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Introduzione
Il genere breve, tra i vari tipi di modelli letterari esistenti, ha sempre avuto una
posizione secondaria. Che si chiami fabula milesia, aneddoto, exemplum, novella o
racconto nessuno ha mai dato una definizione chiara e precisa su che cosa si intenda con
questi termini.
A complicare le cose, poi, nel resto d'Europa si assiste a una vera e propria
promiscuità di termini, i quali, vanno riducendo la loro portata semantica, relegandoli al
ruolo di sinonimi e, quindi, diventando quasi interscambiabili tra loro senza che
neanche si capisca la distinzione tra la produzione orale e la produzione scritta. Questo
il problema che si cercherà di affrontare, per primo, in questa sede: è possibile dare una
distinzione tra la novella e il racconto? E se è possibile farlo, che differenze si possono
riscontrare tra i due?
Il secondo problema, invece, mirerà a inquadrare un'altra differenziazione tra la
comicità e l'umorismo, e, se c'è, a capire che tipo di rapporti hanno questi due termini
con il genere breve.
Il fenomeno dell’umorismo è complesso da definire in termini teorici. Infatti, fin
dall'antichità, molti letterati (e non solo) ne hanno fatto oggetto di studio arrivando a
conclusioni, nonostante provvisoriamente, alquanto diverse.
Gli studi che vengono fatti oggi sul riso, invece, propongono un approccio a
trecentosessanta gradi, includendo l'aiuto di psicologi, filosofi, antropologi, letterati,
linguisti e sociologi senza, però, arrivare a un epilogo che metta d'accordo tutti,
incanalando i due termini in confini piuttosto labili.
Come si voglia chiamare, umorismo, ironia o comicità, in momenti storici
diversi, sono stati il cruccio di molte teorie, non solo letterarie, ma anche squisitamente
sociologiche, psicologiche e di varia natura. Il riso, vittima di pregiudizi negativi in
quasi tutti i periodi storici, è stato trattato come studio di secondo ordine rispetto ad
altre discipline, ritenuto poco serio in qualunque campo della cultura umana. Non ha
mai smesso, però, di ritrovarsi nelle discussioni degli 'addetti ai lavori' e ha costituito
anche un aiuto per la satira di costume. Infatti va ricordato che la cultura popolare,
disinteressata a queste teorie anche tutt'ora, per prima se ne servì attraverso le
rappresentazioni teatrali (come le atellane nell'antica Roma) e la commedie greche e
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latine. Ma non solo: la rappresentazione carnevalesca offriva l'opportunità di poter
rovesciare i ruoli gerarchici che ordinavano la società del tempo e di conseguenza al
sovvertimento dei valori che condividevano tutti.
Tuttavia la difficoltà di definire gli orizzonti dell’umorismo permangono e
proprio questo studio si propone di affrontarli.
Si presenta, quindi, un rapido excursus del concetto di umorismo, iniziando da
un’ indagine sul riso, per poter analizzare poi come molti letterati, nei vari secoli, hanno
dato una loro personale interpretazione. In seguito l'attenzione si sposterà su due
scrittori che, partendo da premesse diverse, hanno fatto del riso gran parte della loro
produzione: Italo Svevo e Luigi Pirandello.
In entrambi si cercherà di analizzare in che modo l'umorismo e la comicità siano
stati parte integrante sia della loro poetica sia della loro riflessione teorica e come ne
abbiano fatto un mezzo per raccontare e criticare la società nel loro tempo.
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1.NOVELLA O RACCONTO
1.1 Cosa si intende con il termine “novella” e problematiche teoriche
annesse.
Negli ultimi due secoli si è dibattuto molto sulla terminologia esatta da usare per
quanto riguarda il genere breve e molti letterati hanno dato il loro contributo per cercare
una soluzione che, come vedremo, non avrà esiti uguali per tutti.
Fino agli anni Trenta del Novecento, come constata R. Luperini
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, il termine
'novella' prevale su quello di 'racconto' nonostante alcuni scrittori facciano ricorso a
quest'ultimo, come Tarchetti e Fogazzaro, ma dotandolo di meno autorità. Più tardi
invece, tra gli anni Trenta e Cinquanta, la tendenza si inverte e la scelta del termine
'racconto' tra gli scrittori del periodo, come Landolfi, Moravia, Calvino, è a suo favore.
Agli inizi del secolo passato si assiste a una riflessione teorica sui caratteri
distintivi della novella, fatta sia da critici letterari (come i formalisti russi), sia da alcuni
autori (Pirandello e Tozzi).
