CAP I
IL RAPPORTO DI CAUSALITA’ : PROFILI GENERALI
LA NOZIONE DI RAPPORTO DI CAUSALITA’
Il problema della causalità è una delle questioni maggiormente studiate sia dai
giuristi, sia dalla scienza, in quanto in entrambi i campi si vorrebbe poter
addivenire ad una definizione stabile e certa di nesso causale.
L’impossibilità nel raggiungimento di un tale risultato ha implicato anche
numerosi interventi da parte della filosofia, la quale si rende interprete dei risultati
della scienza.
In questo complesso quadro di studi si inserisce il compito del giurista, che
dovendo scegliere tra interpretazioni spesso confliggenti di causalità, ne costruisce
di proprie e le adatta alle necessità del diritto.
Partendo dalle prime e più importanti considerazioni filosofiche in materia, la
causalità in termini aristotelici ad esempio, permette di identificare in un evento la
condizione necessaria e sufficiente per la spiegazione di un altro evento.
Tutti gli accadimenti sono cioè riconducibili ad un meccanismo binario di causa
ed effetto.
Il modello utilizzato dalla filosofia classica permette quindi di rispondere alla
domanda del perché un certo evento si sia verificato, trovando come risposta
1
l’esistenza di un altro evento causativo del secondo.
Hume invece, individua nell’astrazione mentale, il procedimento che permette di
individuare l’esistenza di una connessione tra gli eventi: osservando gli eventi
naturalistici ed applicando loro il criterio dell’analogia, emerge infatti l’esistenza
di una successione regolare tra essi.
1
Aleo, Centonze, Lanza, La responsabilità penale del medico, Giuffrè, Milano, 2007, p.9;
Montagni, La responsabilità penale per omissione. Il nesso causale,Cedam, Padova, 2002, p.1.
In seguito ad un’analisi empirica della realtà sarà quindi possibile ricondurre
mentalmente un evento alla sua causa, in quanto normalmente, uno è conseguenza
2
dell’altra.
Numerose interpretazioni filosofiche, alla luce delle altrettante numerose scoperte
scientifiche si sono nel corso degli anni contese la corretta definizione di
causalità. Visioni del mondo deterministe, in cui la natura è una macchina
governata da sole leggi matematiche, si sono scontrate con scienze come la
3
cinetica o la meccanica quantistica che nega loro ogni credibilità .
La presa di consapevolezza circa l’esistenza di una complessità di condizioni e
circostanze nella produzione di un evento, porterà autori, come J. Stuart Mill, a
considerare l’insieme delle condizioni esistenti come antecedente e quindi come
causa dell’accaduto.
Secondo quanto sostenuto dall’autore infatti, la causa è “l’antecedente necessario
e sufficiente d’un fenomeno”; mentre è mera condizione ciò che è necessario, ma
non sufficiente, per la verificazione dell’evento. Se la causa è l’insieme delle
4
condizioni, la condizione non è che una parte della causa.
Mill affronta il problema da un punto di vista scientifico, e ciò lo porta a
concludere che tutte le condizioni siano equivalenti, in quanto tutte necessarie per
la produzione dell’evento.
Altri autori, partendo dall’ormai dimostrata complessità fenomenologica,
cercheranno di spiegare altrimenti come individuare un nesso di
5
condizionamento.
Ma lasciamo per un momento da parte le considerazioni dottrinali, per vedere più
da vicino il compito del giurista: è infatti in questo complicato contesto, tra teorie
incompatibili ed interpretazioni non esaustive, che si inscrive il suo ruolo.
Egli, alla luce delle nuove scoperte scientifiche e delle numerose teorie
gnoseologiche, dovrà individuare una nozione di causalità coerente e
concretamente applicabile in sede processuale .
2
Aleo, Centonze, Lanza, La responsabilità penale del medico, Giuffrè, Milano, 2007, p.14.
3
D. Hume, Ricerca sull’intelletto umano, 1748, in Opere Filosofiche, Laterza,Bari,1992, vol. II.
4
Causation in the law, in Stanford Encyclopedia of philosophy, 2001.
5
Von Buri è ad esempio l’ideatore della teoria della conditio sine qua non, mentre von Kries, al
fine di apporre dei correttivi alla teoria precedente ha elaborato la teoria della causalità adeguata.
Essa dovrà inoltre essere compatibile con i dettami costituzionali, e dovrà ben
6
adattarsi alle norme di legge che si riferiscono ad essa.
