2
concreti sforzi di conciliazione attuati da Bruxelles. Per facilit� di esposizione, il
lavoro � stato suddiviso in due parti. Nella prima parte si sono illustrate, da un lato le
interconnessioni esistenti tra lo strumento dell�armonizzazione e gli altri strumenti,
l�eliminazione degli ostacoli agli scambi intracomunitari e la prevenzione contro il
sorgerne di nuovi, previsti dal Trattato per l�instaurazione del Mercato Unico
Europeo; dall�altro, si sono esaminati i passaggi salienti che hanno portato
all�elaborazione della nuova strategia.
La seconda parte � stata, quindi, dedicata ad un�analisi approfondita e critica
dello strumento dell�armonizzazione, presentando il processo storico che ha portato
all�evoluzione dal vecchio approccio al nuovo approccio e le evoluzioni e le novit�
che l'Atto Unico Europeo (1986), i pi� importanti Atti del Consiglio, il Trattato di
Maastricht (1992) ed il pi� recente Trattato di Amsterdam (1997) hanno apportato ad
esso.
Ampio spazio � stato, quindi, dedicato alla descrizione del meccanismo di
funzionamento della nuova strategia e delle procedure che essa innesca.
Infine, nelle ultime sezioni della seconda parte � stato analizzato il recente
completamento della nuova strategia attraverso l��Approccio Globale� in materia di
politica di certificazione.
Parte Prima
Il Mercato Unico Europeo e gli strumenti per la sua realizzazione
Solo un'analisi approfondita della situazione esistente, permette di
comprendere appieno il valore di novit� e di rivoluzionamento assunti prima dalla
sentenza Cassis de Dijon ed in seguito dall'elaborazione del meccanismo del nuovo
approccio.
Questa prima parte �, quindi, dedicata alla presentazione, in primo luogo, del
percorso verso il raggiungimento del mercato unico europeo, lungo il quale l'azione
della Comunit� si � concretizzata. Nel primo periodo tale azione � stata diretta
all'instaurazione del mercato comune, cos� come prefigurato dall'art. 2 CE (rimasto
invariato con la nuova numerazione introdotta a seguito del Trattato di Amsterdam)
quale spazio economico nel quale sono assicurate le quattro libert� (libera
circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali), attraverso
l'eliminazione di ogni forma di ostacoli, siano essi tariffari - i dazi doganali e le tasse
di effetto equivalente - o non tariffari, e attraverso l'adozione di una tariffa doganale
comune (art. 3, ex art. 3 CEE)
1
.
Per poter raggiungere tale obiettivo � necessario assicurare la libera circolazione
delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali (art. 3 c, stessa numerazione).
Il diritto comunitario prevede tre strumenti principali, strettamente correlati tra
loro, per la realizzazione della libera circolazione delle merci, oggetto del presente
lavoro:
1
Questa definizione � confermata, per la prima volta, dalla Corte in una sentenza del 5 maggio 1982,
la sentenza Schul, Causa 15/81, in Raccolta della Giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità
Europee , p.1409, punto 33.
3
⇒ l�eliminazione totale di ogni forma di ostacolo, tariffario, amministrativo
e di altro genere, agli scambi intracomunitari (cos� come previsto dagli
artt. 23 a 25, 28 a 31, 90 e 91 CEE nuova numerazione
2
);
⇒ una disciplina che assicuri la trasparenza ed il controllo delle iniziative
legislative nazionali suscettibili di ostacolare la circolazione delle merci,
attraverso la previsione di misure di vigilanza sia ex ante sia ex post. Tale
disciplina mira da un lato ad assicurare la trasparenza in tale campo,
consentendo di prevenire il sorgere di nuovi ostacoli, per mezzo della
procedura prevista dalla direttiva 98/34/CE
3
; dall�altro mira a verificare
ex post se le legislazioni nazionali adottate ostacolano la circolazione,
secondo la procedura prevista dalla decisione 3052/95/CE;
⇒ lo strumento dell�armonizzazione di quelle legislazioni nazionali che
abbiano un�incidenza sulla creazione e sul funzionamento del mercato
unico (art. 3h CEE ed art. 93, 94 e 95
4
CEE nuova numerazione), per
completare l�opera di eliminazione degli ostacoli laddove sussistessero
ancora degli impedimenti alla circolazione delle merci causati da
divergenze tra le normative nazionali.
Questi tre strumenti, strettamente correlati ed interdipendenti tra loro, hanno
come medesimo obiettivo quello di eliminare o prevenire ogni forma di ostacolo al
libero scambio di merci tra paesi membri della Comunit�. In particolar modo, lo
strumento dell�armonizzazione delle legislazioni viene utilizzato per completare,
laddove necessario, l�azione di soppressione degli ostacoli e di liberalizzazione degli
scambi iniziata attraverso il primo strumento.
1.1 L’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione delle merci: i dazi
doganali, le imposizioni interne e le restrizioni quantitative
L�eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione delle merci � caratterizzata
dal raggiungimento di tre diversi obiettivi (fig.1), riguardanti
- l�abolizione dei dazi doganali e delle tasse di effetto equivalente (ex
artt. 9 a 12 CEE, ora artt. 23 a 25 CE);
- il divieto di imposizioni fiscali interne a carattere discriminatorio (ex
artt.95 e 96 CEE, ora artt. 90 e 91 CE);
- l�abolizione delle restrizioni quantitative agli scambi intracomunitari e
delle misure di effetto equivalente (ex artt. 30 e seguenti CEE, ora
artt. 28 a 30 CE), nonch� l�abolizione dei monopoli nazionali a
carattere commerciale (art. 31, ex artt. 37 CEE).