Fra i primi, particolare importanza hanno gli scritti del giovane Lukàcs,
Ejchenbaum e Sklovskij. Mentre però, quest'ultimo rinuncia a distinguere la novella dal
romanzo, Lukàcs, nel suo saggio del 1964 Solzenitsyn: Una giornata di Ivan Denisovic
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afferma che il romanzo, rispetto al genere breve, tende a rappresentare una totalità degli
oggetti, delle relazioni umane, mentre la novella muove dal caso singolo. Inoltre Lukàcs
riprende le riflessioni di Goethe sulla novella; in essa doveva manifestarsi un evento
straordinario e inaudito che, per il giovane scrittore, doveva trasformarsi in fatto
casuale. Il suo lavoro non si limitò a una distinzione teorica dei due generi ma tentò di
identificare anche le forme a cui la novella tendeva ad accostarsi e la riscontrò nelle
forme liriche ed epiche.
Di altre vedute invece è Ejchenbaum che nella sua Teoria della prosa del 1920 si
rifà al saggio di Poe sulle novelle di Hawthorne. Secondo Poe la novella deve avere
1 Cfr. ROMANO LUPERINI, Il trauma e il caso: appunti sulla tipologia della novella moderna in Italia, in
Moderna, X, 1, 2003, pp. 15-22
2 Cfr. GYÖRGY LUKÀCS, Solzenitsyn: “Una giornata di Ivan Denisovic”, in Marxismo e politica
culturale, Torino, Einaudi, 1968, pp. 187-188.
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un'unità di costruzione avendo sul lettore un effetto costante e deve essere letta in una
sola seduta (one setting). Tutto questo fa sì che il testo sia abbastanza breve. La novità
che introduce Ejchenbaum rispetto a Poe è l'importanza che questo riconosce alla
conclusione della novella; tutta la tensione accumulata durante la lettura trova il suo
apice nell'epilogo.
Chi ci informa della situazione in Italia è Pirandello attraverso un articolo e un
saggio, rispettivamente del 1897 e del 1908. In entrambi interviene sulle differenze fra
romanzo, racconto, novella e ci informa su una consuetudine corrente nel nostro paese
tra Ottocento e Novecento: il racconto viene definito come genere intermedio fra una
novella lunga e una romanzo breve. Da parte sua Pirandello, che rigetta questa
considerazione tutta esteriore, ne preferisce una basata su un diverso carattere dell'arte
narrativa in cui predomina la parte descrittiva e la rappresentazione è riferita o
dall'autore stesso o da un personaggio che parli in prima persona. Importante è la
distinzione che lo scrittore siciliano fa tra novella e romanzo, sintetizzando in due punti:
1. Ogni scrittore che trarrà dalla vita presente o passata una favola, o la
considererà nel suo complesso e ne farà una novella, o tratterà considerandola nei suoi
particolari e ne farà un romanzo.
2. Mentre il romanzo racconta lo svolgersi di una storia nel tempo, la novella
condensa in un piccolo spazio i fatti e viene accostata alla tragedia classica. Al centro
della novella c'è la raffigurazione di un momento culminante.
I tratti teorizzati da Pirandello, inoltre, possono essere ravvisati nelle novelle
scapigliate che privilegiano il noir puntando sull'orrido e sul grottesco e oscillando fra
naturale e soprannaturale fino a toccare la descrizione del caso clinico. Tutte raccontano
vicende orientate a una conclusione sorprendente ed eccezionale.
L'altro filone, in quegli stessi anni, che resta lontano dalla tipologia delineata da
Pirandello, Lukàcs ed Ejchenbaum è quello campagnolo e filantropico-sociale. Autori
come Nievo e Percoto non puntano all'epilogo ma dipanano la descrizione di piccoli
eventi in successione senza particolare rilievo. Ma, comunque, in entrambi i casi, sia
che si tratti di novella scapigliata sia campagnola, la narrazione è uniforme, compatta e
sempre trattata con distacco da un personaggio o dal narratore, presente sulla scena, che
funge da mediatore per spiegare le vicende.
La svolta importante per quanto riguarda la narrazione si ha con il Verga di Vita
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dei campi. La rotta della strategia narrativa è cambiata: l'impersonalità annulla la
mediazione di un narratore e la rappresentazione si fa diretta e oggettiva, mettendo a
fuoco singoli episodi dotati di indipendente rilevanza. Tutti, quindi, trovano il loro
culmine nella conclusione. Al centro della novella verista c'è il trauma e la crisi viene
calata nella quotidianità, facendo sì che l'inaudito si concili con il normale.
