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Lo stereotipo più diffuso descrive un regime inumano di studio ininterrotto e
un’infanzia che non esiste, schiacciata dalle esigenze sociali di preparare adulti
combattivi e perfetti. Le madri appaiono come tiranni e i giardini di divertimento vuoti,
le vacanze e i fine settimana sacrificati allo studio per anni. Guardiamo al Giappone con
ammirazione per l’abnegazione quotidiana, ma anche con condanna per il sacrificio del
tempo libero e delle piccole libertà concesse ai bambini prima di diventare adulti.
L’analisi che è stata condotta con questa tesi mira a porre il lettore più vicino ad una
realtà sociale diversa, ma egualmente importante. Il Giappone è una società che al pari
delle altre organizza i suoi membri per garantirsi la sua sopravvivenza, senza lacerazioni
interne, ma anzi coltivando un’energia interna che le permette di avanzare e competere
nel tempo e nello spazio. Occorre concepire la scuola giapponese e le esperienze vissute
dai bambini come radicate nelle realtà psicologiche e culturali tipiche del Giappone. La
scuola non è altro che un’agenzia sociale che inizia i bambini alla vita adulta dotandoli
delle abilità intellettuali, per adattarsi e convivere in armonia con altri esseri sociali.
Esistono nel mondo molti modi per lo sviluppo emotivo ed intellettuale dei bambini, e
quelli adottati dal Giappone sono molto diversi e più organizzati dei nostri.
In Occidente, le scuole non pongono l’accento sui valori in comune, generalmente, ma
forniscono un ambiente educativo ambivalente, che riflette diversi precetti ideologici, e
molto spesso prevale la libertà d’insegnamento sulle priorità della società riportata nei
programmi ministeriali, in termini sia d’istruzione sia d’educazione. In Giappone,
educazione ed istruzione sono importanti in eguale misura. L’educazione consiste nella
trasmissione dei valori, quali armonia, collaborazione, altruismo, impegno, fedeltà,
modestia, amicizia, rispetto; mentre l’istruzione consiste nella trasmissione delle
nozioni inerenti le conoscenze scientifiche, letterarie, geografiche, eccetera, per
integrarsi come adulti nelle altre istituzioni sociali. La scuola giapponese coltiva nel
bambino le sue doti innate, e rendendo le abilità eguali in bambini diversi, in armonia e
collaborazione piena con le famiglie deferenti verso la scuola.
L’apprendimento avviene a scuola ma anche in altri ambiti: istituzioni quali la
famiglia, le aziende, l’ufficio, e i gruppi di coetanei e amici.
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Ad ogni modo l'apprendimento scolastico fornisce modelli forti e paradigmi di
insegnamento e apprendimento nelle società industriali. I giapponesi fin da piccoli
imparano a adottare un atteggiamento volto ad apprendere sempre nuove conoscenze e
abilità, e come delle spugne possono adattarsi bene ai ritmi di una moderna e avanzata
società moderna qual è il Giappone. L’insegnate (sensei/shidosha) ha un ruolo sociale
nella scuola, nelle società e in ambito artistico, è parte di una serie di relazioni
fondamentali che includono obblighi emotivi e sociali. Il maestro, quindi, è un simbolo
che da vita ad una gamma d’associazioni ed emozioni per tutti i membri della società.
La socializzazione dei piccoli giapponesi è l’obiettivo perseguito dalla scuola
primaria, elementare e materna. La scuola media accresce le conoscenze sul mondo e le
abilità intellettuali dei ragazzini, insieme allo sviluppo dell’autodisciplina e
dell’impegno in qualsiasi attività svolta. Sono questi due stadi che saranno descritti
nelle pagine seguenti. Emergerà che per la cultura giapponese, perfezionare se stessi
significa perfezionare le proprie attitudini e la propria prestazione finale. Così come
focalizzare l’attenzione e dare cura ai particolari, rende perfetto il risultato finale di
qualsiasi lavoro. Da ciò deriva la meticolosità, la precisione quasi maniacale con cui si
studia si lavora si rispettano i tempi d’insegnamento e gli orari così come gli argomenti
da insegnare giorno per giorno a scuola. Partendo da una socializzazione di base nelle
attività di gruppo, il bambi9no giapponese impara ad accettare gli obiettivi più esigenti
necessari per la conoscenza profonda e la riflessione. La cura e l’attenzione, rivolta
dagli adulti al mondo scolastico, confermano il ruolo sociale della scuola nel creare
nuovi giovani membri della società.