Un breve accenno
5
meritano le misure d�effetto equivalente alle restrizioni
quantitative, per il ruolo che esse hanno giocato nel percorso verso la sentenza Cassis
de Dijon.
Sia la Corte che la Commissione hanno elaborato, attraverso rispettivamente la
propria giurisprudenza ed i propri atti legislativi, una loro definizione della nozione.
2
Nella vecchia numerazione tali articoli corrispondevano rispettivamente agli artt. da 9, 10 e 12 CEE,
gli artt. 30 e 37 - essendo stati abrogati gli artt. 33, 34 e 35 - e gli artt. 95 e 96 CEE.
3
La direttiva 98/34/CE ha sostituito ed abrogato la direttiva 83/189/CEE.
4
Tali articoli corrispondevano nella vecchia numerazione agli artt. 99, 100 e 100A
5
Nella tesi sono stati dedicati alcuni paragrafi alla descrizione dei singoli obiettivi.
4
Tali definizioni possono ritenersi simili in quanto a contenuto, pur se la forma �
diversa.
Secondo la definizione esplicitata dalla Commissione nelle sue comunicazioni
interpretative e nelle sue direttive, in particolare la direttiva 70/50/CEE, le misure ad
effetto equivalente sono
“tutte le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative, le prassi, nonché ogni atto posto in
essere da un’autorità pubblica, ivi compresi gli incitamenti… suscettibili di ostacolare le
importazioni o le esportazioni, che potrebbero avere luogo in loro assenza, ivi comprese le misure che
rendono le importazioni più difficili e più onerose rispetto allo smercio della produzione nazionale”.
La prima definizione della Corte � contenuta nella sentenza �Dassonville� del
11 luglio 1974, nella quale afferma che devono considerarsi misure ad effetto
equivalente “tutte le normative commerciali degli Stati membri suscettibili di ostacolare
direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari”
6
.
Entrambe le definizioni fanno riferimento a qualsiasi atto, prassi o
comportamento imputabile agli Stati membri, ivi compresi comportamenti omissivi
della pubblica autorit�, che creano ostacoli alla libera circolazione delle merci; sono
esclusi in questo modo gli atti posti in essere dalle persone giuridiche private.
Inoltre, ci si riferisce, in entrambe le definizioni, alle misure che abbiano
un�incidenza restrittiva sulle importazioni e sulle esportazioni; non vengono dunque
considerate le misure interne che siano indistintamente applicabili sia ai prodotti
nazionali che ai prodotti importati. Queste sono regolate dalla direttiva 70/50/CEE.
La direttiva rappresenta un passo molto importante verso la precisazione della
nozione di misure, che possono avere effetti equivalenti a quelli delle restrizioni
quantitative. Essa vieta, innanzitutto, le misure distintamente applicabili ai prodotti
nazionali ed ai prodotti importati. In secondo luogo, vieta le misure indistintamente
applicabili sia ai prodotti nazionali sia ai prodotti importati.
Esiste, quindi, una divisione in due categorie differenti di misure d�effetto
equivalente: da una parte le misure distintamente applicabili e dall�altra quelle
indistintamente applicabili. Le misure distintamente applicabili possono essere
suddivise, a loro volta, in due categorie: quelle formalmente e sostanzialmente
applicabili ai soli prodotti importati, e quelle formalmente applicabili sia ai prodotti
importati che ai prodotti nazionali, ma che di fatto gravano in misura maggiore,
quando non unicamente, sui prodotti importati, rendendone pi� difficile o pi�
oneroso il commercio.
Le misure indistintamente applicabili (art.3 70/50/CEE) sono, al contrario,
secondo la Commissione, quelle �relative alla commercializzazione dei prodotti e riguardanti
la forma, le dimensioni, il peso, la composizione, la presentazione, ecc. che, pur applicandosi sia ai
prodotti nazionali che ai prodotti importati, hanno degli effetti restrittivi sulla libera circolazione
delle merci che eccedono il contesto degli effetti propri di una regolamentazione commerciale�.
La Commissione indica ai considerando 10 e 11, ed all�art. 3, l�esistenza di due
situazioni, nelle quali gli effetti restrittivi eccedono quelli propri di una
regolamentazione commerciale:
- quando tali effetti sono sproporzionati rispetto al risultato perseguito;
- quando il medesimo obiettivo pu� essere raggiunto con un altro mezzo che
abbia minore incidenza sugli scambi.
Dunque, gli obiettivi perseguiti dagli Stati membri con queste misure sono ritenuti
dalla Commissione rientranti nella sfera di competenza interna degli Stati.
6
Causa 8/74, sentenza del 11 luglio 1979, Racc. p.837.
5
Le normative nazionali indistintamente applicabili, emanate in virt� di tale
competenza ed entro i limiti di cui sopra (la proporzionalit� rispetto all�obiettivo
perseguito e l�assenza di ulteriori mezzi che arrechino meno ostacoli) non incorrono
nell�interdizione prevista dall�art. 28 CE, ex art. 30 CEE, in quanto i loro effetti sono
propri ed inerenti alle politiche interne degli Stati membri.
