5
detta legge, anche dall’ Accordo Collettivo tra soggetti
rappresentativi delle società sportive e dei calciatori, e dalle
norme predisposte dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio
(FIGC). Nel dettaglio saranno trattati gli aspetti economici,
sportivi e giuridici che legano il calciatore al club di
appartenenza (confrontandoli con gli istituti previsti per i normali
rapporti di lavoro).Ci soffermeremo poi nel terzo capitolo sulle
regole e sulle vicende relative al trasferimento, analizzando
l’evoluzione della posizione del calciatore professionista,
soprattutto dopo la famosa sentenza Bosman, fondamentale non
solo per quanto riguarda la circolazione dei calciatori stranieri,
ma anche per ciò che attiene all’autonomia contrattuale del
calciatore stesso. Sarà trattata anche la disciplina italiana in
materia di trasferimenti nazionali e la disciplina dei trasferimenti
internazionali prevista dal Regolamento Fifa sullo status e sui
trasferimenti internazionali. Per ultimo passeremo alla disciplina
prevista per la risoluzione delle controversie, analizzando in
primo luogo il c.d. vincolo di giustizia, soffermandoci poi sulla
legge 17 ottobre 2003, n. 280 sul rapporto tra giustizia statale e
giustizia sportiva, per poi finire con l’analisi del procedimento
arbitrale in ambito calcistico, con riferimento in particolare alla
clausola compromissoria prevista dall’ Accordo Collettivo.
6
CAPITOLO I
LA DISCIPLINA LEGALE DEL RAPPORTO DI LAVORO
CALCISTICO: LA LEGGE 23 MARZO 1981, N. 91 SUL LAVORO
SPORTIVO PROFESSIONISTICO
7
1. La situazione antecedente e le vicende che hanno portato all’
approvazione della normativa
Il 4 marzo 1981 rimarrà sicuramente una data storica per il
mondo sportivo professionistico, per i calciatori in maniera
particolare : il Senato approvava infatti una legge (che secondo
l’ordine progressivo sarà la n° 91) che regolava finalmente i
rapporti tra società e sportivi professionisti.
La legge è stata una conquista determinante per la categoria dei
calciatori: lo sport professionistico, calcio in primis, si trovava ad
avere finalmente delle certezze giuridiche, delle tutele ben
precise.
Ovviamente la legge 91 è stata la base di partenza per molte
conquiste che la Associazione Italiana Calciatori (AIC) è riuscita
ad ottenere negli anni: con la nuova normativa il calciatore da
quel momento diventava infatti lavoratore subordinato, le cui
prestazioni a titolo oneroso costituivano oggetto di contratto di
lavoro subordinato. Venivano introdotte la tutela sanitaria,
l’indennità di preparazione e promozione, le assicurazioni
infortuni, il trattamento pensionistico, e soprattutto veniva abolito
il vincolo sportivo, che fino a quel momento aveva fatto del
calciatore un’autentica “merce di scambio
2
”.
Il vincolo, infatti, comportava il diritto esclusivo della società di
disporre delle prestazioni agonistiche dell’atleta e di trasferirlo
anche senza la sua volontà. Quindi si aveva una notevole
limitazione della libertà contrattuale e di recesso del giocatore,
(relegata a casi eccezionali), contrastante con i diritti
fondamentali garantiti dal nostro ordinamento in tema di dignità
2
www.assocalciatori.it
8
della persona e con il principio di libertà del lavoro. La
illegittimità della disciplina sportiva in materia di vincolo si
fondava, infatti, sul combinato disposto degli artt. 2, 3, 4 della
Cost. nonché dell’art. 2118 c.c., sul diritto unilaterale illimitato di
recesso dal rapporto a tempo indeterminato.
Si comprende quindi che l’indagine sui rapporti tra società
sportive e calciatori debba necessariamente partire dalla legge n.
91, che regola per l’appunto le relazioni giuridiche tra sodalizi
sportivi e sportivi professionisti, calciatori compresi, i quali, oltre
ad essere i “beneficiari” di tale legge ne furono anche i
responsabili.
Si ritiene opportuno accennare all’iter legislativo nonché al
vivace dibattito che portarono alla formulazione iniziale della l.
23 marzo 1981, n. 91.
