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Il carattere concreto del presente lavoro è quindi frutto di questo genere di
impostazione.
Per trattare la materia oggetto di questo lavoro è necessario introdurre una
serie di concetti e definizioni, al fine di rendere fluente l’esposizione delle
nozioni di outsourcing e il loro impiego nell’analisi della fornitura di
servizi ad alto contenuto tecnologico.
Innanzi tutto, definiremo i soggetti coinvolti in questo genere di processo.
Parleremo di “fornitore” riferendoci all’azienda che offre il servizio oggetto
di outsourcing. Lo stesso fornitore verrà anche chiamato “vendor”,
“provider” o più direttamente “outsourcer”.
Individueremo nel “cliente”, detto anche “outsourcee”, l’azienda che
intende delegare all’esterno una o più attività precedentemente svolte
all’interno.
Lo stesso termine outsourcing, rappresenta una specifica pratica
manageriale caratterizzata da processi e modalità, che molto spesso nella
letteratura italiana sono identificati dalla terziarizzazione o dal
decentramento, strategie che rappresentano pratiche ben definite, ma che
per esigenze di esposizione utilizzeremo in sostituzione di outsourcing; la
terziarizzazione è, infatti, legata alla trasformazione della produzione
interna in acquisto di produzioni esterne, questa avviene attraverso azioni
circoscritte ad attività ben distinte, senza toccare in profondità la struttura
dell’impresa; questo processo è considerabile concettualmente come
servizio e pertanto legato al terziario; il concetto di decentramento fa
riferimento all’attribuzione di fasi produttive di attività a basso valore
aggiunto prima centralizzate, ad aziende esterne, trasformando le prime da
produttori a committenti.
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INTRODUZIONE
“La causa principale del progresso nelle capacità produttive del lavoro,
nonché della maggior parte dell’arte, destrezza e intelligenza con cui il
lavoro viene svolto e diretto, sembra sia stata la divisione del lavoro.
Esaminando il modo in cui la divisione del lavoro funziona in manifatture
particolari, sarà più facile comprenderne gli effetti sull’insieme della
società. Si suppone in genere che la divisione del lavoro si trovi spinta al
massimo in alcune manifatture di modesto rilievo. In realtà, non è che qui
il fenomeno sia più spinto che in altre di maggiore importanza;
semplicemente, nelle piccole manifatture destinate a provvedere ai piccoli
bisogni di poche persone, il numero degli operai non può che essere
piccolo, sicché gli addetti ai diversi rami del lavoro possono spesso
trovarsi riuniti nella stessa casa di lavoro e posti tutti insieme sotto gli
sguardi dell’osservatore. Al contrario, nelle grandi manifatture destinate a
provvedere ai grandi bisogni della massa della popolazione, ogni diverso
ramo del lavoro impiega un numero tale di operai che è impossibile
riunirli nella stessa casa di lavoro, sicché raramente si possono vedere
insieme più degli addetti ad una singola lavorazione. Per quanto dunque in
simili manifatture il lavoro possa essere diviso in un numero di parti molto
maggiore che in quelle di minore importanza, la divisione è molto meno
evidente e di conseguenza è stata molto meno osservata.