Da ci� consegue che, risulter� necessario ricorrere al ravvicinamento delle
legislazioni per eliminare gli ostacoli agli scambi intracomunitari derivanti da
normative nazionali indistintamente applicabili, che non rientrano nel campo
d�applicazione dell�art. 28 CE (ex art. 30). Lo strumento dell�art. 28 (ex art. 30) e lo
strumento dell�armonizzazione sono, quindi, tra loro interdipendenti e
complementari: l�uno ha lo scopo di eliminare immediatamente, salvo eccezioni
determinate, tutte le restrizioni quantitative all�importazione delle merci e tutte le
misure d�effetto equivalente, mentre l�altro ha lo scopo di permettere, mediante il
ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli
Stati membri, di ridurre gli ostacoli di ogni genere risultanti dalla disparit� tra dette
disposizioni.
Il rapporto di complementariet� si � andato, per�, modificando nel corso
degli anni ed a seguito delle sentenze della Corte: la linea di demarcazione, infatti, che
segnava il confine tra il campo d�applicazione del primo strumento e quello del
secondo, � andata spostandosi prima a favore di una maggiore applicazione dell�art.
28 CE (ex art. 30) e successivamente - a seguito della sentenza Keck e Mithouard che
ha determinato, secondo alcuni autori (Mattera 1994), un�inversione di tendenza - a
favore di un maggior utilizzo dello strumento dell�armonizzazione.
Una prima modificazione � stata attuata dalla Corte attraverso i principi
espressi nella celebre sentenza Cassis de Dijon e nella giurisprudenza successiva
7
,
diminuendo il campo d�applicazione dell�art. 94 CE (ex art. 100 CEE) a favore di un
utilizzo sempre maggiore sia dell�art. 28 CE (ex art. 30 CEE) sia del nuovo principio
del mutuo riconoscimento, per superare gli ostacoli derivanti dalla presenza nei
singoli Stati membri di legislazioni differenti.
Dalla giurisprudenza della Corte e dall�interpretazione della Commissione
emerge che gli Stati membri devono accettare i prodotti che siano legalmente
fabbricati in un altro Stato membro secondo prescrizioni tecniche diverse da quelle
nazionali (principio del mutuo riconoscimento di cui si parler� in seguito); gli Stati
membri, infatti, non possono imporre a tali prodotti importati regolamentazioni
nazionali indistintamente applicabili, anche se non eccessive rispetto all�obiettivo
legittimo perseguito, o non sostituibili da altre misure che arrechino minor intralcio
agli scambi.
La giurisprudenza della Corte ha ricevuto un�inversione in quella che era
diventata oramai, pur con alcune contraddizioni e discordanze, la sua linea d�azione
riguardo soprattutto le modalit� dell�attivit� commerciale e le condizioni di vendita
(chi, come, dove e quando vendere), con la sentenza Keck-Mithouard del 24 novembre
1993
8
.
In tale sentenza la Corte ha tracciato una distinzione tra le misure che
riguardano le caratteristiche del prodotto, e quelle che riguardano le modalit� di
7
Alla giurisprudenza successiva - anche denominata giurisprudenza Cassis de Dijon -
appartengono sentenze quali “Aceto I e II” del 9 dicembre 1981, “Cineteca” del 11 luglio 1985,
�Legge sulla purezza della birra in Germania� del 12 marzo 1987, �Paste alimentari�, �British Motors
Wright� del 30 aprile 1991, �Yves Roches� del 18 maggio 1993 ecc.
8
Cause riunite C-267/91 e C-268/91 sentenza del 24 novembre 1993 in Racc. p. I-6097.
6
vendita dello stesso. Essa ha, inoltre, affermato che, mentre le prime sono soggette
all�applicazione dell�art. 28 (ex art. 30), tutte le misure indistintamente applicabili che
riguardano le condizioni di vendita sfuggono all�applicazione di esso, senza un esame
preliminare dei loro effetti.
Poich�, dunque, le regolamentazioni nazionali concernenti le modalit� di
vendita esulano dal campo d�applicazione dell�art. 28 CE (ex art. 30 CEE), gli ostacoli
eventualmente creati da queste devono essere eliminati attraverso lo strumento
dell�armonizzazione. Dunque, il suo campo d�applicazione viene allargato e la linea di
demarcazione precitata si sposta a favore dell�armonizzazione.
1.2 La disciplina di trasparenza e controllo: strumento complementare per
evitare nuovi ostacoli alla libera circolazione delle merci
Il secondo strumento, di cui � dotata la Comunit� per la realizzazione ed il
funzionamento del mercato interno, � rappresentato dalla politica di trasparenza e
controllo. Le basi di questa politica sono state poste in via teorica nella
comunicazione interpretativa del 3 ottobre 1980, a seguito della sentenza Cassis de
Dijon.
Tale politica si �, per�, concretizzata, innanzitutto, attraverso la formulazione e
riaffermazione del principio del mutuo riconoscimento: come evidenziato (Mattera
1998), l�obbligo - ribadito nella sentenza �Fois Gras� del 22 ottobre 1998
9
- imposto
agli Stati membri di inserire una clausola di riconoscimento reciproco in tutte le
nuove regolamentazioni tecniche che essi adottano, rappresenta un primo importante
strumento di garanzia della trasparenza.
Tale clausola, infatti, oltre a riportare il principio del mutuo riconoscimento, deve
contenere anche l�indicazione delle soluzioni tecniche appropriate e le modalit� da
seguire che permettano di garantire l�effettivit� del diritto d�accesso, fondato sul
riconoscimento reciproco, al mercato di uno Stato membro.
