Da sempre, la corruzione nei traffici commerciali
4
, il cui fenomeno ha assunto dimensioni
ancora maggiori in considerazione della globalizzazione dei mercati, ha rappresentato un
problema difficilmente risolvibile. La minaccia da ciò derivante, che grava sul corretto
svolgimento della libera concorrenza e dei mercati internazionali, è resa ancora più grave dalla
eterogeneità delle politiche antirepressive adottate dai singoli Stati, del tutto insufficienti a
fronteggiare una situazione diventata una vera e propria piaga, passando dall’essere un
problema del singolo Stato a uno riguardante l’intera comunità.
Per comune volontà si è, quindi, giunti da parte delle più grandi organizzazioni internazionali -
tra cui l’Unione Europea - alla stesura di progetti unitari che prevedano l’adozione, da parte
degli Stati aderenti, di strumenti normativi e repressivi omogenei.
A livello internazionale, è stata elaborata dall’OCSE la Convenzione
5
per la repressione della
corruzione nell’ambito delle transazioni economiche internazionali, che prescrive di «adottare
le misure necessarie per stabilire la responsabilità delle persone giuridiche per la corruzione di
un pubblico ufficiale straniero» per ottenere indebiti vantaggi in operazioni economiche
internazionali (artt. 1 e 2 della Convenzione), e prevede, eventualmente, l’applicazione di
sanzioni non penali, «efficaci, proporzionate e dissuasive», tra cui anche quelle pecuniarie, «se
4
Come riporta ZANALDA, La responsabilità “parapenale” delle società. La l. 29 settembre 2000, n. 300 e il principio
societas delinquere non potest, in Il fisco, 2001, n. 46, 6346 ss., il problema in questione venne affrontato per la prima volta
con riferimento al caso Lokeed che, nel 1977, coinvolse gli Stati Uniti e i funzionari di Paesi europei -tra cui l’ Italia- in un
traffico di tangenti. In seguito allo scandalo, alle società americane fu fatto divieto di finanziare con i propri fondi le tangenti a
funzionari di paesi esteri, venendosi così a trovare in una situazione concorrenziale sfavorevole rispetto a quelle imprese di
altri Stati in cui le tangenti non erano penalmente perseguite. La pressione, successivamente esercitata dagli Stati Uniti sugli
altri Paesi, era volta a limitare i fenomeni di corruzione sui mercati internazionali e ad adottare opportuni provvedimenti anche
in quegli Stati dove, addirittura, era prevista «la deducibilità fiscale delle tangenti versate a funzionari stranieri per avere un
vantaggio economico».
5
La Convenzione si presenta caratterizzata dall’intento comune degli Stati aderenti, non solo di prevenire e reprimere il
pagamento di tangenti da parte delle loro imprese verso funzionari di paesi terzi, ma anche di combattere la c.d. corruzione
passiva, cioè le manifestazioni di tolleranza da parte dei Paesi nei confronti dei propri funzionari corrotti. Ulteriore scopo della
Convenzione è di tutelare la concorrenza internazionale, evitando che questa possa essere falsata dal ricorso a strumenti
inammissibili, come le tangenti. La Convenzione OCSE, che apre la porta a successive iniziative da parte dell’ONU, è un
primo esempio di uniformazione della disciplina penale operata nel commercio internazionale. Atipica è la struttura data al
modello: le norme, tra cui compaiono anche norme non penali, in generale non sono self-executing e, inoltre, molte di queste
indicano solo i contenuti fondamentali a cui le nazioni dovranno poi attenersi. Tale impostazione è stata appropriatamente
scelta in considerazione delle diverse strutture dei sistemi penali e dei differenti principi a cui le persone giuridiche sono
assoggettate nei vari ordinamenti giuridici.
nel sistema giuridico di una Parte, la responsabilità penale non è applicabile alle persone
giuridiche» (art. 3, comma 2).
Per quanto riguarda il panorama europeo, diverse sono le sollecitazioni che vedono come
soggetti le persone giuridiche, in primis, il c.d. diritto penale comunitario (artt. 85 e 86 del
Trattato), che rappresenta un campo di sperimentazione per la disciplina sanzionatoria relativa
alle imprese.