Prendiamo dunque come esempio una manifattura di modestissimo rilievo,
ma in cui la divisione del lavoro è stata osservata più volte, cioè il mestiere
dello spillettaio. Un operaio non addestrato a questo compito che la
divisione del lavoro ha reso un mestiere distinto, e non abituato a usare le
macchine che vi si impiegano, all’invenzione delle quali è probabile abbia
dato spunto la stessa divisione del lavoro, applicandosi al massimo
9
difficilmente riuscirà a fare uno spillo al giorno e certo non arriverà a
farne venti. Ma, dato il modo in cui viene svolto oggi , non solo tale lavoro
nel suo complesso è diventato un mestiere particolare, ma è diviso in un
certo numero di specialità, la maggior parte delle quali sono anch’esse
mestieri particolari. Un uomo trafila il metallo, un altro raddrizza il filo,
un terzo lo taglia, un quarto gli fa la punta, un quinto lo schiaccia
all’estremità dove deve inserirsi la capocchia; fare la capocchia richiede
due o tre operazioni distinte; inserirla è un’attività distinta, pulire gli spilli
è un’altra, e persino metterli nella carta è un’altra occupazione a se
stante; sicché l’importante attività di fabbricare uno spillo viene divisa, in
tal modo, in circa diciotto distinte operazioni, che, in alcune manifatture,
sono tutte compiute da mani diverse, sebbene si diano casi in cui la stessa
persona ne compie due o tre…
3
…La divisione del lavoro, comunque, nella misura in cui può essere
introdotta, determina in ogni mestiere un aumento proporzionale delle
capacità produttive del lavoro. Sembra che la separazione di diversi
mestieri e occupazioni sia nata proprio in conseguenza di questo vantaggio
e in genere essa è più spinta nei paesi più industriosi che godono di un più
alto livello di civiltà: ciò che è opera di un sol uomo in uno stadio primitivo
della società diviene infatti opera di parecchi in una società progredita…
4
…Questo grande aumento della quantità del lavoro che, a seguito della
divisione del lavoro, lo stesso numero di persone riesce a svolgere, è
dovuto a tre circostanze: primo, all’aumento di destrezza di ogni singolo
operaio; secondo, al risparmio di tempo che di solito si perde per passare
da una specie di lavoro ad un’altra; e infine all’invenzione di un gran
3
Adam Smith, 1973
4
Adam Smith, 1973
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numero di macchine che facilitano e abbreviano il lavoro e permettono a
un solo uomo di fare il lavoro di molti…
5
”.
I passi appena riportati sono stati raccolti dal Libro Primo della “Indagine
sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni” di Adam Smith.
Ho riportato questi pai dell’opera di Adam Smith in quanto ritengo che il
tema che tratterò in questo lavoro, sia un approfondimento di quel che
definisco una naturale evoluzione di ciò che il padre dell’economia classica
sosteneva fosse la causa principale del progresso nelle capacità produttive:
la divisione del lavoro.
Nel primo dei tre passi riportati, infatti, attraverso l’esempio della fabbrica
degli spilli, viene precisato in modo esplicito, come anche in un’attività
produttiva, apparentemente semplice si possano incontrare dei
microprocessi, ognuno dei quali viene seguito da uno o più individui
specializzati, la cui somma porta al prodotto finale. Tale prodotto, risulta
sicuramente superiore a quello ottenuto da un unico individuo destinato a
svolgere tutte le attività direttamente.
Come vedremo, questo concetto sta alla base di quello di outsourcing,
qualora il soggetto considerato non sia il singolo operaio ma l’intera
azienda.
Il secondo passo riprende il concetto di miglioramento apportato dalla
divisione del lavoro e lo associa a quello di progresso industriale.
Altrettanto vale oggigiorno, se consideriamo che nei paesi maggiormente
industrializzati il livello di diffusione dell’outsourcing è molto elevato,
nonché in netto aumento; esso consente di raggiungere maggiori risultati in
termini di qualità e profittabilità, come pure importanti conseguenze in
5
Adam Smith, 1973
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termini di organizzazione. Questo vale soprattutto in un contesto di
globalizzazione dei mercati, che richiede sempre più caratteristiche di
flessibilità e competitività.
Nel terzo passo, infine, è interessante notare come vengano ripresi tre
concetti che rivedremo, sotto spoglie differenti, quando parleremo delle
motivazioni di scelta dell’outsourcing :
- L’aumento della destrezza di ogni singolo operaio, riconducibile al
“learning by doing” ed all’allocazione efficiente delle risorse;
- Il risparmio di tempo che si perde per passare da una specie di lavoro
ad un altro, chiaramente adattabile al concetto di focalizzazione delle
risorse sul core-business;
- L’invenzione di un gran numero di macchine che facilitano e
abbreviano il lavoro, permettendo ad un solo uomo di fare il lavoro
di molti; nello specifico caso possiamo sottolineare come
l’outsourcing consenta di impiegare un'unica risorsa del fornitore per
svolgere ciò che sarebbe fatto da molte risorse impiegate dai singoli
clienti, qualora una stessa attività fosse svolta internamente.