In secondo luogo, la politica di trasparenza si � esplicata con l�adozione il 28
marzo 1983, da parte del Consiglio, della direttiva 83/189/CEE
10
, che prevede una
procedura d�informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche,
avviando in questo modo �l�operazione trasparenza�. Tale direttiva � stata abrogata
dalla direttiva 98/34/CE che ha codificato tutte le modifiche che erano state attuate
nel tempo, mantenendo alla base la procedura prevista dalla 83/189/CEE: il
meccanismo d�informazione si basa sull�obbligo in capo agli Stati membri di
notificare alla Commissione tutti i progetti nel settore delle regolamentazioni
tecniche, riguardanti esclusivamente i prodotti industriali. La Commissione, una volta
ricevuti i progetti, li trasmette agli altri Stati membri, che possono presentare delle
osservazioni.
9
La sentenza si pone all�interno della giurisprudenza Cassis de Dijon, in quanto in essa la Corte ha
riaffermato il principio del mutuo riconoscimento. Inoltre, lo Stato non pu� riservare ai soli prodotti
conformi alle prescrizioni nazionali la denominazione generica, che non sia n� una denominazione
d�origine, n� una denominazione geografica protetta, n� un�indicazione d�origine. Come ha messo in
evidenza Mattera nell�articolo citato nella nota precedente, la Corte ha riaffermato il diritto alla
diversit� e consacrato il principio del rispetto delle specificit� e delle tradizioni nazionali, regionali e
locali.
10
Direttiva 83/189/CEE del Consiglio del 28 marzo 1983, GUCE n�L109 del 26 aprile 1983.
7
La Commissione pu� nei tre mesi successivi la comunicazione, manifestare
l�intenzione di proporre al Consiglio una direttiva d�armonizzazione in materia; in
questo caso l�adozione del progetto deve essere rinviata di dodici mesi.
In terzo luogo, la politica di trasparenza e controllo si � concretizzata
attraverso l�adozione il 13 dicembre 1995 della decisione 3052/95/CE, che istituisce
una procedura d�informazione reciproca ex post di misure, adottate dagli Stati
membri, volte ad ostacolare, limitare o impedire la circolazione di un prodotto nel
mercato nazionale.
Gli Stati membri hanno l�obbligo di notificare alla Commissione tutte le misure
adottate dalle autorit� nazionali competenti, attraverso le quali uno Stato membro
ostacola effettivamente la libera circolazione o l�immissione sul mercato di un
prodotto legalmente fabbricato o commercializzato in un altro Stato membro (art. 1
della decisione), tutte le volte che tali misure hanno per effetto diretto o indiretto
un�interdizione generale, il rifiuto di un�autorizzazione d�immissione sul mercato, la
modificazione del modello o tipo del prodotto in causa - in vista della sua immissione
o mantenimento sul mercato -, un ritiro dal mercato.
Questo triplice strumento di trasparenza � in stretto e diretto rapporto con lo
strumento dell�armonizzazione delle legislazioni. Pi� specificatamente, esiste una
relazione inversa tra i due, in quanto maggiore � la prevenzione, che la Commissione
riesce ad attuare, minore sar� la necessit� di ricorrere all�armonizzazione per eliminare
eventuali ostacoli agli scambi intracomunitari, derivanti dalle legislazioni nazionali. Lo
strumento della prevenzione si inserisce, inoltre, nella logica della sussidiariet�: �
lasciata agli Stati membri la facolt� di legiferare in materia di produzione e
commercializzazione dei prodotti, ma la Commissione si riserva il controllo sia ex
ante che ex post dei progetti di legge e, quindi, la possibilit� eventualmente di
proporre delle modifiche al progetto o alla legge stessi.
In questo modo, diminuisce l�intervento comunitario, e dunque, il ricorso
all�armonizzazione a favore degli Stati membri.
1.3 L’armonizzazione delle legislazioni
Oltre agli ostacoli, eliminabili attraverso i due strumenti summenzionati, ne
esistono di altri che necessitano dell�intervento armonizzatore della Commissione per
essere eliminati:
▪ ostacoli derivanti da regolamentazioni nazionali adottate dagli Stati membri in
quanto giustificate da uno dei motivi espressamente previsti dall�art. 30 CE (ex art. 36
CEE), oppure in quanto esse sono proporzionali rispetto alle esigenze imperative
perseguite, ma hanno un�incidenza diretta sul funzionamento del mercato interno;
▪ ostacoli derivanti da disparit� e divergenze tra le legislazioni nazionali, che
siano meritevoli di ricevere una tutela a livello comunitario: in questo caso la
Commissione si fa promotrice di proposte di atti giuridici d�armonizzazione al fine di
raggiungere soluzioni armonizzate.
▪ ostacoli derivanti dall�insufficienza del risultato nonostante l�applicazione
dell�art. 28 CE (ex art. 30 CEE): esistono prodotti, sopratutto industriali, che pur
potendo essere ammessi sul mercato di uno Stato membro, ai sensi del suddetto
articolo, non posso essere pienamente utilizzati a causa delle disparit� tecniche
esistenti tra le specifiche applicate nel paese di fabbricazione e quelle vigenti nel paese
d�importazione. Si tratta, per esempio, di apparecchiature elettriche dotate di prese
diverse da quella utilizzata nello Stato importatore.
