2
Introduzione
La turbina a gas riveste attualmente un ruolo sempre più importante nell’ambito
della produzione d’energia, mentre nella propulsione aerea il suo impiego perdura
incontrastato già da parecchio tempo. Sebbene il principio di funzionamento fosse
noto da moltissimo tempo (risale, infatti, al XVII secolo una prima proposta di John
Barber), solo in tempi relativamente recenti (si parla degli anni ’20) si sono riuscite
ad ottenere installazioni effettivamente funzionanti. Da allora gli sviluppi sono stati
continui ed incessanti, sia per le turbine aeronautiche che per gli impianti terrestri per
la produzione di energia elettrica (impianti heavy duty), con molteplici innovazioni,
dapprima studiate e successivamente introdotte nel campo dell’aeronautica militare
per essere poi estese all’aviazione civile ed infine agli impianti per la generazione di
potenza e agli altri molteplici settori, quali la trazione navale, in cui si trovano ad
operare tali apparecchiature.
Una delle problematiche di maggiore interesse ed al contempo difficile soluzione
per i progettisti, nel campo delle turbine a gas è stata e rimane quella inerente al
raffreddamento delle pale, in special modo quelle del primo stadio che "vedono" la
camera di combustione. La ricerca sempre più esasperata di elevati valori del
rendimento del ciclo Joule-Brayton della turbina a gas, ha spinto i costruttori ad
innalzare sempre di più i valori di temperatura in camera di combustione e di
conseguenza di ingresso in turbina, incrementando cioè la temperatura del gas che
viene elaborato dalle palette.
Tali temperature, al giorno d’oggi ormai raggiungono e talvolta superano i
1650÷1700 K, e le moderne superleghe che costituiscono le pale non riescono da
sole a resistere al terribile cimento termico e meccanico che si viene a creare
all’interno dello stadio di turbina. Sono stati ideati a tal guisa vari metodi di
raffreddamento per le pale, più o meno complessi tra i quali possiamo citare il
raffreddamento per “film cooling”, per impingement, per traspirazione. Accanto a
tali tecniche, le quali adottano l’aria come fluido refrigerante, si possono annoverare
anche delle metodologie che fanno uso di vapore o miscele liquide ma il loro
impiego non è frequente. Per le moderne turbine a gas è ormai invalso l’uso dei
sopraccitati sistemi di raffreddamento in cui il fluido refrigerante è costituito da aria.
3
Tali tecniche ne prevedono lo spillamento di una certa portata (nell’ordine del
5÷8%) dal compressore e il conseguente inoltro all’interno delle pale della turbina
(che, infatti, presentano una struttura cava), le quali provvedono poi ad espellerla
attraverso dei minuscoli fori praticati sul mantello. Al termine del suo utilizzo come
refrigerante l’aria stessa viene miscelata con la portata di gas combusti. E’ evidente
però che il processo di miscelazione dà luogo a perdite, che tuttavia possono essere
ridotte minimizzando il quantitativo d’aria richiesta. Appare chiaro, allora che per
ottenere impianti sempre più efficienti occorre realizzare efficaci sistemi di
refrigerazione per le turbine. In tal senso diventano essenziali per i progettisti, una
previsione accurata dello scambio di calore e del campo di temperatura che vengono
ad instaurarsi per i già citati componenti, i quali si trovano ad operare in condizioni
di funzionamento estremamente rigide.
Il presente lavoro si prefigge di esaminare tali particolari condizioni, ossia si
propone di ricavare una forma analitica capace di descrivere, pur con molta
approssimazione, il fenomeno di trasmissione del calore nel caso che un flusso
termico vada ad investire una singola pala di turbina. Pertanto, esso si articola nella
maniera seguente: dapprima nel capitolo 1, vengono analizzate le motivazioni che
impongono la refrigerazione nei gruppi turbogas, a cui segue un esame sulle
modalità di trasmissione del calore sulle palette, quindi si mostrano e vengono
analizzate le più diffuse tecniche di raffreddamento dei gruppi palari. Nel capitolo 2
viene presentata e discussa la proposta di trattazione analitica, relativa al campo di
temperatura che viene ad agire su una singola pala di turbina; mentre nei capitoli 3 e
4 si presentano le soluzioni e i grafici ottenuti dallo sviluppo del modello succitato.
