II
urgenti, temporanee, perdendo sempre più di vista una visione unitaria, coerente con la
legge fondamentale del 1865. Inevitabilmente, la notevole difformità delle fonti
normative così accumulate ha contribuito a realizzare un quadro legislativo
sconfortante e colpisce che, solo all’inizio del nuovo millennio, il legislatore abbia
deciso di intervenire, con mano decisa, al fine di semplificare e, al tempo stesso,
innovare la materia dell’espropriazione per pubblica utilità.
Ha visto così la luce il citato d.p.r. 8 giugno 2001, n. 327: il testo unico delle
norme in materia di espropriazione per pubblica utilità. A volerlo, è stata la legge 8
marzo 1999, n. 50 (c.d. legge delega), mediante la quale il Parlamento ha incaricato il
Governo (il quale a sua volta ha delegato il Consiglio di Stato, ritenendo
l’espropriazione per pubblica utilità una materia particolarmente tecnica), di
procedere al riordino del procedimento ablatorio.
Il testo unico, prima ancora di entrare in vigore (e tale momento è stato più
volte spostato nel tempo), ha conosciuto una serie imbarazzante di interventi
modificativi, confermando l’intrinseca difficoltà del disciplinare i rapporti in questa
materia. Infatti, poco dopo l’approvazione del d.p.r. 327/2001, si è elevato un coro di
critiche, minacce di blocco dei lavori pubblici e accuse ai compilatori di non essere
stati in grado di aver compreso appieno la vera situazione degli espropri in Italia.
Tra le modifiche poc’anzi accennate, in grado di placare gli animi di molte
amministrazioni che non avevano accettato l’effetto “rivoluzionario” del nuovo testo
unico, c’è da annoverare quella del d.lgs. 27 dicembre 2002, n. 302 il quale ha avuto il
merito di aver apportato numerosi chiarimenti e sostituzioni, rendendo il testo unico più
confacente alle aspettative dei molti protagonisti della vicenda espropriativa.
Solo dal 30 giugno 2003, il testo unico è entrato finalmente in vigore.
La nostra tesi si vuole occupare delle fasi del procedimento espropriativo
regolate dal nuovo testo unico. Inoltre, per completezza, dedichiamo durante il nostro
percorso attraverso la materia, un approfondimento relativo alla partecipazione degli
interessati al procedimento e all’istituto della cessione volontaria alla quale, tra l’altro,
è dedicato un apposito capitolo.
Tuttavia, prima di affrontare nel dettaglio la normativa che attualmente regola
l’ iter procedurale semplificato grazie al d.p.r. 327/2001, non possiamo non compiere
un’indagine di più ampio respiro che ci consente, quasi in punta di piedi, di avvicinarci
sempre più a comprendere le novità e, soprattutto, le ragioni che hanno indotto il
III
legislatore ad intervenire (dopo circa centoquarant’anni), sull’istituto
dell’espropriazione per pubblica utilità.
Ed è proprio il primo capitolo che ci offre una ricognizione storica dell’istituto:
dapprima, parlando delle origini e dell’evoluzione dell’espropriazione; poi,
affrontando le fasi procedurali ante testo unico, regolate dalla legge 25 giugno 1865, n.
2359. Nonostante l’ “alluvionale” proliferazione normativa dal 1865 alla fine del XX
secolo, degna di nota è la legge 22 ottobre 1971, n. 865 (la c.d. “legge sulla casa”).
Essa, infatti, rappresenta il primo intervento legislativo sostanziale che ha modificato il
procedimento espropriativo e il metodo della determinazione dell’indennità. Essa è lo
specchio, in un certo senso, della società italiana alla fine degli anni Sessanta: da un
lato, l’aumento delle competenze e delle funzioni dello Stato, dall’altro, l’incremento
dell’edilizia pubblica residenziale, agevolata e convenzionata. Il bisogno di una casa
che non tutti possono avere e, dunque, il compito di uno Stato che, nell’ambito delle sue
competenze, possa soddisfare tale bisogno. Tuttavia, tale legge comunque ha suscitato
polemiche: ha costituito, secondo molti, un’occasione mancata per riformare
radicalmente la legge fondamentale del 1865.