Come poi osservato da gran parte della dottrina, la definizione data dal giurista
dovrà essere specifica, adeguata ai fini del giudizio. Proprio per questo motivo
sarà una nozione che si discosterà da quelle precedenti, in quanto ogni scienza ha
degli scopi peculiari che ne giustificano l’indagine.
Come osservato da Fiandaca infatti, il concetto di causalità non è univoco, ma
varia a seconda del punto di vista: se è il giurista che indaga, l’accertamento è
finalizzato ad un giudizio di responsabilità, se invece ad indagare è lo scienziato,
7
la sua analisi è finalizzata alla produzione di leggi scientifiche.
A mio avviso però le due indagini non sono sconnesse, in quanto il giudice dovrà
partire da leggi scientifiche, per dimostrare l’esistenza di un nesso di causalità in
termini giuridici.
Ritengo invece corretta l’impostazione per cui il nesso di causalità in senso
giuridico vada distinta dalle impostazioni filosofiche in materia, in quanto non
costituiscono scienze pratiche .
In Kant, ad esempio, la causalità rappresenta una forma di intelligibilità del reale.
8
Ma ciò che interessa il giurista è la causa empirica, non quella metafisica.
Volendo provare a dare una prima definizione di nesso causale in termini giuridici
allora, lo si potrebbe definire come quell’elemento che deve necessariamente
sussistere ai fini dell’imputabilità del danno all’autore materiale della condotta.
Affinché il reato sia considerato perfezionato, non è sufficiente una
corrispondenza del fatto alla previsione astratta della norma, ma è necessario che
9
la modificazione del mondo esterno sia una conseguenza della condotta stessa.
Si richiede quindi un collegamento, una consequenzialità, che possa riportare al
soggetto che ha posto in essere la condotta, quella modificazione del mondo
esteriore che si è prodotta.
6
Art. 40 e 41 c.p
7
Fiandaca e Musco, Diritto penale, parte generale, Zanichelli, Bologna, 2006, p. 205 ss.
8
Grispigni,Il nesso causale nel diritto penale in Riv.it.dir.proc.pen,1935, p. 3 ss.
9
Va comunque specificato che la definizione di nesso causale alla quale si giunge in sede penale, è
la stessa che verrà utilizzata in sede civile. Problema che però sorge dall’ambivalente validità di una
tale definizione, è che l’accertamento in sede penale deve essere molto più rigoroso rispetto a quello
in sede civile, in quanto in quest’ultimo ambito non si accerta la colpevolezza per un crimine e non
si applica quindi il criterio dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
Il nesso causale costituisce un elemento di imputazione oggettiva del fatto al
soggetto, e non solo la condotta posta in essere, ma anche l’evento, che da essa
10
scaturisce, deve essere opera del soggetto agente.
Una volta verificata la sussistenza degli elementi oggettivi del reato, non si potrà
subito pervenire ad una sentenza di condanna, ma sarà necessario accertare
l’esistenza degli elementi soggettivi del dolo o della colpa (in base a quanto
richiesto dalla norma incriminatrice).
Non ci occuperemo in questa sede della problematica inerente l’accertamento
dell’elemento psicologico, ma basti non trascurare che ai fini della pronuncia
giudiziaria, il giudice non potrà prescindere da un’attenta analisi anche di questo
elemento.
Ma concentriamoci sul nostro argomento, e sugli sforzi che la dottrina ha fatto per
definirlo. I giuristi, nello svolgimento di questo arduo compito, non sono del tutto
liberi, ma vincolati dalle norme costituzionali e dalle norme di legge ordinaria già
11
poste dal legislatore.
Questa difficoltà emerge tutte le volte in cui si voglia adattare una teoria
appartenente ad un diverso ordinamento al nostro. Si pensi,come meglio vedremo
più avanti, al tentativo di introdurre in Italia la teoria dell’aumento del rischio,
nata in Germania in un contesto giuridico- normativo difforme da quello italiano.
La disciplina del nesso causale deve quindi inscriversi nel quadro normativo
esistente e deve essere coerente con i valori costituzionalmente protetti: dal
principio nulla poena sine culpa, al divieto di responsabilità penale per fatto
altrui.
