IL RAPPORTO DI LA VORO NEI GRUPPI IMPRENDITORIALI - INTRODUZIONE
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INTRODUZIONE
Oggetto del presente lavoro è l'individuazione delle regole e dei principi che
disciplinano il rapporto di lavoro subordinato nell'ambito dei gruppi imprenditoriali,
ampiamente intesi come forma di organizzazione dell'impresa caratterizzata dalla
presenza di una pluralità di soggetti giuridici esercenti un'attività unitaria sotto il
profilo economico-strategico. La disarticolazione della figura del datore di lavoro
rappresenta una delle sfide poste al diritto del lavoro dalle attuali tendenze
dell’economia capitalistica, le quali paiono suscettibili di comprometterne la storica
funzione di tutela del lavoratore. Il rischio, da molti avvertito, è che il mutamento
delle strutture organizzative e produttive caratteristico del contesto dell’impresa-rete
post-fordista consenta al vero interlocutore economico del rapporto di lavoro,
l’effettiva controparte del lavoratore, di conseguire una sorta di immunità rispetto
alle responsabilità tipiche del datore di lavoro e alle rivendicazioni – giudiziali,
sindacali o anche solo informali – proposte dai lavoratori (come singoli o come
collettività).
Obiettivo dell’opera sarà dunque ricomporre, in una prospettiva sistematica, vari
momenti di disciplina, di fonte legale e di creazione giurisprudenziale, volti a
impedire che lo scarto tra unità di indirizzo economico-strategico e pluralità
giuridico-formale si traduca, dal punto di vista del diritto del lavoro, nella
deresponsabilizzazione di quegli attori economici che, pur sprovvisti della titolarità
formale del contratto di lavoro, “utilizzino” il lavoratore (formula quanto mai vaga,
suscettibile di diverse letture), determinando (direttamente o indirettamente) il
contenuto o le modalità della prestazione lavorativa ovvero avvantaggiandosi delle
relative utilità.
A tal fine si delineeranno sommariamente, nel primo capitolo, le molteplici nozioni
di “gruppo” presenti nell'esperienza giuridica italiana, a partire dalla (statica) nozione
codicistica di “controllo”, evidenziando il rilievo decisivo attribuito dalla dottrina al
concetto (dinamico) di “direzione unitaria”, da cui ha preso le mosse il legislatore del
2003 per introdurre un tanto atteso “diritto dei gruppi” nel corpo del codice, che nel
disciplinare in termini generali il fenomeno ne ha consacrato definitivamente la piena
legittimità.
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Si tenterà quindi di dare conto, sia pure sommariamente, dell’eterogeneità tipologica
dei gruppi, dal punto di visto genetico, organizzativo e funzionale, e delle tecniche,
individuate dall'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, atte ad affrontare il
problema dell'abuso della “forma gruppo” sul terreno del diritto commerciale e
societario, dai tentativi di “superamento della personalità giuridica” secondo il
modello del lifting the veil anglosassone, alla teoria del “socio tiranno”, alla
responsabilità da direzione e coordinamento, unico “rimedio” esplicitamente previsto
dalla legge.
Inquadrato il fenomeno sotto il profilo del diritto commerciale e societario, nel
secondo capitolo si darà conto delle (ormai numerose) disposizioni di legge che
individuano nella fattispecie “lavoro nei gruppi” il proprio ambito applicativo.
Benché evidentemente improntati al canone della specialità, i frammenti lavoristici in
materia di gruppi sono comunque indicativi dell'approccio con cui il legislatore si
rivolge al fenomeno, manifestando da un lato un deciso favor verso l'adempimento
accentrato (e quindi l'assimilazione dell'impresa del gruppo all'unità produttiva) di
svariati obblighi di legge – dalla materia degli adempimenti amministrativi (art. 31,
d. lgs. 276/2003) sino a quella della sicurezza sul lavoro (artt. 31, u.c., e 39, u.c., d.
lgs. 81/2008) – dall'altro la consapevolezza che la “forma” gruppo può prestarsi a
comportamenti fraudolenti o opportunistici (art. 8, comma 4-bis, l. 223/1991, art. 4,
comma 12, lett. d), l. 92/2012). Consapevolezza peraltro condivisa dal legislatore e
dal giudice europeo, come attestano, oltre alla direttiva in materia di comitati
aziendali europei, alcune disposizioni delle direttive in materia di licenziamenti
collettivi e di trasferimento d'azienda che recepiscono l’acquis della giurisprudenza
di Lussemburgo.
