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FIAT. Colpito da scandali finanziari di inaudita gravità (il “crack” PARMALAT, il
“default” delle obbligazioni CIRIO, solo per citare alcuni esempi) il Paese non ha
saputo trovare l’ “antidoto” (non solo in campo legislativo – vedi “Sarbanes Oxley”) ad
una crisi del sistema finanziario che ha messo in ginocchio l’intera credibilità delle
istituzioni garanti del corretto funzionamento di un’economia di mercato (che si è
protratta fino alla dimissioni del Governatore della BANCA d’ITALIA Antonio Fazio).
Tali incertezze, dunque, non hanno fatto altro che determinare uno stato di
isolamento della proprietà FIAT che ha dovuto far fronte agli impegni finanziari di
ricapitalizzazione a caro prezzo visto il giudizio altamente negativo delle agenzie di
“rating” internazionale (le obbligazioni FIAT sono state classificate alla stregua di
“junk bonds”).
Vincolata alle inefficienze dei mercati finanziari (su tutte la “bolla” speculativa
della “new economy”; la cosiddetta “esuberanza irrazionale” dei mercati finanziari più
volte stigmatizzata dall’ icòna della finanza, l’ex governatore della “Federal Reserve”
Alan Greenspan) e con un’offerta di prodotti poco competitiva, la FIAT si è trovata
ben presto di fronte alla scelta costituita dalla cessione della grande “malata” del
gruppo (la FIAT Auto S.p.a.) ed alla frenetica politica di dismissioni, per tappare le
falle di un bilancio consolidato sempre più critico. Ebbene, dimostrando un coraggio
proverbiale, la famiglia Agnelli si è accollata la responsabilità di proseguire il
cammino imprenditoriale con il proprio “core business” deviando da quel percorso
manageriale che l’aveva portata a lambire un territorio assai più profittevole per i
tempi quale quello energetico (operazione ITALENERGIA – 2 luglio 2001)
3
.
Se si analizza certosinamente la strategia a livello “corporate” degli ultimi sei
anni si nota come quella auspicata diversificazione produttiva tanto cara al dott.
Romiti ed a una parte consistente dell’ “establishment” finanziario italiano abbia
trovato poi finalmente una sua più marcata definizione e compiutezza. L’acquisita
3
COMITO V., “L’ultima crisi – La fiat tra mercato e finanza”, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli, 2005,
(pag.68).
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«coerenza strategica» dei piani industriali non si deve però ad un’impostazione del
management bensì alla grande esigenza di “fare cassa”. Del resto se si
contestualizza la tesi della diversificazione con l’eterno assioma della “ciclicità” del
settore automobilistico mondiale
4
si giunge anche alla conclusione “romitiana” che
obbliga (e non consiglia) un graduale sganciamento delle attività del gruppo da un
settore “maturo”, a scarsa redditività e senza prospettive di sostanziale crescita.
Citando Maxton e Wormald possiamo così circoscrivere il settore “automotive”di
inzio XXI secolo: «For the capital markets and the finance sector it has lost a lot of its
significance, as a result of ever declining profits and stagnant sales.
5
».
Ritornando alla FIAT, grazie alle analisi di più di uno studioso
6
e cronista del
tempo, possiamo trarre la conclusione che tale politica oltre modo accentuata di
diversificazione produttiva è stata vista dal management, e indubbiamente dalla
proprietà della FIAT, più come uno strumento per l’accrescimento del potere nel
“milieu” internazionale dei mercati finanziari
7
(e di conseguenza di legittimazione del
proprio “status” di superiorità nel sistema capitalistico italiano) che come strumento
gestionale al servizio del contenimento del rischio operativo e finanziario del gruppo
8
.
4
COMITO V., ibidem, (pag. 67).
5
MAXTON G.P e WORMALD J., “Time for a model change. Re-engineering the global automotive
industry”, Cambridge University Press, Cambridge, 2004, (introduction).
