Capitolo I
Biodiversità e biotecnologie: il tema della Biosicurezza
Sommario: 1 PREMESSA – 2 LA BIODIVERSITA’– 2.1 La definizione di biodiversità – 2.2
L’importanza della biodiversità per l’uomo – 2.3 I rischi per la biodiversità – 3 LE
BIOTECNOLOGIE – 3.1 La nozione di biotecnologie – 3.2 Le applicazioni dell’ingegneria
genetica e il mercato dei prodotti biotecnologici – 3.3 I rischi e i vantaggi delle biotecnologie – 4
LA GESTIONE DEL RISCHIO BIOTECNOLOGICO – 4.1 L’incertezza scientifica, il concetto di
scienza post-normale, il ruolo delle discipline normative – 4.2 La normativa in campo
biotecnologico: limitazione del campo d’indagine
1
Premessa
1
“Humanity stands at a defining moment in history”
Obiettivo di questo lavoro sarà presentare i problemi connessi con il
commercio internazionale di prodotti biotecnologici, i rischi concreti, quelli
possibili e gli strumenti internazionali adottati per risolverli.
2
Il Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza, figliazione della Convenzione di
Rio, pone le principali norme internazionali che regolano il commercio di prodotti
geneticamente modificati, campo le cui prospettive di sviluppo sono sì
affascinanti, ma al contempo difficilmente prevedibili.
1
Agenda 21, 1992, preambolo, 1.1. Testo reperibile all’indirizzo
http://www.un.org/esa/dsd/agenda21. L’Agenda 21 rappresenta il canovaccio dei piani di azione
globali in materia di sviluppo sostenibile. Fu approvata durante l’Heart Summit di Rio de Janeiro,
e successivamente confermata durante gli incontri di Johannesburg del 2002
2
Cartagena Protocol on Biosafety to the Convention of Biological Diversity, Montreal, 2000.
Testo reperibile all’indirizzo http://www.cbd.int/biosafety/protocol.shtml
9
Il Protocollo si inserisce nell’alveo di una legislazione internazionale a tutela
dell’ambiente che ha sempre presentato notevoli problemi di effettività. Uno dei
principali, e oggetto specifico di questo studio, è la relazione con il sistema
normativo posto in essere dall’Organizzazione Mondiale del Commercio, rispetto
al quale si sono evidenziati grossi problemi di coordinamento.
Prima di addentrarci nelle questioni giuridiche, è senza dubbio utile uno
sguardo alla totalità del tema di cui si tratterà. Una panoramica sulle
biotecnologie, sulle loro prospettive e sui problemi, non solo scientifici, che hanno
generato, può essere importante per collocare il tema nel suo contesto globale.
Alla ricerca di un punto di partenza, necessario per collocare il tutto in un
contesto piø ampio, dal Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza è opportuno
passare alla Convenzione sulla Biodiversità, di cui il Protocollo è una costola, e
piø in generale alle normative internazionali che si occupano di problemi
ambientali.
Comune a tutti gli strumenti predisposti, che si andranno successivamente ad
analizzare, è il principio dello sviluppo sostenibile.
Il concetto di sviluppo sostenibile conosce negli anni numerose definizioni, che
ne segnano l’evoluzione, dalla Conferenza di Stoccolma del 1972 fino ad oggi. Le
nozioni note sono molteplici, e sarebbe sterile, in questa sede, farne un resoconto
(per un excursus, anche se necessariamente parziale, vedi § 4.1.1).
Volendo individuare l’essenza del concetto di sviluppo sostenibile, il momento
piø indicato è la presentazione, nel 1980, del rapporto “World Conservation
Strategy”, quando i principi elaborati a Stoccolma vennero tradotti in un progetto
completo e coerente di salvaguardia delle risorse ambientali. Nel rapporto si
evidenzia la necessità per l’umanità di riconoscere vincoli al suo sviluppo, dettati
dalla quantità finita di risorse concesse dal pianeta, e dal concreto rischio di un
loro esaurimento:
“human beings, in their quest for economic development and enjoyment
of the riches of nature, must come to terms with the reality of resource
10
limitation and the carrying capacities of ecosystems, and must take account
3
of the needs of future generation”
Il concetto di limite, e la necessità di riformare le politiche economiche, in
modo da garantire sufficiente ed equo accesso alle risorse a tutta l’umanità, sono i
4
postulati su cui poggia lo sviluppo sostenibile.
Quello individuato è un limite generalizzato, globale, che si impone su tutte le
attività umane. La stessa crescita demografica conosce un limite di sostenibilità,
anche se ancora incerto: come in un racconto di Asimov, il pianeta può supportare
5
solo una certa quantità di “vita umana”.