Evidenziato quindi il carattere frammentario e lacunoso delle discipline di fonte
legale, si tenterà di ricostruire gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali che si
sono sviluppati – in un contesto di sostanziale anomia – in relazione alle
problematiche relative al rapporto di lavoro subordinato nell'ambito dei gruppi
imprenditoriali, rispetto alle quali il tradizionale afflato protettivo del diritto del
lavoro rischia di rimanere “spiazzato” da quella “flessibilizzazione del concetto di
datore di lavoro” che spesso impedisce la responsabilizzazione dell'effettivo
interlocutore economico del lavoratore.
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A tal fine, una volta delineata la distinzione tra imputazione del rapporto tout court e
imputazione delle responsabilità datoriali (intesa come individuazione della titolarità
e dell'estensione degli obblighi di legge inerenti allo svolgimento o all'estinzione del
rapporto di lavoro), si isoleranno tre diversi meccanismi di imputazione che
costituiscono tre “tecniche di tutela” del lavoratore, frutto dell'elaborazione dottrinale
e giurisprudenziale, cui saranno dedicate le tre sezioni del terzo capitolo.
L'imputazione “complementare”, di cui alla ormai consolidata giurisprudenza in
materia di “unico centro di imputazione”, consente (sia pure in presenza di rigorosi
presupposti) di combinare in una visione complessiva i contesti aziendali delle
diverse imprese del gruppo, tradizionalmente al fine di “ingrandire” il datore di
lavoro e consentire l'applicazione di determinate discipline lavoristiche calibrate sulla
dimensione di quest'ultimo (art. 18 St. lav.; l. 223/1991), e più recentemente anche
allo scopo di affermare l'estensione dell'ambito di riferimento dell'obbligo di
repêchage, la continuità del rapporto di lavoro, la solidarietà per il credito retributivo
e per i danni differenziali, e finanche la produzione di conseguenze negative per il
lavoratore.
L'imputazione alternativa, oggetto della seconda sezione, consiste nella
riaffermazione del generale divieto di interposizione di manodopera nel particolare
ambito dei gruppi imprenditoriali, di frequente applicazione non per ragioni
intrinseche ma sulla base dell'id quod plerumque accidit. Sulla base della regola
aurea del diritto del lavoro che vuole che il rapporto sia formalmente imputato al
soggetto che utilizza effettivamente la prestazione, il lavoratore potrà pertanto
richiedere l'accertamento della titolarità del rapporto in capo ad un soggetto (di
norma la capogruppo) da cui ritenga di essere maggiormente garantito e valorizzato.
Nell'ambito di tale problematica, sarà dedicata particolare attenzione alla questione
della “unicità” del datore di lavoro quale vincolo di sistema per l'interprete, e saranno
evidenziati in particolar modo gli elementi (di fonte legale e giurisprudenziale) che
inducono a ritenere superata una tale lettura del divieto di interposizione.