Troviamo quest’ultimo importantissimo assunto all’articolo 27 Cost. : “la
responsabilità penale è personale”. Questo enunciato ha segnato il passaggio dalla
10
Mantovani, Diritto penale, Cedam, Padova, 2007, p.134 ss;
Antolisei, Il rapporto di causalità nel diritto penale, Cedam,Padova,1934, p. 98;
Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, Giuffrè, 2003, p. 236 ss;
Siniscalco,Causalità(rapporto di), Milano,1960, p. 1 ss;
Stella, Leggi scientifiche e spiegazione causale in diritto penale, Giuffrè, Milano,1975, 2 ° ed.,
2000, p. 1 ss;
Fiandaca e Musco, Diritto penale. Parte generale, Zanichelli, Bologna , 2006, p. 205 ;
Montagni, La responsabilità penale per omissione. Il nesso causale, Cedam , Padova, 2002, p. 1 ss ;
Caraccioli, Manuale breve di diritto penale, Cedam , Padova, 2006, p. 111 ss.
Aleo, Centonze, Lanza, La responsabilità penale del medico,Giuffrè, Milano, 2007, p. 3 ss.
11
Montagni, La responsabilità penale per omissione. Il nesso causale,Cedam, Padova, 2002, p. 3.
“responsabilità per fatto altrui” verso la “responsabilità per fatto proprio”, in
12
quanto in base ad esso, ciascuno risponde esclusivamente per le proprie azioni.
La Sent. Corte cost. 364/1988, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art
5 c.p., affronta anche il problema della responsabilità personale di cui all’art 27
primo comma cost. E ivi afferma che “il tassativo divieto della responsabilità
penale per fatto altrui .... deriva dal principio di non far ricadere su di un
soggetto,estraneo al fatto altrui,conseguenze penali di colpe a lui non ascrivibili”.
Vedremo meglio più avanti come questo fondamentale principio abbia trovato
deroghe alla sua applicazione in tutti i casi in cui si è individuata l’esistenza di
una posizione di garanzia: si è cioè convenzionalmente deciso, in alcune
circostanze, di ritenere responsabile un soggetto in quanto gravato da uno
specifico compito di garanzia. Questo espediente è stato utilizzato via via
crescendo, specialmente per le fattispecie omissive, e in campi in cui si volevano
13
tutelare beni di primaria importanza come la salute o l’integrità fisica.
Troviamo invece una nozione di rapporto di causalità, in linea con quanto
espresso nella norma costituzionale, all’art. 40 comma 1 c.p.: “ nessuno può
essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato,se l’evento dannoso o
pericoloso, da cui dipende l’ esistenza del reato, non è conseguenza della sua
azione od omissione”.
Da una prima lettura dell’articolo si evince, come già accennato, la necessità di
una consequenzialità, di un collegamento tra la condotta e l’azione.
L’evento è l’effetto naturale della condotta, dalla quale esso si distingue quale
posteriore logico e cronologico. Colui che invece ha posto in essere la condotta è
l’autore, che potrà definirsi responsabile in presenza dei presupposti richiesti.
Delle tante teorie interpretative del nesso causale quella accolta dalla norma in
esame è la teoria condizionalistica: ogni antecedente che abbia contribuito al
verificarsi dell’evento è causa di esso. L’accertamento circa l’attribuibilità della
qualifica di causa è fatto mediante il sistema dell’eliminazione mentale:
se eliminando mentalmente la condotta, l’evento non si sarebbe prodotto, essa è
da considerarsi causa dell’evento.
12
Mantovani, Diritto penale, parte generale.,Cedam, Padova, 2007, p. 135.
13
Montagni, La responsabilità penale per omissione, Il nesso causale, Cedam, Padova, 2002,p. 4.
Come quindi affermato, la norma definisce la causalità per mezzo della teoria
della condicio sine qua non, ma per esigenze del diritto penale, si sono avanzati e
14
accolti, in sede interpretativa, numerosi correttivi alla teoria stessa.
Ma senza addentrarci ora nelle diverse teorie ed interpretazioni del nesso causale,
soffermiamoci ancora un attimo sulla norma.
L’articolo in esame riguarda i reati con evento naturalistico, quei reati cioè in cui
dalla condotta scaturisce un evento.
Il problema del rapporto di causalità infatti, non si pone per i reati di mera
condotta.
In presenza di un reato, dal quale non scaturisce un evento, è la condotta stessa ad
15
integrare una fattispecie di reato.