L’intervento del legislatore, infatti, si rese urgente a seguito dei
primi decisi interventi della Magistratura ordinaria nel mondo del
lavoro sportivo. Destò clamore, tra gli altri, a seguito di un
esposto del presidente dell’AIC Campana, il provvedimento del
Pretore di Milano del 7 luglio 1978
3
, il quale in via di urgenza
inibì lo svolgimento del cosiddetto “calcio-mercato” per
contrasto con la l. 29 aprile 1949, n. 264 sul collocamento,
ritenendo quel magistrato, che il rapporto tra società sportiva ed
atleta fosse da inquadrare nell’ambito del lavoro subordinato
4
.
3
Pret. Milano, 7 luglio 1978, in Foro it., 1978, II, 319.
4
L’ intervento del Pretore di Milano fu aspramente criticato anche perché in contrasto con Cass., 2 aprile 1963, n. 811,
in Riv. dir. sport., 100, che sostenne l’atipicità del rapporto di lavoro sportivo rispetto ai comuni rapporti di lavoro
subordinato. In proposito la Suprema Corte ha oscillato in passato tra il riconoscimento della natura autonoma del
contratto di lavoro tra associazioni sportive ed atleti, fonte esclusiva di un diritto di credito (così Cass., 4 luglio 1953, n.
2085 in Giur. lav., 1953, I,1, 828), la riconduzione del rapporto nell’ambito della subordinazione ex art. 2094 c.c.
(Cass., 21 ottobre 1961 n. 2324, in Riv. dir.sport., 1990, 727 ss), fino a Cass., sez. un., 26 gennaio 1971, n. 4174, in
Riv. dir. sport., 1971, 68, in cui si conferma la natura subordinata del rapporto di lavoro sportivo, pur in presenza di
caratteristiche sue proprie. In dottrina gli orientamenti sul tema non sono stati univoci, anche se si deve rilevare una
netta propensione in favore della natura di lavoro subordinato con riferimento ai giocatori di calcio professionisti. A tal
proposito v.:
R. BORRUSO, Lineamenti del contratto di lavoro sportivo, in Riv. dir. sport., 1963, 52; A. MARTONE,
9
Da quel momento il poi occorrerà attendere due anni
5
prima
dell’emanazione della legge 23 marzo 1981, n. 91, i cui cardini
fondamentali sono la qualificazione del rapporto di lavoro
sportivo come subordinato e l’abolizione del vincolo. Si sostiene
che la legge, al di là delle formali e dichiarate pretese di regolare
unitariamente ed interamente il fenomeno sportivo, risulta invece
modellata sulle specifiche esigenze del calcio
6
e tiene poco conto
o per niente di altri sport professionistici, specie quelli
individuali, considerato che, oltre tutto, diverse discipline sono
difficilmente riconducibili all’alternativa lavoro subordinato-
lavoro autonomo. Ciò nonostante, si può esprimere un parere
positivo sulla legge che, pur perfettibile,ha il merito di affrontare
per la prima volta la tematica sportiva e cerca di fornire una
disciplina omogenea e globale alle varie e articolate componenti
del sistema.
La legge 23 marzo 1981 n. 91, contenente “Norme in materia di
rapporti tra società e sportivi professionisti”, è divisa in quattro
capi: il primo (artt. 1-9) relativo allo “Sport professionistico”; il
secondo (artt. 10-14) relativo al funzionamento e all’attività delle
“Società sportive e Federazioni Sportive Nazionali”; il terzo (art.
15) con “Disposizioni di carattere tributario”; il quarto (artt. 16-
18) con “Disposizioni transitorie e finali”.
La definizione dei rapporti tra società sportive e sportivi
professionisti, a cui è dedicato il primo capo, costituisce l’oggetto
principale della normativa in esame e impone, come corollario
del regime di tutela previsto per gli sportivi professionisti, anche
Osservazioni in tema di lavoro sportivo, in Riv. dir. sport., 1964, 117; S. GRASSELLI, L’attività dei calciatori
professionisti nel quadro dell’ordinamento sportivo, in Foro it., 1971, IV, 44.