8
Tale strumento pu� assolvere, comunque, a diversi obiettivi. In primo luogo,
l�armonizzazione permette di assicurare omogeneit� giuridica tra gli Stati membri, al
fine di evitare quegli ostacoli che derivano proprio dalle differenze tra le legislazioni
statali.
In secondo luogo, l�armonizzazione consente di dare sicurezza giuridica.
In terzo luogo, l�armonizzazione � un mezzo volto a realizzare gli obiettivi della CE,
garantire l�effettivit� dei diritti e facilitare l�applicazione dei principi (per assicurare
l�effettiva applicazione del mutuo riconoscimento) contenuti nel Trattato, attraverso
la fissazione di regole precise, dettagliate e trasparenti.
Il Trattato CEE ha previsto, innanzitutto, gli artt. 94 e 95 CE (ex artt. 100 e
100 A CEE) come basi giuridiche dello strumento dell�armonizzazione delle
legislazioni; in aggiunta ed a completamento dei suddetti articoli, � stato previsto
anche l�art. 308 CE (ex art. 235 CEE), il quale attesta che: �se un’azione della Comunità
appare necessaria per realizzare, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della
Comunità, senza che il presente trattato abbia previsto i poteri d’azione a tal uopo richiesti, il
Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato il
Parlamento europeo, prende le disposizioni del caso�.
Tra le differenze pi� importanti che si possono riscontrare tra l�art. 94 (ex art.
100) e l�art. 95 (ex. art. 100 A, introdotto con l�Atto Unico Europeo nel 1987) la
prima riguarda la votazione necessaria al Consiglio per l�adozione delle misure
d�armonizzazione: da un lato, infatti, � richiesta l�unanimit� (art. 94 CE, ex art. 100
CEE), mentre dall�altra � stata introdotta la maggioranza qualificata (art. 95, ex art.
100 A). La seconda differenza riguarda la procedura di adozione delle misure
d�armonizzazione: l�art. 95 (ex art. 100 A) richiede la procedura di codecisione con il
Parlamento Europeo ai sensi dell�art. 251 CE (ex art. 189 B), mentre l�art. 94 (ex art.
100) prevede una procedura di consultazione.
Una terza differenza concerne la tipologia di misure che il Consiglio pu� adottare per
armonizzare le legislazioni nazionali: l�art. 95 (ex art. 100 A) prevede la possibilit�, per
il Consiglio, di adottare tutte le misure, siano esse direttive, regolamenti o decisioni,
mentre l�art. 94 (ex art. 100) prevede la possibilit� di adottare solo le direttive.
Se da un lato, per�, l�armonizzazione delle legislazioni ha rappresentato, e
rappresenta tutt�ora, un mezzo importante per la progressiva evoluzione verso una
comune cultura europea, dall�altro, soprattutto negli anni 60 e 70, essa � stata
effettuata in una maniera tale da rischiare di danneggiare le tradizioni culturali dei
singoli Stati membri.
A causa, infatti, della metodologia e degli strumenti utilizzati, l�azione della
Comunit� in materia di armonizzazione era percepita, ed in effetti lo era veramente,
come un �rullo compressore�: si puntava cio� alla creazione di norme comuni, che
regolassero nei minimi dettagli ogni singolo prodotto, con la conseguente creazione
di europrodotti tutti uguali, senza riguardo per le tradizioni produttive nazionali.
Questa metodologia presentava, inevitabilmente, delle difficolt�, legate soprattutto al
tipo di votazione utilizzata: l�unanimit�. Risultava, infatti, difficile riuscire a
raggiungere l�unanimit� su ogni singolo dettaglio relativo ad ogni singolo prodotto.
La conseguenza di ci� era uno snaturamento della funzione istituzionale della
direttiva ed un appiattimento delle tradizioni, a vantaggio di prodotti comuni uguali.
La necessit� di salvaguardare gli usi ed i costumi degli Stati membri ha portato
al superamento di tale inconveniente da parte della Comunit� attraverso
l�elaborazione, a seguito della sentenza Cassis de Dijon, di una nuova strategia in
materia di armonizzazione.
9
Sin dalla risoluzione del 7 maggio 1985, il Consiglio ha sottolineato
l�importanza della nuova strategia, detta del �rinvio alle norme�, per definire le
caratteristiche tecniche dei prodotti.
La nuova strategia si basa, secondo tali orientamenti, su quattro principi
fondamentali:
a. l’armonizzazione legislativa si limita all’approvazione dei
requisiti essenziali di sicurezza (o di altre esigenze
d’interesse collettivo) ai quali devono conformarsi i
prodotti immessi sul mercato per poter circolare
liberamente nella Comunità;
b. agli organi competenti per la normalizzazione industriale
è affidato il compito di elaborare le specifiche tecniche,
tenendo conto del livello tecnologico del momento, di
cui le industrie hanno bisogno per produrre ed
immettere sul mercato prodotti conformi ai requisiti
essenziali fissati dalle direttive;
c. tali specifiche tecniche non devono essere obbligatorie
bensì conservare il carattere di norme volontarie;
d. tuttavia, le amministrazioni sono allo stesso tempo
obbligate a riconoscere ai prodotti fabbricati secondo
norme armonizzate (o, a titolo provvisorio, le norme
nazionali) una presunta conformità ai requisiti essenziali
fissati dalla direttiva .
