II
Introduzione
Per garantire al consorzio umano una pacifica convivenza non è sufficiente che la
legge penale, in senso stretto, rediga la lista delle violazioni e delle relative sanzioni.
Occorre che il Legislatore organizzi le varie giurisdizioni penali e regolamenti la
procedura da seguire in ogni fase del procedimento penale
1
.
Lo scopo della legge penale è quello di sanzionare la violazione di un precetto;
quello della procedura penale consiste nell’assicurare l’effettiva esecuzione di tale
sanzione
2
.
Sembra dunque da condividere l’opinione del Trébutien secondo cui il Codice di
Procedura Penale sta alla procedura penale come il Codice Penale sta al merito del diritto
penale
3
.
Qui si oppongono frontalmente due interessi diversi: quello dell’accusa, che deve
essere libera, quello della difesa che deve essere assoluta.
Dal tentativo di conciliare queste due istanze nascono i differenti rapporti di forza
fra le varie parti processuali.
Approfondendo l’analisi, si osserva che la procedura penale si caratterizza, rispetto
al diritto penale propriamente detto, per una sorta di peculiare gravità.
Infatti è possibile che in materia penale il Legislatore, spinto da interessi o
pregiudizi, qualifichi come reati fatti che invece non ne hanno il carattere, è possibile che
sopravvaluti il peso morale di certe azione umane e che, nel punirle, ecceda la giusta
misura.
1
E. Trébutien, Cours élémentaire de droit criminel, Paris 1884, seconde édition, tome II, cap. I, pp. 1-2.
2
F.Helie, Traité de l’instruction criminelle, Bruxelles 1845, p.1.
3
E.Trébutien, Droit criminel, p. 1
III
Il primo tipo di errore è certamente deplorevole, ma non irreparabile, ed, in verità, è
piuttosto infrequente; il secondo tipo di errore invece si manifesta sovente, ma la sua unica
conseguenza è quella di infliggere ad un’azione, pur sempre punibile, una pena
teoricamente sproporzionata alla sua gravità: la punizione sarà, in questo caso, legittima
anche se eccessiva.
In materia di procedura penale gli eventuali difetti di legge producono conseguenze
assai più dannose
4
.
Un’infelice norma processualpenalistica, infatti, causerà danni enormi, talvolta
addirittura irreparabili: renderà colpevoli degli innocenti.
In questo caso gli errori procedurali saranno difficilmente rimediabili poiché si
celeranno nelle pieghe e nelle lacune di una procedura contorta ed oscura.
Gli errori procedurali, rispetto a quelli di diritto sostanziale, radicano la loro
maggiore pericolosità proprio nel loro minor grado di visibilità.
A buon diritto Ayrault affermava che la giustizia non era altro che il rispetto delle
formalità
5
.
Montesquieu, allo stesso modo, sosteneva che se si guardava alle formalità della
giustizia in relazione all’interesse di un cittadino a che gli venisse reso un bene o al fine di
ottenere soddisfazione di qualche offesa, se ne trovavano addirittura troppe.
Se invece si consideravano queste formalità in rapporto alla libertà ed alla sicurezza
dei cittadini, se ne trovavano troppo poche.
Le fatiche, le spese, le lungaggini giudiziarie e perfino i rischi del processo erano il
prezzo che ogni cittadino pagava per la tutela della propria libertà
6
.
4
F.Hélie, Instruction criminelle, lib.I, p. 2.
5
P.Ayrault, Formalité et instruction judiciaire des anciens, Paris, 1881, lib. I, p. 2.
6
C. De Montesquieu, Esprit des lois, Milano 1996, lib. VI, cap.2, p. 223.
IV
Due interessi, ugualmente rilevanti, ed ugualmente sacri devono essere protetti:
l’interesse della società, che esige la giusta e pronta repressione dei reati, e l’interesse degli
accusati (anch’esso pur sempre interesse sociale) che pretende una completa garanzia dei
diritti della difesa.
Queste due tendenze, opposte, ma complementari, devono trovare nelle istituzioni
di giustizia, e solo in esse, una protezione ugualmente efficace
7
.