Per cui la condotta sarà punita, pur in assenza di un evento scaturente da essa,
16
poiché è la stessa ad essere vietata.
Occorre un’altra precisazione: l’evento, cui la norma fa riferimento, può essere
inteso sia in termini di evento naturalistico, interpretazione che personalmente
preferisco, o come evento in senso giuridico.
L’impostazione sopra esposta è corretta, se si presuppone una concezione
naturalistica dell’evento; se invece si abbandona questa tesi, e si abbraccia la
concezione giuridica dell’evento, qualunque condotta, attiva od omissiva,
giuridicamente rilevante produce di per sé un evento, cioè una lesione
dell’interesse protetto dalla norma.
In base alla prima concezione (cioè in base alla teoria naturalistica dell’evento)
non sempre dalla condotta scaturisce un evento, in quanto per evento deve
intendersi un fatto reale e fisicamente esistente.
In base alla concezione normativa invece, l’evento è sempre presente in quanto si
sostanzia nell’offesa del bene o valore tutelato dalla norma.
14
Si pensi ad esempio alla teoria della causalità adeguata o alla teoria della causalità umana.
15
Grispigni infatti afferma : “il nesso causale è elemento costitutivo, non già di tutti i reati
indistintamente, ma soltanto dei reati con evento” in Il nesso causale nel diritto penale, in
Riv.it.dir.proc.pen. 1935, p. 4.
16
Vi è però un caso particolare,nel concorso di persone, che costituisce eccezione alla regola sopra
enunciata: se vi è un soggetto istigatore, che induce un terzo ad agire, e il soggetto istigato porta a
termine l’azione, questa sua condotta costituisce l’evento del reato di mera condotta.
La condotta dell’autore materiale deve però essere l’effetto della costrizione o istigazione.
A prescindere dalla tesi di riferimento, possiamo in ogni caso affermare che
l’evento non è altro che la conseguenza dannosa di un’azione od omissione.
Emerge allora un altro punto da evidenziare: non bisogna trascurare infatti, che la
disposizione in esame, ricomprende tra i reati con evento anche i reati omissivi;
non solo da un’azione infatti, ma anche da un’omissione può scaturire un evento
(in questo secondo caso però si tratterà di un evento che il soggetto aveva la
possibilità e il dovere, imposto dalla norma, di impedire).
Ecco allora che si parla di reato omissivo proprio quando dall’omissione non
scaturisce un evento, mentre si parla di reato omissivo improprio quando
17
dall’omissione consegue un evento.
L’art 40, in base ad un’impostazione naturalistica dell’evento, si applica quindi sia
ai reati d’azione, sia ai reati omissivi impropri.
La disciplina codicistica del nesso di causalità non si esaurisce nella parte
generale del codice penale: la consequenzialità, a cui l’articolo 40 c.p fa
riferimento, non è un principio astratto enunciato solo in questa prima parte del
codice, ma è elemento essenziale ribadito nella parte speciale.
Sono infatti le singole fattispecie di reato che richiamano, a seconda delle
circostanze e con termini differenti, la necessità dell’esistenza di un nesso di
condizionamento.
Facendo degli esempi, troviamo all’art 575 c.p. il delitto di omicidio, la cui norma
esordisce con le seguenti parole: “chiunque cagiona la morte di un uomo” . Il
nesso causale è quì espressamente richiamato dal verbo cagionare; altri termini
che esprimono l’esigenza di un rapporto causale tra condotta ed evento sono i
verbi produrre, (art 583), derivare (art 422), distruggere (art 253), corrompere
18
(art 440) e tanti altri.
Tutti questi fatti possono essere causati sia con un comportamento diretto, sia
indirettamente. Bisogna infatti ricordare che l’articolo 40 c.p., trova applicazione
tanto nel caso di danno diretto, quanto di quello indiretto.
17
Caraccioli, Manuale breve di diritto penale,Cedam, Padova, 2006, p. 119.
18
Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, Giuffrè, Milano, 2003, p. 237.
Si intende per danno diretto quel danno che è causato in modo immediato dalla
condotta dell’agente, (si pensi ad un colpo di pistola con cui si uccide o ferisce
qualcuno); mentre il danno indiretto non è causato direttamente dalla condotta del
soggetto in questione, ma indirettamente ( si pensi ad un incidente stradale ove
colui che viene tamponato colpisce a sua volta un altro automobilista).
