VII
Vittima della mafia, marchiato a fuoco da una scelta che non fu da lui presa
e, nonostante ciò, condannato per questo; ma l’acido utilizzato per
disciogliere il suo corpo non è bastato per farne venir meno la memoria, e
mi piace pensare che se fosse sopravvissuto alla barbara logica mafiosa,
oggi avrebbe trovato la forza e la voglia di intraprendere una vita diversa da
quella che gli fu imposta dal giuramento del padre.
Un pensiero va a tutte le vittime di mafia indistintamente, perché è a loro
che si dedica questa tesi: gente che ha lottato a costo della propria vita,
spesso per proteggere la vita di altri e che ha sacrificato tutto per rendere
una terra, la nostra terra, migliore di quella che è stata in passato.
“Cosa Nostra” è soltanto una delle più brutali passioni a cui l’uomo debole
si abbandona: perché è più facile uccidere e massacrare, piuttosto che vivere
nel rispetto degli altri, e nel momento in cui si è disposti a calpestare la
dignità di un popolo, ecco che Cosa Nostra s’insinua nell’uomo privandolo
della sua umanità.
Ricordando le stragi di mafia, l’uomo potrebbe abbandonarsi a sua volta a
reagire con altrettanta crudeltà e disumanità nei confronti di questa
“Onorata società” e allora non avrebbe alcun senso distinguere tra chi è
mafioso e chi asserisce di non esserlo: che piaccia o no, anche questi
soggetti hanno tutto il diritto di essere tutelati giuridicamente, evitando
vendette che un popolo civile non può permettersi di fare.
Ai giudici Falcone e Borsellino e a tutte le persone che hanno lottato e che
continuano a lottare perché sia fatta giustizia e non vendetta, va il mio più
accorato grazie.
Così come credo sia doveroso rivolgere il mio pensiero a tutte le Forze
dell’Ordine, troppo spesso dimenticate: se oggi Palermo e tutta la nostra
VIII
Sicilia è più serena, è grazie al loro costante impegno e anche, purtroppo, al
sacrificio della loro vita.
Ecco, questa tesi è per tutti quelli che non si rassegnano, per quelli che, al
contrario di quanto dichiarato da tanti “uomini d’onore”, ovvero di aver
giurato fedeltà all’“Onorata famiglia” perché non volevano essere un
“nuddu ammiscato cu nenti”, pensano che ciò che davvero merita il rispetto
degli altri non sia il mettere paura agli inermi, ma il piccolo grande eroismo
quotidiano di vivere con la voglia di porre fine agli atteggiamenti mafiosi e
alle sue inumane regole.
1
INTRODUZIONE
Per rendersi in realtà conto di quanto si affermerà in seguito, occorre
considerare che quella in corso è una vera e propria rivoluzione copernicana
della vita delle organizzazioni mafiose nostrane, in considerazione del fatto
che, in tempi recenti, questi sodalizi hanno dimostrato una grande
padronanza dei meccanismi di funzionamento del mondo imprenditoriale ed
economico, travolgendo lo stereotipo, di origine post-risorgimentale e
modellato sulle figure del brigantaggio ottocentesco, della criminalità
organizzata come fenomeno legato allo sfruttamento parassitario delle
risorse della grande borghesia agraria meridionale.
In questa prospettiva, è agevole costatare come l’asse degli interessi delle
organizzazioni mafiose presenti sul territorio italiano, negli ultimi anni, si è
spostato verso le aree costiere e industrializzate del territorio nazionale,
economicamente più sviluppate e con una presenza imprenditoriale più
strutturata.
Questa evoluzione, dunque, ha reso più insufficienti i modelli interpretativi
tradizionali del ruolo dell’associato e delle relazioni interne alla struttura
associativa delle nostre organizzazioni mafiose, che, in conseguenza di tale
percorso evolutivo, si sono dovute adattare a descrivere un fenomeno
criminale complesso, non inquadrabile secondo schemi semplicistici o
culturalmente superati
1
.
1
A. GIALANELLA, Su di un diritto penale dei patrimoni tra classicità e modernità, in
Pol. del diritto, 2000, 123 ss.
2
In questo contesto, ci si è trovati di fronte ad un modello interpretativo
inadeguato a comprendere la realtà operativa del fenomeno, che non è più
riassumibile all’interno degli schemi esegetici di una struttura
delinquenziale associativa tradizionale confinata all’interno del territorio
nazionale o regionale.