Il pericolo insito in un diritto penale vizioso è di due tipi: il primo consiste nel fatto
che delle azioni criminose non vengano punite (o siano punite con pene insufficienti); il
secondo, in senso inverso, è che le pene siano troppo severe e crudeli.
La medesima distinzione si presenta in ambito processuale: simmetricamente infatti
il colpevole, nel primo caso, potrebbe sfuggire alla pena per impossibilità di essere
catturato, nel secondo caso potrebbe essere catturato ed incarcerato un innocente o, apice
dell’ingiustizia, potrebbe accadere che un innocente sia condannato per un crimine che non
ha commesso.
In buona sostanza i casi limite, da ambo le parti, sono: o che vengano considerate
punibile azioni non criminose o che sia condannato un innocente.
Delle due circostanze la prima è odiosa poiché il legislatore renderebbe ancora più
ardua la distinzione fra lecito ed illecito in relazione al criterio di semplice buon senso.
La seconda è addirittura mostruosa: la punizione dell’innocente è un’azione che
ogni società ha sempre giudicato abominevole.
Va aggiunto inoltre che mentre ciascuno si può mettere la riparo dal subire una
pena iniqua astenendosi dal compimento di qualunque azione reputata, in ogni modo,
criminosa, altrettanto non può fare chi si trovi ormai vittima di un sistema processuale
perverso.
7
F.Hélie, Instruction criminelle, p. 3
V
La linea di demarcazione fra i due ambiti è rappresentata dal fatto che
l’applicazione di una pena riguarda un soggetto già dimostrato colpevole, mentre la
procedura penale riguarda anche i soli accusati
8
.
Lo scopo ultimo delle formalità procedurali è quello di rendere lineare, semplice,
chiara e soprattutto conoscibile l’azione della giustizia, di evitare gli azzardi spegnendo
eventuali impulsi incontrollabili dei vari soggetti attraverso il rispetto di una sacrale
solennità.
Le forme degli atti processuali devono infatti rispettare, secondo Hélie
9
, quattro
caratteristiche basilari: efficacia, semplicità, flessibilità, resistenza.
Le forme degli atti sono efficaci se consentono di stabilire la verità storico –
fattuale ed accertare le responsabilità dei singoli soggetti; sono semplici se fungono da
strumento di utilità processuale anziché da ostacolo; sono flessibili quando possono essere
adattate anche alle circostanze di ogni fattispecie senza imprigionarsi nel formalismo più
esasperato ed infine rispettano il criterio della resistenza quando sostengono gli eventuali
attacchi ad opera del giudice e delle parti.
Le formalità processualpenalistiche, rispettando questi criteri, assicurano la libertà
dei cittadini garantendo la difesa di ogni consociato; attribuiscono forza ai giudizi
mantenendoli imparziali; rivestono le decisioni di credibilità sociale, misurandone la
ponderatezza
10
.
Le forme processuali di qualunque tipo non costituiscono dei postulati, ma hanno,
in qualsiasi sistema sociale, origine politica o, tutt’al più, religiosa.
Esse provengono dalle istituzioni che poi saranno chiamate a difendere e ne sono
parte inseparabile.
8
La formalità è talmente necessaria che, anche solo omettendo la minima solennità richiesta, qualsiasi atto
giuridico cessa di essere atto di giustizia trasformandosi in atto di forza e tirannia. Cfr. P. Ayrault, Formalité
et instruction judiciaire des anciens, lib. I, p. 2.
9
F.Hélie, Instruction criminelle, p. 2.
10
F.Hélie, Instruction criminelle, p. 3.
VI
Le forme delle giustizia subiscono dunque l’influenza delle rivoluzioni sociali e/o
legislative e, paradossalmente, sebbene vincolino l’operato dei tribunali, esse stesse non
sono vincolabili.
Le forme processualpenalistiche rispecchiano i principi di una costituzione,
risentono delle tendenze sociali e sono in continua evoluzione col sistema socio – politico
che le ha prodotte.