Il secondo capitolo descrive il testo unico nei suoi aspetti essenziali: la genesi, i
principi su cui esso si basa e l’ambito dell’applicazione. Tre parti per illustrare come il
nuovo testo unico si ponga, questa volta veramente, come segno di rottura rispetto al
passato; come taglio netto alle numerose leggi antecedenti; come scelta, perché no,
coraggiosa dei compilatori di affrontare e tentare di risolvere le problematiche relative
ad un procedimento così carico di significati, qual è quello espropriativo.
All’inizio di un nuovo millennio, i rapporti tra lo Stato e la proprietà privata, tra
quest’ultima e il suo sacrifico attraverso l’espropriazione e, infine, tra la materia
urbanistica e l’espropriazione, necessitavano un intervento non più parziale ma
radicale.
In un contesto sociale fortemente evoluto, là dove vediamo nascere, crescere e
modificare repentinamente gli agglomerati urbani, nuove strade di comunicazione,
nuovi enti territoriali, solo un procedimento coerente, semplificato, in grado di fornire
risposte ad ogni protagonista che coinvolge, può offrire il suo contributo ad uno
sviluppo equilibrato dei rapporti suddetti.
Non solo: già qualche anno prima, con la legge 7 agosto 1990, n. 241, il
legislatore si è posto il problema di regolare il procedimento allo scopo di semplificare
il rapporto tra l’autorità amministrativa e il cittadino, offrendo una legge ad hoc. Una
IV
legge, destinata a portare i suoi benefici effetti in ogni procedimento, specie quello
espropriativo, garantendo il principio della partecipazione del cittadino alle scelte
dell’autorità. Comprenderemo meglio questo principio, quando affronteremo la parte
centrale della tesi, quella, appunto, dedicata alle fasi del procedimento espropriativo.
Si, perché se espropriare significa trasferire coattivamente la proprietà di un bene
all’amministrazione, per motivi di pubblico interesse, allora che tale sacrificio avvenga
almeno considerando ad un livello paritario l’autorità e il cittadino.
Compiuta questa lunga, ma necessaria, “premessa” e cercata di capire le
ragioni (condivisibili o meno) che hanno portato alla nascita del nuovo testo unico, il
terzo capitolo si concentra sulle fasi del procedimento ablatorio. Esse sono
sostanzialmente tre: la fase della sottoposizione del bene al vincolo preordinato
all’esproprio; la fase della dichiarazione della pubblica utilità; la fase di emanazione
ed esecuzione del decreto di esproprio. Ad esse si aggiunge, la fase della
determinazione e del pagamento dell’indennità: fase squisitamente tecnica (nei modi di
calcolo dell’indennità), a tratti complicata, tant’è che costituisce, a detta di molti, un
autentico sub-procedimento che, comunque, per nulla ostacola o interrompe il normale
iter procedurale espropriativo.
E’ nelle fasi che si colgono le rilevanti e discusse novità del nuovo testo unico,
così come modificato dal d.lgs. 302/2002. Ne anticipiamo qualcuna, per rendere l’idea
dell’importanza che il testo unico ha assunto e che, tutt’ora fa discutere, rinviando poi
alla lettura del capitolo 3 ad esse dedicato e alla formulazione delle nostre conclusioni.
La prima è ormai evidente: la soppressione della normativa vigente, una vera e
propria tabula rasa delle norme anteriori (l’art. 58 t.u. elenca, in ben 140 punti, le
norme abrogate); le altre sono di natura principalmente procedurale, consistenti in una
più precisa articolazione della fasi (come poc’anzi ricordato) e della loro durata; una
migliore individuazione dei protagonisti coinvolti nel procedimento ablatorio e la loro
partecipazione; la reintroduzione (ad opera del d.lgs. 302/2002) dell’occupazione
d’urgenza.