La tesi si articola in tre parti. La prima mira ad introdurre il lettore nella società
giapponese: come vivono, dove trascorrono il loro tempo di più, come si comportano.
Non si tratta di un’analisi approfondita, perché il tema centrale è il processo di
socializzazione scolastico, ma il Giappone spesso ci appare attraverso pochi stereotipi, e
l’approfondimento può aiutare a capire poi meglio perché la scuola è così importante
per i giapponesi. La seconda parte affronta il tema dell’educazione familiare dei
bambini. Occorre, infatti, precisare che esiste un filo rosso che collega gli intenti
pedagogici familiari con quelli promossi dalla scuola.
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L’origine di questa continuità risiede nella forza della cultura che pervade tutti i
cittadini e li guida nella loro vita quotidiana. La figura nella pagina seguente mostra
come funziona il sistema scolastico in qualsiasi società moderna. Gli aspetti che saranno
affrontati da questa tesi, saranno le fasi A, C, D e E. Si descriverà in altre parole il
processo che porta la società a trasmettere attraverso il sistema scolastico, i valori e le
norme dominanti nel sistema sociale. La società giapponese (A) utilizza risorse
educative (B), per raggiungere risultati educativi (E), attraverso il processo educativo
(D). Scuola e famiglia sono due agenzie di socializzazione. Esse insegnano come
comportarsi, come pensare, come agire, e quali sono i valori e le regole da rispettare
senza eccezioni. La terza ed ultima parte si occupa del tema centrale della tesi: il
sistema scolastico e il suo ruolo sociale.
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I. CARATTERI GENERALI DELLA SOCIETÀ GIAPPONESE TRA
MODERNITÀ E TRADIZIONE
La società giapponese è stata in grado di mantenere immutate le proprie peculiarità
senza compromettere la sua sopravvivenza in un mondo in continua evoluzione. Ciò
dimostra come le caratteristiche, illustrate in seguito, non sono antiquate, bensì
mostrano una società molto tradizionalista, che si è cristallizzata, e le cui peculiarità
l’hanno facilitata nel sopravvivere e nell’adattarsi alle condizioni dell’epoca moderna.
I.1. Qualità e difetti giapponesi
Le caratteristiche sociali giapponesi (Fodella, 1989: 183) furono rilevate da un
sondaggio
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(1) del 1968 ed ancora ai nostri giorni tali pregi e difetti si sono mantenuti
sostanzialmente immutati.
I giapponesi interpellati elencarono tra le loro qualità nazionali: la laboriosità come
maggior pregio, seguito da tenacia, cortesia formale, gentilezza vera, idealismo,
ingenuità, allegria, amore per la libertà, razionalità ed originalità. I difetti citati furono:
l’irascibilità, la volubilità, la misantropia, l’imitazione, la vendicatività, la grettezza, la
subdolezza, la frivolezza, l’alterigia e la brutalità in ordine decrescente. I giovanissimi
giapponesi apprendono tali virtù e difetti sin dai primi anni di vita: nella socializzazione
in famiglia, tra i coetanei del gruppo amicale e in seguito a scuola e nell’ambito
lavorativo. Si tratta di un processo d’apprendimento molto intenso che forgia i giovani
membri della società giapponese.
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Il sondaggio citato (Fodella, 1989: 183) fu condotto a livello nazionale dal Comitato per l’indagine sul
carattere nazionale dell’Istituto di matematica statistica giapponese nel 1968.
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I.2. La stratificazione sociale verticale e il principio d’anzianità
Uno dei più importanti elementi distintivi della società giapponese è la sua
stratificazione verticale. Essa, infatti, è organizzata secondo una stratificazione non già
orizzontale o di casta, bensì verticale, per istituzioni o gruppi d’istituzioni (Nakane,
1992: 125). In Giappone si possono individuare classi sociali analoghe a quelle europee,
tuttavia questo tipo di stratificazione non riflette veramente la struttura sociale del
paese. Ciascun giapponese interagisce all’interno di una serie di gruppi: è membro del
gruppo di lavoro (l’azienda, il reparto, l’ufficio di cui fa parte) e della propria famiglia.