In generale si può osservare come le garanzie per l’accusato si amplino o si
riducano, nei vari sistemi penali, in relazione al tipo di governo dominante: è facile
prevedere che esse saranno più ampie negli stati a governo liberale e più ristrette negli stati
con governi di tipo dispotico.
Parimenti i poteri dei giudici saranno definiti e limitati nel primo caso nonché
inseriti in un sistema in cui siano garantiti i diritti della difesa, la pubblicità del
dibattimento, la procedura di tipo orale e, talvolta, il giudizio reso da giurati; nel secondo
caso i limiti del potere di arresto e di disposizione da parte dei tribunali saranno più estesi,
vaghi ed incerti; la procedura sarà scritta e segreta ed i giudici saranno, in qualche modo,
collegati al potere esecutivo.
La procedura penale è dunque intimamente legata al diritto pubblico ed anche sotto
questo profilo presenta delle peculiarità proprie rispetto alla legge penale.
La legge penale è infatti frutto anche della morale e della filosofia e le questioni che
solleva incidono sugli interessi sociali.
La pubblica moralità si interessa alla natura e all’intensità delle pene, ma le pene
stesse, per quanto rilevanti non incidono in modo essenziale, né sui poteri del governo né
sulle libertà dei cittadini
11
. La procedura invece è il complemento necessario delle libertà
11
F. Hélie, Instruction criminelle, p. 3.
VII
dei singoli, le sue formalità hanno lo scopo di tutelare i diritti dei cittadini e preservarli
dall’arbitrio e dall’abuso di potere.
La procedura, per l’identità del fine, assurge allo stesso grado di importanza della
legge prettamente politica ed anche per questa ragione essa è oggetto di continua
attenzione da parte dei poteri statali
12
.
Sembra da condividersi dunque l’opinione di Hélie secondo cui lo scopo ultimo
della procedura penale è la completa manifestazione della verità giudiziaria
13
.
12
A. M. Bérenger, De la justice criminelle en France; Paris, 1818, discours préliminaire.
13
F. Hélie, Instruction criminelle, lib. I, § 1 n° 8.
1
CAPITOLO PRIMO
IL PUBBLICO MINISTERO FRANCESE: PRINCIPI TEORICI E
LINEAMENTI STORICI DALLE ORIGINI AL CODE
D’INSTRUCTION CRIMINELLE DEL 1808
1.1 Principi teorici
“L’institution d’un Ministère Public appartient essentiellement à la nature des
gouvernements représentatifs. Elle n’est, en effet, que le développement de cette idée, que
les intérêts de toutes les parties qui constituent la société, doivent être représentés dans
l’organisation de l’ordre social”
1
.
In ogni organizzazione sociale, in ogni sistema giuridico occorre provvedere,
dunque, all’amministrazione e alla difesa dei beni, alla persecuzione dei reati ed alla
protezione dei consociati.
Secondo Ortolan e Ledeau
2
il modo più naturale per soddisfare questa triplice
necessità consisteva nel creare mandatari incaricati di vigilare sulla conservazione dei beni
e nel predisporre istituzioni chiamate a difendere ogni categoria sociale, soprattutto quelle
più deboli.
Per quanto concerneva la persecuzione dei reati, sempre secondo gli autori
sopracitati, tre erano le vie praticabili: concedere ad ogni cittadino, in qualità di parte lesa,
il diritto di esercitare l’azione pubblica; attribuire tale diritto ad un giudice super partes o,
ancora, riservare questa funzione ad un magistrato appositamente istituito.
1
J. L. E. Ortolan et L. Ledeau, Le Ministère Public en France, Paris 1831, tome I, préface I.
2
Cfr. J. L. E. Ortolan et L. Ledeau, Ministère Public, Introduction, p. XII.
2
Il primo metodo fu quello utilizzato nelle primitive forme di aggregazione sociale,
il secondo ne fu un miglioramento, il terzo costituì il perfezionamento evolutivo dei primi
due.
Fissare in capo ad un ufficiale giudiziario il diritto di rappresentare la società intera
davanti ai tribunali ed affidare ad esso il compito di tutelare tutti gli interessi sociali, al fine
di garantire una pacifica convivenza fu una scelta che poté svilupparsi nel corso della storia
giuridica solo con estrema gradualità.
