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CAPITOLO I
LA SFIDA EUROPEA PER UNO SPAZIO GIUDIZIARIO COMUNE
1.La necessità di creare uno spazio giudiziario comune. – 2 . L’evoluzione della politica
criminale europea. – 2.1. Il Trattato di Maastricht – 2.2. Il Trattato di Amsterdam – 2.3. Il
Consiglio europeo di Tampere – 2.4. Lo scenario dopo il Consiglio europeo di Tampere –
2.5. Il Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa – 2.6. Il Trattato di Lisbona –
2.7. Il Programma di Stoccolma: verso un’Europa dei cittadini in uno spazio di libertà,
sicurezza e giustizia – 3. La cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale.(in
particolare: il mandato d’arresto europeo) – 4. Verso il progetto di una procura europea.
1. La necessità di creare uno spazio giudiziario comune.
Era il 1976 quando il Presidente Valéry Giscard d’Estaing per la prima volta fece
emergere la necessità di una maggiore cooperazione tra Stati in materia penale, conseguibile
attraverso la realizzazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Egli infatti rilevò
come il Trattato di Roma, nella sua visione economica, non facesse riferimento a tale
problematica: occorreva affrontare il tema nell’ottica di salvaguardare libertà fondamentali
della Costituzione economica europea, in particolare la libertà di circolazione delle persone.
Per questi motivi, infatti, era necessario porre in essere delle adeguate misure di sicurezza e
giustizia nell’ambito dell’area giudiziaria Europea, e che fossero accessibili a tutti.
1
Negli anni fu sempre più evidente come il problema della protezione degli interessi
comunitari, anche attraverso strumenti penali, sarebbe diventato una delle questioni più
1
POLLICINO, O., European Arrest warrant and Constitutional Principles of the Member States: a case-law
based outline in the attempt to strike the right balance between interacting legal systems, in German Law Journal
vol.09 n.10, p. 1316; Disponibile su:
<http://www.germanlawjournal.com/pdfs/Vol09No10/PDF_Vol_09_No_10_1313-
1354_Developments_Pollicino.pdf >
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importanti e controverse dell’ambiente comunitario: le istituzioni avrebbero dunque dovuto
prendere atto della crescente importanza della tutela di tali interessi.
Determinante fu la sentenza della Corte di Giustizia relativa all’affaire del mais greco,
nella quale si esprimeva l’esigenza di sanzionare in modo adeguato e proporzionato le
violazioni di tipo comunitario, quindi anche penalmente. Si divenne consapevoli dell’esistenza
di beni giuridici della Comunità europea “meritevoli e bisognosi” di protezione penale.
L’obiettivo proposto dal Presidente francese era ed è di difficile attuazione, ma si è fatta
sempre più netta la percezione della sua necessità.
Gli Stati membri non hanno mancato di sollevare il problema del deficit democratico, in
netto contrasto con il principio di legalità, che rientra per sua natura nell’ambito dei diritti
fondamentali. A tal proposito la Corte di Giustizia ha anche ricordato che tali diritti fanno
parte di quei principi fondamentali di cui essa garantisce l’osservanza e tutela, proprio perché
si ispirano alle “tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e alle convenzioni
internazionali alle quali essi hanno cooperato o aderito”.
Non è da sottovalutare la naturale ritrosia degli Stati nel cedere parti di sovranità di volta
in volta più consistenti all’Unione europea (come l’esito infelice del Trattato che istituisce una
Costituzione per l’Europa), in particolare per quanto riguarda la capacità di disporre in materia
penale. Questo avviene perché il diritto penale tende a preservare quell’insieme di tradizioni,
valori, assetti e categorie che determinano il patrimonio giuridico dei singoli Stati: da qui la
difficoltà nell’adattarsi alle esigenze delle nuove istituzioni e della realtà politico-economica
europea; gli operatori di settore hanno sempre più spesso rilevato come i problemi che
l’Unione deve affrontare siano molto spesso comuni a quelli di uno Stato federale sotto il
profilo penale. È quindi necessario un cambiamento di prospettiva, soprattutto nell’ottica di
un migliore dialogo tra ordinamenti nazionali.
2
Come disse un giudice inglese, il diritto comunitario “rompe gli argini” e va oltre il limite
segnato,
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così tali attriti sarebbero dovuti cadere di fronte all’esigenza pressante di superare gli
strumenti di cooperazione a disposizione fino a quel momento: finalmente nel 1992 il Trattato
di Maastricht, dando vita all’Unione europea, contemplò la materia della cooperazione
giudiziaria penale e di polizia, riconducendo il settore GAI nel quadro istituzionale
dell’Unione.