6
Su tutti: SCOTTI G., “Auto e non solo”, Donzelli, Roma, 2003.
7
«Siccome Romiti continuava a occuparsi più della gestione del potere che dell’industria, i destini
della FIAT vera, quella industriale, finirono completamente nelle mani di Cantarella. […]»; GARUZZO
G., “FIAT – I segreti di un’epoca”, Fazi Editore, Roma, 2006, (Introduzione di Alan Friedman, pagg.IX
eXIV).
8
«Le cause del naufragio dell’automobile vennero dalla mancanza di una strategia internazionale dei
modelli, dei marchi e delle reti, che portava a produrre troppi modelli di vetture privi di margini di
profitto, e dall’incapacità di specificare automobili e organizzazioni adatte ai mercati internazionali,
perdendo così quota anche in Italia (la cui domanda è diventata simile a quella internazionale e che,
comunque, non è in grado da sola di sostenere un produttore). […]», Ibidem, GARUZZO G., 2006,
(Introduzione pag. XIV)
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Accade difatti che ad una dichiarata volontà aziendale di creare le basi per
un’ampia diversificazione “laterale” si arrivi poi ad un confuso assetto societario che
si avvicina molto di più ad una situazione di diversificazione “conglomerale”. Le
acquisizioni di aziende operanti nei più disparati settori vengono giustificate con la
scarsa attrattività
9
, nel significato “porteriano”, della struttura del settore
automobilistico e con la possibilità che esse possano dimostrarsi comunque utili alle
molteplici (infinite ?) sinergie di gruppo.
Tra le traiettorie della strategia “corporate” della FIAT degli anni novanta e la
scarsa incisività delle strategie competitive del business dell’auto, che a parte brevi
parentesi danno qualche boccata d’ossigeno ad una gestione caratteristica quasi
sempre in perdita, si frappongono le turbolente dinamiche settoriali internazionali
proprio di quello che doveva essere, ad opinione di giornalisti specializzati e di
analisti finanziari, un settore privo di “sorprese”.
Da una quota di mercato “domestica” (complessiva dei tre marchi, FIAT-
LANCIA-ALFA ROMEO) pari a circa il 60,42% del1986 in pieno ciclo di vita del
modello FIAT “Uno” (lanciato nel 1983 – divenuto in breve tempo un successo di
vendita europeo), si passa al 43,50% del 1991
10
in prossimità del lancio della prima
serie della FIAT “Punto” (lanciata nel 1993), per giungere ad una quota di mercato di
gruppo di circa il 28% del 2005
11
(fonte: UNRAE). Se poi si analizza l’andamento
della quota di mercato dei singoli marchi la tendenza alla diminuzione è ancora di più
impressionante e preoccupante. Se prendiamo il marchio FIAT come punto di
riferimento si constata che da una quota di mercato di circa il 79,6% del 1959
12
(nel
9
PORTER M.E., “La strategia competitiva”, (tit. originale: “Competitive Strategy”, 1980), Editrice
Compositori, Bologna, 2004, “I confini dell’analisi di settore”, (capitolo 1).
10
VOLPATO G., “FIAT Auto – Crisi e riorganizzazioni strategiche di un’impresa simbolo”, ISEDI,
Torino, 2004, (pag.238).
11
www.unrae.it, sintesi statistica, mercato italiano per marca, 2005.
12
SCOTT. W.G., “Innovazione e mercato nell’industria automobilistica – FIAT UNO”, ISEDI, Torino,
1991, (pagg.228 e 229).
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1955 viene lanciata in Italia la prima vettura “popolare”: la “600”; e nel 1957 viene
lanciato il “best seller”: la nuova “500”) si passa ad una quota di mercato nel 2005 di
circa il 20% (UNRAE).