4
CAPITOLO 1
PERCHÉ REFRIGERARE?
1.1 Introduzione
In senso lato viene generalmente chiamato turbina a gas l’intero impianto di
produzione d’energia meccanica che utilizza il calore comunicato a masse gassose,
impianto di cui fanno parte con funzioni essenziali compressori, camere di
combustione, scambiatori di calore, mentre a rigore il nome di turbina a gas
dovrebbe competere alla sola motrice. Nelle moderne installazioni di turbine a gas si
raggiungono valori del rendimento globale che oscilla tra 0.36÷0.39 (un discorso a
parte meritano gli impianti combinati in cui il rendimento si attesta su valori di
0.50÷0.55 ed è ormai prossimo a 0.60). È indubbio che dalla loro introduzione siano
stati fatti dei giganteschi passi in avanti, considerando che nei primi esemplari
d’impianto tale valore era circa pari al 2%. Ci si chiede ora, quali siano i parametri
significativi per il rendimento delle TG. Per poter rispondere al quesito dobbiamo
entrare brevemente nel dettaglio sul funzionamento di un impianto, sia esso per uso
terrestre, atto cioè alla generazione di potenza, sia nel caso di turbina aeronautica.
Cominciamo con l’esaminare il ciclo termodinamico di un impianto con turbina a
gas per applicazioni terrestri, nella sua accezione attualmente più consueta,
l’allestimento a combustione interna, vale a dire a circuito aperto. Beninteso, il
processo termodinamico analizzato non è ciclico. Onde evitare complicazioni ci
limitiamo ad esaminare il circuito elementare (in altre parole privo di dispositivi
scambiatori di calore atti alla rigenerazione termica), costituito da un compressore
(solitamente assiale, in maniera tale da garantire elevate portate d’aria), da una
turbina, sede del processo d’espansione e da una camera di combustione.
Compressore e turbina sono collegati tra loro meccanicamente tramite un albero.
Inoltre la turbina è connessa ad un utilizzatore solitamente preposto alla generazione
d’energia elettrica, Ci si interroga ora, su come sia possibile incrementare il valore
del rendimento dell’impianto.
5
C.C.
1
2
4
3
turbina
compressore
Lc
Lu
fig. 1.1 schema funzionale del circuito elementare TG.
Facendo riferimento al piano h-s, consideriamo lo pseudociclo termodinamico 1-2-
3-4. Il compressore aspira una certa portata d’aria alla pressione atmosferica
dall’esterno (1), e la comprime pressoché adiabaticamente fino alla pressione p
2,
tale
trasformazione viene messa in atto mediante la spesa del lavoro di compressione L
c
.
L’aria compressa viene quindi inviata alla camera di combustione, in cui viene
introdotto del combustibile (in fase liquida, gassosa o solida) in opportuno rapporto
con la portata d’aria e dove si realizza un processo di combustione pressoché isobaro
(2-3) (in realtà si hanno delle perdite di carico tra ingresso ed uscita). Il prodotto
della combustione è gas ad elevata pressione e temperatura, pronto per subire
un’espansione adiabatica (3-4) in turbina, da cui verrà infine espulso in atmosfera,
con una pressione all’incirca uguale alla pressione iniziale. Durante l’espansione si
ha la produzione del lavoro L
t,
ovviamente maggiore del lavoro richiesto dal fluido
per essere compresso, pertanto avremo del lavoro utile L
u
disponibile all’albero
dell’utilizzatore.
6
1.2 Espressione del rendimento reale del ciclo joule della turbina a gas
Come noto l’espressione del rendimento reale del ciclo TG si può scrivere nella
maniera sotto riportata
11
Q
LL
Q
L
ctu
r
Κ
se si desiderano, come vorrebbe la logica elevati valori del rendimento, il lavoro
fornito dalla turbina dovrà essere di molto superiore al lavoro da spendere in fase di
compressione, dovrà altresì valere:
ct
LL !
h
s
p2
p1
2
3
4
LT
Lc
1
4s
2s
fig. 1.2 ciclo Joule sul piano h-s per impianto TG con andamenti reali
dei processi di compressione(1-2) ed espansione(3-4).