1.2 Alcuni lineamenti storici
Risalendo fino alle istituzioni dei popoli antichi, è possibile rintracciare alcune
figure di funzionari regii o pubblici aventi competenze, sebbene differenti sotto molteplici
aspetti, comunque affini a quelle esercitate dal Pubblico Ministero inteso in senso
moderno.
Sembra, e ciò va riconosciuto, che ai greci fossero ignote le funzioni tipiche
dell’ufficiale di un ministero pubblico (esercizio dell’accusa, ricerca delle prove a carico e
a discarico, richiesta dell’applicazione di una pena…) almeno a giudicare dalle Leggi
Attiche; la stessa osservazione vale per i romani, presso i quali l’esercizio del diritto di
accusa era di tipo popolare
3
.
Il procurator caesaris
4
, di epoca imperiale, non era altro infatti che un ufficiale
della casa del sovrano istituito a difesa del patrimonio imperiale
5
; esso si distinse
dall’avvocato del fisco (advocatus fiscii) allorquando le confische dei beni dei cittadini
3
A. Morin, Répertoire général et raisonné du droit criminel, Paris 1850, v° Ministère Public, § 1, p. 402.
4
Altrimenti detto rationalis (D. 1. 19).
Per un approfondimento su tale definizione vedi il recentissimo saggio di Guillaume Leyte, Les origines
médiévales du ministère public, in J.M. Carbasse, Histoire du parquet, Paris, 2000, pp.23-54.
5
Vedi D. 1.19.
3
condannati richiesero una sorveglianza di tipo attivo che sfociò, nel tempo, in una vera e
propria complessa attività amministrativa
6
.
Merlin
7
precisa che l’avvocato del fisco interveniva nelle controversie aventi ad
oggetto le entrate dell’imperatore, le sue proprietà ed il tesoro in generale; i giudici non
potevano decidere le cause senza aver preventivamente raccolto il parere dell’avvocato del
fisco che, inoltre, era personalmente responsabile delle eventuali perdite o diminuzione di
entrate e di diritti a danno dell’imperatore.
Anche nella figura dei defensores civitatum, in verità, si possono scorgere alcuni
aspetti originari tipici delle attribuzioni del Pubblico Ministero, tuttavia le loro funzioni
non si spingevano oltre quelle di una generale difesa degli interessi comuni in virtù delle
loro competenze di polizia
8
.
Un’altra istituzione che sembra fornire indizi preziosi per comprendere l’origine
oscura del Ministère Public è quella del salione.
Di esso si hanno le prime notizie certe nei Capitolari di Carlo Magno ed è proprio
sotto l’impero di quest’ultimo che si realizza la trasformazione del ruolo dell’avvocato del
fisco in quello di un magistrato tutore delle leggi e protettore degli oppressi: il salione
appunto
9
.
Al salione era, infatti, affidato il compito specifico di rendersi parte, presso i
tribunali, contro i trasgressori delle leggi, di costringere gli accusati alla comparizione
innanzi al giudice, nonché quello di far eseguire le sentenze.
6
Cfr, J. M. Legraverend, Traité de la législation criminelle, Bruxelles 1839, p. 287.
7
P. A. Merlin, , Repertorio universale e ragionato di giurisprudenza, tradotto da una società di giureconsulti
rappresentati dal sig. Ascona, Milano 1812-13, v° Pubblico Ministero.
8
Le attribuzioni di questi funzionari, in origine scelti solo fra gli affrancati, passarono in seguito a funzionari
detti cavalieri. Cfr. J. L. E. Ortolan et L. Ledeau, Ministère Public, Introduction, p. XV e così anche, nello
stesso senso, P. A. Merlin, Répertoire universel et raisonne de jurisprudence, Paris, 1807-1825, v° Ministère
Public, § 1, p. 211.
9
J. M. Legraverend, Législation criminelle, p. 287.
4
A tal riguardo merita di essere precisata l’opinione contraria di Ortolan e Ledeau
10
che confinano le funzioni del salione in quelle tipiche di un ufficiale giudiziario incaricato
esclusivamente dell’esecuzione delle sentenze penali.