La Raccomandazione N.R.(88)18 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, in
considerazione del crescente numero di reati relativi all’esercizio dell’attività d’impresa,
riconosce «l’opportunità di attribuire la responsabilità proprio là dove si ottiene il beneficio
derivante dall’esercizio dell’attività antigiuridica», prevedendo, quindi, la responsabilità delle
persone giuridiche anche nel caso in cui non si scopra l’autore o l’offesa sia estranea agli scopi
dell’impresa. In questi casi la sanzione penale è raccomandata quando lo richiedono «la natura
dell’offesa, la colpa, le conseguenze per la società e le necessità di prevenzione».
Una responsabilità diretta delle persone giuridiche, anche se non necessariamente penale, è
inoltre contemplata dal Protocollo addizionale alla Convenzione
6
sulla protezione degli interessi
finanziari delle Comunità Europee (c.d. Convenzione UE), che impone a ciascun Stato membro
di «adottare le misure necessarie affinché le persone giuridiche possano essere dichiarate
responsabili della frode, della corruzione attiva e del riciclaggio di denaro commessi a loro
beneficio da qualsiasi persona che agisca individualmente o in quanto parte di un organo della
persona giuridica, che detenga un posto dominante in seno alla persona giuridica»; ancora
prima, nel 1996, la medesima materia era stata affrontata nel Primo Protocollo alla
Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari della Comunità europea (c.d. Primo
Protocollo P.I.F .).
Seguendo questa linea si è giunti, nel 1998, all’azione comune sull’incriminazione del reato di
appartenenza ad un’organizzazione criminale, con la quale si invita ogni Stato membro ad
assicurare che le persone giuridiche siano considerate responsabili penalmente, o ad altro titolo,
in relazione ai reati oggetto dell’azione - precisando che tale forma di responsabilità della
persona giuridica non compromette la responsabilità delle persone fisiche che realizzano i reati-
e siano penalizzate in maniera effettiva, proporzionata e dissuasiva (integrando, quindi, le
6
Convention on combating bribery of foreign pubblic officials in international business transaction, Paris, 17.12.1997, in Riv.
it. dir. pen. proc., 1998,
disposizioni già proprie della Convenzione OCSE), attraverso l’imposizione di sanzioni
materiali ed economiche nei confronti dei soggetti in questione.
Nella stessa direzione si pronuncia la Convenzione delle Nazioni Unite 2000 contro il crimine
organizzato transnazionale, in cui si precisa che deve essere responsabilizzata la persona
giuridica che partecipa o alla consumazione di gravi reati, nei quali sia coinvolta
un’organizzazione criminale, o alla realizzazione dei reati previsti
7
nella Convenzione; la
responsabilità può essere di tipo civile, penale o amministrativa.
Concludendo, i vari accordi internazionali sulla lotta alla corruzione hanno offerto la possibilità
di introdurre un unicum nel panorama delle legislazioni europee, sia con riguardo ai presupposti
di imputazione della responsabilità, sia con riguardo alle tipologie sanzionatorie e ai
meccanismi di applicazione.
7
Questi sono: la partecipazione ad un’organizzazione criminale, il riciclaggio, la corruzione di pubblici funzionari, attività di
ostruzionismo contro l’amministrazione della giustizia.
2. La scelta italiana:
2.1 La legge 29 settembre 200, n. 300
L’Italia si è, in questa direzione, impegnata a prevedere dei paradigmi di responsabilità per le
persone giuridiche, che all’estero sono vigenti da tempo, anche se con forme e caratteristiche
diverse
8
.
8
A livello europeo vi sono paesi che hanno superato ormai da tempo le difficoltà dovute al principio societas delinquere non
potest, prima tra tutti la Francia che ha previsto l’introduzione di un modello di responsabilità diretta, ed eventualmente
concorrente con quella delle persone fisiche, delle personnes morales. Tra l’altro, nella prassi applicativa emerge la tendenza a
ricostruire la colpevolezza, o comunque un dolo o colpa, riconducibili propri ed esclusivi della persona giuridica. Cfr. Trib.
Corr. Paris, 3 novembre 1995, in Droit social, 1996, 157, con nota di COEURET. In posizioni “di retroguardia”, come
riportato da DE SIMONE, Il nuovo codice francese e la responsabilità penale delle personnes morales, Riv. it. dir. proc. pen.,
1995, 189, si trovano, invece, Germania e Spagna. Per quanto riguarda la Germania, il quadro dottrinale è fin troppo
complicato: preme ricordare che, negli ultimi anni, una parte autorevole della dottrina sta spingendo per il riconoscimento di
una responsabilità autenticamente penale di persone giuridiche e associazioni. Paradossale, invece, la situazione della Spagna.