5
Sull’iter legislativo che ha portato all’emanazione della legge n. 91/1981 v. www.assocalciatori.it
6
A. LENER, Una legge per lo sport?, in Foro it., 1981, 298; F. BIANCHI D’URSO, G. VIDIRI, La nuova disciplina
del lavoro sportivo, in Riv. dir. sport., 1982, 1 ss.
10
una disciplina dell’attività e del funzionamento delle società
sportive riguardante sia la loro struttura commerciale e societaria,
sia i loro rapporti con le Federazioni Sportive Nazionali (a cui si
riferiscono appunto il secondo e terzo capo). Il quarto capo si
riferisce invece agli aspetti di carattere transitorio che derivano
dall’emanazione della legge stessa, in particolare all’abolizione
del vincolo sportivo ed alle sue conseguenze, ed agli aspetti
relativi alla necessaria trasformazione delle società sportive in
società per azioni o in società a responsabilità limitata. Mi
sembra che la struttura logica di questo schema sia coerente con
il punto di vista scelto per la disciplina del fenomeno sportivo,
preso in considerazione con riferimento ai rapporti contrattuali
nel cui ambito si svolge l’attività sportiva professionistica. Infatti
tali rapporti sono oggetto, per la prima volta, di una globale
valutazione da parte dell’ordinamento, perciò la disciplina tiene
conto anche della normativa precedente l’entrata in vigore della
legge e introduce cosi delle “disposizioni transitorie” volte a
temperare la sua portata innovativa.
11
2. L’ambito di applicazione: l’attività sportiva professionistica.
Alcune considerazioni sulla posizione degli sportivi dilettanti
L’ art. 1 della legge in esame è una norma programmatica, che
riconosce e incentiva l’attività sportiva in generale
7
, ma quella
che fissa le coordinate di applicazione della legge al lavoratore è
l’art. 2. L’art. 2, infatti, limita l’applicazione della legge al
professionismo previsto dalle discipline regolamentate dal CONI,
alle attività sportive svolte a titolo oneroso e con carattere di
continuità, a precise figure di sportivi professionisti. In
particolare “sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i
direttori tecnico-sportivi e i preparatori atletici che esercitano
l’attività sportiva a titolo oneroso con caratteri di continuità
nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che
conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali,
secondo le norme contenute dalle federazioni stesse con
l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione
dell’attività dilettantistica da quella professionistica”.
Attraverso l’ art. 2, il legislatore ha inteso delegare alle
federazioni la delimitazione del campo applicativo dell’intera
legge n. 91/1981 identificabile con l’area del professionismo
ufficializzato e riconosciuto, all’esterno del quale trova
applicazione la tutela generale nei confronti degli sportivi che
possono definirsi lavoratori subordinati in base all’art. 2094 del
codice civile. Ora, mentre un normale rapporto di lavoro
subordinato è qualificato come tale in base all’attività
effettivamente svolta, nel caso del lavoro sportivo è sempre
richiesta la preventiva qualificazione indicata dalla norma in
7
Art. 1: “L’esercizio dell’ attività sportiva, sia essa svolta in forma individuale o collettiva, sia in forma professionistica
o dilettantistica, è libero.”
12
commento, il c.d. tesseramento
8
. Il tesseramento e il contratto di
lavoro sportivo sono due entità distinte. Infatti il giocatore
tesserato come professionista, stipula con l’associazione sportiva
un contratto di lavoro valido per la federazione, anche
nell’ipotesi in cui le parti stipulino prima il contratto di lavoro, e
poi il giocatore sia tesserato, ed infine il contratto sia depositato
in federazione. Il tesseramento, quindi, sembra essere il
presupposto logico, e non cronologico
9
del contratto di lavoro
dello sportivo professionista. Comunque, la mancanza del
tesseramento determinerebbe, secondo una dottrina, la nullità del
rapporto di lavoro dell’atleta che ne sia privo, con conseguente
applicazione dell’ art. 2126 c.c.