In sintesi i defensore civitatum prima, ed i salioni poi, possono offrire l’esempio di
magistrati incaricati della protezione dei più deboli e della persecuzione dei reati; ciò
nonostante il loro carattere di ufficiali municipali, le loro funzioni di polizia, l’ambito
ristretto della loro giurisdizione, la limitatezza della loro competenza territoriale e,
soprattutto, la scarsa considerazione sociale di cui godevano, non permettono di
considerare con certezza tali agenti come predecessori del moderno Pubblico Ministero
11
.
È necessario avvicinarsi a tempi a noi più recenti per tentare di focalizzare meglio i
lineamenti originari di questa istituzione.
È probabile che l’istituzione del Pubblico Ministero abbia seguito, almeno a
grandi linee, questo percorso storico-evolutivo: dai procuratori di Cesare si passò agli
avvocati del fisco, e poi ai balivi e senescalchi
12
.
In epoca medievale, ereditando in qualche modo i doveri dei precedenti conti e
magistrati, i signori feudali non sempre avevano potuto godere delle attitudine necessarie
all’espletamento delle funzioni giudiziarie, cosicché spesso dovettero farsi sostituire, o
quanto meno assistere, da soggetti più capaci.
10
J. L. E. Ortolan et L. Ledeau, Ministère Public, Introduction, p. XII.
11
Cfr. J. L. E. Ortolan et L. Ledeau, Ministère Public, Introduction, p. XXII e per opinione conforme vedi
J.M. Carbasse, Histoire du parquet, introduction, p.9.
12
P. A. Merlin, Répertoire de jurisprudence, v° Ministère Public, § 1.
5
1.3 In particolare: il Ministère Public nel Regno di Francia
Due elementi erano intimamente legati all’istituzione del Ministère Public: la
costituzione politica della Francia ed il suo sistema giudiziario.
I re di Francia avevano sempre goduto di alcune situazioni governative
particolarmente favorevoli: fra tutte il principio di indivisibilità e di trasmissione
immediata della corona, il legame diretto, o comunque prioritario fra il re ed i feudatari di
ogni grado, l’esercizio della potestà legislativa da parte del re medesimo e l’indipendenza
della monarchia dalle due supreme potestà dell’Impero e del Papato
13
.
Esse, tuttavia, non furono sufficienti per garantire un governo effettivo sul territorio
da parte del re di Francia e questo obiettivo fu perseguito attraverso la creazione di più
istituzioni (politiche, amministrative e giudiziarie) la cui vicenda storica si snoda, senza
soluzione di continuità sino alla fine dell’Ancien Régime
14
.
Il re operava con l’assistenza e la collaborazione di soggetti diversi per estrazione
sociale e formazione professionale (vassalli, consiglieri ecclesiastici, tecnici del diritto…)
le cui funzioni si vennero differenziando e specializzando dal secolo XII in poi.
I due principali organi della giustizia regia erano il Parlamento ed il Consiglio
Regio (Conseil du roi)
15
.
Lo strumento fondamentale che consentì la formazione e la consolidazione dello
stato francese fu la progressiva estensione della giurisdizione regia rispetto alle giustizie
concorrenti: giustizie signorili, feudali, ecclesiastiche, comunali e corporative
16
.
13
Vedi A. Padoa Schioppa, Il diritto nella storia d’Europa, Padova 1995, p. 265.
14
ibidem
15
“Il Consiglio [del re] svolgeva attività di governo e di amministrazione: assistendo il re in questioni di
guerra, di pace, di diplomazia; partecipando all’elaborazione delle leggi promulgate dal re (ordonnances);
nominando i responsabili delle circoscrizioni locali (baillis);e sorvegliando la gestione delle finanze. Esso
svolgeva, inoltre, svariate funzione giudiziarie a richiesta del re.” in A. Padoa Schioppa, Il diritto nella storia
d’Europa, p.267.