Le principali differenze tra le direttive nuovo approccio e le direttive che
seguono i criteri tradizionali:
1. innanzitutto, le direttive nuovo approccio riguardano larghe
famiglie di prodotti (es. macchinari, giocattoli ecc.) o di rischi
orizzontali (es. compatibilit� elettromagnetica), mentre quelle
vecchio approccio erano concentrate nella descrizione di uno
specifico prodotto, di una parte di esso, oppure di una singola
categoria di prodotti;
2. le direttive nuovo approccio stabiliscono una stretta
cooperazione tra autorit� pubbliche e gli operatori economici: un
ruolo importante � ricoperto dagli organismi, che possono essere
anche privati, responsabili dell�attestazione della conformit� ai
requisiti fissati dalle direttive, al contrario nel vecchio approccio
le specificazioni tecniche sono adottate dalle autorit�
comunitarie, e la funzione di organismi di notificazione � svolta
dalle autorit� nazionali;
3. le direttive nuovo approccio si limitano alla definizione dei
requisiti essenziali che i prodotti devono soddisfare per essere
immessi sul mercato, mentre le direttive vecchio approccio
contenevano anche la definizione minuta delle specificazioni
tecniche;
4. le direttive nuovo approccio, non contenendo specificazioni
tecniche, non necessitano di essere adeguate al progresso
tecnologico, in contrasto con quanto avviene per le direttive
vecchio approccio;
10
5. infine, le direttive nuovo approccio lasciano ai costruttori un
notevole grado di flessibilit� nella scelta e nell�adattamento della
tecnologia per soddisfare i requisiti.
Tutte le direttive Nuovo Approccio sono strutturate sulla base di uno schema,
delineato nella risoluzione del Consiglio del 7 maggio 1985:
1. Campo d’applicazione: viene definita la gamma di prodotti
considerati nella direttiva e i tipi di rischi da evitare. Rispetto al
passato, le nuove direttive riguarderanno una gamma molto
vasta di prodotti; ci�, tuttavia, non preclude la possibilit�
che un prodotto, o un rischio possano essere coperti da pi�
direttive.
2. Clausola generale di immissione sul mercato: questa clausola, inserita
in ogni direttiva nuovo approccio, stabilisce che i prodotti
considerati dalla direttiva possono essere immessi sul mercato
soltanto se non compromettono la sicurezza delle persone,
degli animali domestici o dei beni quando l�installazione e la
manutenzione nonch� il loro uso � conforme alla loro
destinazione. Poich� le direttive dovrebbero tendere, in linea
generale, ad un�armonizzazione totale, � necessario che
qualsiasi prodotto, immesso sul mercato, rientrante nel campo
d�applicazione della direttiva, sia ad essa conforme.
3. Requisiti essenziali di sicurezza: i prodotti, oggetto della direttiva,
devono obbligatoriamente conformarsi ai requisiti essenziali
ivi descritti, la cui elencazione � di solito riportata negli allegati
delle direttive. La natura pi� o meno dettagliata della
formulazione dei requisiti dipende dalla materia trattata. I
requisiti potranno essere modificati solamente da una nuova
direttiva.
4. Clausola di libera circolazione: impone l�obbligo agli Stati membri
di garantire la libera circolazione ai prodotti conformi ai
requisiti essenziali ed alla clausola generale d�immissione sul
mercato.
5. Documenti comprovanti la conformità e loro funzione: deve essere
accordata una presunzione di conformit�, ai requisiti essenziali
ed alla clausola generale d�immissione sul mercato, a quei
prodotti accompagnati da un mezzo di attestazione che ne
certifichi la conformit� 1. a norme armonizzate adottate da un
organismo europeo di normalizzazione competente; 2. a titolo
transitorio, a norme nazionali qualora non esistano norme
armonizzate nel settore oggetto della direttiva.
6. Gestione degli elenchi delle norme: qualora uno Stato membro o la
Commissione ritenga che le norme armonizzate o le norme
nazionali non rispondano o abbiano cessato di rispondere agli
obiettivi della direttiva, possono rivolgersi ad un comitato
permanente (vedi punto 10); sulla base di un suo parere, la
Commissione notifica agli Stati membri se le norme in
questione devono o non devono essere ritirate dalle
pubblicazioni nella GU.
11
7. Clausola di salvaguardia: tale clausola consente agli Stati membri
di bloccare, impedire o limitare l�immissione sul mercato di un
prodotto che sia ritenuto rischioso per la sicurezza delle
persone, degli animali domestici o dei beni, nonostante sia
accompagnato da uno degli attestati di conformit�.
8. Attestati di conformità: sono previsti diversi tipi di attestati per
certificare la conformit� di un prodotto, quali per esempio
quelli rilasciati da parti terze, oppure la dichiarazione di
conformit� rilasciata dal fabbricante o dal suo mandatario; in
ogni direttiva saranno precisati quelli adatti alle caratteristiche
del campo d�applicazione considerato. La scelta degli operatori
del settore tra i diversi tipi di attestati potrebbe essere limitata
o soppressa in funzione dei prodotti o dei rischi coperti dalle
direttive.
9. Il comitato permanente: � prevista l�istituzione di un comitato di
gestione permanente, che sar� composto dai rappresentanti
degli Stati membri, e presieduto da un rappresentante della
Commissione.
10. Compiti e funzionamento del comitato permanente: il comitato
stabilisce il proprio regolamento interno. Esso pu� essere
consultato, su iniziativa del suo presidente o su richiesta di
uno Stato membro, su qualsiasi questione relativa
all�applicazione della direttiva.