In questa seconda ipotesi però, affinché il nesso causale sia valido, e cioè
effettivamente esistente ed attribuibile al primo conducente, l’azione dell’agente
deve aver determinato uno stato di cose tali che, senza di essa, l’evento successivo
19
non si sarebbe verificato.
Ci sono situazioni e ambiti in cui il nesso di causalità risulta più facilmente
accertabile (essi sono generalmente tutti i casi di reati commessi mediante azione)
altri invece, come nel caso della responsabilità medica, (tipici caso di reati
omissivi impropri), in cui il percorso materiale che dalla condotta conduce
all’evento è difficilmente dimostrabile.
Il nostro ordinamento concepisce il nesso di causalità come elemento tipicamente
ancorato a leggi scientifiche, in cui ogni evento costituisce causa e conseguenza di
un evento ulteriore.
Questa concezione binaria, corrisponde alla fiducia culturale nella possibilità di
definire le leggi di natura, ma non sempre siamo in grado di attribuire certezze
20
scientifiche ad eventi non empiricamente riproducibili.
Il problema emerge in maniera preponderante (come sopra accennato) soprattutto
per i casi di reati commessi mediante omissione, in quanto sarà necessario
ipotizzare l’intervento di una condotta mancante, che dovrà però essere valutata
tenendo conto delle numerosissime circostanze del caso concreto.
Non bisogna trascurare poi, che più cause possono intervenire a determinare il
verificarsi di un evento, e qualora si debba valutare una condotta attiva si porrà il
problema di distinguere le singole condotte e verificare quale in concreto abbia da
sola determinato il verificarsi dell’evento.
19
Caraccioli, Manuale breve di diritto penale,Cedam, Padova,2006, p. 115.
20
Aleo, Il problema della responsabilità per colpa professionale del medico fra le teorie e le
definizioni causali,l’imputazione oggettiva dell’evento e i possibili contributi dell’analisi
funzionalistica, in La responsabilità penale del medico, Giuffrè, Milano, 2007, p. 9.
Ciò potrà dar luogo nell’ambito di un processo a battaglie peritali, tutte fondate su
elementi scientifici e tutte astrattamente plausibili. Il compito del giurista, con
l’aiuto, quando necessario del perito, sarà quello di ricostruire l’iter in cui si sono
susseguiti i fatti e accertare l’esistenza di un nesso di causalità.
A complicare la situazione in sede di accertamento, può intervenire l’impossibilità
di provare ogni singola fase che abbia provocato l’evento per cui si procede: ma
l’impossibilità di accertare ogni fase nella sua interezza non impedisce al giudice
di pronunciare sentenza di condanna; a condizione però, che l’azione umana sia
21
stata indispensabile per la produzione dell’evento.
Questo è quanto deciso dalla giurisprudenza al fine di non lasciare impuniti reati,
dei quali si è certi essere stati commessi e per i quali è dimostrato il nesso
eziologico.
La responsabilità non è infine da escludersi, anche qualora la condotta, posta in
essere dall’agente, abbia solamente anticipato un evento comunque destinato a
prodursi; si pensi ad esempio al caso dell’errore terapeutico che abbia anticipato la
morte del paziente: la condotta del sanitario rimane pur sempre condizione
22
indispensabile per la verificazione dell’evento.
Dopo aver cercato di dare un quadro generale delle situazioni che possano
presentarsi ad un giudice, vediamo riassumendo quali sono le difficoltà che si
prospettano in un’ analisi dell’elemento eziologico.
23
Mantovani individua tre difficoltà nell’accertamento del nesso di causalità:
a) Se la causa è intesa in senso naturalistico, ogni evento è il risultato di una
pluralità di condizioni ed esse sono tutte astrattamente necessarie alla produzione
dell’evento.
b) L’azione dell’uomo inoltre, non è quasi mai l’unica causa dell’evento, ma essa
concorre con azioni e forze esterne, riconducibili ad altri soggetti (o a forze
naturali o animali).
24
c)L’insieme dei fattori causali infine, non è sempre dominabile dall’uomo.
21
Caraccioli,Manuale breve di diritto penale,Cedam, Padova, 2006, p. 116.
22
Vedi sempre Caraccioli
23
Mantovani, Diritto penale,Cedam, Padova, 2007, p. 134.
24
Altre osservazioni in merito all’accertamento del nesso causale sono state fatte anche da altri
autori e in ambiti diversi, secondo Kelsen ,ad esempio,tutte le difficoltà derivano dal fatto che “ogni
effetto ha un numero infinito di cause e ogni causa ha un numero infinito di effetti”.