E’ indubbio che le organizzazioni mafiose negli ultimi anni, sono riuscite ad
interferire in modo sistematico con il tessuto produttivo ed economico,
realizzando forme di condizionamento prima impensabili e connotandosi
come un autonomo sistema criminale.
In questo contesto, il riferimento al concetto di sistema criminale, appare
appropriato, in conseguenza del fatto che l’intervento di questi sodalizi
criminali nel tessuto sociale nostrano, ha assunto, con il passare del tempo, i
caratteri di una presenza costante, fondata su una rete di rapporti stabili,
rappresentati dall’utilizzazione di metodologie mafiose in funzione
dell’affermazione di un potere economico monopolistico.
Non v’è dubbio, infatti, che nei sistemi mafiosi si è realizzata una coerenza
intrinseca che costituisce il risultato delle convergenza delle dinamiche che
li caratterizzano, che si fonda sulla coesistenza di una pluralità di fattori,
spesso non riconducibili a unità.
Di conseguenza, è evidente che questo sistema si fonda su una rete
complessa di relazioni funzionali tra le varie componenti che lo
caratterizzano e che non possono essere schematizzate all’interno di concetti
inadeguati.
D’altra parte, il sistema criminale mafioso si è sempre caratterizzato per il
rapporto che ha con l’esterno e con il tessuto economico-sociale sul quale
attecchisce e si alimenta
2
.
2
M. PAVARINI, Lo sguardo artificiale sul crimine organizzato, in AA.VV., Lotta alla
criminalità organizzata: gli strumenti normativi, di G. GIOSTRA e G. INSOLERA (a cura
3
Questa caratterizzazione è ancora più evidente se si considerano le modalità
di infiltrazione dell’organizzazione nel sistema produttivo, che possono
essere comprese solo se si affronta il problema dell’attribuzione dei
comportamenti delittuosi ad una struttura associativa.
Nel corso di questo lavoro, allora, sono stati messi a fuoco gli aspetti più
significativi di questa problematica, focalizzando tutti i profili utili alla
comprensione delle dinamiche che caratterizzano la presenza delle
organizzazioni mafiose nel tessuto nazionale e cercando di enucleare da tale
contesto un modello di analisi comportamentale in sintonia con l’evoluzione
attuale di tali gruppi criminali.
Si è cercato in particolare, attraverso un percorso storico ed interpretativo, di
affrontare la questione dell’individuazione di nuovi modelli di analisi del
fenomeno criminoso, anche alla luce degli accordi internazionali ed europei,
più adeguati a valutarne le dinamiche interne e gli interessi criminali.
Il concetto di criminalità organizzata (o crimine organizzato) è da sempre,
nozione prevalentemente empirico-criminologica, priva di una rigorosa
definizione sul piano legislativo e di un’univoca elaborazione sul terreno
penalistico (si parla di criminalità organizzata in alcune norme del codice di
procedura penale, con riferimento ai reati per i quali hanno competenza le
procure distrettuali antimafia; vi sono riferimenti al termine “criminalità
organizzata” anche in alcune norme dell’ordinamento penitenziario, nonché
in diverse disposizioni contenute nella legislazione via via emanata in tema
di criminalità mafiosa)
3
.
Nell’ambito di questo mio lavoro parlerò di criminalità organizzata, in
alcuni casi, in un senso non strettamente giuridico-normativo, e come
sinonimo di criminalità organizzata di stampo mafioso: essendo, tutt’oggi,
di), Milano, 1995, 78-79.
3
F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, II, Padova, 1997, 500 ss.
4
la mafia la principale forma di criminalità organizzata storicamente presente
nel nostro paese.
La complessità della criminalità mafiosa sul piano storico e criminologico si
riflette anche nella complessità della legislazione antimafia: una legislazione
storicamente stratificata, emanata in diversi periodi storici, quasi sempre
sull’onda di forti emergenze ed in qualche modo affrettato, se non proprio
“ansante” (ne è spia, purtroppo, il frequente ricorso al “ decreto legge”);
trattasi di una normativa eterogenea, che coinvolge quasi tutti i settori
dell’ordinamento: il diritto penale, il diritto penitenziario, il processo penale,
il diritto amministrativo, il diritto costituzionale e degli enti locali.