Al di là delle immagini letterarie, è ormai pacifico come i problemi ambientali
6
sono indissolubilmente legati al benessere umano e al suo sviluppo. Un modello
di sviluppo eccessivamente aggressivo, predatorio, non sostenibile, porterebbe al
venir meno di risorse fondamentali negli anni a venire. L’obiettivo, quindi, sarà
un modello di sviluppo che “meets the needs of the present without compromising
7
the ability of future generations to meet their own needs”
Quali saranno quindi gli obiettivi da assicurare per garantire questo modello?
Sono stati individuati 3 obiettivi fondamentali, che completano il concetto di
sviluppo sostenibile dandogli la necessaria concretezza: il mantenimento dei
processi biologici essenziali alla vita, la preservazione della diversità biologica,
8
l’uso sostenibile delle specie e degli ecosistemi. Aspetti conservativi, dunque,
che si diramano, da un lato, nella capacità di produrre fonti di sostentamento,
dall’altro nel mantenimento della pluralità biologica originaria del pianeta, della
cui importanza si parlerà poco oltre. A questi si aggiunge il risvolto pratico della
“dottrina del limite” vista precedentemente, che porta ad un uso limitato delle
risorse e ad un minore impatto umano sull’ambiente.
3
IUCN/UNEP/WWF, World Conservation Strategy, 1980, premessa
4
Cfr. WRI, World Resources 1992-93, Oxford, 1992, pp. 1-12
5
I. ASIMOV, 2430 A.D., 1970, in: I. ASIMOV, Buy Jupiter and Other Stories, 1975
6
Cfr. Declaration of the United Nations Conference on the Human Environment, Stoccolma,
1972, par. 2
7
WCED, Our Common Future, Oxford, 1987, parr. 81-82
8
IUCN/UNEP/WWF, World Conservation Strategy, 1980, parr. 2-7
11
Di questi temi, quello della biodiversità ha un’importanza per noi
preponderante.
A Rio de Janeiro, nel ventennale della Conferenza di Stoccolma, viene redatta
una serie di documenti fondamentali sul piano ambientale: L’Agenda 21, il piano
d’azione che dovrebbe guidare le scelte di politica economica e ambientale in
questo secolo; la Dichiarazione su Ambiente e Sviluppo, che pone i principi
fondamentali della materia, innovando l’omologa Dichiarazione di Stoccolma; la
Dichiarazione sui Principi Forestali; la Convenzione sulla Diversità Biologica; la
Convenzione sul Cambiamento Climatico.
La Convenzione sulla Biodiversità (Convenzione di Rio) appare
particolarmente innovativa. Essa impone obblighi giuridici agli stati firmatari
coprendo un intero settore del diritto ambientale, cercando di superare i limiti di
scarsa incisività delle normative precedenti, viziate da eccessiva frammentazione
e scarsa vincolatività.
Il tema della biodiversità è complesso in quanto implica una serie di fattori di
rischio tra loro interagenti. Tra questi, la biosicurezza, cioè il controllo del
commercio, della manipolazione e dell’uso dei prodotti della moderna
biotecnologia, si è imposto come uno tra quelli di maggiore attualità per il nuovo
millennio.
12
2
La Biodiversità
2.1 La definizione di Biodiversità
La Biodiversità è stata efficacemente definita come “an umbrella term for the
9
degree of nature’s variety”. In modo piø stringente, è stata anche descritta come
10
“the totality of genes, species and ecosystems in a region”, nozione che ha il
pregio di introdurre le tre categorie che ne sono l’oggetto: la diversità tra gli
11
ecosistemi, la diversità tra le specie viventi, la diversità genetica tout court.
Il fulcro è costituito sicuramente da quest’ultima, la variabilità genetica in se
stessa che rappresenta il risultato delle due categorie residue, così come la fonte
delle utilità che l’uomo trae dalla biodiversità. Tuttavia, la diversità genetica
costituisce solo l’ultimo anello della catena.
La diversità tra le specie viventi è storicamente la cartina al tornasole della
12
diversità biologica. In primo luogo, essa costituisce il punto di partenza per la
13
classificazione degli organismi viventi, e quindi della gran parte degli studi in
materia. In secondo luogo, la tutela di singole specie a rischio è stata per anni
l’obiettivo principale delle politiche di tutela. Le campagne per la tutela di panda,
orsi bianchi, foche, tigri, balene (le c.d. “specie bandiera” del WWF), hanno
contribuito in modo determinante a sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi
ambientali, evidenziando problemi e concetti lontani dal sentire comune, come la
deforestazione, il riscaldamento globale, e, per quanto ci riguarda, la biodiversità.
