile strumento di crescita qualitativa , Sinergie
20
Rossi, 1998, Il commercio e l artigianato dentro le citt , Etaslibri
10
1.2 La legge quadro 426 sul commercio ed i suoi effetti
In questa situazione italiana di ritardo si inserisce la legge 426 del 1971. Il principale
obiettivo dichiarato di tale norma21 era una nuova programmazione delle strutture
commerciali, dirottando con opportune manovre di barriere all entrata la domanda
aggiuntiva di beni e servizi verso nuove forme distributive; un secondo intento era far
fare un passo in avanti al dettaglio tradizionale, attraverso una grande opera di
riconversione. Piø in generale, si voleva dare avvio a dei meccanismi di maggior
concorrenza nella distribuzione commerciale italiana, aprendo la strada a delle
successive misure di liberalizzazione piø decise.
La 426 si Ł rivelata invece inadeguata a risolvere i problemi per i seguenti motivi:
• La domanda aggiuntiva, dopo l aumento vertiginoso dei consumi negli anni 60, Ł
stata ridimensionata a seguito della recessione post 73,
• Tale domanda aggiuntiva Ł stata in minima parte assorbita dal moderno, Ł stata
soprattutto riallocata nel tradizionale,
• La riconversione del tradizionale Ł avvenuta in misura trascurabile,
• La pubblica amministrazione Ł stata colta impreparata a fronteggiare la legge per
mancanza di competenze culturali e tecniche
Lungi dagli obiettivi preposti, la 426 si Ł concretizzata in una misura del tutto
protezionista e ha contribuito ad ostacolare l accesso di nuovi attori con nuove barriere
all entrata nel panorama della distribuzione commerciale, che all epoca vantava circa
750.000 aziende al dettaglio. Una di queste barriere22 consiste nell obbligo per
l aspirante esercente dell iscrizione ad un apposit o registro, il Rec (Registro degli
esercenti commerciali), tenuto presso le Camere di Commercio, previo superamento di
un esame d idoneit . In secondo luogo, la lettera d ella 426 dava alle regioni il potere di
pianificare il commercio. Queste ultime per , di re cente costituzione all epoca
dell entrata in vigore della legge e non avendo ancora le necessarie competenze tecniche
21
Spranzi, 1991, La distribuzione commerciale, FrancoAngeli
22
Collesei, 2000, Marketing, Cedam
11
al loro interno, hanno trasferito la materia alle amministrazioni comunali, le quali
peraltro manifestavano anch esse lo stesso deficit di conoscenze. Soprattutto i piccoli
comuni dovevano in aggiunta fronteggiare anche le insidiose interferenze corporative e
clientelari.
L introduzione delle tabelle merceologiche23 fece in modo che la richiesta di apertura di
nuovi esercizi fosse esaminata dalle autorit compe tenti solo su basi appunto
merceologiche, e quindi senza valutare l offerta globale del servizio, bloccando in
questo modo ogni formula distributiva nuova sul piano dell aggregazione merceologica.
Altro provvedimento restrittivo24 contenuto nella 426 era l introduzione di un orario di
apertura dei negozi assai rigido ed uniforme. In realt , le deroghe previste nell articolo
erano talmente tante che la sua applicazione risult molto eterogenea, e in misura
maggiore quando col dpr 616/77 si trasfer ai comuni il potere di determinare gli orari.
In conclusione, la legge quadro 426 ha permesso il controllo diretto della diffusione
delle grandi superfici di vendita (grandi magazzini e supermercati) gi esistenti nelle
nostre citt e del piccolo dettaglio tradizionale e ha impedito la nascita di grandi gruppi
di distribuzione che altrove in Europa cominciavano a svilupparsi. Due importanti
catene come Coin e La Rinascente, per svincolarsi dalle difficolt imposte dal regime
autorizzativo25 e per far fronte all iniziale momento di crisi del grande magazzino, tra il
1974 ed il 1978 adottano la strategia del franchising (affiliazione), aumentando cos i
loro punti vendita.
Per tutti gli anni a seguire dall entrata in vigore della legge continueranno i dibattiti
incentrati su una maggiore deregulation del settore, lasciando che fosse il mercato a
configurare l offerta distributiva, e su un maggior tasso d integrazione fra istanze
urbanistiche e commerciali. Un primo tentativo in questo senso26 si Ł avuto nel 1982
con un decreto governativo che modificava il controllo dei prezzi, l autorizzazione ai
nuovi punti vendita e gli orari d apertura. Successivamente nel 1996 viene tolto il
controllo comunale sull assortimento dei negozi, dando la possibilit di poter vendere
piø tipologie di prodotti. Bisogner per aspettare il 1998 con il decreto Bersani per
23
Mora, 3/1998, Una 426 ben presto obsoleta , Mark Up
24
ibidem
25
Rossi, 1998, Il commercio e l artigianato dentro le citt , Etaslibri
26
ibidem
12
vedere una nuova legislazione completa del settore improntata su criteri di maggior
liberalizzazione e competitivit .