2
assicurare la libera circolazione dei professionisti nonché la
libera prestazione dei servizi da parte dei medesimi, che il
mondo professionale senta il respiro della concorrenza al
fine di favorire la crescente flessibilità delle economie degli
stati membri.
Questo approccio delle istituzioni comunitarie nei
confronti dei servizi professionali, più sensibile alle nuove
esigenze economiche e sociali, trova conferma nelle recenti
sentenze del giudice comunitario, sollevando un acceso
dibattito dottrinale, culturale e politico, che vede coinvolte
le istituzioni nazionali, i liberi professionisti e i consumatori
nei diversi Stati membri, specie in Italia.
D’altra parte, qualora i servizi professionali abbiano una
dimensione nazionale e non comunitaria, di modo che il
requisito del pregiudizio al commercio intracomunitario,
necessario per applicare le regole comunitarie della
concorrenza, non è soddisfatto, l’iniziativa di perseguire le
pratiche anticoncorrenziali è lasciata agli organi nazionali
degli Stati membri.
A fronte di un simile scenario, scopo del presente lavoro
è quello di analizzare alcuni aspetti del complesso rapporto
tra concorrenza e professioni nell’ambito del diritto
comunitario.
3
Si procederà partendo dall’equiparazione dell’attività
professionale all’attività dell’impresa, rilevando come per il
diritto comunitario la nozione di impresa abbraccia qualsiasi
“entità che svolge un’attività di rilievo economico a
prescindere dallo status giuridico di tale entità e dalle sue
modalità di finanziamento”. E dunque dimostrando come
tale concetto sia idoneo a comprendere anche le attività
degli esercenti le professioni intellettuali, in quanto si
sostanziano nell’erogazione di servizi a fronte di un
corrispettivo.
La giurisprudenza comunitaria, come avremo modo di
approfondire, ha infatti elaborato una particolare nozione di
“impresa” con riferimento alla normativa della concorrenza:
tale concetto è stato interpretato come avente ad oggetto non
un’entità dalla personalità giuridica ben definita, come
previsto per esempio dalle norme italiane che definiscono il
concetto di “imprenditore”
1
o di “società” commerciale,
2
ma, invece, come entità avente determinati caratteri
economici. Grazie alla vaghezza di tale concetto, la Corte di
1
Il codice civile italiano prende in considerazione e definisce non il concetto
di “impresa”, bensì quello di “imprenditore” (art. 2082 c.c.). Rispetto a tale
definizione, che individua ben determinati caratteri soggettivi (“è
imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica
organizzata al fine della produzione o dello scambio dei beni o dei servizi”),
il diritto comunitario utilizza una definizione dai ben più ampi contenuti.
2
Indicata dall’art. 2247 (e specificata dai tipi indicati dall’art. 2249) dal
codice civile.
4
giustizia ha potuto procedere ad un’interpretazione estensiva
della nozione di impresa, facendovi rientrare diverse figure,
che, da un punto di vista strettamente giuridico, non si
potrebbero considerare imprese.
Si proseguirà poi illustrando le principali considerazioni
espresse dall’Antitrust a seguito della propria indagine
conoscitiva nel settore degli Ordini e dei Collegi
professionali. Indagine, nel corso della quale, l’Autorità
Garante della Concorrenza e del Mercato rileva come rigidi
atteggiamenti di ostilità al cambiamento degli assetti
esistenti possono determinare una crescente disparità tra le
condizioni di prestazione delle attività professionali per i
soggetti italiani rispetto ai concorrenti di altri Stati membri,
vanificando la portata di una riforma che rappresenta la
migliore opportunità per rivitalizzare un settore a lungo
cristallizzato da vincoli obsoleti.
L’Autorità, nelle ormai numerose occasioni in cui ha
preso in esame il problema del rapporto tra professioni e
concorrenza, ha affermato un orientamento cardine, ossia
“la necessità che l’attuale normativa, spesso intrusiva delle
libertà dei singoli, sia sostituita da una regolamentazione
aperta e flessibile che con rigore fissi i punti essenziali che è
necessario tener fermi affinché i consumatori possano al
tempo stesso poter scegliere in piena libertà ed essere
5
ragionevolmente tutelati in merito alla qualità delle
prestazioni. In altri termini è opportuno operare un
mutamento di prospettiva che ponga al centro del disegno
riformatore il consumatore di questi servizi piuttosto che il
professionista”.