10
La qualificazione dello sportivo come professionista da parte
delle federazioni nazionali, costituisce l’atto d’ingresso nella
particolare comunità sportiva e comporta la sottoposizione alle
regole di quell’ ordinamento. Inoltre la qualificazione, con
l’elevazione a presupposto legale del contratto, viene a costituire
il trait d’union fra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento
giuridico dello stato
11
. E’ pacifico, d’altronde, che la federazione
goda di piena discrezionalità nell’accettare o rifiutare il
tesseramento
12
; gli organi federali hanno quindi il potere di
impedire al giocatore di prestare la propria attività nelle
competizioni organizzate sotto l’egida delle istituzioni sportive
8
La dottrina prevalente ritiene che l’ art. 2, l., n. 91/81, laddove faccia dipendere l’acquisizione di uno status da un
elemento astratto come la qualificazione, anziché dalla situazione di fatto, rappresenti un anomalia all’interno della
legislazione giuslavorista: v. P. ICHINO, Il tempo della prestazione nel rapporto di lavoro, vol. I, Milano, 1984, 60; R.
DE LUCA TAMAJO, Il tempo nel rapporto di lavoro, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1986, 460.
9
A.MINERVINI, Il trasferimento dei giocatori di calcio, in Rass. Dir. civ. , 1984, 1073.
10
I. TELCHINI, Il caso Bosman: diritto comunitario e attività calcistica, in Diritto comunitario e degli scambi
commerciali, 1996, 335. V. anche M. COLUCCI, Il rapporto di lavoro nel mondo dello Sport, in Lo sport e il diritto,
M. COLUCCI (a cura di), Jovene, Napoli ,2004, 21.
11
O. MAZZOTTA, Il lavoro sportivo, in A. LENER, O. MAZZOTTA, G. VOLPE PUTZOLU, M. GAGLIARDI, Una
legge per lo sport?, in Foro it., 1981, V, c. 297.
12
Sul rapporto tra tesseramento e contratto di lavoro P.BARILE, La Corte di giustizia della Comunità europea e i
calciatori professionisti, in Giur. It., 1977, I, c. 1411
13
che fanno capo al CIO e al CONI. Conseguentemente, le autorità
sportive possiedono il potere di impedire l’attuazione del (nuovo)
contratto concluso tra l’atleta e l’eventuale nuova società: tale
contratto prevede infatti, come condizione della propria
operatività, l’intervento di un terzo, la federazione
13
.
Tornando nello specifico sull’ art. 2 l. 91/81, non è chiaro se
l’elencazione, ivi contenuta, delle figure di sportivi
professionisti, debba considerarsi tassativa o esemplificativa.
Secondo alcuni autori la disciplina del rapporto di lavoro sportivo
subordinato può essere estesa ad altri lavoratori non elencati
14
,
mentre secondo altri l’interpretazione estensiva è da respingere in
quanto il legislatore non ha impiegato espressioni generiche e
onnicomprensive “tali da permettere una classificazione dell’art.
2 in termini di norma aperta”
15
. In giurisprudenza si è affermato
come una legge speciale che contiene così vistose deroghe in
peius rispetto alla disciplina generale del rapporto di lavoro
subordinato non può essere estesa per analogia ai casi non
contemplati testualmente
16
. A mio avviso sembrerebbe più
conforme allo spirito della legge ritenere che il legislatore
intendesse elencare solo le figure più frequenti e conosciute
senza escluderne altre individuabili dalle federazioni, nei cui
confronti si potrà quindi applicare la legge n. 91/1981.
Altri dubbi, inoltre, vengono sollevati dalla definizione di “atleta
professionista”. Si è sostenuto
17
infatti che lo sportivo
professionista non sia precisamente colui che esercita l’attività
sportiva a titolo oneroso e in modo continuativo; tale modo di
13
Il nuovo contratto deve essere depositato presso la Federazione per i prescritti controlli (art.4, l.91/1981)
14
D. DURANTI, L’attività sportiva come prestazione di lavoro, in Riv. it. dir. lav., 1983, 707; M. DE CRISTOFARO,
Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti – Commento all’art. 4, in Nuove leggi civ. comm.,
1982, 576; A. D’HARMANT FRANCOIS, Lavoro sportivo, in Enc. Giur. Treccani, XVIII, Roma, 1990, 2.
15
F.BIANCHI D’URSO, G.VIDIRI, op.cit., 9.
16
Pret. di Venezia 22 luglio 1998, in Riv. dir. sport. 1998, 164 ss.