2
BERNARDI, A., L’europeizzazione del diritto e della scienza penale, Torino, 2004, p.5
3
LASZLOCZKY, P., Pubblico ministero europeo e azione penale europea, in Riv. Dir. Pubbl. com.,
1999, pp.30-31
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Si riconobbe l’occorrenza di strumenti sovranazionali per difendere gli interessi e i beni
giuridici dell’Unione europea.
Successivamente nel 1998 la Commissione europea pubblicò la comunicazione “Verso
uno Spazio di Libertà, Sicurezza Giustizia”, cui avrebbe fatto seguito il Piano d’azione del
Consiglio e della Commissione sul modo migliore di attuare le disposizioni del Trattato di
Amsterdam concernenti uno Spazio di Libertà Sicurezza e Giustizia : tale piano d’azione
prevedeva una serie dettagliata di obiettivi e misure da adottare entro precise scadenze di due o
cinque anni, in merito alle politiche di asilo e immigrazione, cooperazione di polizia e
cooperazione giudiziaria civile e penale.
Su queste basi i Capi di Stato e di Governo si riunirono a Tampere nel 1999, da cui
emerse l’immagine di un’Unione europea aperta al dialogo, sicura e forte sul piano politico
internazionale, anche grazie alla nuova figura dell’Alto rappresentante per la Politica estera e
sicurezza comune. Non più quindi un’Europa “fortezza” o piuttosto “aperta” e facile terreno
per i traffici illeciti, ma un’Unione in cui anche il concetto di cittadinanza si arricchisce della
possibilità di richiedere tutela contro i reati più gravi, di accedere alla giustizia di qualsiasi
Stato membro e vedere soddisfatti i propri diritti.
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Una vera realizzazione dello spazio di libertà sicurezza e giustizia sarebbe in armonia con
la visione di un’Unione europea politicamente e istituzionalmente efficiente, ma soprattutto
che possa far fronte al fenomeno di criminalità organizzata e transfrontaliera in aumento.
La criminalità transnazionale ha avuto un rapido sviluppo, grazie anche all’abbattimento
delle frontiere tra gli Stati membri.
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Il paradosso si è presentato nel momento in cui è diventato evidente che si erano aperte le
frontiere ai criminali ma non ai magistrati, i quali hanno incontrato e continuano a incontrare
numerose difficoltà nel perseguire all’estero reati compiuti sul suolo nazionale, oltre a quelli
che possono riguardare gli interessi dell’Unione europea e aver coinvolto anche diversi Stati
membri; il singolo Stato, infatti, è isolato nella propria sovranità repressiva, ponendo il
magistrato in una situazione di svantaggio rispetto alla moderna criminalità.
4
SALAZAR, L., La costruzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia dopo il Consiglio europeo
di Tampere, in Cass. pen., 2000, pp. 1114-1115.
5
RAFARACI, T., lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel crogiuolo della costruzione europea, in
AA.VV. L’area di libertà sicurezza e giustizia alla ricerca di un equilibrio fra priorità repressive ed esigenze di
garanzia, Milano, 2007, p. 6
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Tale sviluppo ha fatto emergere l’inadeguatezza degli strumenti della tradizionale
cooperazione giudiziaria per via pattizia, in uno spazio che risulta ancora frazionato a causa
delle differenze tra i diversi ordinamenti degli Stati membri.
I risultati sono esiti insoddisfacenti, accumulo di forti ritardi nell’esecuzione delle
richieste di assistenza giudiziaria e dispersione di importanti elementi probatori, che portano
inevitabilmente a situazioni di impunità.
È evidente l’esigenza di maggiore rapidità e semplificazione dei meccanismi di
cooperazione, volto ad un coordinamento transnazionale delle indagini, al fine di combattere
efficacemente il crescente crimine internazionale.
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Ma anche se rogatorie ed estradizione
diventassero rapidissime, i magistrati avrebbero ugualmente una conoscenza frazionata delle
prove e delle investigazioni, quando invece le più gravi frodi transnazionali sono compiute da
criminali organizzati.
Occorre rimediare all’insufficienza dell’azione statale singola, supportando
adeguatamente le indagini nazionali, e portandole su un piano sovranazionale, attraverso
un’azione integrata comunitaria, quando fosse necessario.
La creazione dello spazio giudiziario europeo, formato “dall’insieme dei territori degli
Stati membri”
7
permetterebbe la sicura ed efficace repressione dei reati che ledono gli interessi
comunitari e necessitano di una più attiva cooperazione tra Stati.