Le cause di un simile arretramento della quota di mercato dei marchi nazionali
è riconducibile ad una serie di fattori che in questa prima fase di studio possiamo
delineare riconducendoli sia a dinamiche prettamente di natura aziendale
(organizzazione societaria e dei processi, relazioni sindacali critiche, strategie di
internazionalizzazione non efficaci, focalizzazione della quota di mercato nei
segmenti “A” e “B”, ecc.) sia a dinamiche messe in atto dai “competitors” statunitensi
e soprattutto asiatici (aumento della competitività della struttura dei costi, spinta alla
diversificazione e creazione di nicchie di mercato, riduzione del “time to market”,
esponenziale crescita della qualità percepita del prodotto, miglioramento
dell’efficienza della struttura distributiva, applicazione di nuovi paradigmi
organizzativi
13
:“just in time”e“autoattivazione”; e così via).
Fra le dinamiche poste in essere dai gruppi produttori di automobili a livello
mondiale vale la pena menzionare il trend di crescita dei produttori asiatici e per la
precisione fare riferimento alla conquista inesorabile delle quote di mercato di quelli
giapponesi. TOYOTA, HONDA e NISSAN sono stati in grado di stravolgere le regole
di mercato (in assoluto la TOYOTA) strappando alla leadership statunitense quella
tanto amata “one best way” sinonimo dapprima di “fordismo” e poi di “sloanismo”.
Se solo pensiamo che alla fine della seconda guerra mondiale il Giappone
aveva un’economia praticamente in recessione e una situazione infrastrutturale
alquanto inadeguata per un rapido decollo industriale, straordinaria è stata la forza
con la quale i produttori giapponesi hanno posto le basi per le innumerevoli
innovazioni di “processo”edi“prodotto”; senza tra le altre cose poter disporre a
13
OHNO T., “Lo spirito Toyota. Il modello giapponese della qualità totale. E il suo prezzo” (tit.orig.:
“Toyota Production System”,1978), EINAUDI, 1993 e 2004, Milano, (pagg.14 e 15).
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differenza degli altri gruppi di una solida e fiorente domanda interna nella fase di
sviluppo internazionale del settore automobilistico. Ancora nel 1953, gran parte della
domanda di autovetture veniva soddisfatta facendo ricorso alle vetture usate dei
mercati americani.
14
Lo studio dunque, si incentrerà prevalentemente sull’analisi delle cause che
hanno generato la più grave crisi del “Settore Automobili” del gruppo FIAT dalla
nascita sino ad oggi. Nell’arco del suo sviluppo, pur esplorando strade alternative, le
politiche aziendali del gruppo sono state sempre legate e condizionate
dall’andamento del settore “auto”
15
. Ed è per questa ragione che si farà ampio
ricorso all’analisi della domanda di automobili sia dal punto di vista qualitativo che
quantitativo, nonché ad una scrupolosa analisi dell’offerta nel mercato
automobilistico italiano in quanto ancora “ago della bilancia” per un solido
risanamento dei conti del gruppo. In ogni caso, gli altri settori industriali afferenti al
portafoglio di attività della holding industriale hanno solo di recente trovato quello
slancio e quella autorevolezza che li inquadra non più quali occasioni di
diversificazione temporanea, ma quali strumenti fondamentali per la competitività del
sistema di business visto nella sua globalità.
Naturalmente, sarà nostro compito, vista la natura del presente studio,
analizzare accuratamente le traiettorie evolutive dell’intero settore, trarre conclusioni
e soprattutto tentare la proposizione di nuovi indirizzi strategici potenzialmente in
grado di incidere sul posizionamento di FIAT Auto nel panorama internazionale.
14
ibidem, Scott, 1991; VOLPATO 1983 (pagg. 92-93).
15
ibidem, Scotti, 2003.
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')
CAPITOLO 1. – Il mercato “automotive” mondiale.
1.1. – Breve sintesi della storia del mercato dell’auto per macroregioni.
La genesi
16
, lo sviluppo e la fase odierna.