Queste considerazioni rappresentano un punto di partenza per definire il
problema della gestione delle attività che un’azienda può decidere di
esternalizzare. Come vedremo, tali attività possono essere più o meno
legate a quella principale dell’azienda, tuttavia, poiché la influenzano, è
necessario valutare la convenienza di una loro gestione interna rispetto ad
una esterna delegata ad un’azienda specializzata.
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Parte prima
L’Outsourcing
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Capitolo I
DEFINIZIONE DI OUTSOURCING
E MOTIVAZIONI DI SCELTA
Il presente capitolo a carattere introduttivo ha il compito di evidenziare
quali siano le motivazioni che inducono le aziende, pubbliche o private,
alla scelta dell’outsourcing per la realizzazione e la gestione di alcune
attività.
Come vedremo, accanto ai molteplici vantaggi, saranno presentati anche
alcuni svantaggi.
In sostanza, in questo primo capitolo ci poniamo l’obiettivo di proporre
alcune definizioni di outsourcing e quindi alcuni spunti di riflessione da
adottare all’atto della scelta di utilizzare o meno questa pratica.
I.1 Principi generali
Tra le pratiche di gestione dell’organizzazione aziendale più innovative
possiamo annoverare l’outside resourcing, che nella forma contratta è
chiamata outsourcing, e senza dubbio rappresenta una delle tecniche di
maggior successo, se adoperate dalle aziende nella maniera più opportuna.
Molti sono i vantaggi che scaturiscono dal ricorso a tale pratica, ma ci sono
anche aspetti che si presentano come altra faccia della medaglia.
Il crescente utilizzo di tale processo e la sua notevole diffusione hanno fatto
sì che esso subìsse grossi mutamenti nel tempo.
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Un’appropriata analisi della “value-chain” ha infatti offerto alle aziende
l’opportunità di valutare, in maniera adeguata, alcune funzioni aziendali
precedentemente considerate inderogabili. Tali studi hanno permesso di
considerare alcune di queste sotto nuovi punti di vista fino a rivederne le
modalità di gestione precedentemente internalizzate. Il termine value-chain
riprende il concetto di vantaggio competitivo espresso da Porter, dove il
valore viene inteso come il premium price offerto al cliente grazie alla
capacità strategica dell’impresa di organizzare al minimo costo tutte le
attività economiche concorrenti alla formazione del prodotto e del suo
prezzo, le quali essendo tra esse interrelate formano la cosiddetta “catena
del valore”.
Nel corso dell’ultimo ventennio, con lo sviluppo di nuove tecniche
manageriali e l’allargamento di queste ad un pubblico sempre più ampio e
competente, grazie anche al miglioramento dei processi produttivi e delle
tecnologie a disposizione, alcune funzioni importanti sono state delegate
all’esterno dell’azienda.
Per questa ragione, l’outsourcing è oggi una pratica diffusa che i manager
utilizzano al fine di migliorare i margini di profitto, soprattutto in quei
mercati che presentano forti condizioni di incertezza, che per tale motivo
richiedono strutture aziendali maggiormente flessibili.
L’adozione dell’outsourcing non è necessariamente legata alla natura
dell’azienda o dei settori in cui essa opera, quanto alle reali esigenze del
core-business, che emergono da accurate analisi costi-benefici e dalla
percezione di quali siano i segmenti di produzione o le funzioni che
sarebbero meglio svolte da aziende esterne in grado di garantire migliori
risultati.
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I.2 Una prima definizione di outsourcing
Con quest’accezione indichiamo “l’assegnazione stabile ad un fornitore
esterno della gestione operativa di una o più funzioni aziendali con
responsabilità totale dei risultati”(Boisseau 1990), ma a differenza delle
normali forniture, l’outsourcing costituisce qualcosa di maggiormente
complesso rispetto ad un contratto di fornitura, sia per ciò che riguarda le
modalità operative, sia per ciò che riguarda gli investimenti che ne
derivano; pertanto è necessario integrare questa prima definizione con una
seconda che descrive l’outsourcing come “modalità di organizzazione
esterna dei servizi per la cui attuazione è necessario formalizzare tra
l’impresa che esternalizza (l’outsourcee) ed una società già operante in
quel settore specifico (l’outsourcer), una serie di contratti associativi e/o di
scambio che impegnano le parti in investimenti congiunti ed in forme di
collaborazione sul piano della progettazione e/o della produzione dei
servizi oggetto dello scambio stesso” (Giacomazzi 1998).