La nuova strategia si basa, come si � gi� detto, sul �rinvio alle norme�, in primo
luogo quelle armonizzate ed in via transitoria alle norme nazionali. Le norme
armonizzate sono norme europee elaborate sulla base di un mandato di
normalizzazione che la Commissione affida agli organismi europei di
normalizzazione.
Attualmente tre sono gli organismi europei a cui � riconosciuta la capacit�
normativa: il CEN (Comitato europeo di normalizzazione), il CENELEC (Comitato
europeo di normalizzazione elettrotecnica) e l�ETSI (Istituto europeo di
normalizzazione delle telecomunicazioni).
� nel quadro dell�accordo di cooperazione, firmato nel 1985, che la
Commissione negozia i mandati di normalizzazione specifici, per l�elaborazione, da
parte degli organismi, delle norme richieste dalla direttiva nel rispetto dei requisiti
essenziali in essa descritti. La Commissione, infatti, invita formalmente con un
mandato - in cui sono descritti, tra l�altro, l�oggetto delle norme, le esigenze essenziali
da rispettare e le norme internazionali cui pu� essere fatto riferimento - gli organismi
europei di normalizzazione a presentare delle norme europee.
Gli organismi europei di normalizzazione mantengono la facolt� di accettare o
respingere il mandato trasmessogli dalla Commissione. In caso di accettazione, essi
s�impegnano ad individuare ed elaborare le norme armonizzate ed a presentare alla
Commissione un elenco di quelle adottate, nel rispetto delle indicazioni fornitegli
tramite i mandati dalla Commissione e dei loro regolamenti interni. L�accettazione del
mandato ed il piano di lavoro degli organismi prevede l�inizio dello statu quo, cos�
come definito nella direttiva 98/34/CE, secondo il quale le autorit� nazionali
s�impegnano a non svolgere attivit�, a livello nazionale, sullo stesso argomento.
Una volta elaborate e ratificate dagli organismi europei di normalizzazione, le
norme vengono inviate alla Commissione, che ne pubblica i riferimenti nella
12
Gazzetta Ufficiale delle Comunit� Europee. A questo punto, gli organismi nazionali
di normalizzazione sono tenuti a trasporre le norme europee in norme nazionali, i cui
riferimenti saranno pubblicati dalle autorit� nazionali.
Le norme armonizzate, i cui riferimenti siano stati pubblicati nella Gazzetta
Ufficiale delle Comunit� Europee, conferiscono presunzione di conformit� ai
requisiti essenziali stabiliti nella direttiva a cui le norme (o la norma nel caso singolo)
si riferiscono. La loro applicazione rimane, per�, volontaria. Il fabbricante pu�,
dunque, scegliere se far riferimento alle norme armonizzate oppure ricorrere ad altre
soluzioni tecniche; in quest�ultimo caso, deve dimostrare che i suoi prodotti siano
conformi ai relativi requisiti essenziali.
Gli Stati membri presumono conformi alle norme armonizzate, o in loro
assenza transitoriamente alle norme nazionali, oppure ai requisiti essenziali fissati
dalle direttive, quei prodotti che sono accompagnati da uno dei mezzi di attestazione
previsti nella risoluzione del Consiglio del 7 maggio 1985:
- i certificati o marchi di conformit� rilasciati da terzi;
- i risultati di prove effettuate da terzi;
- la dichiarazione di conformit� rilasciata dal fabbricante o dal
suo mandatario stabilito nella Comunit�. Il fornitore
garantisce per iscritto che un prodotto, servizio, ecc. �
conforme ai requisiti specifici (pu� essere rilasciata
direttamente o a seguito di interventi di una parte terza);
- altri attestati eventualmente definiti nella direttiva.
1.4 La politica di certificazione e l’Approccio Globale
Sin dal 1986, la Commissione si � adoperata per completare ed integrare il
nuovo approccio, relativo all�armonizzazione, attraverso una politica coerente in
materia di valutazione della conformit�.
L�esistenza, infatti, di norme e regole tecniche nazionali fra loro non
armonizzate ed il mancato riconoscimento fra i diversi paesi delle certificazioni di
conformit�, rilasciate dagli organismi nazionali competenti, creava importanti ostacoli
all�effettiva libera circolazione delle merci.
La certificazione rappresenta l�attivit� con cui una parte terza, soggetto
indipendente, attesta che un prodotto, un servizio, un sistema organizzativo
aziendale, � conforme alle esigenze essenziali. Il soggetto terzo indipendente �
denominato organismo di certificazione e l�attivit� da esso compiuta si concreta nel
rilascio di un certificato e/o nell�apposizione di un marchio.
Esistono tre tipi di certificazione:
1. la certificazione dei prodotti o servizi viene effettuata per mezzo di
organismi di certificazione e laboratori di prove che verificano la
conformit� del prodotto/servizio alle esigenze essenziali stabilite nelle
direttive di riferimento;
2. la certificazione di sistema qualit� consiste nella verifica della
conformit� di un sistema qualit� aziendale a processi implementati e
gestiti secondo i criteri stabiliti dalle norme ISO 9001, 9002, 9003.