Le origini del settore possono ricondursi ad attività artigiane di fine ottocento.
Localizzate principalmente nei Paesi dell’ Europa occidentale, esse avevano quale
principale fine quello di creare “esemplari” unici soprattutto in vista di competizioni
sportive. Il concetto dell’auto quale bene di “massa” lo si deve completamente al
pioniere Henry Ford
17
, il quale da una sorprendente (per l’epoca) visione di mercato
mise in pratica una rivoluzionaria filosofia organizzativa soddisfando una latente
necessità di mobilità insita nella domanda statunitense. Il “fordismo”edil
“management scientifico” di Taylor non solo hanno contraddistinto la formazione
della «catena del valore»
18
delle imprese dell’ “automotive industry”, ma tuttora
influenzano anche la condotta delle imprese di tutto il settore manifatturiero mondiale
tanto da avere incarnato, per gran parte del secolo scorso, la “one best way”
organizzativa per eccellenza.
16
Su tutti, VOLPATO G., “L’industria automobilistica internazionale – espansione, crisi e
riorganizzazione”, CEDAM, Padova, 1983, (parte prima, capp. 1,2,3,4).
17
«Henry Ford è l’uomo che ha inventato non l’automobile, ma il grande business dell’auto. La
produzione e il consumo di massa. La moderna classe media, estesa alla classe operaia.
Consumismo, cultura di massa, populismo e automobile trovarono in lui un costruttore, un
organizzatore e un profeta. Non solo un genio industriale, ma anche un pioniere culturale, lui che
ammise nel 1916, e già famoso, davanti ai giudici di Chicago, di leggere poco essendo i libri portatori
spesso di confusione mentale.», MARGIOCCO M., “Il colpo di genio, quattro ruote per tutti”, Il Sole 24
Ore – Commenti e inchieste, 21/12/2006, (pag. 11).
18
Ibidem, PORTER M.E., 2004.
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La formula imprenditoriale escogitata da Ford era molto chiara ma allo stesso
tempo insita di un’estrema difficoltà gestionale. Si trattava di porre in essere una
politica di marketing «indifferenziato» ad un mercato in fase di introduzione portando
il concetto economico-produttivo di “economia di scala” ad una sperimentazione mai
riscontrata prima. Ford più di chiunque altro anticipò le tendenze del mercato
statunitense bruciando sul tempo una miriade di piccole iniziative imprenditoriali
statunitensi che videro la luce a cavallo tra il XIX e XX secolo.
La genialità imprenditoriale di Ford trovò ben presto sulla sua strada
l’eccezionale capacità di analisi di un altro pilastro della storia d’impresa: Alfred P.
Sloan. Fu Sloan ad intercettare, proprio nella fase di maturità del ciclo d’impresa
della FORD del primo quarto di secolo, il cambiamento della domanda di autovetture
che da una necessità di «prima motorizzazione» pian piano manifestava la necessità
di «sostituzione» del veicolo
19
.
19
Nel grafico 1 si riporta una prima e generale classificazione della natura della domanda
automobilistica in un mercato nazionale qualsiasi. Fonte: SCOTT W.G., 1991, (pag. 68). Invece per i
differenti stadi di motorizzazione si rimanda al paragrafo 2.3. una più precisa classificazione ad opera
del VOLPATO, 1983, (pagg. 116-118).
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Grafico 1. Tipologie di domanda nel mercato automobilistico.
