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dimensioni, cercando di coglierne le conseguenze sulla struttura, ma
anche e soprattutto tentando di individuare i vantaggi connessi alla
pianificazione di questo fenomeno, al fine di dimostrare la necessità
della stessa.
Il presente lavoro si articola in tre capitoli bibliografici, fondati
sull’analisi di testi e riviste specializzate italiani e stranieri, con una parte
finale che evidenzia i risultati di un’indagine reale effettuata nel distretto
industriale di Santa Croce sull’Arno.
Nel primo capitolo è delimitato il campo che in seguito sarà
oggetto di esame. Si inizia spiegando le difficoltà incontrate nella
definizione di piccola impresa, dovute sia al fatto che questa realtà è
stata per lungo tempo ignorata dalla letteratura economica ed aziendale,
sia alla notevole frammentazione degli studi, dai quali emerge un quadro
variegato di piccole imprese, secondo il settore produttivo, la situazione
economica, il grado di dipendenza dalla grande impresa.
Nei paragrafi successivi si punta l’attenzione su alcuni tratti che
distinguono la piccola impresa, in particolare: la configurazione
strutturale semplice e l’idea imprenditoriale limitata.
Poi si delinea ancora di più il campo di indagine, introducendo il
concetto di impresa familiare, anch’esso non semplice da definire, e
parlando poco dopo del ruolo dell’imprenditore, il quale finisce spesso
per determinare il carattere dell’impresa.
Infine viene fatto un primo accenno al problema della successione.
IX
Con il secondo capitolo si entra pienamente nel processo di
transizione imprenditoriale delle piccole imprese familiari. Si
evidenziano alcuni aspetti critici: i rapporti fra la famiglia, la proprietà
dell’impresa ed il governo aziendale, la distinzione dei ruoli e
l’importanza della pianificazione.
Nella realtà di un’impresa familiare, pianificare il processo di
successione significa, innanzi tutto, che il proprietario acquisisca la
consapevolezza di dover un giorno, volontariamente o naturalmente,
lasciare l’impresa, senza che ciò costituisca un fatto traumatico. Questo
autoconvincimento dovrebbe maturare con largo anticipo e precedere la
fase di gestione vera e propria del processo di successione.
Nell’attuazione dei processi di transizione entrano in gioco una
serie di variabili, relative in particolare alla natura e al tipo di impresa
familiare, alla struttura aziendale, al modo in cui il successore subentra
al predecessore ed all’ambiente circostante.
Il capitolo terzo inquadra l’argomento della successione del punto
di vista degli attori coinvolti. In generale si tratta di tutti coloro che
operano in azienda o hanno rapporti con essa, ma soprattutto i
protagonisti: vale a dire il padre e il figlio, o in ogni modo la
generazione “adulta” e quella emergente. Ogni individuo ha un suo
modo di comportarsi e di rispondere al problema, perciò si può
affermare che ogni singolo passaggio generazionale fa storia a sé.
X
Si può cercare comunque di creare uno schema generale, che non
ha la pretesa di essere esaustivo, ma che permette di evidenziare tre
aree, di conflitto, di consenso e di disagio, le quali sono determinate dai
diversi tipi di rapporto che possono scaturire fra padre e figlio.
La seconda parte del terzo capitolo si occupa della gestione
strategica della successione, con un occhio di riguardo nuovamente alla
pianificazione, per finire con una descrizione delle tappe del percorso
formativo che il successore dovrebbe seguire prima del definitivo
ingresso in azienda.
La tesi si conclude con un’indagine sul campo svolta con un
questionario diviso in quattro parti: le prime tre riportano domande
generali sulle caratteristiche dell’impresa e dell’imprenditore e sulle
problematiche della gestione, mentre l’ultima serie di quesiti indaga in
maniera specifica sulla successione.
Il questionario è stato rivolto a venti aziende, quasi tutte localizzate
nel Comprensorio del Cuoio. Le risposte sono elaborate in tabelle, sotto
forma di indagine statistica e successivamente commentate.