Da un lato imponendo, come Germania e Portogallo, il limite costituzionale della colpevolezza per la responsabilità penale,
nega la responsabilità penale delle persone giuridiche, ma, dall’altro, prevede che queste possano essere sanzionate
amministrativamente. (In pratica il sistema è analogo a quello introdotto recentemente in Italia, con la sola differenza che,
nella previsione spagnola, la sanzione è applicata direttamente dall’autorità amministrativa). La questione è stata oggetto
dell’attività del tribunale costituzionale che nella sentenza n. 246/1991 ha affermato la compatibilità della responsabilità delle
persone giuridiche con il principio di colpevolezza, prevedendone l’applicazione anche nel diritto sanzionatorio
amministrativo, anche se con gli opportuni adattamenti considerando che si tratta di persona giuridica. Si configura una
sottospecie di “responsabilità propria”, per carenza di organizzazione, dato che non garantisce che i propri dipendenti
adempiano alla normativa.
Il dibattito spagnolo sulla possibile nuova introduzione della responsabilità nei confronti di persone giuridiche si è
recentemente riacceso con l’introduzione dell’art. 129 del nuovo codice penale, riguardante «las conseguencias accesorias».
E’ un precetto misto che include misure di carattere processuale e sostanziale ed è proprio la loro natura giuridica che induce
la dottrina spagnola ad avere perplessità sulla loro eventuale catalogazione tra le categorie di responsabilità penale o
amministrativa. Senza soffermarmi troppo su questo aspetto che attiene alla disciplina sostanziale spagnola, volevo solo
sottolineare come l’irrogabilità della sanzione che prescinde da una condanna penale si pone come responsabilità autonoma al
pari della soluzione adottata dal legislatore italiano. Cfr. SANTI, La responsabilità delle società e degli enti. Modelli di
esonero delle imprese, Milano, 2004, 26; altresì, BACIGALUPO, La responsabilidad Penal de las personas juridicas,
Barcelona, 1998, 105; analogamente MIR PUIG e LUZON PENA, Responsabilidad penal de las empresas y sus organos y
responsabilidad por el producto, Milano, 1996, 22 ss.
Nel contesto storico descritto si inserisce, dunque, la normativa italiana del nuovo decreto
legislativo sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche; manovre precedenti per
delineare una forma di responsabilità a carico degli enti erano state sviluppate in un arco di
tempo relativamente recente, tra il 1997 e il 2000.
Tra i primi antecedenti alla normativa in esame è utile ricordare la legislazione in materia
ambientale, con la quale si è passati da un modello puramente risarcitorio derivante dalla
responsabilità civile, alla previsione di sanzioni direttamente a carico dell’ente. L’iniziativa,
però, insieme ad altre, si risolve in nulla, viste le forti resistenze alle innovazioni
9
da parte del
nostro sistema.
Per avere una svolta sostanziale nel sistema penalistico italiano si deve aspettare il 2000,
quando con la legge 29 settembre 2000, n. 300, il legislatore italiano ratifica e dà esecuzione
alle tre Convenzioni, - in riepilogo: Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle
Comunità europee, Convenzione relativa alla lotta contro la quale sono coinvolti funzionari
delle Comunità Europee o degli stati membri dell’Unione europea, Convenzione OCSE sulla
lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali -
rappresentando il primo intervento
10
adottato per adeguarsi all’ampio movimento di riforma
della politica internazionale.
9
Per un quadro sui precedenti tentativi di attribuzione di responsabilità alle persone giuridiche nel nostro ordinamento, si
faccia riferimento a SANTI, op. cit., 35, e, in aggiunta, ALESSANDRI, Riflessioni penalistiche sulla nuova disciplina, in AA.
VV., La responsabilità amministrativa degli enti. D. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, Milano, 2002, 39.
10
Il processo di ratifica ed esecuzione della Convenzione è stato complesso, con tratti «che osiamo definire “pirandelliani” -
con riguardo alla legge delega - e “kafkiani” - quanto al decreto n. 231 del 2001». Il ritardo, con cui l’Italia si è adeguata al
panorama internazionale, è comunque in parte giustificato vista la volontà politica e amministrativa di procedere
contemporaneamente alla ratifica della Convenzione e alla sua piena attuazione, deliberando subito circa l’idoneità del nuovo
sistema sanzionatorio rispetto ai principi del nostro diritto penale. Difatti, è stato necessario, in seguito all’introduzione di
nuove ipotesi di reato, un preliminare adattamento del nostro ordinamento, poiché in materia penale vige il principio di
tassatività e legalità, per cui sarebbe stato impossibile legiferare mediante rinvio, partendo da un generico obbligo
internazionale penalistico. Le modalità con cui l’Italia ha proceduto «le fanno onore», soprattutto in comparazione alle
esperienze di altri Paesi, che, pur avendo provveduto più celermente a ratificare la Convenzione, non hanno però previsto
norme di attuazione adeguate tanto da essere poi richiamati sul punto dallo stesso Gruppo OCSE. Cfr. SACERDOTI, a cura
di, La responsabilità d’impresa e strumenti internazionali anticorruzione. Dalla Convenzione OCSE 1997 al decreto n.