Grazie alla “GENERAL MOTORS Corporation” (G.M.), diretta da Sloan, ed al
gruppo di marchi da essa gestito, si assistette all’applicazione su larga scala di
politiche di marketing «differenziato» che furono riassunte nella killer application:«a
car for every purse and purpose». Questa logica di marketing, distante anni luce dal
detto fordista riferito al modello “T”: «You can have them any color you want boys, as
long as the’re black», consentì alla G.M. di recuperare inesorabilmente quote di
mercato sull’avversaria FORD, poiché meglio rispondente ad un cambiamento
sostanziale dal punto di vista “qualitativo” della domanda. Come lo Scott fa notare
«se a Henry Ford spetta il merito di aver dato concreta attuazione ai principi della
produzione di massa, ad Alfred Sloan spetta quello di avere sviluppato i principi del
marketing di massa. Mentre il fordismo è la risposta a una domanda che supera
largamente la capacità di produzione, lo sloanismo, al contrario, è la risposta a una
Evoluzione della
domanda di
automobili
Domanda di
“prima motorizzazione”
Domanda di “sostituzione”
Domanda di “pluri-
motorizzazione”
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'*
situazione di eccedenza della capacità produttiva rispetto alla domanda generata dal
mercato.»
20
.
Alla FORD ed alla G.M. si aggiunse poco dopo la “CHRYSLER Corporation”
(anch’essa come la G.M. formatasi dall’unione di più case costruttrici) che
approfittando della vastità del mercato statunitense si creò il proprio spazio nell’
“arena competitiva” formando assieme alle prime due un oligopolio che caratterizzerà
il mercato statunitense dagli anni ’20 fino agli anni ’80 del secolo scorso.
La cosa interessante da porre in evidenza è l’andamento della dinamica
competitiva sviluppatasi nel mercato automobilistico statunitense che passa da uno
stadio di “non price competition” degli anni ’30 ad uno di “price leadership”, per
stabilizzarsi nello stadio di “room for all policy” degli anni ’50 con la definitiva
leadership incontrastata della G.M.
21
(grafico 2). Quest’ultima dinamica suppone un
rapporto di coesione molto stretto delle aziende. Nel «raggruppamento strategico»
22
dove queste sono posizionate prevale un’azienda su tutte, la quale
nell’approntamento dei propri piani di sviluppo elabora indirettamente una sorta di
strategia complessiva del settore con lo scopo di ridurre al minimo le conflittualità
interne allo stesso; il tutto ovviamente tacitamente concordato viste, per l’epoca, le
già pressanti attenzioni delle istituzioni americane garanti del corretto funzionamento
dei mercati.
Attorno all’originario nucleo oligopolistico del mercato si formò una pletora di
piccolissimi costruttori che presero il nome di “indipendents”. Questi ultimi riuscivano
a competere grazie alla grande espansione della domanda di autoveicoli e “light
trucks”, che permetteva inefficienze legate ad un utilizzo non ottimale della capacità
produttiva, ma consentiva sempre meno un’organizzazione commerciale alquanto
20
Ibidem, SCOTT, 1991, (pag. 41).
21
Ibidem, VOLPATO G., Padova, 1983, (pagg. 20-23).
22
SICCA L., “La gestione strategica dell’impresa. Concetti e strumenti”, CEDAM, Padova, 2001,
(pagg.454-465).
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'%
FORD
CHRYSLER
“Indipendents”
insoddisfacente a causa della nascente necessità di riparazione degli autoveicoli di
un enorme parco circolante quale quello statunitense. Come infatti, dopo la tragica
crisi del 1929 iniziò una stagione di scrematura dell’offerta ed una politica di
salvataggio dei produttori di componenti di maggior valore. Con il passare del tempo
il fenomeno degli indipendents andrà scemando fino a diventare una componente
marginale del mercato.
Grafico 2. Suddivisione embrionale del mercato automobilistico statunitense.