Ecco allora perché, nonostante il codice penale faccia riferimento ad una nozione
di causalità in termini naturalistici, le varie teorie interpretative cercano i criteri
correttivi da applicare a questo concetto di causa; ed è proprio ciò che accade con
la teoria della causalità adeguata e la teoria della causalità umana.
Possiamo quindi concludere queste prime pagine introduttive con due quesiti che
sintetizzano molto bene il problema del nesso causale, “cosa abbiamo causato?” e
“ di che cosa dobbiamo rispondere?”.
Questi interrogativi sono quelli che si pose il celebre giurista Antolisei, nella sua
25
trattazione del 1934.
Si tratta di domande pur sempre molto attuali a cui numerosi autori hanno, nel
corso del tempo, cercato di rispondere, e di cui daremo conto nelle pagine che
seguono.
25
Licci, Teorie causali e rapporto di imputazione, Jovene, Napoli, 1996, p. 3.
LE PRINCIPALI TEORIE INTERPRETATIVE SUL NESSO DI
CAUSALITA’
La nozione di rapporto di causalità appare astrattamente molto chiara, eppure
numerose teorie si sono scontrate al fine di rendere il nesso eziologico il più
possibile coerente con il complesso mondo fattuale.
Si pone infatti il problema di stabilire quando un evento possa dirsi conseguenza
di una determinata condotta, e quando tale condotta possa ascriversi alla
responsabilità di un soggetto.
Come già specificato, la teoria che il nostro codice ha recepito all’art 40 è la
teoria della conditio sine qua non, ad essa, nel corso degli anni, sono stati
apportati numerosi correttivi, e altrettante teorie hanno cercato di sostituirla.
Riporterò di seguito soltanto alcune delle numerose teorie che hanno segnato la
storia dell’odierno concetto di nesso di condizionamento.
Partiremo quindi da un’analisi della teoria condizionalistica, essendo la più
importante teoria in ordine cronologico, per passare ad un’altra teoria dell’800
(la teoria della causalità adeguata) che in quegli anni ha cercato di rimediare agli
eccessi cui la prima portava.
Passeremo quindi ad analizzare alcune delle più significative teorie del 900, al
fine di dare una completa prospettiva dell’evoluzione dottrinale in materia. Le
teorie in quegli anni emergenti vedremo essere la teoria della causalità umana e la
teoria dell’aumento del rischio.
TEORIE DELL’800
La teoria condizionalistiaca
Questa teoria, enunciata per la prima volta dal criminalista tedesco von Buri, parte
da una definizione scientifica di causa.
La causa, così concepita, è una causa reale ed empiricamente esistente, ed è frutto
dell’interazione tra forze umane e naturali. Il giurista dovrà quindi studiare
l’incidenza che la condotta umana ha avuto nella modificazione della normale
dinamica dei fenomeni naturali.
La causa in termini naturalistici quindi, è l’insieme delle condizioni necessarie e
sufficienti a produrre l’evento. Per cui è causa ogni antecedente che abbia in
26
qualche modo contribuito al verificarsi dell’evento.
Non si richiede che la causa sia da sola sufficiente a provocarlo, ma se la condotta
incriminata è una delle cause che ha prodotto l’evento, il suo autore è da
considerarsi legittimamente responsabile.
E’ quindi irrilevante che la causa non sia l’unica e che essa concorra insieme ad
altre al verificarsi dell’evento. Tutte le concause, preesistenti, concomitanti e
sopravvenute sono considerate equivalenti.
L’accertamento del nesso eziologico avviene con il metodo dell’eliminazione
mentale (c.d. “giudizio controfattuale”): se eliminando mentalmente l’azione
delittuosa, il danno non si sarebbe prodotto, il fatto controverso è direttamente
imputabile a colui che lo ha commesso.
Per cui la condotta è causa dell’evento se, senza di essa, l’evento non si sarebbe
verificato (sublata causa, tollitur effectus).
Di contro si potrà invece affermare che se l’evento si sarebbe comunque prodotto,
27
la condotta non è causa di esso.
Ciò che si vuole dimostrare con il metodo dell’eliminazione mentale, è se un
antecedente possa essere qualificato in termini di necessità.