231/2001, Milano, 2003, 80 ss.
Con tale procedimento la legge delega emana delle disposizioni direttamente attuative delle
stesse Convenzioni, provvedendo, altresì, a modificare il codice penale
11
; il profilo che qui
preme evidenziare è che la legge delega, solo apparentemente, dà attuazione alla Convenzione
OCSE quando delega il Governo ad emanare un decreto legislativo che abbia ad oggetto «la
disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle società,
associazioni o enti privi di personalità giuridica che non svolgono funzioni di rilievo
costituzionale»
12
. Si parla, in proposito, di “apparente attuazione” in quanto, nel dettare i
principi all’art. 11 della legge delega, vi è l’intenzione di statuire una disciplina più ampia di
quella delineata dalla Convenzione stessa: in pratica, da un lato la delega recepisce e attua
pienamente le indicazioni dell’accordo OCSE; dall’altro, provvede a completarne
l’adeguamento.
Sin dall’inizio la delega ha affrontato tre nodi cruciali, che avrebbero poi condizionato
l’attuazione della stessa da parte del legislatore delegato.
Innanzitutto, una delle questioni dibattute dal Parlamento, in sede di delega, era quella relativa
sia ai presupposti di responsabilità dell’ente per i reati commessi da persone fisiche, sia al
quadro sanzionatorio. Da un lato, era necessario individuare i criteri d’imputazione dei reati
commessi dai subordinati, in modo che l’ente rispondesse solo per fatto proprio; dall’altro, era
necessario fissare criteri e principi direttivi quanto più vincolanti per le sanzioni e i relativi
meccanismi di applicazione, per assicurarne il rigore repressivo e le finalità preventive.
Secondo punto da considerare era il catalogo dei reati da cui far dipendere la responsabilità
della persona giuridica: accanto ad una soluzione restrittiva, era stata prospettata l’ipotesi di più
ampio respiro includendo, oltre a corruzione e frode, anche le altre significative fattispecie di
criminalità d’impresa.
La terza questione da considerare, la più cruciale nel disciplinare il paradigma del nuovo
sistema sanzionatorio, destinato a soggetti diversi dalle persone fisiche, era relativa alla natura
giuridica della responsabilità dell’ente.
Sul punto gli accordi internazionali non hanno dato risoluzioni chiarificatrici, considerando che
l’imposizione di un tipo di responsabilità penale avrebbe incontrato, in sede di attuazione, degli
11
Sono stati inseriti gli artt. 316 ter e 322 bis - che introducono nuove fattispecie di frode comunitaria e non, da estendere a
funzionari C.E. e ai pubblici ufficiali, anche stranieri, coinvolti in operazioni economiche internazionali di corruzione e
concussione - 322 ter e 640 quater c.p.
12
Come sostenuto da GUERNELLI, La responsabilità delle persone giuridiche nel diritto penale amministrativo interno dopo
il d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in Studium Juris (I), 2002, n. 3, 410.
ostacoli non facilmente superabili, soprattutto in quegli ordinamenti in cui, ragioni di ordine
costituzionale, limitano la responsabilità alle sole persone fisiche
13
.
In sintesi, il nostro sistema sanzionatorio si presenta come sistema binario in cui un ramo è
incentrato sulla competenza dell’autorità giudiziaria penale, l’altro è di competenza dell’autorità
amministrativa: nel tratteggiare la responsabilità degli enti, il legislatore non poteva tralasciare
questa sua peculiarità.