GENERAL MOTORS
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Il mercato automobilistico europeo invece non ebbe un percorso di crescita
altrettanto “lineare” come quello americano. I nascenti gruppi europei ebbero a che
fare in modo più incisivo con le dinamiche di conversione-riconversione dei propri
impianti produttivi per esigenze belliche
23
. Molti impianti infatti vennero
completamente distrutti dai bombardamenti del fuoco nemico, ma fu soprattutto lo
stato successivo di crisi delle economie nazionali, e quindi lo scarso reddito pro-
capite disponibile, a determinare una lenta ripresa dei livelli di domanda antecedenti
allo scoppio del secondo conflitto mondiale. Emblematiche sono le dichiarazioni del
Valletta
24
che si occupò (scomparso il Senatore Agnelli nel 1945) di traghettare il
gruppo FIAT verso la motorizzazione di massa italiana: «[…] Io ho prospettato agli
americani l’opportunità che noi facciamo le piccole vetture, le “500” e le “1100”,
nonché tutto quello che possiamo far pagare meno. Questo materiale noi lo si può
fare, sia per il mercato italiano, sia per quei mercati che per gli statunitensi sono
lontani e possono essere serviti meglio da noi. […]. Sta di fatto che in genere le ditte
americane non producono il tipo piccolo di macchine; quindi noi con il tipo
piccolissimo siamo salvi, e anche col tipo immediatamente successivo, che è ancora
piccolo. […]».
A condizionare lo sviluppo della domanda europea di automobili non fu solo il
fatto che a distanza di poco più di un ventennio le economie nazionali dovettero
affrontare nuovamente la fase di ricostruzione postbellica, bensì uno strutturale
isolamento dei mercati nazionali (dovuto principalmente: alla presenza di asfissianti
barriere doganali protezionistiche, a differenti politiche fiscali ed a cambi diversi) che
23
A differenza dei produttori americani che, in alcuni casi, essendo palesemente contrari all’entrata in
guerra degli U.S.A. si preoccuparono dall’inizio delle ostilità ad approntare piani di riconversione il più
efficaci possibile. Si riporta qui l’esperienza della General Motors riferita alla direzione di A.P. Sloan:
«[…] In fact, he had decided, well before the United States actually entered the war, to concentrate his
attention not on war mobilization but on postwar reconversion. He wanted to make sure that as soon
as the hostilities concluded and America’s emeregency war buildup stopped, General Motors would
capable of quickly restoring its domestic and international consumer-oriented businesses. […]»;
FARBER D., “Sloan rules”, The University of Chicago Press, London, 2002, (pagg. 229-230).
24
Ibidem, CASTRONOVO, 1999, L’ottimismo del Professore, (pagg. 365-366).
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comprometteva una fedele ricostruzione del modello “fordista”. I costi industriali, vista
la limitatezza dei mercati interni, erano troppo elevati per poterli trasmettere sui
prezzi di vendita; di conseguenza non fu immediato il lancio di prodotti davvero
rispondenti alle capacità di spesa delle popolazioni tanto da far decollare un vero e
proprio mercato di massa. Tale situazione era presente in tutti e quattro i più
importanti mercati europei: Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia. In queste
condizioni, in ogni Paese, vi fu uno sviluppo diverso delle traiettorie strategiche dei
grandi gruppi dell’auto a testimonianza che non esiste una “ricetta” definitiva nella
conduzione d’impresa.
In Italia, negli anni ‘60, il Valletta ed il gruppo FIAT si posero da subito quale
unico gruppo industriale in grado di competere almeno in alcuni segmenti di mercato
nel nascente mercato internazionale.
25
La FIAT iniziò definitivamente il cammino di
azienda cosìdetta “generalista” proponendo tanto le autovetture di piccola cilindrata
quanto quelle di medio-alta rappresentanza. Le prime con indubbio successo, le
seconde con un riscontro nei gusti dei consumatori alquanto altalenante fatte salve
quelle esitate nel mercato nazionale.
25
«Durante gli anni sessanta la FIAT si configura come la più dinamica casa automobilistica europea.