Si ringraziano per la cortese collaborazione gli imprenditori
intervistati e le loro aziende:
Conceria AUSONIA Aldo Donati
Conceria B. C. N. Roberto Lupi
Conceria BERTOZZI
Calzaturificio F.lli CAPPELLINI Orlando Cappellini
XI
Conceria CHESI Velio Daniela Chesi
Bartolomei Marina Franca DIVO Novelli
Concerie Riunite G. B. Stefano Guerrini
Conceria ITALCUOIO Loriano Caponi
Autocarrozzeria LUCCHESE
Industria Conceria NOBEL Gianluca Di Stefano
Conceria NUTI Ivo Andrea Nuti
Conceria SANLORENZO Alessandro Francioni
Pasticceria SCARSELLI Ottavio Andrea Scarselli
SNOOPY Carla Favilli
Conceria SUPERIOR Enzo Caponi
L. M. I. TURINI Marilena Turini
Conceria UPIMAR Franco Donati
VOLPI Giuseppe
Bartalena Giancarlo
Calzaturificio LOBRY Saverio Loisi
CAPITOLO PRIMO
CARATTERISTICHE
ORGANIZZATIVE
DELLE PICCOLE IMPRESE
CON PARTICOLARE RIFERIMENTO
ALLE IMPRESE FAMILIARI
2
1.1 LA PICCOLA IMPRESA
Le piccole imprese, con la loro capacità di sviluppo e
d’innovazione, costituiscono un elemento fondamentale del sistema
economico italiano. Secondo i dati dell’ultimo censimento del 1991, le
piccole imprese con un organico fino a 10 addetti rappresentavano il
94% del totale delle imprese presenti sul territorio nazionale e
assorbivano il 49,5% degli occupati.
Dare una definizione esauriente di piccola impresa non è semplice,
essenzialmente per due ordini di motivi.
Il primo consiste nel fatto che la letteratura si è per lungo tempo
interessata all’argomento in maniera scarsa.
Questo perché negli anni Cinquanta e Sessanta la piccola impresa
era considerata un mondo arretrato e poco efficiente, che sopravviveva
soprattutto grazie all’abbondanza della forza lavoro e all’elusione dei
vincoli posti dal sistema legislativo. Era quindi destinata a scomparire
con lo sviluppo del sistema economico. Nei decenni successivi la
piccola impresa è stata scoperta e si è imposta come un’organizzazione
dotata di maggiore flessibilità e capacità d’adattamento ad un ambiente
esterno caratterizzato da crescente complessità; la piccola impresa è
stata, in conseguenza di ciò, più idealizzata che studiata.
3
A cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta, la piccola impresa ha
dovuto fare i conti con una realtà dominata non solo da crisi e
ristrutturazioni d’ampi comparti dell’economia, ma anche dal ritorno
della grand’azienda come attore importante sulla scena economica
europea.
Solo recentemente, quindi, si è approdati ad una considerazione più
equilibrata e realistica del peso e della funzione dell’imprenditorialità
minore nell’economia e nella società italiana contemporanea.
Non sorprende, pertanto, che la piccola impresa sia, ad oggi, un
mondo che attende d’essere ancora, in larga misura, scoperto.
L’esigenza di maggiori conoscenze è particolarmente viva e urgente,
se si considerano la ancor troppo debole sistematicità e la scarsa
incisività dei programmi d’assistenza e sviluppo per la piccola impresa
realizzati nel nostro paese, basati su analisi spesso superficiali e su
stereotipi e semplificazioni di una realtà, tuttora poco indagata e
compresa.
La conoscenza sulle piccole imprese, inoltre, è particolarmente
frammentata; le ricerche prodotte sono, nella quasi totalità dei casi,
caratterizzate da un approccio monodisciplinare e mettono in evidenza
aspetti particolari e specifici, spesso marginali, di una realtà più
articolata e complessa, che richiede strumenti concettuali più ampi e
ricchi.
4
L’altro ordine di motivi è collegato a più recenti studi e ricerche
sulla realtà italiana, dai quali emergono da un lato un quadro assai
variegato delle piccole imprese che varia secondo il settore produttivo
(ad esempio: nel comparto meccanico, nel sistema moda, nei mobili,
nell’alimentare, le imprese minori rappresentano oltre l’ottanta per
cento delle unità locali), la situazione socioeconomica, il grado di
dipendenza ed autonomia dalla grande impresa, il livello
d’istituzionalizzazione e d’internazionalizzazione, e dall'altro la
dimostrazione che le imprese minori costituiscono ormai un elemento
rilevante, durevole e consolidato del sistema Italia.