Ci si imbatte, così, ad una sorta di sistema giuridico a sé o a una sorta di
sottosistema: ma il paradosso, se così si può dire, consiste nel fatto che
questo sistema è sì caratterizzato da specifiche peculiarità, ma risulta essere
per certi versi poco organico, sparso in tante leggi diverse, disordinato e
certamente bisognoso di riordino, di razionalizzazione e di modifiche
migliorative.
Se si getta uno sguardo di sintesi sulle caratteristiche politico criminali di
questo “sottosistema normativo”, la nota saliente è quella di un sistema “a
forbice” di politica sanzionatoria: vi è infatti un utilizzo congiunto di forti
inasprimenti repressivi e di specifiche offerte premiali, rispettivamente per
chi rimane all’interno delle organizzazioni criminali con un atteggiamento
più o meno irriducibile, e per chi invece si dimostra disposto a uscirne
collaborando con la giustizia
4
.
Guardando il problema da tal siffatta prospettiva allora, ci si rende conto di
essere in presenza di una logica utilitaristica “del bastone e della carota”,di
una logica ispirata a forti preoccupazioni di prevenzione generale e
4
A. GIALANELLA, Su di un diritto penale dei patrimoni tra classicità e modernità, in
Pol. del diritto, 2000, 123 ss.
5
caratterizzata da una mentalità pragmatica: interessa di più il successo nella
lotta al crimine organizzato, lo smantellamento delle organizzazioni
criminali, che non il rispetto dei principi fondamentali del garantismo penale
classico.
Di fronte a queste caratteristiche politico-criminali di fondo del sistema,
l’atteggiamento da assumere appare essere quello improntato ad un
approccio critico-dialettico, che guardi alle novità introdotte dalla
legislazione dell’emergenza con maggiore consapevolezza politico-
criminale, ovvero che faccia i conti con le caratteristiche criminologiche
della delinquenza organizzata e che, anziché chiudersi in una nostalgica e
oltre tutto impotente difesa di un presunto diritto penale classico, si sforzi di
riscrivere, di ammodernare le categorie fondamentali del diritto penale,
pensando anche su basi nuove il problema dell’equilibrio tra difesa sociale e
garantismo individuale
5
.
L’esperienza giudiziaria di questi ultimi anni, pone in evidenza una realtà
criminologia della delinquenza mafiosa riassumibile in un quadro d’insieme
caratterizzato nel modo seguente.
Al centro si trova un nucleo solido costituito dalle organizzazioni criminali
vere e proprie con un ruolo dominante ancora esercitato dall’associazione
“Cosa Nostra”.
Tutt’intorno, in una sorta di alone chiaroscurale, ci si trova di fronte ad una
variegata costellazione dei comportamenti “contigui”, cioè esterni alle
organizzazioni, ma ad esse funzionali e pertanto socialmente pericolosi,
provenienti da politici, imprenditori, professionisti.
Questo complesso scenario genera molteplici esigenze di politica criminale,
in non piccola parte tra loro configgenti.
5
D. PULITANO’, La dottrina penalistica italiana alle soglie del 2000, in AA.VV., La
dottrina giuridica italiana alla fine del XX secolo, Milano, 1998, 112 ss.
6
Da un lato, com’è ovvio, vi e una fortissima esigenza di difesa sociale e di
prevenzione-repressione.
Dall’altro, vi sono esigenze di garanzia delle liberta individuali, specie con
riferimento alle attività esterne che rientrano nell’aria ambigua della c.d.
“contiguità”
6
.
L’oggetto del contendere, anche sul terreno dello scontro politico e del
conflitto sociale, è rappresentato dalla delimitazione dell’area, sia del
controllo penalistico, sia delle altre forme del controllo giuridico
extrapenale.
Com’è noto, il nostro ordinamento contiene alcune norme di diritto penale
sostanziale esplicitamente riferite alla criminalità mafiosa, tra le quali spicca
l’ormai celebre art. 416-bis del codice penale che configura il reato di
associazione a delinquere di stampo mafioso.
La relativa fattispecie presenta una struttura molto complessa, anche a causa
della sua fisionomia a prevalente impronta sociologico-ambientale.
Da qui il sorgere, in dottrina, di un dibattito abbastanza articolato e persino
assai raffinato circa la sistemazione dogmatica dei suoi singoli elementi
costitutivi
7
.