Tuttavia, è la diversità tra gli ecosistemi la chiave di volta della tutela della
biodiversità. Come nel pensiero di Montesquieu la diversità tra gli ambienti
9
J.A. MCNEELY e altri, Conserving the World’s Biological Diversity, 1990, p. 17
10
WRI, IUCN, UNEP, Global Biodiversity Strategy, New York, 1992, p. 2
11
Convention on Biological Diversity, 1992, art. 2.
http://www.cbd.int/convention/convention.shtml
12
C. REDGWELL, M. BOWMAN, International Law and the Conservation of Biological
Diversity, Londra, 1995, p. 5
13
E.O. WILSON, The Diversity of Life, Londra, 1992, pp. 35-45
13
portava alla diversità tra le genti, mutatis mutandis, la diversità tra gli ecosistemi
garantisce la diversità tra le specie, e all’interno delle specie stesse. Gli organismi
viventi non esistono infatti isolatamente, ma come parte di un sistema, e la
preservazione dell’ecosistema è quindi un passo fondamentale per garantirne la
14
vita. La diversità ambientale è fonte e garanzia della diversità genetica.
Lo studio degli ecosistemi appare però piø complesso rispetto alla diversità
genetica e tra le specie. I confini tra le aree sono labili, ma, soprattutto, gli
ecosistemi non costituiscono sistemi chiusi, e sono tra loro permeabili: specie
geneticamente simili vivono in ambienti completamente diversi, e in ecosistemi
apparentemente omogenei possono formarsi partizioni difficili da analizzare.
Inoltre, l’enorme complessità degli equilibri naturali ne rende quasi impossibile
uno studio che sia svolto con cognizione di causa e che, allo stesso tempo, non sia
meramente descrittivo. A riprova di tanta complessità possiamo ricordare, a titolo
di monito piø che di esempio, il caso dell’introduzione della mangusta nelle isole
Hawaii, al fine di ridurre la popolazione locale di roditori: il risultato fu un incubo
15
ambientale, con una completa destabilizzazione dell’ecosistema delle isole. Il
passaggio dalla teoria alla pratica, nell’incertezza sui risultati generali dei propri
atti, può rivelarsi drammatico.
Nonostante questa complessità, sono stati individuati sette ecosistemi
principali, su cui fondare una visione globale del problema e fare le necessarie
analisi: le foreste tropicali, le foreste pluviali temperate, le barriere coralline, le
aree climatiche di tipo mediterraneo, le isole, i laghi d’acqua dolce, le aree
16
coltivabili ad elevata biodiversità. Tutti ecosistemi fondamentali per la diversità
biologica globale, ma per ragioni diverse. Le grandi foreste, la barriera corallina,
le aree di tipo mediterraneo vengono tutelate per l’enorme quantità di biodiversità
che contengono. Isole e laghi, al contrario, sono ecosistemi chiusi, dove si sono
sviluppate specie endemiche, altrove inesistenti, oltre a costituire spesso habitat
17
molto fragili. L’importanza della diversità biologica nelle aree coltivabili ha
invece una ricaduta prettamente umana, incidendo sulla stabilità ed entità della
14
C. REDGWELL, M. BOWMAN, cit.
15
JEREMY RIFKIN, Il Secolo Biotech, Milano, 2003, p. 129
16
WRI, World Resources 1992-93, Oxford, 1992, p. 132
17
Si stima che il 60% delle varietà vegetali endemiche delle isole Galàpagos sono a rischio, così
come il 42% delle Azzorre e il 75% delle Canarie. WRI, World Resources 1992-93 cit., p.131
14
nostra produzione agraria nel modo che abbiamo visto. Anticipando aspetti che
verranno trattati piø avanti, l’uniformazione genetica nel settore delle coltivazioni
espone pericolosamente al rischio di carestie dovute a parassiti, mutamenti
18
climatici, o piø semplicemente all’impoverimento del terreno. Delle decine di
migliaia di varietà vegetali note, e un tempo diffuse, ormai solo poche decine
coprono la quasi totalità della produzione mondiale. Esemplificando, delle 400
19
varietà di frumento coltivate nel 1920, tutt’oggi ne restano solo 150; a livello
globale si calcola che il 90% della produzione agricola mondiale sia coperto da
20
sole 10 varietà vegetali.