Nel 1960 la produzione di autovetture con il marchio FIAT sfiora le 501.000 unità collocandosi al
secondo posto nel ranking europeo, preceduta dalla VOLKSWAGEN con 877.000 vetture, e davanti
alla RENAULT (485.000) e AUSTIN (240.000). […] In questo periodo la FIAT risulta avvantaggiata da
una crescita molto sostenuta della domanda automobilistica nazionale: dal 1959 al 1969 il numero di
veicoli immatricolati nella Repubblica Federale Tedesca aumenta da1a2.1volte,inFranciada1a
2.4,inBelgioda1a2.9,inOlanda da1a4einItaliada1a4.6.[…]Èpropriosullaspintadel
mercato interno che la FIAT effettua un decollo produttivo che non ha confronti nelle altre imprese
automobilistiche europee, con la sola eccezione della VOLKSWAGEN. In parte questo raffronto tende
a sovrastimare la produzione FIAT, dal momento che il conteggio delle autovetture assimila modelli di
tipo utilitario a quelli di dimensioni medie (come era considerato il “Maggiolino” in quegli anni) o grandi.
Tuttavia non c’è dubbio che siamo di fronte ad un exploit notevolissimo, impensabile alcuni anni prima
anche da parte di esperti del settore, come l’ingegner Gallo dell’ALFA ROMEO, e che invece Vittorio
Valletta aveva previsto e teorizzato.», VOLPATO G., “FIAT Auto – Crisi e riorganizzazioni strategiche
di un’impresa simbolo”, ISEDI, 2004, (pagg. 61 e 62).
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Nell’allora Germania Occidentale, si confermarono le “antenne” europee dei
giganti GENERAL MOTORS (con il marchio OPEL) e FORD, mentre prese
definitivamente avvio, grazie alla perseveranza dell’ing. Ferdinand Porsche, lo
sviluppo della VOLKSWAGEN che soprattutto grazie al lancio del modello
“Maggiolino” (dopo una travagliata gestazione) riuscì ad imporsi quale unico
produttore generalista di origine nazionale. Un caso a parte sono da considerarsi le
esperienze di produttori “specialisti” quali BMW e DAIMLER-BENZ, che
consolidarono non solo in campo nazionale la loro vocazione a soddisfare una fascia
di mercato assolutamente elitaria. Per ultima, ma non in senso di importanza,
riportiamo la straordinaria esperienza della PORSCHE, iniziativa imprenditoriale
dell’omonima famiglia, che in tempi recentissimi è salita alla ribalta nello scacchiere
dei costruttori europei grazie (e non solo
26
) all’acquisto di un pacchetto azionario di
minoranza della VOLKSWAGEN in grado di permetterne il controllo
27
. In termini di
fatturato si è verificato che “la formica mangi l’elefante”.
In Francia la situazione mostra sin dall’inizio quanto siano elevate anche qui le
barriere all’entrata per i produttori generalisti, in quanto alla formazione di un
26
Un brillante risultato commerciale è stato ottenuto da questa casa automobilistica con l’ampliamento
della gamma attraverso la commercializzazione del “fuoristrada ad altissime prestazioni”; una nicchia
di mercato creatasi da pochi anni nella quale il modello PORSCHE “Cayenne” è in posizione di
leadership incontrastata per i contenuti tecnologici e prestazionali propri delle mezzo.
27
Sono recentissimi i “rumors” di mercato che vedono la PORSCHE intenzionata ad aumentare la
propria partecipazione in VOLKSWAGEN. «L’uscita di scena a sorpresa dell’amministratore delegato
Bernd Pischetsrieder, che alla fine dell’anno sarà sostituito dal Ceo di Audi, Martin Winterkorn,
spalancherebbe le porte a una possibile Opa su Volkswagen da parte della Porsche, oggi primo
azionista a Wolfsburg con il 18,5 per cento. Secondo l’analista di Goldman Sachs Stefan Burgstaller la
Porsche, di cui è azionista di riferimento Ferdinand Piech, ovvero il presidente del consiglio di
sorveglianza di Volkswagen che ha silurato il Ceo protagonista della ristrutturazione in corso, potrebbe
“teoricamente pagare tra gli 89 e i 123 euro per azione Volkswagen. Nel breve termine non
escludiamo che la Porsche aumenti la sua quota in Volkswagen al 29,9% in attesa della decisione
dell’Unione Europea nel 2007 sulla cosidetta legge Volkswagen”, che di fatto impedisce un takeover.»,
di Al.An., “Terremoto al vertice in Volkswagen, Goldman crede nell’Opa di Porsche”, Il Sole 24 Ore,
08/11/2006, www.ilsole24ore.com .