Questi sono i mondi sociali in cui vive ogni singolo giapponese. La società riconosce e
interagisce con un singolo sulla base della sua appartenenza ad un gruppo che lo
etichetta e gli fornisce un’identità sociale vincolante per tutta la sua vita. Il forte legame
tra il lavoratore e la sua azienda riflette il rapporto che lega un figlio al padre. Lo stesso
rapporto di subordinazione, fedeltà e lealtà caratterizza la relazione verticale e
gerarchica tra il subordinato, nuovo assunto, e i dipendenti più anziani dell’azienda.
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I.3. La competizione e i gruppi
La competizione coinvolge i gruppi e non i singoli giapponesi. In tal senso non
esiste il fenomeno dell’individualismo tipico delle società moderne occidentali. In
Giappone la competizione nel mondo del lavoro, avviene tra gruppi paralleli dello
stesso tipo (ad esempio due aziende che producono il medesimo bene oppure tra due
scuole).Il nemico nella visione sociale giapponese, va sempre cercato tra quanti
appartengono alla medesima categoria (Nakane, 1992: 126). I gruppi si contrappongono
solo in senso orizzontale, ad esempio le aziende siderurgiche o le società d’import-
export, così come università contro università oppure liceo contro liceo. A tal proposito
sono stati condotti numerosi studi sulla gerarchia nella vita dei villaggi (Nakane,
1992:125). Le famiglie, insediate per prime su un dato territorio, occupavano un gradino
più elevato nella scala gerarchica, mentre la ricchezza costituiva un fattore addizionale,
mai fondamentale. Il principio d’anzianità scandiva già la vita sociale della società
giapponese prima dell’avvento dell’epoca moderna e dell’industrializzazione. Nei
villaggi le famiglie erano ordinate dal vertice alla base, con un’ulteriore suddivisione
interna in classi basata sulla ricchezza e il reddito effettivi nonché sull’abilità nel
guadagnare denaro. Alle famiglie che si trovavano al vertice della classifica, le prime ad
essersi insediate nel villaggio, spettava una quota maggiore delle spese per le attività
comuni. Questa gerarchia, in base all’anzianità d’insediamento e di ricchezza, stimolava
la competizione tra famiglie di livello più o meno simile, così come oggi accade tra le
aziende dello stesso settore economico.
La lotta per occupare un posto più elevato nella gerarchia, che un tempo interessava i
villaggi tradizionali, riveste, nella sua variante moderna, grande importanza per la
società urbana contemporanea. La gerarchia in base alla quale sono classificate le scuole
segue in parallelo quella delle famiglie tradizionali. La competizione tra imprese
contribuisce sicuramente allo sviluppo economico poiché concentra verso un obiettivo
comune le energie d’ogni singola azienda; inoltre permette di consolidare l’unità tra
gruppi, verso cui i manager giapponesi costantemente tendono, nonché è un potente
fattore d’incoraggiamento all’indipendenza e all’isolamento.
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La singola azienda, infatti, compete nel settore economico di cui fa parte, e ciò la porta
ad essere autosufficiente e ad intrattenere legami molto duraturi con partner presso cui
si rifornisce di materie produttive o servizi. La gara tra pari si risolve nell’apparente
isolamento e nell’indipendenza d’ogni gruppo o istituzione. Tra istituzioni consimili si
stabilisce un ordine gerarchico e così nonostante la reciproca ostilità, esse formano un
universo sociale in cui si trovano indissolubilmente intrecciate. E’ sufficiente dire “i
cavoli sono buoni”, per vedere gli agricoltori mettersi a piantare cavoli al grido di
“anch’io, anch’io” (Nakane, 1992:129). Tale tendenza, ad imitare le novità provenienti
da altri, è rintracciabile nel caratteristico comportamento dei giapponesi, che tendono a
copiare un modello appreso da altri. si può definire come principio d’imitazione ed è
forse il tratto culturale più caratteristico per noi occidentali dei giapponesi.
Al medesimo livello, le istituzioni sono ordinate gerarchicamente in base alla relativa
durata nel tempo di un’istituzione. Le istituzioni d’alto livello sono definite ichi-ryu-
gaisha, società al vertice della gerarchia; ichi-ryu-ko è l’istituto scolastico che ha
maggior prestigio. Il fatto di essere al vertice della gerarchia conferisce il massimo
prestigio all’istituzione. Le istituzioni classificate come ichi-ryu sono sopra tutto. Le
altre due classi gerarchiche, ni-ryu e san-ryu, sono perennemente in competizione.