Emerge dunque una scala di priorità che consente, parlando con semplicità, di
accettare l’estinzione di singole specie, ma non dei rispettivi ecosistemi. Dalla
ricchezza degli ecosistemi deriva sia la ricchezza di specie che conosciamo, sia la
variabilità genetica all’interno di queste. La preservazione delle biodiversità
genetica, che ci è così preziosa, dovrebbe partire quindi dalla tutela degli
ecosistemi. Come in un sistema fluviale, è dalla salute del ghiacciaio a monte che
dipende l’acqua di cui ci serviamo.
2.2 L’importanza della biodiversità per l’uomo
Il concetto di biodiversità, così come è stato presentato, appare una nozione
tutt’altro che illuminante, a meno che non la si integri con l’interesse concreto che
l’uomo ha nei confronti della biodiversità.
Nell’anno 1570 la patata venne per la prima volta introdotta in Spagna dalle
Americhe, intorno al 1590 lo stesso avvenne in Irlanda e Inghilterra. Nel 1840 era
il principale alimento dei poveri, praticamente l’unico. La varietà diffusa era una
sola, probabilmente derivata da una sola pianta o poco piø. Nel 1845 dalle
18
WRI, World Resources 2000-01, Oxford, 2000, p.66
19
L. MONTI, Interventi di biotecnologie vegetali per la difesa e la valorizzazione dell’ambiente
agricolo, in L. CHIEFFI (a cura di), Biotecnologie e Tutela del Valore Ambientale, Torino, 2003,
p. 36
20
M.A. LA TORRE, Bioetica delle Biotecnologie e Questione Ambientale, in L. CHIEFFI (a cura
di), Biotecnologie e Tutela del Valore Ambientale, Torini, 2003, p. 223
15
Americhe si diffuse in Irlanda la Pythoptora Infestans, un fungo delle piante a cui
molte varietà americane erano resistenti, ma non quelle diffuse in Irlanda. La
21
conseguente carestia, che durò quattro anni, causò milioni di morti.
Negli anni Sessanta dell’800 l’insetto chiamato Phylloxera, originario del Nord
America, un parassita della radice della vite, distrusse quasi completamente le
coltivazioni europee, salvate da un innesto (che si perpetua tutt’oggi) con varietà
22
sudamericane resistenti al parassita.
Gli esempi potrebbero continuare, e sono esplicativi del ruolo fondamentale
che la biodiversità ricopre in agricoltura, ma non solo. La diversità costituisce
l’anticorpo che la natura possiede contro la sua stessa legge di competizione
selettiva: alla debolezza di una specifica varietà vegetale supplisce, sul piano
globale, la forza di altre varietà; l’ibrido risulta generalmente piø forte delle
varietà d’origine, rappresentandone un’evoluzione, e così avviene per il suo
competitore. Il risultato è un equilibrio ambientale dinamico, capace di perpetuarsi
nel cambiamento. Il cataclisma, la carestia, l’epidemia troveranno sempre delle
specie resistenti capaci di perpetuare la vita. La diversità, in ecologia come in
molti altri campi, è da considerarsi la piø preziosa delle risorse.
Quanto detto, oltre ai risvolti negativi conseguenti all’assenza di diversità
biologica, ha anche risvolti positivi sullo sviluppo umano. A tutti gli effetti, la
diversità genetica costituisce uno dei motori principali del progresso in ambito
agricolo e medico. Le specie attualmente coltivate, l’attuale livello di produzione
agricola, finanche lo stesso ambiente rurale sono il risultato di migliaia di anni di
interventi umani che hanno modificato le varietà originariamente diffuse e
utilizzate. Si calcola, per esempio, che la durata media delle varietà di cereali
23
coltivate nei paesi industrializzati non superi i 15 anni: al termine di questo
periodo vengono “pensionate”, sostituite da varietà piø forti, produttive, o
semplicemente piø appetibili sul mercato. I cambiamenti del clima o della
composizione del suolo già richiedono una notevole capacità di adattamento, ma a
queste si aggiungono parassiti e malattie che si evolvono sempre piø rapidamente.
21
C. WOODHAM-SMITH, The Great Hunger, 1845-49 FOWLER, P. MOONEY, Biodiversità e
futuro dell’alimentazione, Como, 1993, pp. 75-79 (titolo originale Shattering. Food, Politics and
the Loss of Genetic Diversity, Tucson, The University of Arizona Press, 1990)
22
Cfr. H. P. OLMO, Grapes, In: N.W. SIMMONDS (ed), Evolution of Crop Plants, Londra, 1976
23
IUCN/UNEP/WWF, World Conservation Strategy, 1980, par. 3
16
Gran parte delle sostanze attualmente utilizzate in medicina deriva da principi
attivi naturali, estratti inizialmente da varietà piø o meno rare di piante o
24
animali. In una prospettiva futura, le stesse tecniche di ingegneria genica
necessitano di bacini di diversità genetica, risultando insostituibile, da parte della
fantasia umana, l’apporto della mutazione spontanea alla biodiversità.