Quel che differenzia l’outsourcing da un normale processo di fornitura, è la
titolarità delle responsabilità del processo esternalizzato. Infatti, mentre per
un processo di fornitura l’azienda non esternalizza anche il controllo della
stessa all’azienda appaltatrice, attraverso l’outsourcing, l’azienda che ne fa
uso terziarizza completamente sia la gestione sia la titolarità del processo
ad un’azienda denominata outsourcer che grazie alle elevate competenze
tecniche gestirà in primis le scelte operative da attuare nella produzione.
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I.3 Motivazioni per la scelta
Ciò che spinge le aziende verso l’outsourcing sono principalmente le
previsioni di cost managment che offrono una visione di medio/lungo
periodo, dove si ottengono i maggiori benefici dall’adozione di tali
strategie.
Affinché vi sia la giusta identificazione dei processi da esternalizzare, è
necessaria una dettagliata conoscenza della supply chain del settore in cui
si opera e della posizione che il proprio core-business occupa in tale catena.
Molteplici sono le motivazioni che possono orientare un’azienda verso la
scelta di esternalizzare intere attività, processi o parti di essi, queste
possono essere di tipo economico, di tipo operativo o di tipo strategico ed
organizzativo.
Di seguito sono state riportate le motivazioni che influiscono sulle
decisioni di terziarizzazione.
I.3.1 Focalizzazione sul core-business
L’outsourcing consente all’azienda di concentrarsi su questioni generali,
delegando all’outsourcer la definizione delle modalità operative. Questo
permette di definire con maggior chiarezza ed efficacia gli obiettivi primari
sia dell’outsourcer che dell’outsourcee.
Lo scopo è quello di eliminare le problematiche legate alla gestione delle
funzioni ausiliarie, che spesso possono occupare risorse manageriali di alto
profilo per risolvere questioni di middle-management, generando costi, sia
in termini di tempo, sia di opportunità non colte.
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Una scelta strategicamente corretta, consente di accelerare la crescita
dell’azienda attraverso investimenti in quelle aree in grado di offrire
maggiori vantaggi competitivi.
Per tale motivo è necessario suddividere le competenze in competenze di
base e competenze di supporto.
Se le prime rappresentano le competenze necessarie a raggiungere il
vantaggio competitivo, le seconde svolgono un ruolo di sostegno alle
competenze di base, dette anche core-competence o competenze distintive,
queste ultime rappresentano il pilastro su cui si erge l’organizzazione del
core-business, ed uno degli elementi di distinzione tra imprese simili,
presenti in uno stesso settore.
Esperti di strategie aziendali sostengono che un’appropriata impostazione
dell’organizzazione aziendale deve concentrarsi in maniera prioritaria sulla
definizione delle core-competencies, al fine di garantire maggiore stabilità,
poiché un’impostazione esclusivamente market-oriented produce
pianificazioni incerte e rischiose.
Il successo di un’azienda si fonda principalmente su una o più competenze
superiori a quelle dei concorrenti, in grado di garantire il vantaggio
competitivo e sulle quali è necessario che l’azienda investa. Una verifica
della “distanza competitiva” e delle competenze che la generano, deve
indurre l’azienda a concentrare su di esse gli sforzi economici, senza
disperderli, al fine di incrementare il suddetto vantaggio. Queste
valutazioni possono essere effettuate tramite opportune tecniche di
banchmarking, che consentono di confrontare le performance dei processi
interni con quelle dei concorrenti.
Infine, una giusta identificazione delle competenze, consente all’azienda di
stabilire quali attività è opportuno cedere a terzi e quali è necessario
mantenere internamente.
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I.3.2 Riduzione dei costi operativi
Normalmente, i processi esternalizzati sono ceduti ad aziende che
precedono un’impresa lungo la “supply-chain”, e le decisioni di cedere un
processo in outsourcing sono prese nel momento in cui il valore dello
stesso supera il costo minimo per ottenere la fornitura di pari qualità
dall’esterno; a quest’analisi è poi necessario affiancarne altre relative alle
caratteristiche economiche e tecnologiche del processo per cui si deve
decidere o meno la scelta di terziarizzare.