Per molti Autori, quindi, il legislatore non ha fatto altro che inserire un tertium genus
14
di
responsabilità - trasformando il sistema in triplo binario - a cui ha dovuto attribuire il nomen
juris di “responsabilità amministrativa dell’ente per illeciti dipendenti da reato”. I sostenitori di
questa linea interpretativa ritengono che il legislatore abbia introdotto una forma di
13
Primo esempio tra tutti è proprio l’ordinamento giuridico italiano, con riferimento al disposto dell’articolo 27 della
Costituzione, che sembrerebbe impedire la configurazione di una responsabilità penale dell’ente. E’, difatti, la definizione di
responsabilità penale come «personale», che implicherebbe un ostacolo al superamento del principio “societas delinquere non
potest”. Discordanti i pareri della dottrina: da una parte, interpretando il dettato nel senso di «responsabilità penale per fatto
proprio», si fa derivare da questo la necessità che il reato sia ricollegabile causalmente al soggetto agente, quindi, attribuendo
il fatto proprio al comportamento dell’agente e non alle caratteristiche soggettive di questo. In questa direzione non deriva,
come conseguenza, una preclusione costituzionale all’estensione della responsabilità penale anche in capo alla persona
giuridica. Problematica, invece, la posizione di altra parte della dottrina, che ritiene di interpretare il termine “responsabilità
personale” come responsabilità personale per fatto proprio “colpevole”: con ciò si vuole indicare che il fatto colpevole è
attribuito al soggetto agente non solo per un criterio oggettivo, bensì anche per un criterio soggettivo, ossia dolo o colpa dello
stesso. Questi sono elementi difficilmente riconducibili ad una persona giuridica, a cui l’evento non può essere
rimproverabile, in quanto da lui non direttamente controllabile. A rafforzare ciò si aggiunga il disposto dell’art. 27, comma 3
Cost., secondo cui la pena ha funzione rieducativa, quindi risulta impossibile concepire che tale finalità sia perseguita nei
confronti di un ente al quale il comportamento riprovevole non è né riconducibile né rimproverabile. Come conclude sul
punto ZANALDA, op. cit., 6350, «le difficoltà pertanto sollevate per l’introduzione della responsabilità penale della persona
giuridica, sono ricollegate ad una scelta di politica criminale del legislatore ordinario, suscettibile di futura evoluzione». Cfr.
FOGLIA MANZANILLO, La responsabilità penale delle persone giuridiche alla luce dei principi costituzionali, in
www.cahiers.org. Secondo CARBONE, La nuova disciplina della responsabilità amministrativa delle società, in Danno e
Responsabilità, 2002, 237 ss., così come in altri Paesi, che hanno adottato la soluzione penalistica, anche il legislatore italiano
ritiene ormai che il principio della natura personale della responsabilità penale, sancito dall’art. 27 Cost., non contenga il
divieto di forme di responsabilità di soggetti diversi dalle persone fisiche. Nonostante questo, a parere di ARENA, La
responsabilità dell’ente nell’ordinamento giuridico italiano, in www.diritto.it, proprio per evitare uno scontro frontale con il
principio della personalità della responsabilità penale, il legislatore delegante avrebbe adottato, per il nuovo modello,
l’etichetta di “responsabilità amministrativa”.
14
ALESSANDRI, Note penalistiche sulla nuova responsabilità delle persone giuridiche, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2002, 33,
rileva le difficoltà pratiche a considerare la responsabilità puramente amministrativa, così come per il condurla in un alveo
penalistico, asserendo comunque di essere lontano da quelle posizioni dottrinali che forniscono «ambigue soluzioni in chiave
di tertium genus».
responsabilità “ibrida”
15
, che integra l’illecito amministrativo tradizionale all’illecito penale
coniugando, a detta della stessa Relazione allo schema di decreto legislativo, «i tratti essenziali
del sistema penale e di quello amministrativo nel tentativo di contemperare le ragione
dell’efficacia preventiva con quelle, ancor più ineludibili, della massima garanzia». In realtà, è
«arduo individuare connotati caratteristici di un tale nuovo preteso genus di illecito (diversi dai
caratteri e dai presupposti propri della responsabilità penale o della responsabilità
amministrativa) che in esso dovrebbero coniugarsi»
16
.
In una diversa prospettiva
17
, invece, la definizione del legislatore delegato non avrebbe una
valenza giuridica significativa, in quanto si tratterebbe a tutti gli effetti di responsabilità penale.