Lo spazio di libertà sicurezza e giustizia è quindi ambito di garanzie comuni e valida
repressione penale.
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2. L’evoluzione della politica criminale europea
Quando nel 1957 entrò in vigore il Trattato CEE gli obiettivi della Comunità potevano
racchiudersi nell’assicurare mediante un’azione comune il progresso economico e sociale
degli Stati membri, eliminando le barriere che dividono l’Europa. Ma nei Trattati, che negli
anni hanno attribuito sempre maggiori poteri agli organi comunitari, non erano inclusi quelli in
materia penale: “il diritto penale non rientra nelle competenze della Comunità, ma in quelle di
6
APRILE, E., SPIEZIA, F., La costruzione di uno spazio comune di libertà sicurezza e giustizia:
l’integrazione tra giurisdizioni, in Cooperazione giudiziaria penale nell’Unione Europea prima e dopo Lisbona,
Milano, 2009;
7
art. 18, comma 1 Corpus Juris 2000
8
RAFARACI, T., Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel crogiuolo della costruzione europea, cit.,
pp. 8-9
8
ciascuno Stato membro”, come riportano numerosi documenti comunitari e come ribadì la
Corte di Giustizia.
Questo non ha impedito al diritto comunitario di svolgere una lenta e graduale
“europeizzazione “ del diritto criminale: armonizzando alcune fattispecie penali attraverso la
modificazione dei loro profili fondamentali all’interno degli ordinamenti nazionali;
introducendo nuove fattispecie omogenee tra i diversi Stati membri; imponendo la
disapplicazione di norme incriminatrici o condizionando la scelta delle sanzioni riguardanti
l’attuazione del diritto comunitario; a livello di formazione delle normative interne per le
materie aventi rilevanza CE.
9
Si può idealizzare la nascita dell’idea di uno Spazio giudiziario europeo nelle già
richiamate parole di V.G. d’Estaing, a metà degli anni Settanta; seguì quindi una prima fase
intergovernativa, nell’ambito della Cooperazione Politica Europea, fino all’adozione del Atto
Unico Europeo da cui discese poi il Trattato di Maastricht, entrato in vigore nel 1993, che oltre
a dar vita all’Unione Europea, istituzionalizzò la cooperazione nei settori della giustizia e
affari interni, attraverso l’impegno da parte degli Stati membri a cooperare nelle materie di
giustizia penale e polizia.
2.1. Il trattato di Maastricht.
Il trattato di Maastricht inserisce nel quadro istituzionale dell’Unione europea il settore
Giustizia e Affari Interni (GAI), costituendo il Terzo Pilastro. Le materie riconducibili al
Terzo Pilastro, a differenza di quelle del Primo restano prevalentemente sottoposte al metodo
intergovernativo.
Nonostante gli evidenti limiti, si riconosce al Trattato di Maastricht il merito di aver
mantenuto viva l’attenzione nei confronti dell’esigenza di una rafforzata cooperazione in
materia penale, e di un miglioramento delle condizioni per implementarla.
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Tale cooperazione continuò attraverso il tradizionale metodo negoziale, per facilitare
l’applicazione degli strumenti previsti dal Consiglio d’Europa e per favorire una maggiore
vicinanza e integrazione tra gli Stati membri. Proprio in questo periodo, infatti, furono
emanate due Convenzioni in materia di estradizione (1995), e per impostare una mutua
assistenza giudiziaria tra Stati (1996), ma si tratta ancora di strumenti puramente integrativi.
9
BERNARDI, A., L’europeizzazione del diritto e della scienza penale, Torino, 2004
10
RAFARACI, T., Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel crogiuolo della costruzione europea, cit.,
pp.8-10
9
Dal 1996 assistiamo all’adozione di documenti a carattere programmatico e contenenti
una serie di obiettivi specifici che finalmente sono dotati dell’avvallo politico necessario, tra
cui una prima risoluzione che fissa le priorità della cooperazione nel settore della giustizia.
Il più rilevante tra questi documenti è sicuramente il “Piano d’azione contro la criminalità
organizzata” adottato dal Consiglio nel 1997, punto di riferimento in materia fino all’entrata in
vigore del Trattato di Amsterdam.