Ma quel che merita di essere rilevato è che questo dibattito teorico non ha
per nulla ostacolato la brillante carriera dell’art, 416-bis c.p. nell’ambito
della prassi giudiziaria: la fattispecie dell’associazione mafiosa, per
riconoscimento pressocché unanime dei magistrati, ha funto e continua a
fungere da strumento assai efficace e duttile di repressione delle
organizzazioni criminali.
6
L. EUSEBI, Può nascere dalla crisi della pena una politica criminale?, in Dei Delitti e
delle pene, 1994, Fasc. 3, 94 ss.
7
G.A. DE FRANCESCO, Societas sceleris. Tecniche repressive delle associazioni
criminali, in Riv. it. Dir. e Proc. Pen., 1992, 111.
7
Proprio questa presa d’atto induce a ritenere che gli aspetti più interessanti
sotto il profilo di un approfondimento scientifico riguardino non la
dogmatica in senso tradizionale, bensì il sistema penale in azione e ciò
anche dal punto di vista dei rapporti tra diritto sostanziale e processo
8
.
In questa sede, preme altresì segnalare l’introduzione di un nuovo modello
di confisca penale c.d. allargata (art. 12-sexies l. n. 501/1994), che presenta
la particolarità di incidere non già su cose direttamente pertinenti al singolo
reato, secondo il modello tradizionale di confisca, bensì su interi patrimoni
di sospetta provenienza illecita.
Come specifica peculiarità dell’ordinamento italiano, esiste peraltro un
complesso problema di raccordo tra questa nuova figura di confisca e la
preesistente confisca di prevenzione dai presupposti e dal contenuto in larga
parte analoghi
9
.
Vanno altresì segnalate le disposizioni dell’ordinamento penitenziario che
prevedono appositi benefici premiali per i “pentiti” che collaborano con la
giustizia, e che sono state fatte oggetto di modifiche nel contesto della
legge di riforma della collaborazione giudiziaria.
In proposito, sorge per lo studioso il problema di verificare i limiti di
compatibilità tra le deroghe alla normale disciplina penitenziaria previste
per il trattamento dei collaboratori e gli obiettivi più in generale perseguiti,
dal punto di vista degli scopi delle sanzioni penali, con le alternative alla
detenzione.
8
G. FIANDACA, La criminalità organizzata e le sue infiltrazioni nella politica,
nell’economia e nella giustizia in Italia, in AA.VV., Il crimine organizzato come fenomeno
trans-nazionale, di V. MILITELLO, L. PAOLI, J. ARNOLD (a cura di), Milano, 2000, 249
ss.
9
A. GIALANELLA, Sequestro e confisca penale di cui all’art. 12 sexies l.356/1992:
configurazione dogmatica e rapporti con la confisca prevista dagli artt. 240 c.p. 416 bis,
comma 7°, c.p. e dalle leggi speciali, in Riv. it. Dir. e Proc. Pen., 1999, 136.
8
Assumono altresì rilievo le norme “speciali” sul terreno processuale o
dell’organizzazione giudiziaria, che tengono conto delle particolari esigenze
e della notevole complessità dei processi di mafia
10
.
Si pensi all’istituzione della DNA (direzione nazionale antimafia), nuovo
istituto sotto diversi aspetti “ trasgressivo” rispetto all’organizzazione
giudiziaria tradizionale, con la funzione di organo di coordinamento delle
indagini di mafia su tutto il territorio nazionale.
Alla novità dell’istituto si accompagna peraltro l’oggettiva difficoltà di
verificare, sul terreno empirico, se e in che misura la direzione nazionale
abbia, a partire dalla sua istituzione e sino ad oggi, fornito buona prova sul
terreno del coordinamento, in una prospettiva di stimolo e collaborazione
con gli uffici giudiziari locali
11
.
Minori dubbi invece sussistono rispetto al buon funzionamento delle DDA
ovvero di quelle specifiche sezioni istituite presso le Procure della
repubblica aventi sede nei capoluoghi dei distretti giudiziari, alle quali e
stata devoluta la competenza ad indagare sui reati di criminalità mafiosa.
Va aggiunto in proposito che, se il giudizio è ampiamente positivo per
quanto riguarda l’efficacia delle indagini sul terreno delle responsabilità
penali individuali, non altrettanto può tuttavia dirsi circa l’impegno nelle
indagini patrimoniali necessarie ai fini della confisca dei patrimoni di
provenienza illecita
12
.