3
Infine, verranno trattate singolarmente le principali
restrizioni concorrenziali determinate dagli strumenti di
regolamentazione delle professioni intellettuali, restrizioni
suddivisibili sostanzialmente in due categorie, quelle
attinenti ai requisiti necessari per lo svolgimento delle
professioni (tirocinio, esame di abilitazione, concorso) e
quelle relative alle modalità di svolgimento della
professione (standard di qualità, tariffe, divieto di
pubblicità, restrizioni alle forme di esercizio dell’attività
stessa ecc).
Nell’ambito delle restrizioni riconducibili all’esercizio
dell’attività, una particolare analisi sotto il profilo
concorrenziale sarà riservata all’uso dei tariffari per la
determinazione dei corrispettivi ai professionisti.
Il tema delle tariffe è indubbiamente al centro del
dibattito che si è sviluppato intorno alla riforma delle
professioni. La tariffa professionale è la fonte normativa che
fissa le modalità per la determinazione del compenso dovuto
3
Agcm, parere 5 febbraio 1999 (Riordino delle professioni intellettuali), in
Boll. N. 4/1999.
6
al libero professionista per la sua attività, attraverso
l’indicazione di criteri generali o della misura in concreto da
percepire per ogni singola prestazione. Al di là delle
tipologie tariffarie elaborate dalla scienza giuridica, il
problema posto all’attenzione riguarda soprattutto
l’inderogabilità dei limiti minimi fissati dalla disciplina, alla
determinazione della quale concorrono le organizzazioni
professionali, e alla conseguente sottrazione del sistema alle
determinazioni del libero mercato.
In via di principio, non può esservi dubbio che,
nell’ambito di un modello di mercato basato sulla
concorrenza perfetta, la tariffa rappresenta un’alterazione
del meccanismo dello stesso mercato, dal momento che
impedisce che siano le forze del mercato a determinare
liberamente il prezzo del bene o del servizio.
4
Tuttavia, proprio a causa della particolarità del
procedimento di formazione delle tariffe, e della rilevanza
economico-sociale delle stesse, la giurisprudenza
comunitaria non ha potuto assumere una posizione di piena
e generale condanna delle stesse, come pure poteva apparire
dopo le prime sentenze, ma ha adottato un approccio
4
Sugli effetti delle tariffe e dell’imposizione di prezzi minimi e/o massimi,
vedi: F. ROBERTI-M. TIZZANO, Tariffe e prezzi amministrativi: profili di
diritto comunitario, in Foro it., 1995, IV, 310-324.
7
intermedio, con il tentativo di tracciare una linea di confine
tra tariffe “lecite” ed “illecite”.
Come avremo modo di osservare, due sono i filoni
giurisprudenziali in materia: da un lato, vi sono le tre
sentenze che hanno portato alla dichiarazione di illegittimità
della tariffa del Consiglio nazionale degli spedizionieri
doganali; dall’altro le più recenti sentenze relative alla
tariffa degli architetti (sentenza Conte) e degli avvocati
(sentenza Arduino e Wouters). Nonostante il differente esito
delle pronunce, che ha portato al “salvataggio” della tariffa
degli architetti
5
e degli avvocati, sono analoghi i presupposti
per la valutazione della compatibilità con la normativa della
concorrenza. Posto che le tariffe (se obbligatorie)
costituiscono una violazione della concorrenza, la loro
compatibilità con le norme comunitarie deve essere valutata
con riferimento a tre condizioni stabilite dalla Corte, per cui
è necessario che “(1) le pubbliche autorità dello Stato
membro interessato esercitano un controllo reale sul
contenuto dell’intesa, (2) la misura di Stato persegua uno
scopo legittimo di interesse generale e (3) la misura di Stato
5
Per quanto riguarda la tariffa degli architetti (sentenza Conte), la Corte non
è entrata nel merito della legittimità della tariffa, risolvendo la questione solo
con riferimento alla situazione particolare sottoposta alla sua attenzione (ove
la tariffa non era ritenuta obbligatoria, e, quindi, non in grado di incidere
sulla libera concorrenza).