Sottolineato quindi come l'ordinamento non si opponga in via preliminare alla
configurabilità di un unico rapporto di lavoro con pluralità di datori si tenterà, nella
terza ed ultima sezione del terzo capitolo, di specificare i connotati della
“codatorialità” o “contitolarità” del rapporto di lavoro, al centro del dibattito
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lavoristico a seguito dell'introduzione, da parte del d.l. 76/2013, di due disposizioni
di legge che vi si riferiscono esplicitamente. A tal fine, si distinguerà innanzitutto tra
le forme di “codatorialità” di manifestazione giudiziale, che presentano – non solo in
Italia – il carattere tipicamente rimediale dell'accertamento successivo, mirato
all'ottenimento di una specifica utilità da parte del lavoratore ricorrente, e le forme di
“codatorialità” regolativa, introdotte dal legislatore con specifico riferimento alla
“rete di imprese”, nuovo paradigma organizzativo di cui si delineeranno le
caratteristiche essenziali, nonché le affinità e le divergenze rispetto alla “forma”
gruppo. Anche sulla scorta dello studio di alcune vicende pratiche, si constateranno i
limiti che l'istituto della “codatorialità” di fonte legale sconta nella sua diffusione nel
tessuto imprenditoriale italiano, limiti dovuti in parte anche alla presenza di una (più
agevole) alternativa in seguito all'introduzione di una presunzione assoluta di
interesse del datore di lavoro al distacco infrarete.
In relazione a tale istituto, a conclusione della ricerca, il quarto e ultimo capitolo sarà
dedicato alle forme giuridiche della mobilità infragruppo – con particolare attenzione
al distacco infragruppo e al confronto con la novellata disciplina del distacco
infrarete – e allo schema, nato nella pratica, del distacco improprio o “prestito del
lavoratore”, diffuso soprattutto nei grandi gruppi transnazionali.
IL RAPPORTO DI LA VORO NEI GRUPPI IMPRENDITORIALI – CAPITOLO I
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CAPITOLO I
CAMPO DELL'INDAGINE: I GRUPPI IMPRENDITORIALI TRA DIRITTO
COMMERCIALE E DIRITTO DEL LA VORO
1. I gruppi imprenditoriali tra realtà giuridica e realtà economica – 2. Le definizioni di
“gruppo” e i criteri legali per la sua individuazione – 2.1. L'art. 2359 c.c. e la nozione di
“controllo” – 2.2. L'art. 2497-sexies c.c.: dal “controllo” all'attività di “direzione e
coordinamento” – 2.3. Gli artt. 2 e 3, direttiva 2009/38/CE (d. lgs. 113/2012,) e la nozione
di “gruppo di imprese” – 3. L'eterogeneità dei “gruppi” come forma di organizzazione
dell'impresa – 3.1. Il gruppo come forma organizzativa dell'impresa in espansione.
L'aggregazione di imprese preesistenti – 3.2. Il gruppo come forma organizzativa
dell'impresa in espansione. L'enucleazione di nuove imprese e l'impresa di gruppo – 3.3. Il
controllo senza gruppo. La holding “pura” – 3.4. Il gruppo come strumento di
decentramento produttivo, l'uso patologico della forma gruppo nel gruppo di mero
decentramento – 3.5. Il gruppo fittizio, cenni sull'abuso della personalità giuridica nei
gruppi – 4. Rilevanza lavoristica del fenomeno “ai confini del diritto del lavoro” – 5. La
necessità di una metodologia improntata alla coerenza ordinamentale
1. I gruppi imprenditoriali tra realtà giuridica e realtà economica
I gruppi imprenditoriali salgono alla ribalta delle attenzioni dei giuristi in una fase
ormai avanzata della loro affermazione nella realtà economica. L'espansione e il
successo di tale forma di organizzazione del capitale si devono anche alla sua
indiscussa liceità. Nei sistemi di civil law, infatti, pur in mancanza di norme che
facoltizzassero esplicitamente la partecipazione di una società di capitali ad un'altra,
erano sufficienti le categorie tradizionali del diritto privato mutuate dalla tradizione
romanistica
1
. I concetti di persona, quale soggetto di diritto articolato in persona
fisica e persona giuridica, di proprietà, intesa come potere di godimento e
disposizione, e di autonomia contrattuale, erano infatti sufficienti a consentire la
sussistenza di rapporti di controllo di tipo azionario funzionali all'esercizio di
un'influenza dominante. Se la società per azioni con limitazione di responsabilità
nasce come “concessione” di creazione legislativa, il gruppo imprenditoriale
costituisce un frutto autonomo dell'inventiva imprenditoriale.