Questa verifica serve ad assicurare e garantire a terzi che la
produzione di un�azienda, organizzata secondo i requisiti stabiliti,
avvenga in un regime di qualit�;
13
3. la certificazione del personale consiste nella valutazione del personale
impiegato in particolari attivit� o settori tecnico organizzativi quali i
valutatori dei sistemi di qualit�, gli addetti all�esecuzione di prove non
distruttive, ispettori di saldatura e cos� via.
Gli Stati membri dispongono di strutture proprie di certificazione e di prova, i
cui organismi devono essere notificati.
La comunicazione del 24 luglio 1989 rappresenta il primo degli atti posti in
essere dalla Commissione, a cui hanno fatto seguito atti del Consiglio, che hanno
portato all�elaborazione di un Approccio Globale in materia di valutazione ed
attestazione della conformit�.
L�Approccio Globale si basa su tre principi fondamentali:
™ la conformit� di un prodotto ai requisiti essenziali prescritti nelle direttive
viene sancita mediante l�applicazione sul prodotto della marcatura CE;
™ gli organismi nazionali, autorizzati ad operare nelle procedure di valutazione
della conformit� alle norme, laboratori di prove ed organismi di
certificazione, sono designati dagli Stati membri e notificati alla Commissione
ed agli altri Stati membri, in conformit� ai criteri di valutazione comuni;
™ l�accreditamento di questi organismi, in conformit� alle norme europee serie
45000, fa presumere che questi organismi operino in maniera uniforme. In
mancanza dell�accreditamento gli Stati membri dovranno accertare che gli
organismi notificati siano organizzati ed operino secondo le norme suddette.
Al fine di raggiungere una certa flessibilit� nel funzionamento del meccanismo
di certificazione, � stato introdotto il cosiddetto approccio modulare: questo consiste
nel prevedere una serie di moduli relativi alle varie fasi del processo di progettazione
e produzione di un prodotto, in modo da ripartire in maniera pi� flessibile �l’onere
della valutazione della conformità su tutto il processo produttivo, adattandolo alle esigenze di
ciascuna funzione da svolgere�
11
.
I moduli, otto di base in aggiunta ad alcune varianti
12
, rappresentano la base di
tali procedure di valutazione della conformit�, e possono riguardare sia la fase della
progettazione che la fase della produzione dei prodotti - oppure entrambi -
prevedendo un controllo delle due fasi, per mezzo di uno o pi� di essi ad opera dello
stesso fornitore o di un organismo notificato. I moduli permettono di individuare, in
base al tipo di prodotti ed ai rischi interessati (possono essere previste anche diverse
procedure per una stessa categoria di prodotti), gli strumenti per istituire le procedure
adeguate che consentono di dimostrare la conformit� del prodotto ai requisiti stabiliti
nella direttiva di riferimento.
La gamma dei moduli utilizzabili per un prodotto o per una categoria di prodotti
� fissata nelle direttive, in modo da stabilire anche i criteri riguardo alle condizioni nelle
quali il fabbricante opera la sua scelta tra i moduli proposti; questi sono prospettati
tenendo in considerazione aspetti quali il tipo di prodotto, la natura dei rischi,
l�infrastruttura economica del settore, il tipo e l�importanza della produzione ecc., e
cercando di lasciare al fabbricante una scelta sufficientemente ampia.
11
Allegato alla Comunicazione della Commissione del 24 luglio 1989: �Memorandum della
Commissione su un approccio globale in materia di certificazione e di prove�. GUCE C 267/20 del 10
ottobre 1989.
12
I moduli sono numerati secondo le lettere dell�alfabeto: 1) modulo A: controllo di fabbricazione
interno; 2) modulo B: esame CE del tipo; 3) modulo C: conformit� al tipo; 4) modulo D: garanzia
qualit� produzione; 5) modulo E: garanzia qualit� prodotti; 6) modulo F: verifica su prodotto; 7)
modulo G: verifica di un unico prodotto; 8) modulo H: garanzia qualit� totale.
14
Affinch� la conformit� dei prodotti ai requisiti essenziali stabiliti nelle direttive
sia sempre assicurata, � necessario che gli Stati membri organizzino ed effettuino una
vigilanza costante del mercato.
Il compito di sorvegliare il mercato, e quindi di verificare la conformit� dei
prodotti ai requisiti essenziali, spetta alle autorit� pubbliche, che hanno il fine di
garantire l�imparzialit� delle attivit� di controllo. Ciascuno Stato membro pu�
decidere l�infrastruttura del sistema di vigilanza del mercato, che avr� competenza
soltanto sul territorio nazionale.
Le autorit� preposte alla vigilanza del mercato devono essere indipendenti e
svolgere la propria attivit� in maniera imparziale e non discriminatoria. Inoltre, tali
autorit�, nell�eseguire le attivit� che sono loro proprie, devono rispettare il principio
della proporzionalit�, nel senso che le azioni intraprese devono dipendere dal grado
di rischio o di mancata conformit�, e l�impatto sulla libera circolazione dei prodotti
dovrebbe essere il minimo necessario per conseguire gli obiettivi della vigilanza del
mercato.
Le autorit� di vigilanza hanno a disposizione due strumenti per ottenere le
informazioni riguardanti un prodotto: la dichiarazione CE di conformit� (che deve
essere messa a disposizione delle autorit� quando queste ne facciano richiesta) e la
documentazione tecnica (che deve essere messa a disposizione delle autorit� di
vigilanza entro un periodo direttamente proporzionale alla sua importanza ed ai rischi
connessi) che devono essere conservate dal fabbricante o dal suo rappresentante
nella Comunit