16
A. Padoa Schioppa, Storia del diritto, p. 268.
6
È all’interno di questo sistema giuridico che occorre ricercare le origini del
Pubblico Ministero, segnatamente nelle istituzioni dei balivi e dei senescalchi.
I balivi (ed i senescalchi nelle regioni occidentali del regno: Angiò ed Aquitania)
erano uomini di corte inviati in missione nei vari territori con delega a decidere in nome
del re
17
.
L’istituzione dei balivi era la tipologia originaria delle magistrature provinciali cioè
circoscrizioni di livello intermedio fra il Parlamento e le Corti Prevotali.
Essa fu creata sotto Filippo Augusto (XII sec.) e raggiunse il suo massimo
splendore sotto Filippo il Bello (XIII sec.).
Esistevano due specie di balivi: quella del dominio reale, che rappresentava il re
nella pienezza dei suoi poteri, e quella dei principati e delle baronie feudali sottoposta
all’autorità di principi e baroni.
Nelle proprietà reali i balivi riconoscevano esclusivamente la superiorità della
Curia Regiis.
In buona sostanza, i balivi erano, contemporaneamente, ufficiali militari, giudici e
contabili; e per evitare che il loro enorme potere alimentasse anche le loro ambizioni, la
loro carica aveva una durata massima di soli tre anni per il medesimo baillage, alla
scadenza della nomina i balivi, di diritto, entravano a far parte della corte reale
18
.
Col tempo la giurisdizione dei balivi (e dei senescalchi) divenne efficiente ed
affidabile, anche perché spesso esercitata da giuristi di professione
19
.
L’importanza e la delicatezza dei compiti affidati ai balivi sono testimoniate da
un’Ordinanza del marzo 1319 in cui si legge che essi erano chiamati a rendere giustizia ai
17
Regno di Francia, Les edicts et ordonnances des roys de France: depuis l'an 1226 iusques à present,
Lyon, 1573 (seduta del 15 gennaio 1483).
18
Cfr. A. Du bois, Droit criminelle de la France, Paris 1874, p.23.
19
M. Boulet Sautel, Aperçu sur le système des preuves dans la France coutumière du Moyen Age, in La
Preuve [rapports de la 13. réunion de la Société Jean Bodin pour l'histoire comparative des institutions],
Bruxelles, 1965, volume II, pp. 213-258.
7
ricchi come ai poveri, rifiutando di accettare qualsiasi favore e donazione e rinunciando a
far sposare i propri figli con persone residenti nella loro circoscrizione di servizio
20
.
La carica di balivo esigeva come requisiti saggezza, amor di Dio, bontà, capacità di
ascoltare, conoscenza degli uomini e fermezza
21
.
Un nuovo assetto organizzativo della giustizia reale si sviluppò verso l’inizio del
XIV secolo.
Al balivo fu affiancato un receveur avente il compito di riscuotere le imposte;
successivamente comparvero ufficiali specializzati nella tutela degli interessi regi
22
: i
procureurs du roi e gli avocats du roi, ufficiali questi che sono certamente all’origine del
Pubblico Ministero intorno agli anni 1318 – 1329
23
.
Nell’impossibilità di essere onnipresenti, i balivi prima e i procureurs e avocats du
roi poi, si fecero rappresentare dai lieutenants
24
.
La nascita del Ministère Public o meglio, delle funzioni più tipiche di questa
istituzione, è dunque datata intorno al XIV secolo, epoca in cui gli avvocati e i procuratori
del re, nominati per la difesa degli interessi del sovrano furono incaricati anche di
rappresentarlo in causa
25
.
Le antiche ordinanze testimoniano che i termini avocat du roi e procurateur du roi
fossero tuttavia da intendersi, almeno in origine, in senso strettamente letterale, non
20
Regno di Francia, Les edicts et ordonnances des roys de France (ordinanza marzo 1319).
21
Per una trattazione esaustiva ed approfondita delle virtù dei balivi v. Philippe de Beaumanoir, Coutumes de
Beauvaisis, Paris 1899, tome 1
er
.
22
Cfr. Lemarignier, La France médiévale, Paris 1970, pp. 342-345.