Rammentando che le specie note non costituiscono nemmeno un decimo di quelle
25
che si stimano esistenti e che si scoprono centinaia di specie nuove ogni anno, la
perdita di opportunità dovuta alla perdita di biodiversità è enormemente superiore
a quella stimabile allo stato attuale delle conoscenze scientifiche.
2.3 I rischi per la Biodiversità
La biodiversità è quindi una risorsa preziosa, al centro di molte attività umane,
delle sue prospettive di sviluppo e della stabilità dell’ecosistema. Tuttavia tutti gli
studiosi sono concordi nel ritenere che questa risorsa sia in pericolo.
Rifacendosi ai sette ecosistemi principali visti precedentemente, per esempio,
si calcola che il 70% della barriera corallina caraibica è minacciata dall’attività
26
umana; la riduzione dell’estensione delle foreste, sia tropicali che temperate, è
chiaramente visibile dalla mappa delle aree forestali mondiali pubblicata dal
27
World Resources Institute (WRI) nel 2007; secondo stime di GreenPeace,
2
154312 km di foresta amazzonica sono scomparsi tra il 2000 e il 2007; nelle aree
coltivate, l’uniformazione delle varietà a vantaggio di poche decine di prodotti ha
ormai raggiunto livelli estremi, in cui 10 varietà agricole coprono il 90% della
produzione mondiale.
24
Cfr. ALBERS, SCHONBERG, The Pharmaceutical Discovery Process, AYLWARD, The Role
of Plant Screening and Plant Supply in Biodiversity Conservation, Drug Development and Health
Care, PEARCE e PUROSHOTAMAN, The Economic Value of Plant-based Pharmaceuticals,
tutti in SWANSON, Intellectual Property Rights and Biodiversity Conservation, Cambridge, 1998
25
A riprova di quanto detto Census of Marine Life, un programma internazionale di studio e
censimento della biodiversità marina, nel triennio 2000-2003 ha censito un totale di 5580 nuove
specie. G. CAPRARA, I grandi misteri degli abissi: scoperte 5 mila specie ignote, Corriere della
Sera del 22-10-2003
26
WRI, World Resources 2006-2007, Oxford, 2006, p.10
27
Ivi, p.12. Eccezion fatta per una parte della foresta amazzonica e delle foreste di Canada e
Siberia, il resto del mondo appare come privo di foreste vergini
17
Guardando alle varietà animali e vegetali, che costituiscono la cartina al
tornasole della diversità biologica, è causa di grossi timori l’impressionante ritmo
di estinzione di specie, note e non, a cui assistiamo costantemente. Confrontando i
dati raccolti dal World Resources Institute a distanza di anni, risulta evidente la
28
diminuzione del numero delle specie note. Si calcola che, all’attuale velocità, il
15% delle specie terrestri sarà estinto nell’arco dei prossimi 20 anni: un ritmo
29
compreso tra le 20 e le 75 specie al giorno. Nonostante altri dati siano positivi,
come la diminuzione, anche se non generalizzata, del numero di specie a rischio,
la diminuzione del numero di specie note mostra un innegabile processo di
erosione della biodiversità. Processo che, non fermato, prospetta concretamente il
venir meno della stessa, almeno con il grado di ricchezza a noi nota.
Quali sono le cause di questo declino?
Innanzitutto è necessario sottolineare come tutte le concause rientrano nell’area
dell’intervento umano. Se, infatti, il cambiamento di ecosistemi e l’estinzione (e la
nascita) di specie rientra nella storia del nostro mondo, l’omogeneizzazione di
questi e la perdita di biodiversità consegue all’intervento dell’uomo, teso, in modo
piø o meno consapevole, a rendere l’ambiente sempre piø idoneo alle sue
esigenze, soprattutto alimentari.
In World Resources 1992-93 vengono individuate le c.d. Root Causes della
perdita di biodiversità in (1) crescita demografica e crescente consumo di risorse,
(2) ignoranza delle specie e degli ecosistemi, (3) politiche scarsamente ragionate,
(4) conseguenze del sistema globale dei commerci, (5) diseguaglianza nella
30
distribuzione delle risorse, (6) fallimento nella valorizzazione della biodiversità.
L’approccio non è convenzionale, così come non lo sono i risultati.