Più in generale, una fornitura esterna aumenta l’incidenza dei costi
variabili, e ne riduce i costi di origine normativa ed economica derivanti da
rapporti stabili e garantiti dal lavoro subordinato.
Per gestire i processi produttivi le imprese devono predisporre inizialmente
la capacità sistemica, che rappresenta le scelte di realizzazione della
struttura, identificabili nei costi fissi, e successivamente l’utilizzo della
capacità sistemica, che definisce le scelte di funzionamento della struttura,
identificabili in costi variabili.
La combinazione tra costi fissi e costi variabili stabilisce il grado di
flessibilità dell’impresa, caratteristica necessaria per affrontare mercati
sempre più complessi e turbolenti. Questa flessibilità può essere
identificata come:
- Strategica, che identifica le capacità dell’azienda di adattarsi alla
mutevolezza delle condizioni interne ed esterne;
- Strutturale, intesa come l’abilità delle strutture interne di adeguarsi ai
cambiamenti di strategia;
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- Operativa, che rappresenta la capacità di allocare opportunamente le
risorse interne a seguito di cambiamenti nella strategia strutturale.
Le analisi da effettuare devono prendere in esame in prima battuta la
presenza di economie di scala, le possibilità derivanti dal learning by doing
all’interno del processo, ma anche la maggiore propensione e capacità del
fornitore esterno ad investire in innovazioni che danno la possibilità
all’azienda di utilizzare a proprio vantaggio le risorse del fornitore, senza
investire direttamente i propri capitali.
In merito alle economie di scala crescenti, sappiamo che maggiori volumi
di produzione portano ad una diminuzione del costo medio e ad un costo
per unità di prodotto decrescente, ma per sfruttare questi benefici strutturali
bisogna poter gestire volumi di produzione superiori a quelli interni, come
può fare un’azienda che ha come attività core la produzione di beni o
servizi oggetto di decisione di outsourcing; sarebbe altrimenti possibile
costituire una nuova impresa che abbia i presupposti necessari allo
sfruttamento delle economie di scala grazie ad una clientela più ampia di
quella costituita dalla sola casa madre, e che garantirebbe maggiore
efficienza produttiva al processo in outsourcing (operazione chiamata spin-
off).
Il beneficio derivante dal learning by doing è invece dovuto alla maggiore
efficienza che un’azienda ottiene nel tempo dalla specializzazione: i
vantaggi si traducono ancora in una riduzione dei costi medi. La
concentrazione su un’attività core nel tempo conduce ad una maggior
confidenza con le modalità di gestione e le tecnologie produttive che questa
richiede affinché il processo risulti efficiente.
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In questi termini si può osservare un duplice effetto positivo apportato
dall’outsourcing, poiché anche l’azienda che esternalizza la gestione di un
processo può impiegare maggiori risorse nella sua attività principale, sia in
termini di economie di scala, sia in termini di vantaggi da esperienza.
Non bisogna poi dimenticare che un’impresa meno decentrata rischia di
affrontare costi più elevati in termini di R&S e di marketing per attività
marginali, i quali incideranno sui prezzi dei prodotti, provocando una
riduzione della competitività sui mercati di riferimento.
I.3.3 Allocazione efficiente delle risorse, attrazione di nuovi
capitali
La terziarizzazione di attività marginali consente di riallocare risorse
umane per attività che apportano un maggiore valore aggiunto, per esempio
nella customer satisfaction.
Sarà quindi necessario che il fornitore abbia una propensione ad investire in
nuove tecnologie superiore a quella che avrebbe il cliente che decide di
gestire il processo internamente.
Per tali motivi, la scelta di un partner a cui delegare tale processo deve
essere attenta, poiché legarsi ad un fornitore che non investe in innovazioni
di processo e di prodotto sarebbe una scelta strategicamente sbagliata, e
con alti costi di “reversibilità della decisione”, sebbene il vendor possa
offrire vantaggi di costo nel breve periodo. Questo vale soprattutto se
l’attività da esternalizzare è ad alto contenuto tecnologico, per cui è
richiesto un forte dinamismo nei processi di apprendimento e nell’adozione
di innovazioni.