23
A. Padoa Schioppa, Il diritto nella Storia d’Europa, p. 271.
Sui procuratori e gli avvocati del re meritano di essere considerati: Ch. Bataillard et E. Nusse, Histoire des
procureurs et des avoués (1483-1816), Paris 1882, 2 vol ; E. Berliat, De la règle «nul en France ne plaide
par procureur hormis le roi»; son origine, sa portée pratique, sa valeur juridique, Maçon 1905; F. Astre, Les
procureurs près le Parlement de Toulouse, Toulouse 1858; D. Bordier, La compagnie des avoués de
Libourne 1790-1945, th. Droit, Bourdeaux 1973, 3 vol. dactyl. ; A. Estrangin, Les procureurs et les avoués à
Marseille. Extraits de leurs archives (1588-1900), Marseille, 1900 ; M. Gosselin, Les procureurs prés le
Parlement de Normandie, Acad. De sciences, belles-lettres et arts de Rouen 1866, n°68, p.350-371; L.
Kœnig, La communauté des procureurs au Parlement de Paris aux XVIIe et XVIIIe siècles, th. Droit, Paris
1937; P. Parisot, Essai sur les procureurs au Parlement de Bourgogne, th. Droit, Dijon 1906.
24
Luogotenenti intesi nel senso di “facenti funzione”.
25
A. Morin, Droit criminel, p. 403.
8
dunque come costituenti ex nunc una magistratura, bensì proprio come avvocati e
procuratori di un soggetto particolare, il re appunto
26
.
Volendo individuare due date simboliche all’interno dello sviluppo dell’istituzione
del Pubblico Ministero si può affermare che con un’Ordinanza di Filippo il Bello
27
fu
previsto l’obbligo per i procuratori del re e per gli avvocati del re di prestare un giuramento
alla rinuncia dell’esercizio di qualsiasi altra funzione così come già prescritto a tutti gli
altri magistrati
28
; nell’anno 1303, invece, compaiono in un testo, per la prima volta in
modo espresso i nomi dei primi due avvocati del re: Jean le Boussu e Jean Pastoureau, essi
avevano la parola in nome del sovrano
29
.
Secondo Morin
30
, però, non esisteva alcun legame gerarchico fra i vari ufficiali di
questa (embrionale) istituzione del Ministère Public: alcuni membri erano infatti insediati a
livello della giustizia reale, altri presso le giustizie signorili; i procuratori del re non erano
infatti i subordinati dei procuratori generali bensì dei semplici sostituti; parimenti, gli
avvocati generali erano indipendenti dai procuratori generali e ne espletavano funzioni
distinte. Secondo un espressione divenuta ormai storica “les avocats ont la parole, les
procureurs la plume”
31
.
La perorazione delle cause apparteneva, in ogni materia, agli avvocati generali; i
procuratori generali, coadiuvati nelle loro funzioni dai sostituti, erano esclusivamente
incaricati della poursuite dei reati, dell’esercizio delle funzioni di polizia, dell’esecuzione
delle decisioni e, da ultimo, della sorveglianza sull’operato dei tribunali.
26
Vedi J. L. E. Ortolan et L. Ledeau, Ministère Public, Introduction, p. XXXI.
27
Ordinanza del 25 marzo 1302.
28
«Je jure de faire justice aux grandes comme aux petits, aux étrangères comme aux citoyens sans aucune
acception de personnes ou de nations de garder et conserver les droits du roi, sans nèanmoins aucun
préjudice des droits d’ autrui ; de faire observer les usages et le coutumes des lieux, et de ne point souffrir
dans la juridiction de gens sans religion et pertubateurs du repos public, d’usuriers, et de gens scandaleux et
de mauvaise vie, mais de les punir sans aucune dissimulation…» in J. M. Legraverend, Législation
criminelle, p. 289 ; ed anche Guillaume Leyte, Les origines médiévales du ministère public, in J.M. Carbasse,
Histoire du parquet, p. 51.
29
J. L. E. Ortolan et L. Ledeau, Ministère Public, Introduction, p. XXIII.
30
A. Morin, Droit criminel, p. 403.
31
ibidem