26
Grispigni contesta questa definizione,egli afferma che la teoria condizionalistica si propone
come tesi scientifica, ma in realtà essa non lo è, poiché “nel campo della scienza nessuno ha mai
sostenuto che la condizione è uguale alla causa,ma soltanto che quella è una parte di questa...la
causa non si verifica quando si è posta soltanto una delle tante condizioni dell’evento”, in Il
nesso causale nel diritto penale,in Riv.it.dir.proc.pen., 1935, p.7.
27
Antolisei,Manuale di diritto penale. Parte generale, Giuffrè, Milano,2003, p. 240 ss.
Fiandaca e Musco, Diritto penale. Parte generale ,Zanichelli, Bologna, 2006, p. 207.
Mantovani,Diritto penale, Cedam, Padova, 2007, p. 137 ss.
Se quell’antecedente è necessario alla produzione dell’evento, allora è causa di
28
esso.
A questa teoria sono state mosse numerose critiche.
Innanzi tutto se la causa è concepita in termini naturalistici, considerando la
complessità del mondo fenomenico, lo stesso evento potrebbe essere il risultato di
un numero indefinito di cause. E ciò renderebbe molto arduo il compito del
giudice, in quanto dovrebbe considerare ogni causa e per essa operare il metodo
dell’eliminazione mentale. È stato inoltre osservato come per ogni causa,sia
possibile individuare una sua causa antecedente. Ma se si procedesse in questo
modo, si rischierebbe di inciampare in un sistema senza fine; e non è possibile né
sensato retrocedere all’infinito. Si faccia l’esempio di colui che con un colpo di
pistola abbia ucciso qualcuno, in base a questa impostazione sarebbero causa
dell’evento anche i genitori che hanno messo al mondo un assassino.
I sostenitori della teoria condizionalistica hanno allora individuato come
correttivo quello dell’elemento soggettivo, per cui la condotta è da ritenersi causa
solo qualora supportata dagli elementi psicologici del dolo o della colpa.
Come giustamente osservato in dottrina però, questo correttivo si dimostra
fallacie in tutti i casi di delitti aggravati dall’evento e in tutti i casi di
responsabilità oggettiva: in quanto, per essi, l’imputabilità prescinde dagli
elementi soggettivi del dolo e della colpa.
Altra obiezione riguarda le ipotesi di causalità alternativa ipotetica, e di causalità
29
addizionale : la teoria dell’equivalenza causale e il metodo dell’eliminazione
mentale, comporterebbero la non punibilità di alcune condotte, in ragione del fatto
che, mentalmente esclusa l’azione imputata, subentrerebbe la condotta alternativa
30
o quella sulla quale l’evento si inscrive a determinare l’evento.
28
Licci, Teorie causali e rapporto di imputazione, Giappichelli, Torino, 1984, p. 8.
29
La causalità addizionale va tenuta distinta dall’ ipotesi di concorso nel reato in quanto non vi è
consapevolezza dell’altrui proposito criminoso.
30
Le obiezioni mosse nell’ambito della causalità addizionale e di quella alternativa, sono state in
breve tempo superate: una versione più aggiornata della teoria condizionalistica afferma infatti
rilevare non l’evento inteso in senso astratto, ma l’evento concreto. Sono quindi irrilevanti gli
eventi prodotti da cause diverse, ma operanti circa nello stesso momento.
Tale conclusione deriva dall’erronea convinzione che il nesso eziologico vada
sempre verificato escludendo astrattamente la condotta imputata, senza invece più
correttamente constatare l’esistenza concreta del rapporto di causalità.
Bisogna cioè dimostrare quale sia stata la causa dell’evento e non se l’evento si
sarebbe verificato altrimenti.
Altro problema che questa teoria pone, è che l’evento è comunque imputabile
anche qualora si verifichi un’interruzione del nesso causale.
Antolisei ha quindi introdotto un nuovo concetto, poco dopo abbandonato, per cui
il nesso causale verrebbe meno, qualora si verificasse un’interruzione dello stesso
per il sopraggiungere di una serie causale indipendente. Ma il concetto di serie
causale indipendente è del tutto arbitrario e ogni nuova condizione potrebbe
essere considerata come un caso di interruzione.
La dottrina ha quindi apportato una modifica significativa alla teoria della
condicio sine qua non, prevedendo che il procedimento di eliminazione mentale
debba tenere conto delle leggi di copertura. Il giudizio deve cioè radicarsi in un
complesso di leggi generali, che costituiscano il presupposto del normale
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svolgimento dei fatti.