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produttore controllato principalmente dallo Stato quale la RENAULT si affianca il
gruppo PSA formato dai marchi PEUGEOT e CITROEN (quest’ ultimo oggetto
durante gli anni ’60 di un tentativo di acquisizione da parte della stessa FIAT) di
proprietà dell’omonima famiglia Peugeot. Nel corso dei decenni la “coppia” francese
ha avuto indubbiamente l’abilità, sostenuta ovviamente dai governi nazionali, di far
sentire il suo peso anche sul mercato internazionale. Nello specifico, mentre il
gruppo PSA si è concentrato nei decenni prevalentemente su di una penetrazione
del mercato prettamente continentale, la RENAULT ha espanso la sua presenza su
tutto il globo attraverso l’acquisizione ed il successivo brillante rilancio del colosso
giapponese NISSAN.
28
Tra i quattro più grandi mercati europei quello che soffrirà di più la
competizione internazionale sarà la Gran Bretagna che vedrà a poco a poco vedersi
sottrarre i proprio marchi nazionali dagli altri gruppi europei ed americani. Le cause di
un declino così netto dei produttori nazionali che ha sentenziato la scomparsa di
aziende quali: la MORRIS (grazie alla quale dobbiamo la nascita dello storico
modello “Mini”), l’AUSTIN, la ROOTES, la VAUXALL (marchio acquisito negli anni ’20
dal gruppo OPEL), la STANDARD-TRIUMPH, la “ROLLS ROYCE” (acquisita dalla
BMW), la BENTLEY (acquisita dal gruppo VOLKSWAGEN), e quella più drammatica
in termini occupazionali della ROVER (acquistata e poi subito rivenduta dalla BMW),
ha origini essenzialmente in due fattori: una scarsa concentrazione nell’offerta viste
le dimensioni del mercato nazionale ed una conseguente mancanza nelle aziende
della “dimensione ottima minima”
29
in grado di permettere una politica di investimenti
di pari grado ai “competitors” internazionali.
Seguendo la classificazione che più di uno studioso
30
e operatore del settore
dà del mercato mondiale in quella che si manifesta come una “triade” (America sett.-
28
MAGEE D., “Turnaround, How Carlos Ghosn rescued Nissan”, Harper Collins Publisher, New York,
2003.
29
Sul significato di “dimensione ottima minima” si tornerà in seguito in questo studio.
30
SCOTT. (1991); COMITO (1982 e 2005); VOLPATO (1983, 1996, 2005 e 2003a).
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(
Europa-Giappone) ci soffermiamo ad analizzare i punti salienti della nascita e dello
sviluppo del mercato automobilistico giapponese. Quest’ultimo a conti fatti, conosce il
suo momento di espansione solo a partire dagli anni ’70 con un ritardo rispetto a
quello statunitense di circa mezzo secolo se pensiamo che negli anni ’20 siamo in
piena fase di maturità del modello “T” della FORD.
A tal proposito si riporta la tabella 1 (fonti Anfia, MVMA), ripresa dallo Scott
(1991), che dà il senso della eccezionale progressione della crescita del parco
circolante giapponese negli anni ’60, segno delle difficoltà di un’economia che
riusciva solo dopo oltre un ventennio dalla fine delle ostilità belliche a ritrovare nuovo
vigore.
(segue tabella 1)