Il nostro tentativo di definire in qualche modo la materia in oggetto
si scontra con l’assenza di criteri di riferimento, definitori delle piccole
imprese, sufficientemente precisi e condivisi da tutti. D’altro canto
l’estrema varietà ed eterogeneità delle possibili combinazioni produttive
e delle corrispondenti soluzioni strutturali, nonché la varietà delle
situazioni ambientali, rende inevitabile un pluralismo delle forme di
impresa come risposta alle trasformazioni caratterizzanti l’attuale fase di
evoluzione dei sistemi economici.
Alla luce di questa considerazione può apparire scontata
l’insufficienza e l’inefficacia dei criteri tradizionalmente utilizzati, basati
su variabili dimensionali quali il numero d’addetti o il fatturato, e la
necessità di adottare regole classificatorie di tipo più qualitativo.
Nell’utilizzare le variabili dimensionali, inoltre, si danno per scontate
5
relazioni tra variabili (ad esempio, tra fatturato e numero degli addetti)
fino a ieri forse valide ma che, nella situazione attuale, sono tutte da
verificare.
Fino a poco tempo fa il numero d’addetti ed il fatturato erano
correlati in modo abbastanza omogeneo tra loro e con caratteristiche
definite di complessità organizzativa, di potere, di mercato, di area
d’influenza, di potenzialità e conoscenza tecnica, di capacità della
gestione ecc.; oggi questi fattori tendono ad intrecciarsi nelle forme più
varie e in una realtà assai diversa che va dalla piccola impresa che guida
e controlla unità produttive complesse e diverse, alla grande
organizzazione ridotta a livello di scatola vuota.
In un mondo in cui le grandi imprese si mimetizzano, si
trasformano in reti organizzate e flessibili, dai confini mutevoli, le
piccole imprese si coordinano a loro volta in distretti industriali o in reti
d’imprese e catene produttive, riuscendo a conseguire una notevole
massa critica economica e attuando qualche economia di scala, un
tempo prerogativa della gran tecnostruttura.
1
Ciò evidenzia
l’anacronismo di definizioni anche recenti delle PMI
2
, quale quella
proposta dalla CEE nel 1991, basata su parametri quantitativi: “E’
piccola impresa quella che ha meno di cinquanta addetti, presenta un
1
F. Belussi, Nuovi modelli d’impresa: gerarchie organizzative e imprese rete, Franco Angeli, Milano
1992
2
PMI = piccole e medie imprese
6
fatturato superiore a cinque miliardi di ECU, appartiene per non oltre
un terzo ad una grande impresa”.
E’ sempre più evidente, nella realtà, che un basso numero di addetti
può qualificare anche realtà organizzative di tutto rispetto in termini di
capacità governative (quando si tratta di imprese capofila) e in termini di
skills tecniche e specialistiche (ad esempio in casi di elevati investimenti
in tecnologie labour-saving)
3
.
Per questo la PMI, come fenomeno di osservazione nell’ambito
degli studi di economia e gestione d‘impresa, non può che essere
descritta e conosciuta se non prendendo le mosse da un esame di
variabili non solo hard (prodotti, tecnologie, fatturato, addetti) ma anche
soft (capacità di governo, competenze, relazioni) riferite al modo
specifico in cui è creata, si confronta con il proprio ambiente, evolve e
si trasforma, seguendo fasi e cicli fortemente collegati alla vita
dell’imprenditore.
Evitando di circoscrivere e di banalizzare, da una parte, il problema
della specificità della piccola impresa alle semplici variabili dimensionali
e di ricorrere, dall’altra, a liste più o meno lunghe di fattori costruiti a
tavolino o dedotti da dati di ricerche effettuati su settori e aree
geografiche limitate, è riscontrabile una certa convergenza, da parte
3
I. Marchini, Il governo della piccola impresa, ASPI, Urbino 1995
7
degli studiosi, nell’individuare alcuni tratti fondamentali distintivi della
piccola impresa.
4
Tali tratti sono: la figura complessa dell’imprenditore, la stretta
relazione fra impresa e famiglia, la configurazione strutturale semplice,
l’idea imprenditoriale limitata.