Le leggi generali di copertura rendono possibile una spiegazione causale
generalizzante, fondata su rapporti di successione regolari e costanti tra fatti ed
eventi. Un fatto è causativo di un altro, solo se esso rientra nel novero di quelle
cause, considerate come possibili antecedenti da una legge di copertura.
Il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche permette quindi di
configurare un antecedente come condizione necessaria, solo se esso è uno di
quegli antecedenti, che portano costantemente al verificarsi di quel tipo di
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evento.
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La cassazione con sent n° 2898 del 1990 in FI, 1992, II, p. 36 (sentenza Bonetti) in merito alla
catastrofe della Val di Stava,specificò che la teoria della conditio sine qua non era sì il metodo di
accertamento idoneo per la verifica della sussistenza di un nesso causale,ma che esso andava
integrato con l’utilizzo di leggi di copertura. In altri termini, cito le parole della sentenza “secondo
il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche,un antecedente può essere configurato come
condizione necessaria solo a patto che esso rientri nel novero di quegli antecedenti che sulla base
di una successione regolare conforme ad una legge dotata di validità scientifica portano ad eventi
del tipo di quello verificatosi in concreto”.
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Alla spiegazione causale generalizzante, si contrappone la spiegazione causale
individualizzante: il giudice si comporta come uno storico, il quale si limita a constatare che nei
fatti ad un certo evento ne è susseguito un altro. L’accertamento prende in esame fatti singoli e
In altre parole un’azione può dirsi causa di un evento solo se, in base ad una legge
scientificamente provata, a quell’azione segue regolarmente quell’evento.
Si deve poter ritenere, in base a queste leggi, che i fatti di cui trattasi siano
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ripetibili e non eccezionali.
L’accertamento del rapporto causale non deve essere discrezionale, ma effettuato
alla stregua di criteri certi e possibilmente controllabili.
Le leggi di copertura (o leggi scientifiche) si distinguono in leggi a carattere
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universale e leggi probabilistico-statistiche.
Nel primo caso, il verificarsi di un evento è necessariamente seguito dal
verificarsi di un altro, mentre nel caso delle leggi statistiche, al verificarsi di un
evento si produce con una certa probabilità percentualistica il verificarsi di un
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altro evento.
Le leggi a carattere universale sono, da un punto di vista probatorio, sicuramente
più solide ed affidabili di quelle probabilistiche. Ma non sempre il giudice ha a
disposizione tali leggi e dovrà quindi spesso accontentarsi di mere probabilità
logico-statistiche.
Il giudice, avvalendosi del modello della sussunzione sotto leggi universali o
statistiche, dirà se è probabile che la condotta del soggetto costituisca, coeteris
paribus, condizione necessaria per la verificazione dell’evento. Dove con
probabilità deve intendersi la probabilità logica o la credibilità razionale di
elevato grado.
concreti, non importa se unici e non riproducibili in futuro. Il giudice non applica leggi generali,
ma si affida alla sua stessa intuizione.
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Una parte della dottrina sostiene che la causalità scientifica non costituisca un criterio
integrativo della teoria condizionalistica,ma che integri invece una teoria autonoma. In questa
prospettiva l’azione è causa dell’evento quando, secondo la migliore scienza ed esperienza del
momento storico, l’evento è conseguenza certa o altamente probabile dell’azione.
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La Cassazione,sempre con la sentenza Bonetti del 6.12.90, afferma : “occorre stabilire quali
siano le leggi generali di copertura accessibili al giudice...queste sono sia le leggi universali,che
sono in grado di affermare che la verificazione di un evento è invariabilmente accompagnata dalla
verificazione di un altro evento,sia le leggi statistiche che si limitano, invece,ad affermare che il
verificarsi di un evento è accompagnato dal verificarsi di un altro evento soltanto in una certa
percentuale di casi”.
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Contra: Vineis “l’attendersi che una legge di natura si manifesti con assoluta regolarità,in
modo universale e atemporale,costituisce il caso limite di una più generale natura probabilistica
delle relazioni causali” Nel crepuscolo della probabilità. La medicina tra scienza ed
etica,Einaudi, Torino,1999, p. 27.
La stessa tesi, per cui in realtà tutte le leggi sono di per sé probabilistiche, è sostenuta anche da
Stella, in Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale. Milano, 1975.