I fatti considerati come fattori di rischio per la diversità biologica, infatti,
generalmente raccolgono la distruzione degli habitat, la caccia e lo sfruttamento
indiscriminato, l’introduzione di specie estranee invasive, l’uso di pesticidi e
insetticidi. Nell’analisi condotta dal WRI questi fattori sono considerati, ma
relegati al rango di cause materiali di un problema la cui ragione sta altrove.
28
WRI, World Resources 1992-1993 cit., tavola 20.4, World Resources 1998-1999 cit., tavola 14.2
29
P. SANDS, Principles of International Environmental Law, Cambridge, 2003, p. 369
30
WRI, World Resources 1992-1993 cit., p. 134
18
La critica si muove radicalmente contro il modello di sviluppo diffuso. La
crescita demografica (1) metterà sempre piø sotto pressione la capacità di
31
sostentamento del pianeta, soprattutto se il livello dei consumi rimarrà lo stesso:
non solo sarà inevitabile la richiesta di nuove aree coltivate, ma non bisogna
dimenticare le emissioni di una tale massa di persone.
Su questo problema, di tipo storico, se ne innestano altri piø prettamente
politici. Tra questi l’iniqua distribuzione delle risorse (5), concentrate nei paesi
industrializzati, spesso porta a scindersi le identità di chi vive su un territorio e di
chi trae i frutti del territorio stesso: questa scissione si estende agli interessi e
desensibilizza chi gestisce le risorse dalla sorte degli ambienti che forniscono
32
quelle stesse risorse, ostacolando scelte piø ecocompatibili.
Ne derivano politiche spesso discutibili (3), incentrate su interessi che non
considerano le necessità ambientali e della biodiversità: incentivi all’estensione
delle aree coltivate a scapito di quelle forestali, spinte all’uso di concimi chimici,
diserbanti, pesticidi, insetticidi. Un esempio di queste politiche è la c.d. Green
Revolution, che tra gli anni ’50 e ’80 ha proposto un modello di agricoltura ad alta
produttività basato sulla monocoltura intensiva di poche varietà accuratamente
selezionate, accompagnato dall’uso intensivo di pesticidi e fertilizzanti chimici.
Brillanti furono i risultati sul piano della produttività, con crescite nella
produzione cerealicola mondiale intorno al 250%. L’altro lato della medaglia
furono i disastrosi effetti ambientali: inquinamento, impoverimento ed erosione
dei suoli, distruzione dei substrati di biodiversità e di intere economie
33
tradizionali.
31
Ibidem. Si calcola che il 40% della rete di produttività primaria, cioè dei processi biologici di
sostentamento, siano sfruttati esclusivamente dell’uomo
32
Per una trattazione estesa del tema cfr. G. C. ROWE, Environmental Justice as an Ethical,
Economic and Legal Principle, in K. BOSSELMANN, B. J. RICHARDSON (ed), Environmetal
Justice and Market Mechanisms, London, 1999, pp. 58 ss.
33
M. TALLACCHINI, F. TERRAGNI, Le Biotecnologie: Aspetti Etici, Sociali e Ambientali,
Milano, 2004, p. 64. L’uso massiccio di concimi chimici e pesticidi, associato alla monocoltura,
impoverisce rapidamente il suolo, incapace di ricostituirsi naturalmente e dipendendo dall’uso
degli stessi additivi chimici. L’esempio piø evidente è rappresentato dall’esperienza orientale,
dove la coltura tradizionale consisteva in un binomio tra coltivazione del riso e allevamento delle
carpe nelle risaie stesse, che limitavano insetti e piante infestanti e fertilizzavano il suolo: un
sistema equilibrato, ma poco produttivo. L’introduzione dei pesticidi ha causato la morte dei pesci
e la rovina del fragile equilibrio del sistema, che ora si sta faticosamente cercando di ristabilire
19
Politiche discutibili, che si accompagnano con gli effetti della globalizzazione
(4), che hanno acuito la necessità di raggiungere alti livelli di produzione e di
34
modificare le colture in uso per adeguarsi alle richieste del mercato globale.
Di diversa natura sono le ultime concause. Il fallimento della valorizzazione
della biodiversità (6) sottolinea la lontananza dalle preoccupazioni ambientali di
chi non ne ha esperienza diretta. L’ignoranza riguardo alle specie e agli ecosistemi
(2) evidenzia l’arretratezza delle conoscenze in questi campi, e la scarsità dei
mezzi di cui conseguentemente si dispone per intervenirvi.