Per lungo tempo, il collegamento economico-funzionale che si instaura fra le imprese
1
Nei sistemi anglo-sassoni, invece un intervento legislativo per consacrare la liceità del fenomeno
era necessario. È del 1896 la prima legge (dello stato del New Jersey) che autorizzava una
corporation ad acquistare partecipazioni in un'altra. Sul punto F. GALGANO, Direzione e
coordinamento di società. Art. 2497-2497-septies, in ID. (a cura di), Commentario del codice civile
Scialoja-Branca, Zanichelli – Soc. Ed. del Foro Italiano, Bologna – Roma 2005, p. 3, e V . PINTO, I
gruppi societari nel sistema giuridico del lavoro, Cacucci, Bari 2005, p. 32.
IL RAPPORTO DI LA VORO NEI GRUPPI IMPRENDITORIALI – CAPITOLO I
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appartenenti ad un medesimo gruppo è stato confinato nel campo del pre-giuridico,
del fattuale, quando non già in quello dell'irrilevanza giuridica
2
.
Questo approccio, certamente messo in discussione oggi dall'introduzione, ad opera
della riforma del diritto societario del 2003 di una disciplina dei gruppi non più
frammentaria, quale quella prevista dagli artt. 2497 c.c.
3
, sopravvive ancora quando
si passa a verificare quali conseguenze derivino dall'inserimento della prestazione
lavorativa all'interno di imprese organizzate in forma di gruppo.
Che il diritto del lavoro sia sorto e si sia sviluppato intorno al concetto di lavoratore
subordinato è affermazione nota e tralatizia. Affermare che per questo motivo il
diritto del lavoro si sia disinteressato dei profili organizzativi dell'impresa, della
struttura organizzata dal datore di lavoro, sarebbe accusa immeritata, posto che il
pluridecennale dibattito intorno al fenomeno del c.d. decentramento produttivo
comprova anzi l'attenzione del lavorista nei confronti della materia. Benché non
possa essere ricondotto integralmente ai fenomeni di decentramento produttivo
(potendo il gruppo di imprese svilupparsi sulla scia dell'espansione dell'impresa
senza dare luogo a pratiche di outsourcing)
4
, la materia del lavoro nei gruppi
condivide con tale tematica il problema della “flessibilizzazione”
5
del datore di
lavoro, intesa come frazionamento in più soggetti giuridici di un'attività economica
organizzata che era in precedenza esercitata da un solo attore economico e giuridico:
la grande impresa industriale di tipo fordista.
Tuttavia, la riconduzione della subordinazione allo schema contrattuale e non a
quello istituzionale
6
ha certamente marcato una certa distanza tra profili organizzativi
2
Emblematica in proposito la giurisprudenza della sezione lavoro della Cassazione fino ai primi
anni '90. Infra, Cap. III, sez. I, § 1.
3
Introdotti dall'art. 5, d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 (c.d. Riforma Vietti).
4
Se pure il “gruppo” ha rappresentato storicamente uno degli strumenti di quella scomposizione
dell'impresa tipica del post-fordismo, il paradigma astratto del gruppo, caratterizzato dalla
compresenza dialettica tra unitarietà e pluralità (e ciò tanto nella grande multinazionale quanto in
una “piccola famiglia” di imprese agricole italiane), è risultato al contrario impermeabile al
passaggio dal fordismo al post-fordismo, presentandosi come un modello astratto (una “forma”
organizzativa) capace di adattarsi a qualsiasi “fase” del capitalismo e anzi di assecondarne gli
sviluppi. E in effetti tale modello fa la sua comparsa già nell'Italia pre-fordista precedente al
“miracolo” industriale, con una duttilità che gli ha consentito di essere adottato tanto dalla piccola
e media impresa privata – la prima decisione in materia di “codatorialità”, del 1933, venne
pronunciata nei confronti di un “gruppo” di due aziende agricole – quanto dalla grande impresa
dello stato interventista (IRI).