17
M. DALLA COSTA, La disciplina giuridica del lavoro sportivo, Vicenza, 1993, 37.
14
esercizio può essere proprio anche del dilettante. Questa è la
ragione per cui, trascendendo dai concetti di continuità e
onerosità, parte della dottrina richiama il concetto di
prevalenza
18
. In tal modo, professionista sarà colui che esercita
dietro compenso, “prevalentemente”, o “esclusivamente”
l’attività sportiva. Infatti, lo sportivo professionista è colui che
pratica lo sport per professione e per il quale l’attività sportiva
prevale rispetto ad altre, cosa che invece certamente non si
verifica per il dilettante.
Sono state denunciate
19
poi le profonde disparità di trattamento
che si sono prodotte, soprattutto con riguardo al fenomeno del
professionismo di fatto in cui, per la sola ragione della mancanza
dell’intervento qualificatorio da parte della rispettiva federazione,
continuano ad essere inquadrati come dilettanti atleti che
prestano la propria attività a favore di società sportive in modo
continuativo e a titolo oneroso traendo dalla stessa l’unica o la
principale fonte di sostentamento .
In merito a ciò una parte della dottrina ritiene che, pur in
mancanza di qualificazione da parte delle federazioni, il
professionismo di fatto, dovrebbe essere tutelato dalle norme
della legge n. 91/1981 al fine di evitare disparità di trattamento di
fronte a situazioni identiche
20
. Secondo altri autori tale tesi non è
condivisibile, in quanto sminuisce l’importante requisito della
qualificazione stabilito dalla legge
21
e, ai casi di professionismo
di fatto, se pure non trovasse applicazione la legge n. 91/1981,
sarebbero applicabili le norme di diritto comune e, ricorrendo i
18
D. DURANTI, op. cit., 708; C. ZOLI, Sul rapporto di lavoro sportivo professionistico, in Giust. civ., 1985, I, 2089.
19
D. DURANTI, op cit., 706;G. VIDIRI, La disciplina del lavoro sportivo autonomo e subordinato, in Giust. civ.,
1993, II, 210.
20
L. MERCURI, Sport, in Noviss. Dig. It., Torino, 1987 , 512; F. REALMONTE, L’atleta professionista e l’atleta
dilettante, in Riv. dir. sport., 1997, 374.
21
G. MARTINELLI, Lavoro autonomo e subordinato nell’attività dilettantistica, in Riv. dir. sport., 1993, 13; A. DE
SILVESTRI, Il diritto sportivo oggi, in Dir. lav., 1988 I, 261.
15
requisiti di cui all’art. 2094 c.c., la normativa dettata in linea
generale per ogni rapporto di lavoro subordinato
22
.
Come sottolineato di recente
23
, il fatto grave è che il CONI non
ha mai emanato le direttive per la distinzione dell’attività
dilettantistica da quella professionistica, limitandosi a deliberare
nella circolare del 22 marzo 1988, n. 469, che “attività sportiva
professionistica è quella definita o inquadrata come tale dalle
norme statutarie delle federazioni sportive nazionali, approvate
dal CONI, in armonia con l’ordinamento delle rispettive
federazioni sportive internazionali interessate”. Inoltre, nel noto
caso Bosman su cui ci soffermeremo più avanti, la Corte di
Giustizia dell’ Unione Europea ha precisato come essa consideri,
da un lato, non dilettante, e quindi professionista, ogni calciatore
che abbia percepito indennità superiori all’importo delle spese
sostenute per l’esercizio della sua attività, e come, dall’altro,
debba essere ritenuta economica, ai sensi dell’ art. 2 del Trattato
dell’ Unione Euopea, l’attività svolta dai calciatori professionisti
o che comunque effettuano prestazioni di servizi retribuite, a
prescindere dalla qualità di imprenditore del datore di lavoro
24
.
Rimarrebbe quindi invalicabile solo il limite dello sport
meramente amatoriale, al quale si esclude l’applicabilità delle
norme comunitarie, difettando, appunto, il carattere economico
dell’attività stessa
25
. Se si procede infatti all’esame delle
modalità di svolgimento delle prestazioni sportive ai massimi
livelli del calcio dilettantistico, al di là del contenuto di eventuali
accordi scritti intervenuti tra le parti, i parametri di fatto che si
22
A favore di questa tesi Pret. Bari, 26 maggio 1993, in Riv. dir. sport., 1993, 140, e Trib. Roma, 7 febbraio 1995, in
Riv. dir. sport., 1995, 633.