Vanno altresì ricordate le specifiche disposizioni che istituiscono una sorta
di embrionale “doppio binario” processuale per i reati di criminalità
organizzata, come ad esempio le norme che rispettivamente prevedono più
incisivi poteri di indagine a carattere patrimoniale, termini maggiori di
10
G.A. DE FRANCESCO, Societas sceleris, op. cit., 89 ss.
11
L. VIOLANTE; Il nuovo processo penale e la criminalità organizzata, Torino, 1990, p.
2048.
12
L. VIOLANTE; Il nuovo processo penale e la criminalità organizzata, op.cit., 2048 ss.
9
durata per le indagini preliminari e per la custodia cautelare, discipline
differenziate per le intercettazioni telefoniche ed ambientali, il ricorso alla
videoconferenza per l’esame a distanza dei collaboratori di giustizia
nell’ambito del dibattimento ecc.
13
Nell’ambito della normativa di contrasto assume un ruolo tutt’altro che
secondario il sottosistema delle misure di prevenzione, di natura sia
personale (sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo o divieto
di soggiorno in un determinato comune), sia patrimoniale (sequestro e
confisca dei beni di provenienza illecita).
Può ben dirsi che l’arsenale delle misure preventive connota in maniera
specifica, anche sul piano storico e simbolico, la risposta dello Stato italiano
alla criminalità mafiosa
14
.
Ma assistiamo in proposito ad una sorta di curioso paradosso: nate già nel
secondo ottocento sotto l’etichetta di “pene del sospetto”, o “stampelle di
una repressione incapace di avviarsi per la via maestra del normale processo
penale, le misure di prevenzione si sono andate via via trasformando in un
moderno ed originale strumento di politica criminale parallelamente
all’introduzione e allo sviluppo della prevenzione “patrimoniale”: si allude
all’introduzione nell’ordinamento italiano, con la legge Rognoni-La Torre
del 1982, delle misure del sequestro e della confisca dei patrimoni di
provenienza illecita
15
.
Si tratta verosimilmente della parte più espressiva della legislazione italiana,
anche perché essa prevede che i beni già confiscati possano essere assegnati
13
G. FIANDACA, La criminalità organizzata e le sue infiltrazioni nella politica,
nell’economia e nella giustizia in Italia, in AA.VV., Il crimine organizzato come fenomeno
trans-nazionale, di V. MILITELLO, L. PAOLI, J. ARNOLD (a cura di), Milano, 2000, 265
ss.
14
L. FERRAJOLI, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Roma-Bari, 1995, 328.
15
E.U. SAVONA, Un settore trascurato: l’analisi economica della criminalità, del diritto
penale e del sistema di giustizia penale, in Soc. Dir., 1997, p. 225.
10
ai comuni in vista di una loro utilizzazione a fini sociali (si pensi alla
confisca di un edificio o di un albergo di proprietà di un mafioso, che
successivamente viene utilizzato come scuola pubblica, come sede di un
ufficio di polizia o di una associazione culturale ecc.)
16
.
Oggi, da parte di non pochi, si riconosce che il sistema della prevenzione
possa emanciparsi dalle storiche riserve di sospetta incostituzionalità quanto
più la prevenzione patrimoniale acquisti carattere autonomo, sganciandosi
dal rapporto di tradizionale pregiudizialità applicativa rispetto alle misure di
prevenzione personali.
In altri termini, occorre modificare la normativa attuale in modo da poter
disporre il sequestro e la confisca dei patrimoni a prescindere dalla previa
applicazione della sorveglianza speciale della cui effettiva utilità ormai da
tempo legittimamente si dubita.
Ed è proprio in questa prospettiva riformistica che si inquadrano le scelte di
fondo che si ispirano ad un riordino della normativa vigente.
Per ciò che concerne gli strumenti di prevenzione e repressione delle forme
di “contiguità” alla mafia, anche in proposito vengono in questione
strumenti normativi che appartengono a settori diversi dell’ordinamento:
disposizioni inserite nella disciplina delle misure di prevenzione che
prevedono misure a carattere inibitorio o interdittivo nei confronti dei
destinatari della sorveglianza speciale e cioè decadenze da licenze,
autorizzazioni o altri provvedimenti lato sensu, concessioni della Pubblica
Amministrazione, divieti di ottenere licenze o autorizzazioni, divieti di
ricevere finanziamenti o mutui ecc.(norme analoghe sono previste per i
soggetti condannati in via definitiva per associazione mafiosa).