Poi, tra il 1880 e il 1920, la novella assume una forma precisa e caratterizzata; si
appropria di un taglio breve e concentrato in modo tale da poter essere pubblicata a
puntate sui periodici (come successe a Rosso malpelo sul Fanfulla). In più la novella
isola e taglia importanti momenti narrativi tanto da anticipare certe tecniche del cinema,
come quella del montaggio.
Negli anni trenta i modelli di riferimento cambiano; Verga, considerato il
massimo esponente fino a quel momento, decade a favore di altri con più ampio respiro
come Svevo e Proust. Ma cosa è accaduto? Nel 1932 Sergio Solmi recensisce la raccolta
di racconti di Vittorini “Piccola borghesia” e nota che qualcosa è cambiato rispetto al
passato. La produzione novellistica di Svevo inaugura un taglio nuovo, abbandonando il
piglio drammatico ed espressionistico per affidarsene a un altro, quello analitico. La
vicenda narrata si articola, ora, di episodi minimi e di increspature di stati d'animo. Il
genere breve si impone, da questo momento, con una forma più distesa e oscilla tra
racconto lungo e romanzo breve. Il trauma che all'inizio era vissuto come parte
integrante della quotidianità ora è passato nella preistoria del personaggio, è già
avvenuto ed ha preceduto l'atto di narrare.
Questi sono anche gli anni in cui il termine 'novella' cede il posto al racconto e
denunzia del fatto è che esso non si rivolge più al grande pubblico (che ha spostato la
sua attenzione verso il cinema) ma a una stretta cerchia di intenditori, una piccola
nicchia.
Alla novella analitica si affianca, a partire dagli anni Trenta, quella epifanica
entrambe fondate sulla stessa struttura narrativa fatta di singoli episodi staccati tra di
loro. Per quanto riguarda quella analitica (da Svevo a Moravia) troviamo una serie di
osservazioni psicologiche che hanno il compito di ricostruire i movimenti del profondo,
dell'io, mentre nella novella epifanica (da Pavese a Bilenchi) troviamo una serie di
pensieri ed emozioni che assumono un valore epifanico nel momento del ripensamento.
In entrambi i casi, l'epilogo si svuota di significato e non c'è più la tensione drammatica
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verso la fine. Lo stesso Pirandello, negli anni trenta, aprirà la sua produzione
novellistica a questa nuova struttura narrativa e si otterranno risultati come Di sera, un
geranio e Un'idea.
«Nel quarantennio a cavallo tra Ottocento e Novecento, quindi, si registra una
stagione felice per il genere breve che non si riscontrava più dai tempi del Trecento e
del Cinquecento. Nella varietà e mobilità di questo genere (come, d'altronde di qualsiasi
altro), si apre allora una linea volta a riflettere e a rappresentare la frantumazione, la
relatività e la casualità della vita nel moderno».
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La novella verista ottiene questo risultato attraverso un procedimento per tagli,
quella analitica ed epifanica con sottintesi e minute articolazioni. Dopo Verga non è più
possibile conservare una gestione onnisciente della narrazione e prende avvio un'
inversione di tendenza: sarà la forma della novella a influenzare il romanzo e che i
vociani volevano abolito con il ricorso al frammentismo. La realtà da oggetto della
narrazione è divenuta il problema e questo fa sì che a imporsi sia proprio la struttura
tutta problematica della novella.
1.2 Piccolo excursus sulle stesse problematiche in Europa
È stato visto fino ad ora come sia difficile trovare una definizione netta dei due
termini 'novella' e 'racconto' e quanto i loro confini siano spesso labili.
Lo stesso problema è riscontrabile anche in altre nazioni con oscillazioni più che
altro sinonimiche: in Francia vengono usati 'nouvelle conte' e 'histoire'; in ambito
anglosassone si trova 'tales' sino all'Ottocento finchè James dà un cambio di rotta e fa
prevalere il termine ' short stories'.
Tra i più importanti contributi teorici internazionali nella modernità vanno
ricordati i romantici tedeschi (negli anni 1810-1830) come Goethe e Schlgel e nel primo
Novecento i già citati formalisti russi. Le ricerche da loro avviate e le relative
conclusioni non hanno dato esiti oggettivi, bensì hanno declinato l'invito a rispondere
sulla questione rifacendosi alle varie scelte autoriali di ognuno.
«Causa questa mancata, o debole, codificazione, è posibile dar conto soltanto di
3 ROMANO LUPERINI, Il trauma e il caso: appunti sulla tipologia moderna in Italia, cit., p. 21