Come è immaginabile nessuna di queste ragioni opera isolatamente: le richieste
di mercato condizionano sia le politiche agricole sia le scelte dei coltivatori,
mentre la crescita demografica agisce come un volano, moltiplicando gli effetti
degli altri fattori.
Per questo, si aggiunge nel documento, le ordinarie politiche di salvaguardia
(parchi, riserve) sono inefficaci a livello globale: perché non trattano la radice del
problema, cioè un modello di sviluppo non sostenibile e i suoi effetti.
34
WRI, World Resources 1992-199 cit., p. 134
20
3
Le Biotecnologie
3.1 La nozione di biotecnologie
La diversità biologica è alla base del progresso umano, lo si è detto. L’uomo ha
sempre cercato di sfruttarla, intervenendo in modo piø o meno consapevole sul
piano evolutivo. Tuttavia, dal tempo della selezione dei primi cerali, dei primi
innesti volontari, finanche degli esperimenti sui piselli di Mendel, qualcosa è
sicuramente cambiato.
Negli ultimi decenni la tecnologia in campo biologico ha fatto passi
inimmaginabili. In particolare, si affaccia un cambiamento radicale: la possibilità
di saltare i procedimenti biologici naturali consente ormai di superare quasi ogni
limite posto dalla natura alle possibilità combinatorie. L’ampiezza delle vie offerte
35
(il salto di specie, per esempio, è ormai fatto comune da diversi anni) mette in
luce rosee prospettive scientifiche, ma anche dubbi radicali.
Tutto ciò è stato reso possibile dalla tecnologia del Dna ricombinante, che ha
fatto progredire notevolmente la scienza genetica rispetto a come era stata
impostata da Mendel, Bateson, Johannsen e altri. L’inizio degli studi in materia
risale agli anni sessanta, ma è nel 1973 che Cohen e Boyer riuscirono per la prima
volta a ricombinare i frammenti genetici provenienti da organismi non correlati,
cioè incapaci di riprodursi in natura. Nei successivi anni lo sviluppo della tecnica
genica è stato impressionante: si stima, in modo necessariamente approssimativo,
che le conoscenze biologiche raddoppino ogni 5 anni, e nel particolare campo
36
della genetica ogni 24 mesi.
35
Si pensi alla patata NewLeaf, uno dei primi prodotti transgenici approvati negli Stati Uniti,
prodotta dalla Monsanto a metà degli anni 90, che con l’aggiunta di sequenze genetiche del
batterio BT, produttore di tossine letali per gli insetti, vantava una maggiore resistenza a questi.
PAVONI, Biodiversità e Biotecnologie nel Diritto Internazionale e Comunitario, Milano, 2004, p.
4, in nota
36
JEREMY RIFKIN, Il Secolo Biotech cit., pp. 39, 40
21
Senza addentrarci qui nei dettagli della tecnica, il Dna ricombinante agisce
come una cucitrice biologica, capace di introdurre materiale genetico estraneo
all’interno di una sequenza completa, facendo in modo che questa evidenzi la
37
caratteristica specifica indotta. Due sono gli obiettivi attualmente ricercati (ma la
capacità di espansione è potenzialmente infinita) con l’ausilio di questa tecnica: la
produzione di sostanze biologiche come insulina, ormone della crescita, vaccini,
attraverso l’uso di batteri vettori; oppure l’inserimento di caratteristiche desiderate
in piante o animali, attraverso l’uso di un particolare batterio cancerogeno o della
38
biobalistica.
Ampie potenzialità, ma anche dubbi profondi.
Innanzitutto, le nuove tecnologie pongono una questione di fondo, quasi
ontologica, se esista cioè una reale continuità rispetto alla manipolazione
biologica tradizionale o meno.
Vari autori si sono occupati del tema, esprimendo le piø varie opinioni:
tendenzialmente, i difensori delle tecniche genetiche affermano la continuità con
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la tradizione, mentre i critici evidenziano il distacco generato dalle possibilità
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offerte dalla tecnica moderna.
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Le tecniche utilizzate sono molteplici e sarebbe superfluo, oltre che arduo, spiegarle nel
dettaglio. L’idea di base è di introdurre caratteristiche estranee attraverso l’uso di organismi
semplici, facili da manipolare, come vettori della nuova informazione nella cellula bersaglio. Il piø
utilizzato è il plasmide, un frammento di Dna batterico capace di replicarsi autonomamente
all’interno di una cellula. Questi stessi plasmidi vengono, attraverso appositi enzimi, tagliati e
quindi connessi con frammenti di Dna di altra origine, così da creare una nuova sequenza genica.