23
E. CROCETTI BERNARDI, Rapporto di lavoro nel diritto sportivo, in Dig. disc. priv., 2003, 757.
24
Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 15 dicembre 1995, causa c. 415/93, in Riv. dir. sport. 1996, 541 con nota
di M. COCCIA, La sentenza Bosman: summum ius, summa iniuria?.
25
F. AGNINO, Statuti sportivi discriminatori ed attività sportiva: quale futuro?, in Il Foro it., 2002, 898.
16
rinvengono (sottoposizione alle direttive societarie, continuità
della prestazione, stabile inserimento nell’organizzazione,
suddivisione in ratei mensili dell’importo concordato, soggezione
a possibili sanzioni disciplinari) sono tipici del rapporto di lavoro
subordinato, con la conseguenza che, paradossalmente, le
prestazioni dei dilettanti possono beneficiare di una tutela più
intensa di quella prevista per l’atleta professionista
26
. Dicasi,
ancora, che per i dilettanti (o meglio, per i “non professionisti”)
un grande passo avanti è stato fatto dalla FIGC con il
Comunicato Ufficiale 14 maggio 2002, n. 34/A , con cui è stata
varata una parziale riforma delle Norme Organizzative Interne
della FIGC su tesseramento e trasferimento dei calciatori (NOIF).
Tale riforma, oltre a modificare l’istituto del cosiddetto vincolo a
vita (su cui ci soffermeremo più avanti), prevede la possibilità,
ma soltanto per i calciatori non professionisti che disputano i
campionati nazionali organizzati dalla Lega Nazionale Dilettanti,
di stipulare accordi economici annuali relativi alle proprie
prestazioni sportive
27
(art. 94 ter NOIF)
L’art. 29, punto 2) delle NOIF prevede, però, che per tutti i
calciatori non professionisti è esclusa ogni forma di lavoro, sia
autonomo e subordinato. Se si considera che un calciatore
professionista che partecipa al campionato di Serie B, con un
regolare contratto di lavoro, può percepire una retribuzione
26
A proposito Trib. Grosseto, sez. lav., 11 settembre 2003 in AA.VV., Diritto dello Sport, Le Monnier, Firenze, 2004,
ha qualificato come lavoro sportivo il rapporto tra società dilettantistiche ed atleti, non rilevando la circostanza che il
tesserato fosse inquadrato all’interno della FIGC come non professionista, prevedendo altri elementi caratterizzanti la
prestazione. In particolare: la retribuzione fissa, consistenti benefits in caso di promozione, il rimborso delle spese
mediche non coperte dal servizio sanitario nazionale,il riconoscimento al prestatore di un riposo annuale pari a sei
settimane, la messa a disposizione di un idoneo alloggio o, in alternativa l’accollo dei costi documentati. Il Tribunale ha
quindi considerato la volontà dei contraenti prevalente su ogni eccezione circa l’invalidità del negozio concluso in
violazione delle norme interne, affermando che nel caso di specie ricorre un contratto di lavoro sportivo retribuito,
vietato dalle norme federali, ma non per questo nullo nell’ordinamento giuridico statale.
27
Quest’ ultimo articolo consente, esclusivamente per le società che disputano il Campionato Nazionale Dilettanti, di
stipulare accordi economici annuali fino ad un tetto massimo di euro 25.822,00 annui. Solo a tali accordi potrà essere
concessa la tutela prevista dalla FIGC, mentre eventuali accordi integrativi o sostitutivi di quelli depositati, oltre ad
essere nulli, comportano il deferimento di entrambi i contraenti per illecito disciplinare.
17
annuale netta molto minore, è difficile non inquadrare l’accordo
di cui l’art. 94 ter del NOIF come una forma di lavoro
retribuito
28
. Sembrerebbe quindi, che “la distinzione tra
professionismo e dilettantismo nella prestazione sportiva si
mostri priva di ogni rilievo, non comprendendosi per quale via
potrebbe mai legittimarsi una discriminazione del dilettante”
29
.
28
E.CROCETTI BERNARDI, op.loc. cit.
29
Tribunale Pescara, ord. 18 ottobre 2001, in Foro it. 2002, c. 897.