Basti pensare, a supporto di questa tesi, al meccanismo di irrogazione delle sanzioni, modellato
sul processo penale; all’Autorità competente ad irrogare le sanzioni, che è il giudice penale;
15
In questo senso anche ZANALDA e BARCELLONA, Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche nel processo
penale. Riflessioni sul decreto legislativo, in Il fisco, 2001, n. 21, 4 ss, che ricavano la natura ibrida della responsabilità anche
dal disposto all’art. 2 sul principio di legalità, enunciazione inutile se fosse stata introdotta una responsabilità amministrativa o
penale ordinaria, in quanto principio già ampiamente riconosciuto sia in una che nell’altra materia. Dello stesso parere
SANTAMARIA, La responsabilità amministrativa del d. lgs. n. 231/2001, in Il fisco, 2001, n. 35, 11586 ss., che dà una
definizione in termini di responsabilità amministrativa-penale, giustificando la stessa in considerazione che i principi generali
di natura sostanziale o procedimentale sono diversi sia da quelli previsti per i reati nel codice penale, sia da quelli previsti per
le sanzioni amministrative. Cfr. anche CAPUTI, La nuova disciplina degli illeciti penali ed amministrativi concernenti società
commerciali e la responsabilità amministrativa degli enti, in Il fisco, 2002, n. 20, 3069. Da evidenziare il contributo di
CARACCIOLI, La responsabilità penale delle persone giuridiche in Belgio e il mancato decollo della riforma italiana, in Il
fisco, 2002, n. 20, 5839, che pur riconoscendo la natura ibrida del sistema introdotto, ritiene che il legislatore avrebbe dovuto
propendere più opportunamente per una vera e propria responsabilità penale, sostitutiva di quella della persona fisica, da
dichiararsi solo nel caso in cui il fatto criminoso fosse stato effettivamente attribuibile alla persona giuridica in quanto tale.
16
RORDORF, Prime e sparse riflessioni sulla responsabilità amministrativa degli enti collettivi per reati commessi nel loro
interesse o a loro vantaggio, in AA. VV., La responsabilità amministrativa degli enti, cit.,Milano, 2002, 11 ss.
17
Da ricordare PALIERO, Il d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231: da ora in poi, societas delinquere (et puniri) potest, in Corr. Giur.,
2001, n. 7, 845 ss., che ricava la responsabilità penale non solo dalla cognizione di tali illeciti, interamente devoluta al giudice
penale, ma anche dalla connessione diretta con la commissione di reati e dall’autonomia della responsabilità dell’ente rispetto
a quella dell’autore del reato persona fisica. Analogamente OLIVO, La responsabilità amministrativa degli enti per illeciti
dipendenti da reato, in www.reatisocietati.it; TRAVI, La responsabilità della persona giuridica nel d. lgs. n. 231/2001: prime
considerazioni di ordine amministrativo, in Le società, 2001, n. 11, 1305 ss.; BERSANI, La responsabilità degli enti per la
commissione di reati da parte dei dirigenti e dei sottoposti ai sensi del d. lgs. n. 231/2001: l’efficacia esimente dei modelli
organizzativi idonei a prevenire la commissione dei reati, in Impresa c.i., 2003, n. 7-8, 1146 ss; ancora, BARBUTO,
Aggiornamento sulla responsabilità amministrativa (o para penale) delle società, in Il fisco, 2002, n. 16, 1- 2345; lo stesso
Autore in Responsabilità delle società per reati commessi a suo vantaggio: è in vigore dal 4 luglio 2001 il D. Lgs. n.
231/2001, in Impresa c.i., 2001, n. 6, 2307, per risolvere l’equivocità del nomen dato dal legislatore, suggerisce l’utilizzazione
del termine “responsabilità sanzionatoria” «per prendere le distanze semantiche sia dalla responsabilità penale sia da quella
amministrativa, pur senza negare le rassomiglianze inevitabili e le comuni matrici di modellazione giuridica».
all’Autorità competente a contestare l’illecito, che è il pubblico ministero; al sistema di
memorizzazione delle condanne, che è inquadrato nell’ambito del Casellario Giudiziale penale,
pur essendo stato denominato “Anagrafe nazionale delle sanzioni amministrative”.
Si tratta, quindi, di “frode delle etichette”
18
?
18
Cit. MUSCO, Le imprese a scuola di responsabilità tra pene pecuniarie e misure interdittive, in Dir. Giust., 2001, n. 23, 8;
altresì, FIANDACA e MUSCO, Diritto penale. Parte generale, IV ed., Bologna, 2001; e ancora, CONTI, a cura di, La
responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, Abbandonato il principio societas delinquere non potest?, in Il diritto
penale dell’impresa, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da Galgano, Padova, 2001,
57, il quale lamenta «un mascheramento legislativo di veri e propri reati indicati come illeciti amministrativi per superare
remore costituzionali».