Ci soffermiamo brevemente sugli ultimi due dei tratti distintivi
indicati, mentre i primi saranno affrontati in maniera dettagliata nei
prossimi paragrafi del presente capitolo, i quali ci consentiranno, in
ultima analisi, di affermare che:
- la piccola impresa non deve essere considera come una grand’azienda
allo stato infantile, destinata a crescere, pena la scomparsa, ma come
un’organizzazione stabile, caratterizzata da strutture, meccanismi di
gestione, logiche d’apprendimento e sviluppo tipici e particolari;
- esiste una relazione diretta fra caratteristiche personali, attività
dell’imprenditore da una parte, e problemi d’impresa dall’altra, e solo
tramite questa relazione è possibile identificare le specificità strutturali
delle piccole imprese e ricostruire i meccanismi e i processi che ne
regolano il funzionamento;
- lo sviluppo della piccola impresa è strettamente collegabile, più che a
meditate strategie e all’analisi razionale dell’ambiente competitivo, alle
caratteristiche personali, alla conoscenza, alla cultura della gestione
dell’imprenditore, nonché alle capacità di quest’ultimo d’adattamento e
4
D. Boldizzoni, Il fenomeno piccola impresa: una prospettiva pluridisciplinare, Guerini e Associati,
Milano 1996
8
di risposta a problemi e situazioni caratterizzanti le fasi e i momenti più
tipici e cruciali della vita personale e dell’impresa.
Una teoria e una ricerca organizzativa che consenta di spiegare i
problemi della piccola impresa non potrà che essere fondata sulla
considerazione congiunta di almeno due facce, quella dell’impresa, più
riconducibile alla logica economica e alla razionalità organizzativa, e
quella dell’imprenditore rispondente a logiche e motivazioni personali e
familiari, più sfuggenti, ma non per questo meno importanti.
5
1.1.1 LA CONFIGURAZIONE STRUTTURALE SEMPLICE
Abbiamo già affermato che per molti anni le piccole imprese sono
state trascurate dagli studiosi d’organizzazione. Esse sono poco leggibili
sulla base del bagaglio di concetti, strumenti, metodologie d’analisi
organizzativa messi a punto in anni d’applicazione su realtà
organizzative di più consistenti dimensioni.
Profonde sono le differenze strutturali che separano la grande
impresa dalla piccola. Il principale parametro di riferimento
organizzativo, la divisione del lavoro, è difficilmente percepibile nella
piccola impresa, dove la semplicità strutturale non è data dalle più
ridotte dimensioni, quanto dalle funzioni e competenze presenti. In essa
5
D. Boldizzoni, La piccola impresa. Gestione e sviluppo delle imprese minori, Il Sole 24 Ore Libri,
Milano 1985
9
le funzioni sono tendenzialmente poche ed anche indistinte; tutti gli
aspetti della gestione competono al titolare e solo nelle strutture più
articolate l’imprenditore, con molta riluttanza, comincia a delegare
incarichi e trasmettere e condividere conoscenze.
La riunione in una sola persona, come in genere avviene nelle PMI,
dei ruoli di proprietario, manager ed esecutore, rappresenta un elemento
di vulnerabilità e debolezza strutturale ma anche di relativa forza. Da
una parte, è responsabile della tendenza ad enfatizzare la qualità di
lavoratore esecutivo rispetto a quella di manager o proprietario e a
rimarcare l’operatività rispetto all’analisi della gestione del mercato;
dall’altra, assicura all’impresa maggiori caratteristiche di flessibilità
operativa, indispensabili per adattarsi e sopravvivere in un ambiente
caratterizzato da gran dinamicità e turbolenza.
E’ proprio su questa base che le strutture semplici sono oggi
riconosciute e rivalutate. Esse costituiscono la configurazione strutturale
più coerente con i tratti distintivi della piccola impresa, e la più adatta a
rispondere, in termini di maggiore efficacia ed efficienza, a sfide
collegabili a particolari fasi della vita delle imprese (ad esempio alla
costituzione) o a condizioni ambientali sfavorevoli (come un ambiente
dinamico e ostile)
6
.
Principale tratto caratteristico di queste strutture è il forte
accentramento decisionale. Tale tratto, tuttavia, sembra assumere nel
6
H. Mintzberg, The Structuring of Organizations, Prentice Hall, Englewood Cliffs (NJ) 1979