16
A. GALASSO, L’impresa illecita mafiosa, in AA.VV., Le misure di prevenzione
patrimoniali teoria e prassi applicativa, di V. MILITELLO, L. PAOLI, J. ARNOLD (a
cura di), Milano, 2000, 302 ss.
11
Vi sono anche delle misure, sempre a carattere preventivo, dirette a
neutralizzare le infiltrazioni della mafia nell’economia, e quindi ad incidere
sulle diverse forme di condizionamento che le organizzazioni mafiose
esercitano sulle imprese, come la sospensione dall’amministrazione dei beni
(art. 3-quater l. n. 575/1965): di auspicata efficacia al momento della sua
introduzione legislativa, questo istituto si è rivelato di scarso rilievo nella
prassi anche a causa di una poco felice disciplina testuale dei suoi
presupposti applicativi
17
.
Disposizioni amministrative dirette a colpire le infiltrazioni della mafia nelle
amministrazioni politiche locali, come lo scioglimento, ad opera della
presidenza del consiglio dei ministri, dei consigli comunali e provinciali
inquinati da collegamenti diretti o indiretti di singoli amministratori con
esponenti della criminalità organizzata; nonchè, disposizioni che prevedono
limitazioni dell’elettorato passivo, la sospensione e la decadenza dalle
cariche di consigliere regionale, provinciale o comunale per i soggetti
condannati o rinviati a giudizio per reati di mafia.
Qualche accenno, infine, ad alcune norme di diritto penale sostanziale.
Dal punto di vista dei rapporti tra criminalità mafiosa ed economia vengono
in questione le disposizioni incriminatrici sul riciclaggio, nonché la figura di
reato prevista dall’art. 531-bis c.p., introdotta con la legge Rognoni-La
Torre del 1982, che incrimina l’illecita concorrenza con violenza o
minaccia: tale fattispecie è risultata nella prassi di scarsissima efficacia, a
dispetto del suo forte richiamo simbolico.
Con ogni probabilità questo scarso rendimento pratico è dovuto anche in
questo caso ad un infelice tecnica di formulazione normativa.
17
A. GALASSO, L’impresa illecita mafiosa, in AA.VV., Le misure di prevenzione
patrimoniali teoria e prassi applicativa, op.cit., 312.
12
Quanto ai rapporti tra mafia e politica, viene in rilievo il reato di scambio
elettorale politico-mafioso, previsto dall’art. 416-ter c.p.
È innegabile, come peraltro è stato più volte rilevato, che si tratta di una
fattispecie frutto di un compromesso politico “dell’ultima ora”, che solo può
spiegarne la difettosa formulazione dovuta al timore di un’eccessiva
dilatazione del controllo penale in materia.
Sullo stesso piano socio-criminologico, risulta errata la scelta legislativa di
subordinare la rilevanza penale del patto tra candidato e mafia al solo
scambio denaro-voti, di fronte al dato di esperienza secondo cui ai sodalizi
mafiosi interessano soprattutto controprestazioni consistenti in favori di ben
altra natura, come concessioni di appalti, aggiustamenti di processi ecc.
18
Per rimediare al deficit d’effettività dell’art. 416-ter c.p., è dunque
necessaria una modifica legislativa diretta ad ampliare l’ambito delle
controprestazioni che il politico si impegna a pattuire in cambio
dell’appoggio mafioso.
Sul terreno del diritto penale sostanziale altresì, il più importante e non a
caso discusso strumento di controllo giudiziario è costituito dall’ormai
celebre istituto del “concorso esterno” nell’associazione mafiosa.
Contrariamente ad un’opinione diffusa, la valorizzazione giurisprudenziale
del concorso esterno non è invero scoperta o novità della giurisprudenza
degli ultimi anni: per quanto sorprendente possa apparire, l’applicazione
delle norme sul concorso criminoso al reato di associazione per delinquere
ha fatto la sua comparsa sulla scena giudiziaria già nel lontano 1875 ad
opera della Corte di cassazione di Palermo
19
.
18
F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, II, Padova, 1997, 520 ss.
19
Sentenza 17 giugno e 1 luglio 1875 riprodotte in G. NEPPI MODONA, Criminalità
organizzata e reati associativi, Milano, 1994, 272 ss.