8
sia proporzionata rispetto allo scopo perseguito.”
6
Si tratta di
analisi complesse che devono tener conto non solo delle
norme astrattamente previste dalla legislazione nazionale,
ma anche del loro concreto atteggiamento,
7
e che si può
ritenere che in futuro, dopo l’avvio dato nella causa
Arduino, verranno valutate in modo più rigoroso dalla Corte
di giustizia.
8
6
Conclusioni presentate il 10 luglio 2001 dall’avvocato generale P. Léger
nella causa Arduino, punto 91.
7
Cfr. le critiche e le riserve indicate nelle Conclusioni alla causa Arduino,
punto 106 e nota 100.
8
Cfr. M. GNES, Le professioni intellettuali tra tutela nazionale e
concorrenza, in Giornale di diritto amministrativo, 2002 cit., 675.
9
CAPITOLO 1: LA NOZIONE DI IMPRESA NEL
DIRITTO DELLA CONCORRENZA
1.1 LA NOZIONE DI IMPRESA NEL DIRITTO COMUNITARIO
Nel lontano 1943, inseguito alla promulgazione del
codice civile, in un breve scritto, apparso sulla rivista di
diritto commerciale, Alberto Asquini, nel rilevare il ruolo
centrale che il concetto d’impresa veniva ad assumere nel
sistema codicistico, non poteva fare a meno di sottolineare
le difficoltà che si presentavano per una sua adeguata
ricostruzione giuridica, essendo quello d’impresa “il
concetto di un fenomeno economico con numerose
sfaccettature” il quale presentava sotto l’aspetto giuridico
non uno ma diversi profili di rilevanza.
1
Esattamente più di
cinquant’anni sono trascorsi dalla promulgazione del codice
civile e da quelle prime osservazioni. Ricchissima e feconda
è stata sul tema la riflessione della dottrina. Tuttavia la
ricostruzione della nozione d’impresa in termini unitari
continua a presentare non poche difficoltà per l’interprete.
Infatti, anche se è vero che oggi non pare seriamente
contestabile la ricostruzione del fenomeno, proposta dalla
prevalente dottrina in termini di attività organizzata
1
Cfr. A. ASQUINI, Profili dell’impresa, in Rivista di diritto commerciale,
1943, I, p. 1 ss.
10
obiettivamente considerata,
2
è altresì vero che la
legislazione speciale non ha mancato di assumere, spesso, la
nozione di impresa in un’eccezione differente o, comunque,
di identificarla in base ad elementi che non coincidono con
quelli che concorrono a delineare la fattispecie codicistica.
Ciò ha comportato più di uno sforzo volto ad
individuare quegli elementi che, ricorrendo in ognuna delle
diverse fattispecie positivamente accolte nell’ordinamento,
consentono di pervenire all’identificazione di un generale
concetto di impresa in grado di armonizzarsi con quello
posto dal codice civile.
E’ proprio in questa prospettiva che si è venuta a
sviluppare la riflessione della nostra dottrina sul tema della
nozione di impresa rilevante per l’ordinamento comunitario
3
2
E’ questa la tesi di gran lunga prevalente: cfr. R. FRANCESCHELLI, Impresa
e imprenditore, III ed., Milano, 1972; T. ASCARELLI, Corso di diritto
commerciale. Introduzione e teoria dell’impresa, III ed., Milano 1962; G.
AULETTA, Attività, in Enciclopedia di diritto commerciale, vol. III, Milano,
1958, p. 981; V. PANUCCIO, Impresa, in Enciclopedia di diritto commerciale,
vol. XX, Milano, 1970, p. 562; F. GALGANO, L’impresa, in Trattato di diritto
commerciale, Galgano, vol. II, Padova, 1977; G. COTTIMO, Diritto
Commerciale, vol. I, II ed., Padova, 1986; F. FERRARA JR-F. CORSI, Gli
imprenditori e le società, VII ed., Milano, 1987.