Il piano d’azione non solo permise il pieno sfruttamento degli strumenti offerti dal
Trattato di Maastricht, ma fece giungere a piena maturazione l’utilizzo dell’azione comune
contro la criminalità organizzata, proprio grazie alla maggiore rapidità di adozione e
attuazione di cui pareva dotata rispetto ai tradizionali strumenti intergovernativi. L’azione
comune fu il punto di partenza nel 1996 per la costituzione di una rete di “magistrati di
collegamento”.
Le azioni comuni possono essere dirette ad una sostanziale armonizzazione dei diritti
nazionali oppure a gettare le basi per nuove forme di cooperazione.
Le azioni comuni del primo tipo sono rivolte all’attuazione di obiettivi rilevanti e del tutto
nuovi, come l’azione comune sull’incriminazione del reato di appartenenza ad
un’organizzazione criminale, o l’introduzione in tutti gli Stati membri del reato di corruzione
coinvolgente entità private (e non più solo funzionari pubblici) del 1997, o l’istituto della
“confisca di valore”: si può notare come siano in effetti fattispecie criminose del tutto nuove
per alcuni Stati membri e che iniziano a creare una base giuridica comune tra i diversi
ordinamenti interni.
Fanno parte del secondo tipo di azioni comuni quelle che introducono forme innovative di
cooperazione, tra cui l’azione comune che istituisce la procedura di mutua valutazione delle
misure adottate a livello nazionale e degli impegni assunti a livello internazionale nella lotta al
crimine organizzato, o l’azione comune sulle buone prassi in materia di cooperazione
giudiziaria penale.
11
Sempre nell’ambito delle convenzioni, anche se nel settore del Primo Pilastro, l’esigenza
di proteggere gli interessi finanziari all’Unione porterà alla definizione di infrazioni, sanzioni e
11
SALAZAR, L., La lotta alla criminalità dell’Unione: passi in avanti verso uno spazio giudiziario
comune prima e dopo la Costituzione per l’Europa e la Convenzione dell’Aia, in Cass. pen , 2004, pp.1116-1119.
10
controlli che la riguardino, nonché alla nascita dell’Ufficio Antifrode OLAF, dotati di poteri
effettivi e di indipendenza.
Tali strumenti furono adottati in parallelo ai complessi negoziati per l’adozione della
Convenzione di assistenza giudiziaria tra gli Stati membri dell’Unione, destinata ad affiancarsi
alla Convenzione di mutua assistenza del Consiglio d’Europa del 1959.
Le priorità nei settori della cooperazione della giustizia e degli affari interni presentate in
questo piano furono riprese poi nel piano di Vienna del 1998, il quale diede dei tempi di
attuazione di tali obiettivi molto stretti, nell’ordine di cinque anni.
Molti di questi temi saranno poi ripresi nel Consiglio di Tampere, ma al momento del
piano in questione gli obiettivi più a lungo termine riguardavano proprio il coordinamento
delle indagini e delle procedure penali negli Stati membri, per evitare duplicazioni o conflitti
in materie che preferivano essere affrontate successivamente alla trattazione di temi più
urgenti, come i diritti della vittima o la prevenzione della criminalità; certo non si può
trascurare un intento di prudenza in temi come quello dell’estradizione, seppure urgenti al fine
di evitare e limitare i ritardi .
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2.2. Il Trattato di Amsterdam.
Il primo maggio 1999 entrò in vigore il Trattato di Amsterdam che modificò il Trattato
sull’Unione europea, ridimensionando l’inadeguatezza del Trattato di Maastricht, ormai troppo
povero di indicazioni per sorreggere l’impianto normativo che si stava sviluppando.
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Le sue innovazioni furono di tale portata da far affermare che non vi fosse mai stato un
così alto numero di cambiamenti e di importanza altrettanto rilevante, in ambito di
cooperazione giudiziaria, in nessuno dei precedenti Trattati. Non c’è chi manca di notare che
tali cambiamenti furono limitati dall’esigenza di compromesso e dalle dichiarazioni della
Conferenza.
14
Le prime disposizioni del Trattato fanno emergere fin da principio la volontà di
concretizzare uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia in cui sia assicurata la libera
circolazione delle persone, unitamente all’adozione di misure appropriate per il controllo delle
12
SALAZAR, L., La lotta alla criminalità dell’Unione,cit., p.1116
13
RAFARACI, T., Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel crogiuolo della costruzione europea, cit.,
p. 10
14
SALAZAR, L., La lotta alla criminalità dell’Unione,cit., p.1121
11
frontiere esterne, l’asilo e l’immigrazione, oltre alla prevenzione e alla lotta alla criminalità
organizzata con uno sforzo congiunto (art. 2 TUE).