L’onnipresente coscienza dell’ordine gerarchico concorre ad incoraggiare la
competizione tra eguali. Sembra anzi che questa spinta sociale sia percepita e tenuta in
considerazione anche più del desiderio di conseguire maggiori profitti. E’ la volontà di
ascendere nella scala gerarchica a stimolare l’espansione, un più elevato tasso
d’investimento e l’edificazione di fabbriche ed uffici moderni ed accoglienti (Nakane,
1992:132).
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I.4. La posizione aziendale come status sociale e la relazione padre-figlio come
modello organizzativo
L’ordine gerarchico delle istituzioni interessa direttamente gli individui, poiché il
loro status e il loro prestigio ne dipendono. I giapponesi non sono interessati
all’ambiente sociale dal quale si proviene quanto all’appartenenza ad un’istituzione
(Nakane, 1992:132). Ai fini della collocazione sociale degli individui, l’ordine
gerarchico svolge una funzione analoga a quella della classificazione per casta o per
classi. I giapponesi sono quindi maggiormente interessati alla relativa posizione
gerarchica, concentrano la loro attenzione su di sé e sui loro immediati vicini e sanno
usare criteri raffinatissimi per individuare le pur minime differenze tra sé e gli altri. Il
caporeparto di una grande azienda ai vertici della scala gerarchica sarà collocato ad un
livello paragonabile a quello del direttore di una società meno importante; il docente di
una piccola università sarà equiparato al lettore o all’assistente di un ateneo più
prestigioso. Questo esempio mostra come la gerarchia interna ad ogni singola
istituzione travalica i confini dell’istituzione stessa.
La relazione verticale gerarchica che modella i membri del gruppo, è anche alla base
dell’organizzazione tra aziende affiliate e aziende di grandi dimensioni. Tali istituzioni
sono solite inglobare un numero considerevole d’imprese, chiamate spesso “aziende
figlie", subordinate all’azienda di vertice detta “azienda madre” (Nakane, 1992:133). Le
risorse sono distribuite da un’azienda all’altra e le affiliate possono godere di
un’autonomia dall’azienda madre. Quando avviene una bancarotta, solo coloro che sono
alla base della scala gerarchica, ci rimettono. Chi occupa il livello superiore terminerà le
relazioni con l’impresa fallita e con i coinvolti nella bancarotta. Il tipo di associazione
sopra descritta è particolarmente diffusa nel settore automobilistico e in quello edile.
Esso è chiamato oyako, ossia rapporto genitore-figlio, ed è identico nella struttura a
quello che legava, nel Giappone rurale, le famiglie tradizionali d’agricoltori, sulla base
dei vincoli tra proprietario terriero e fittavolo. Il principio organizzativo strutturato sul
modello dei rapporti genitore-figlio costituisce lo schema base dell’organizzazione
giapponese (Nakane, 1992:137).
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Tale principio è presente quasi in ogni tipo d’istituzione: una prestigiosa università, che
si associa con università più piccole, oppure le comunità religiose, che sono segmentate,
e in cui ciascun’organizzazione al vertice possiede un tempio e controlla le altre
diramazioni o i centri di culto minori.
Ogni istituzione, oltre ad essere legata ad altre istituzioni di dimensioni diverse ma
dello stesso tipo, ha rapporti costanti con una serie d’istituzioni differenti (per esempio,
quelle che garantiscono i servizi necessari) e tutte insieme formano un altro gruppo
funzionale. Un gruppo economico può essere più esteso e comprendere una banca,
un’azienda d’import-export, una società assicuratrice e altre forme d’attività
economiche. Gli Zaibatsu, le tradizionale istituzioni economiche, possedevano queste
caratteristiche organizzative e, nonostante il loro scioglimento imposto sotto
l’occupazione statunitense, i principi della loro organizzazione sopravvissero
sotterraneamente. Secondo l’etica giapponese, un rapporto tra aziende deve essere
mantenuto, una volta costituito, anche a costo di perdite economiche (Nakane,
1992:140). Gli eventuali danni saranno comunque compensati a lungo termine, poiché
un rapporto stabile può far crescere il credito con mutuo beneficio. In Giappone il grado
d’indipendenza di una singola istituzione è minimo, quello di un gruppo molto alto.
Ogni gruppo è noto informalmente come “appartenente alla linea di A” o “discendente
di A”, e la parola kei, che significa discendenza o rapporto genealogico, ben simbolizza
il sistema sociale giapponese.