È utile aver presente che uno dei limiti principali del ciclo turbogas (semplice o
rigenerato) è il lavoro specifico relativamente ridotto (difficilmente superiore a 200
kJ/kg di fluido di lavoro). Ciò risulta principalmente dovuto al fatto che (a differenza
di quanto avviene nei cicli a vapore nei quali il lavoro specifico supera facilmente i
1200 kJ/kg) il lavoro di compressione costituisce una parte rilevante del lavoro
d’espansione della turbina (tipicamente nell’ordine del 30÷60%), di modo che il
lavoro utile L
u
è ridotto. È per questo che non è stato possibile realizzare un impianto
turbogas funzionante, finché non si sono sviluppati compressori dinamici ad elevato
7
rendimento (assiali o centrifughi), anche se il principio operativo del ciclo era noto
dal 1800.
In ogni modo, vediamo ora come esprimere in maniera più comoda tali quantità.
Siano: η
t
rendimento della turbina, η
c
rendimento del compressore, ∆h
t,is
salto
entalpico isoentropico in turbina, ∆h
c,is
salto entalpico isoentropico di compressione.
Allora, come noto potremo scrivere:
tistt
hL Κ ∋
,
e
∋
c
isc
c
h
L
Κ
,
per cui con semplici passaggi
c
isc
tist
h
h
Κ
Κ
,
,
∋
! ∋
÷
÷
≠
•
♦
♦
♥
♣
÷
÷
≠
•
♦
♦
♥
♣
∋
∋
!
3
4
3
1
2
1
43
12
,
,
1
1
T
T
T
T
T
T
TTc
TTc
h
h
p
p
ist
isc
ct
Κ Κ
ricordando la relazione che lega pressione e temperatura lungo una trasformazione
adiabatica (in cui viene indicato con k l’esponente della trasformazione)
Η
Ε
÷
÷
≠
•
♦
♦
♥
♣
k
k
p
p
T
T
T
T
1
1
2
4
3
1
2
e definendo il rapporto τ tra le temperature estreme del ciclo T
1
e T
3
, mentre con β
viene indicato il rapporto di compressione
Ω
Ε
Κ Κ
Η
!
ct
Analizziamo ora separatamente i termini a primo e secondo membro: il rendimento
di espansione η
t
si è ormai da tempo attestato su valori prossimi all’unità, difatti si ha
η
t
=0.90÷0.95. Inoltre le cadute entalpiche (di modesta entità se confrontate con
quelle a cui deve far fronte una turbina a vapore) che devono essere elaborate dalla
turbina, consentono di realizzare macchine aventi pochi stadi, talvolta appena due o
tre. Si hanno allora delle macchine abbastanza compatte, e ciò contribuisce
senz’altro a limitare le perdite. Ben altro discorso si dovrebbe fare per quanto
riguarda il rendimento di compressione η
c
, che per un lungo periodo è stato il reale
freno allo sviluppo delle TG. Come noto la realizzazione di efficienti condotti
8
diffusori, che a differenza dei condotti acceleranti presentano elevate perdite di
carattere fluidodinamico, è molto complicata, per due principali motivi. Innanzitutto
il fenomeno del controrecupero nella compressione ostacola il raggiungimento di
elevati valori di η
c
, ed inoltre come poco anzi accennato, nei vani palari di un
compressore dinamico ha luogo la diffusione del fluido, caratterizzata da strati limite
(sedi di rilevanti fenomeni dissipativi) di notevole spessore. D’altra parte i continui
progressi tecnologici e scientifici hanno permesso la realizzazione di compressori
capaci di garantire rendimenti e portate adeguatamente elevati e al giorno d’oggi il
rendimento di compressione raggiunge valori pari a circa η
t
=0.90÷0.91.
Da quanto detto si deduce allora che, essendo sia il rendimento di espansione che
di compressione ormai prossimi all’unità, ulteriori incrementi del rendimento
dell’impianto vanno ricercati attraverso la variazione degli altri parametri che
influenzano il rendimento del ciclo, a tal fine si riprende in esame la relazione
ricavata in precedenza
Ω
Ε
Κ Κ
Η
!
ct
Risulta che nel caso del ciclo reale, esiste per il rendimento una condizione di
rapporto di compressione ottimale, che andrà determinata caso per caso in funzione
degli altri parametri, ed in special modo il rapporto tra le temperature estreme τ.