Il plasmide viene quindi inoculato in una cellula ospite, di solito un batterio, dove entrerà a far
parte del patrimonio ereditario dell’ospite. Esistono tecniche piø complesse che usano elementi
virali al posto dei plasmidi, ma il principio rimane lo stesso: una particella cellulare estranea,
modificata, che si riproduce trasmettendo le nuove caratteristiche genetiche
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La produzione di sostanze quali quelle citate (fondamentalmente proteine) avviene attraverso la
sintesi fatta direttamente da culture batteriche in cui è stato impiantato il gene specifico, che viene
poi tradotto nella proteina voluta.
La modifica di esseri viventi complessi avviene invece utilizzando l’illimitata capacità di sviluppo
delle cellule totipotenti, cioè non ancora specializzate, capaci di dare origine a un intero
organismo: sono queste il bersaglio della genetica. La tecnica piø nota sfrutta le capacità di un
batterio cancerogeno, l’Agrobacterium Tumufaciens, di produrre modifiche genetiche in alcune
piante (appunto la formazione del tumore). Il plasmide, privato delle sequenze geniche che
causano il tumore, viene usato per introdurre caratteristiche estranee nella pianta considerata.
La biobalistica invece spara, in senso letterale, proiettili rivestiti di Dna nel nucleo delle cellule
interessate
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“Le piante usate attualmente per la produzione di cibo […] sono state prodotte attraverso i secoli
per mezzo di incroci di piante esistenti e la selezione di nuovi tipi con caratteristiche desiderate, tra
quelli risultanti dagli incroci. […] Questa procedura era basata sul trasferimento di geni da una
pianta all’altra negli incroci, e sulla selezione successiva dei geni utili per gli scopi degli allevatori.
Però i geni erano sconosciuti. Quello che si fa oggi nella produzione di piante modificate è
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La nozione di biotecnologia data dalla “Convenzione sulla Biodiversità” non è
in grado di sciogliere la questione: l’espressione “any technological application
that uses biological systems, living organisms, or derivatives thereof, to make or
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modify products or processes for specific use” copre senza dubbio entrambe le
esperienze.
Si può certamente ravvisare una continuità teleologica nella ricerca di prodotti
che migliorino il benessere umano. Non si può negare, allo stesso modo, che le
nuove tecnologie abbiano portato la biologia applicata a un livello superiore,
generando un tale salto di qualità, sia in termini di risultati che di rischi connessi,
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da costringere ad un cambiamento di prospettiva.
In primo luogo, muta il rilievo del fattore tempo. La lentezza caratteristica dei
fenomeni naturali (gli anni di maturazione delle piante innestate, o degli animali
ibridi) è stata sostituita dalla possibilità di riproduzione infinita del modello
genetico prescelto, in tempi relativamente brevi, che in molti casi non richiedono
la ripetizione del procedimento iniziale di generazione. Mentre infatti gli incroci
naturali generano quasi sempre esseri incapaci di riprodursi, o comunque di
tramandare in pieno le proprie caratteristiche, le nuove tecnologie riescono spesso
a superare anche questo problema (generandone altri, come si vedrà in seguito).
Anche ove non siano fertili, comunque, le nuove varietà vengono facilmente
rigenerate ripetendo il processo originale: d’altra parte, con le tecniche attuali, la
capacità riproduttiva o meno è il risultato di una scelta di marketing, piø che
scientifica.
In secondo luogo, l’ingegneria genetica permette di intervenire con un grado di
precisione sino ad oggi sconosciuto. La genetica tradizionale era un mondo di
tentativi, spesso infausti, e di risultati approssimativi: il fenotipo“seme giallo”,
selezionata in modo tradizionale nelle culture di mais nel corso degli anni, ha
portato con sé una ventina di altri geni collaterali, le cui caratteristiche e funzioni
esattamente lo stesso processo, eccetto che si può realizzare in un tempo infinitamente piø breve,
e, specialmente, in modo controllato, con piena conoscenza dei geni coinvolti. La differenza
principale tra questi metodi tradizionali e le modificazioni nella produzione delle piante usate oggi
è che in queste ultime si sono trasferiti geni di specie lontane ( per esempio batteri ), mentre nel
metodo tradizionale i geni di piante venivano trasferiti solo tramite gli incroci.” R. DULBECCO,
Perchè Sbaglia Chi Vuole Abolire la Ricerca Genetica, apparso su La Repubblica 10-02-2001
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Cfr. JEREMY RIFKIN, Il Secolo Biotech cit., p. 41
41
Convention on Biological Diversity, 1992, art. 2
42
Cfr. JEREMY RIFKIN, cit.
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