3
Tra gli scritti più significativi vanno segnalati: R. FRANCESCHELLI,
L’impresa comunitaria, in Impresa e società: studi in onore di A. GRAZIANI,
vol. V, Napoli, 1968, p. 2159 ss.; M. SCALABRINO, La nozione di impresa nei
trattati istitutivi delle Comunità economiche europee, in Rivista di diritto
internazionale, 1967, p. 185 e ss.; R. ROSOLINI, La nozione di impresa
secondo gli articoli 85 e 86 del Trattato di Roma e i suoi più recenti
sviluppi, in Rivista di diritto industriale, 1974, I, p. 187; G. SCHIANO DI PEPE,
Impresa, in Diritto Comunitario, vol. IV, 1983, 5 ss.; A. GRISOLI, Impresa
comunitaria, in Enciclopedia giuridica italiana, Roma, 1986; S. SPADAFORA,
11
ed in particolare hai fini dell’applicazione della legislazione
comunitaria sulla concorrenza. Premesso che il Trattato
istitutivo della Comunità economica europea assume la
nozione d’impresa come punto di riferimento ai fini
dell’applicazione di un sistema di norme disciplinante un
determinato settore di rapporti senza procedere, però, ad una
puntuale definizione del fenomeno, la dottrina si è
preoccupata, soprattutto, di verificare i limiti di
compatibilità del concetto di impresa comunitaria con quella
generale nozione di impresa in senso giuridico che
autorevole corrente dottrinale ritiene di dover identificare
con quella dettata dal codice.
4
Tale tipo di analisi, volta ad accertare la possibilità di
costruire in termini fondamentalmente omogenei le nozioni
di impresa rilevanti a livello di ordinamento interno e
comunitario, implica la necessità di determinare la portata
La nozione di impresa nel diritto comunitario, in Giurisprudenza civile,
1990, II, p. 283. Tra i contributi dedicati all’analisi del problema spicca,
soprattutto, il volume curato da P. VERRUCOLI, La nozione di impresa
nell’ordinamento comunitario, Milano, 1977, dove il tema viene affrontato
sotto diverse angolazioni.
4
E’ questa la tesi sostenuta da G. OPPO, Categorie commercialistiche e
riforma tributaria, già in Giurisprudenza commerciale, 1977, I, p. 32, adesso
anche in Scritti giuridici, vol. I, 218 ss., Padova, 1992, il quale ritiene che la
categoria dell’impresa in senso giuridico è tale come risulta definita nella sua
sede propria ovvero in quella “privatistica”.
12
della definizione dell’art. 2082
5
c.c., di determinare quale
sia la funzione che il concetto è destinato ad assolvere.
In Italia il codice del 1942, improntato ai principi
essenzialmente diversi da quelli del codice di commercio
precedente, non considera l’impresa, ma l’imprenditore, da
cui si ricava la nozione di impresa come attività, come
complesso di beni destinati ad uno scopo produttivo, nonché
la perdita di autonomia normativa della stessa. In altre
parole la nozione di imprenditore, così com’è dettata dal
codice civile, rappresenta esclusivamente il tramite in base a
cui identificare, per il soggetto che la esercita, la disciplina
applicabile.
6
Se questa, dunque, è la funzione assolta dalla nozione
posta dal codice, è agevole constatare come nella disciplina
comunitaria della concorrenza il concetto d’impresa si
venga a collocare in una prospettiva del tutto differente.
Infatti, nell’ordinamento interno la nozione è posta in
funzione di una disciplina soggettiva: si muove si da un dato
oggettivo, l’attività organizzata, ma per risalire allo statuto
dell’imprenditore, per individuare il complesso delle regole
cui il soggetto soggiace nello svolgimento di una data
5
Art. 2082 c.c. “è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività
economica organizzata ai fini della produzione o dello scambio di beni e
servizi”.
6
C. CORAPI-B. DE DONNO, La nozione di impresa nel diritto comunitario:
nozioni introduttive, in Diritto privato dell’Unione Europea, Milano, 1997.
13
attività. La normativa antitrust comunitaria considera,
invece, l’impresa in una prospettiva funzionale, nel senso
che dà rilievo all’impresa per disciplinare gli effetti che
l’esercizio della stessa produce nell’ambito del mercato
comune.