5
G. V ARDARO, Prima e dopo la persona giuridica: sindacati, imprese di gruppo e relazioni
industriali, in DLRI, 1988, p. 213.
6
M. BARBERA, Trasformazioni della figura del datore e flessibilizzazione delle regole del diritto, in
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dell'impresa e rapporto di lavoro, distanza esacerbata inoltre dal tradizionale carattere
antagonistico prevalente nella contrattazione collettiva di molti paesi europei, una
tradizione che “conosce quasi solo la fabbrica mentre considera appena l'impresa e le
strutture societarie”
7
. Affermatosi quindi il principio per cui “il contratto di lavoro
rimane un contratto esterno all'impresa”
8
, non sorprende che nei confronti del
fenomeno dei gruppi di imprese l'attenzione sia stata certo minore che non rispetto
alla disciplina degli appalti, del trasferimento di azienda, delle forme di utilizzazione
indiretta di lavoro quale la somministrazione autorizzata.
Se il confronto con il diritto dei contratti commerciali tramite cui il decentramento
produttivo si realizza è stato ricco di spunti, più marginale pare essere stato il
confronto con il diritto dell'impresa, e soprattutto con il diritto societario.
Quest'ultimo appare invece rilevantissimo se si pensa che il gruppo nasce e si
afferma proprio nell'alveo delle regole del diritto societario, nel quale si rinvengono
oggi disposizioni sufficienti per l'elaborazione di una disciplina tendenzialmente
compiuta a tutela di soci di minoranza e creditori di società soggette ad altrui attività
direzione e coordinamento.
Si tratterà quindi di verificare se alla luce della riforma del diritto societario possano
trovarsi soluzioni più appaganti alle numerose e diverse questioni che la prestazione
di lavoro subordinato all'interno dei gruppi pone all'attenzione della pratica.
DLRI, 2010, p. 214. Allo schema istituzionale l'aveva invece ricondotta la dottrina nel periodo
corporativo, in un contesto segnato da un forte istituzionalismo nell'approccio ai profili
dell'impresa, testimoniato inter alia da A. ASQUINI, Profili dell'impresa (1943), in ID., Scritti
giuridici, III, CEDAM, Padova 1961, p. 123. Per un riepilogo sul sempre attuale problema della
natura del rapporto di lavoro M. PERSIANI, Considerazioni sulla nozione e sulla funzione del
contratto di lavoro subordinato, in RIDL, 2010, 3, p. 445.
7
T. TREU, Gruppi di imprese e relazioni industriali, tendenze europee, in DLRI, 1988, IV, p. 642. Il
giudizio è stato più recentemente affermato in ID., Trasformazioni delle imprese: reti di imprese e
regolazione del lavoro, in Mercato concorrenza regole, 2012, 1, p. 8.
8
O. MAZZOTTA, Divide et impera: diritto del lavoro e gruppi di imprese, in LD, 1988, p. 365. La
tesi dell'estraneità all'impresa, nel senso della causa di scambio e non associativa del contratto di
lavoro, trova la propria origine, anche ideologica, nella contrapposizione alle precedenti
concezioni istituzionalistiche della subordinazione e dell'Unternhemen an sich. In tal senso, più
recentemente, U. CARABELLI, Organizzazione del lavoro e professionalità: una riflessione su
contratto di lavoro e post-fordismo, in DLRI, 2004, 1, p. 1; E. RAIMONDI, Gruppi imprenditoriali e
codatorialità, in RGL, 2012 , p. 303, n. 35. Critico verso la posizione dello “scambio secco”
retribuzione – attività R. DEL PUNTA, Modelli organizzativi d’impresa e diritto del lavoro, in Soc.
dir., 2011, 3, p. 114 e s., il quale sottolinea che “la pretesa di isolare il contratto di lavoro dal
contesto organizzativo, del quale esso costituisce un frammento, è destinata in partenza allo
scacco”. In tal senso anche R. SCOGNAMIGLIO, Sulla natura non contrattuale del lavoro
subordinato, in RIDL, 2007, 4, p. 379.