E' possibile inoltre dimostrare che -nel caso di ciclo semplice- il valore ottimale
del rapporto di compressione, β
max(η)
per il rendimento risulta superiore al valore
β
max(Lu)
per il lavoro specifico (Ciò spiega perché oggi i propulsori aeronautici più
moderni presentano rapporti di compressione fino a 30, sacrificando il lavoro
specifico per ottenere un rendimento più elevato nel funzionamento a ciclo semplice,
e quindi consumi più bassi). Si comprende allora che nuovi progressi del rendimento
si possono ottenere mediante l’aumento del rapporto tra le temperature estreme del
ciclo, di conseguenza spingendosi verso temperature T
3
d’ingresso in turbina sempre
più elevate. Più precisamente con l'aumento di tale temperatura, il lavoro specifico
aumenta in maniera considerevole, in virtù del fatto che le isobare sono curve a
pendenza crescente (l'intercetta verticale tra due isobare sul piano h-s aumenta
spostandosi verso le alte temperature od entropie; a tale proprietà si fa
impropriamente riferimento con il termine "divergenza delle isobare").
9
È possibile sviluppare il discorso in maniera analoga per le turbine aeronautiche,
tenendo ben presente la differente impostazione concettuale ed il diverso peso che
hanno i vari parametri, quali possono essere ad esempio la necessità di minor
consumo di carburante e di maggiore leggerezza per i componenti nel caso delle
turbine aeronautiche, o un tempo di vita utile dei componenti accettabile per i gruppi
turbogas adibiti alla generazione di potenza. Se ci si riferisce per semplicità, come
fatto in precedenza ad uno schema funzionale di massima si vede che, a differenza
degli impianti terrestri, è presente a monte del compressore un diffusore D che
costituisce la presa dinamica dell’apparecchio, sede di una prima compressione
dinamica dell’aria. In tale maniera si ottiene uno sgravio di lavoro del compressore e
di conseguenza della turbina.
C.C.
1'
2
4*
3
TC
4
D
U
1
fig. 1.3 schema funzionale di un turbogetto.
La turbina aeronautica non possiede un generatore, inoltre essa non porta a termine
l’espansione, bensì come viene mostrato nella figura sottostante, l’ammontare
rimanente di entalpia viene adoperato ai fini della propulsione del mezzo. In effetti,
la caduta entalpica nel tratto dell’espansione adiabatica (3-4*) conferisce alla turbina
soltanto la potenza necessaria per azionare il compressore e per sopperire alle perdite
meccaniche, mentre la cospicua caduta entalpica del tratto (4*-4) è in grado di
accelerare il fluido di scarico ad elevatissima velocità nell’ugello U.
10
h
s
p2
p1
1
2
3
4
Lt
Lc
4*
Lc
fig. 1.4 ciclo Joule sul piano h-s per turbogetto, nel tratto 4*-4,
il gas espande permettendo la propulsione.
Le turbine per jet lavorano a temperature maggiori di quelle per impieghi terrestri,
che al giorno d’oggi operano alla stessa temperatura massima con cui operavano i jet
militari vent’anni fa. Un ulteriore aspetto di netta differenziazione, strettamente
correlato con quanto appena affermato, per le turbine aeronautiche consiste nella
durata: un impianto turbogas per generazione di potenza viene progettato con
l’intento di avere una vita utile di 100000 ore, vale a dire circa 11÷15 anni, mentre
per una turbina aeronautica è possibile che la vita prevista dei componenti possa
essere anche di 100÷500 ore. Inoltre per gli impianti terrestri si opta per un β di
massimo lavoro utile, in quanto a parità di potenza è possibile ottenere una macchina
avente dimensioni più compatte, come si desume, infatti, dalla relazione
u
LmP
ovvero, se si massimizza il lavoro utile a parità di potenza, è possibile lavorare con
portate massiche inferiori. A sua volta, la turbina a gas di tipo aeronautico lavora in
condizioni di massimo rendimento, ed essendo
)max()max(
u
L
Ε Ε
Κ
!
si ha quindi un rapporto di compressione di ottimizzazione molto maggiore,
nell’ordine di 25÷30, difatti nel caso della turbina aeronautica è conveniente
ottimizzare il consumo di carburante.