7
Questa divergenza nell’impostazione di fondo, negli
obiettivi perseguiti dal codice e dal Trattato, dovrebbe
essere destinata a riflettersi, inevitabilmente, in un diverso
modo di procedere anche all’identificazione dell’impresa e
all’individuazione degli elementi che giuridicamente la
qualificano. La dottrina che si è sino ad oggi occupata del
problema non sembra aver avuto piena consapevolezza di
tale ultima conclusione. Questa, infatti, pur avendo
correttamente individuato i termini della questione e, quindi,
la diversità di prospettive e di interessi dell’ordinamento
interno e di quello comunitario, ha finito, poi, per svolgere
le proprie indagini andando alla ricerca di qualche elemento
che potesse consentire un ravvicinamento delle due diverse
7
Per una analisi della nozione di impresa rilevante per il diritto della
concorrenza, tra i tanti contributi, Cfr. AA.VV., La nozione di impresa nel
diritto comunitario, a cura di P. VERRUCOLI, Milano, 1977; S. SPADAFORA,
La nozione di impresa nel diritto comunitario, in Giustizia Civile, 1990, p.
284 ss.; G. GUIZZI, Il concetto di impresa tra diritto comunitario, legge
antitrust e codice civile, in Rivista di diritto commerciale, 1993, I, 277, L. DI
VIA, Impresa, in AA.VV Diritto privato europeo, a cura di N. LIPORI, I
Padova 1997, 252 ss.
14
nozioni, ravvisandone per entrambe l’elemento qualificante
nel momento organizzativo.
8
Una simile conclusione, tuttavia, non appare del tutto
convincente. Proprio perché in questa sede non si tratta di
individuare l’impresa per risalire alla disciplina del soggetto
che la esercita ma di individuarla per regolare il
funzionamento del mercato, non sembra che possa darsi
rilievo determinante ad un profilo, quale quello
organizzativo, di carattere formale.
Tale elemento è certo decisivo ai fini dell’accertamento
dell’esistenza dell’impresa nell’ordinamento interno, perché
è solo un dato di tale natura che giustifica l’applicazione di
una disciplina soggettiva piuttosto di un’altra, essendo
indispensabile, a tal fine, che l’attività d’ impresa si venga a
differenziare sotto un profilo qualitativo rispetto a quegli
altri tipi di attività il cui svolgimento comporta
l’applicazione di un particolare statuto per il soggetto che vi
è preposto.
9
Questo stesso elemento, però, non appare parimente
significativo là dove si tratta di individuare l’impresa per
ricostruire la disciplina del mercato e sanzionare quei
8
E’ questa, infatti, la posizione espressa da P. VERRUCOLI, La nozione di
impresa nell’ordinamento comunitario e nel diritto italiano, in Giustizia
Civile, Milano 1977.
9
G. GUIZZI, Il concetto di impresa tra diritto comunitario, legge antitrust e
codice civile, in Rivista di diritto commerciale, 1993, pp. 280-281.
15
comportamenti che ne alterano l’equilibrio. Il
soddisfacimento di tale esigenza si pone, infatti, ogni qual
volta che vi siano delle alterazioni consistenti senza che
possa avere rilevanza la natura degli atti che producono gli
effetti distorsivi, così come nessuna rilevanza può avere la
circostanza che gli atti siano compiuti o meno
sistematicamente.
Scopo dell’indagine è, dunque, quello di verificare
l’attendibilità delle conclusioni fino ad oggi espresse in
ordine a tale problema della determinazione del concetto di
impresa “comunitaria” e dei suoi rapporti con la nozione
codicistica. Un esame che, del resto, non riveste un interesse
esclusivamente teorico. Una tale considerazione ci sembra,
infatti, oggi particolarmente opportuna ove si consideri
quanto dispone la Legge n.287/90. E’ noto come l’art. 1.4 di
tale testo legislativo stabilisce che la normativa antitrust
deve essere interpretata secondo i principi dell’ordinamento
comunitario vigenti in tema di disciplina della concorrenza.
Detto comma 4° può essere visto come il naturale corollario
al comma 1°. Infatti l’art. 1 dopo aver disciplinato i rapporti
tra ordinamento nazionale e ordinamento comunitario
sancisce che la normativa italiana va applicata in conformità
dei principi comunitari. Lo scopo evidente di questo comma
4° è quello di integrare sempre più e sempre meglio le due