All’art. 280 troviamo finalmente una chiara dichiarazione di protezione degli interessi
finanziari comunitari e lotta alla frode, dando così autonomia crescente alla materia.
Il Consiglio ha il potere di intervenire con le misure necessarie per la prevenzione e la
lotta contro la frode per ottenere una protezione efficace in tutti gli Stati membri.
Tale disposizione però non deve far pensare ad una competenza in materia penale, infatti
proprio in ciò si ravvisa uno dei compromessi di cui si è parlato: tali misure non riguardano
l’applicazione del diritto nazionale o l’amministrazione degli Stati membri.
In questo modo non è precisata l’effettiva capacità dell’Unione di poter intervenire al fine
di creare una garanzia uniforme per la protezione del bilancio comunitario all’interno degli
Stati membri
15
.
Di particolare interesse è il Titolo VI del Trattato di Amsterdam, che inserisce le nuove
disposizioni nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale,
raggiungendo così una connotazione pienamente repressiva.
Tra gli obiettivi dell’Unione troviamo all’art. 29 quello di dotare i cittadini di “un livello
elevato di sicurezza in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia sviluppando tra gli Stati
membri un’azione in comune nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia
penale e prevenendo e reprimendo il razzismo e la xenofobia”, ponendo di nuovo l’accento
sulla cooperazione tra Stati.
Si prevede inoltre di prevenire specifiche fattispecie di reato, particolarmente gravi,
attraverso una più stretta cooperazione tra le autorità giudiziarie e le altre autorità competenti,
nonché il ravvicinamento delle normative degli Stati membri in materia penale, se necessario.
Queste disposizioni richiamano l’art. 31, relativo all’azione comune in materia di
cooperazione giudiziaria penale, prevedendo la progressiva adozione di misure finalizzate alla
fissazione di una normativa il più possibile comune agli Stati membri per i reati di terrorismo,
criminalità organizzata e traffico di stupefacenti.
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“[…]la criminalità, organizzata o di altro tipo, in particolare il terrorismi, la tratta degli esseri umani ed i
reati contro i minori, il traffico illecito di droga e di armi, la corruzione e la frode[…]” art. 29 Trattato di
Amsterdam
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Lo stesso articolo assegna all’organo di coordinamento investigativo Eurojust (nato dagli
esiti del contemporaneo Consiglio di Tampere) un ruolo centrale, prevedendo che abbia il
compito di contribuire al buon coordinamento delle autorità nazionali responsabili dell’azione
penale, e al coordinamento delle indagini nei casi di criminalità grave, in particolare
organizzata, tenendo conto anche del ruolo di Europol. In ultimo l’articolo prevede di
agevolare il rapporto tra Eurojust e la Rete giudiziaria europea al fine di ottenere tempi più
rapidi per le rogatorie e le domande di estradizione.
Il seguente art. 32 pone finalmente le basi per una vera cooperazione tra gli Stati membri,
dando la possibilità agli operatori degli Stati membri di “operare nel territorio di un altro Stato
membro in collegamento e d’intesa con le autorità di quest’ultimo”. Inoltre conferisce al
Consiglio il potere di stabilire condizioni e limiti di tale cooperazione.
In merito agli strumenti, l’art. 34 menziona le posizioni comuni, che sembrano essere
destinate alla strategia politica, mentre scompaiono le azioni comuni, sostituite dalle decisioni-
quadro.
Le decisioni-quadro hanno l’obiettivo di ravvicinare le disposizioni normative e
regolamentari degli Stati membri. La particolarità sta nel fatto che sono vincolanti nel risultato
da ottenere da parte dello stato membro, ma non nella scelta dei mezzi e della forma.
È sicuramente limitativa invece la disposizione, sempre all’art. 34, che mantiene la
necessità dell’unanimità nella procedura di voto per le materie del Terzo Pilastro, già spesso
accusata di essere uno dei principali motivi degli esiti poco soddisfacenti finora ottenuti in
materia.
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Infine un protocollo allegato al trattato di Amsterdam integrò gli accordi di Schengen del
1985 e la relativa Convenzione applicativa del 1990 nel diritto dell’Unione europea, andandosi
a collocare tra il Primo e il Terzo Pilastro. Da notarsi il principio ne bis in idem introdotto
dalla Convenzione di Schengen e su cui si pronunciò per la prima volta la Corte di Giustizia in
materia di Terzo Pilastro, proprio per la nuova acquisizione di competenza data dall’art. 35
TUE.
16
SALAZAR, L., La lotta alla criminalità dell’Unione,cit., p.1123