Infine, a completamento del nostro studio inerente all’espropriazione, abbiamo
estrapolato dal discorso (per dedicargli il capitolo conclusivo), l’istituto della cessione
volontaria: una particolare figura giuridica diretta a consentire una più sollecita
definizione della procedura ablatoria. Alla giurisprudenza deve essere riconosciuto il
merito di aver ricostruito la cessione volontaria quale contratto pubblico che si
inserisce e si integra nel procedimento concludendolo, in quanto tiene luogo del
V
provvedimento ablatorio e di questo ne assolve la stessa funzione. Ciò rende evidente,
sotto l’aspetto funzionale e strutturale, il carattere “sostitutivo” rispetto al
provvedimento ablatorio. Un istituto che trova pieno sostegno, in quanto la normativa
contenuta nel testo unico lo incoraggia e lo favorisce, cercando, in un certo qual modo,
di lenire il carattere affittivo che comunque un esproprio porta inevitabilmente con sé e
si ripercuote sugli espropriati.
Crediamo così di fornire un quadro completo della materia dell’espropriazione
per pubblica utilità. Dopo oltre un secolo gli operatori del diritto e non solo, hanno
finalmente a disposizione un testo normativo ricco e articolato per adempiere nel
migliore dei modi possibili ad un procedimento espropriativo.
Seveso (MI), novembre 2004.
ROBERTO BIZZOZERO
CAPITOLO 1
L’ISTITUTO DELL’ESPROPRIAZIONE
1. L’ISTITUTO DELL’ESPROPRIAZIONE
Titolo I – Le origini
2
TITOLO I
Le origini
1. L’ISTITUTO DELL’ESPROPRIAZIONE
Titolo I – Le origini
3
SEZIONE I
Definizione ed evoluzione storica dell’espropriazione
I. Principi generali. – La materia delle espropriazioni per pubblica utilità è una
delle più delicate e complesse del diritto amministrativo. In primo luogo per il
coinvolgimento di numerosi principi ed interessi costituzionalmente rilevanti che
inducono il legislatore ad una particolare attenzione. In secondo luogo, l’argomento
costituisce una delle problematiche maggiori per gli enti locali che sono i principali
protagonisti del governo del territorio. Inoltre, il cittadino, solo al sentire parlare di
espropriazione, intuitivamente pensa a un atto amministrativo in grado di realizzare una
forzata privazione di un diritto reale.
Il provvedimento espropriativo infatti, costituisce la forma più incisiva di
esplicazione del potere ablatorio ed uno strumento insostituibile per rispondere al
moltiplicarsi delle necessità ed esigenze della vita sociale e collettiva. Esso costituisce
lo strumento più valido a cui ricorrere per poter realizzare opere pubbliche, attuare una
pianificazione urbanistica e per promuovere un adeguato sviluppo industriale nelle zone
di intervento pubblico.
Un modo per definire l’espropriazione può essere il seguente: «l’espropriazione
consiste nel trasferimento coattivo, per ragioni di pubblico interesse, della proprietà o di
altro diritto reale su un bene privato a favore della pubblica amministrazione, con la
conseguente conversione del diritto reale dell’espropriato in un diritto di credito ad una
somma di denaro a titolo d’indennità»
1
.
Questa è una delle numerose definizioni di un istituto che ha le sue origini nel mondo
comunale e che attraverso i secoli è giunto a noi tuttora conservando la sua importanza.
«La principale finalità dell’espropriazione è quella di consentire alla pubblica
amministrazione di acquisire la disponibilità delle aree e degli immobili necessari per
l’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità»
2
. Ma giova ricordare che l’istituto
in parola può essere utilizzato anche per interventi diversi dalle opere pubbliche: per
esempio, quando si vuole acquistare a beneficio della collettività dei beni mobili o
immobili per i quali non è prevista una concreta trasformazione o alterazione, oppure
per acquistare aree a favore dei privati per interventi produttivi.
1
VIRGA P., Diritto Amministrativo. I principi, 1. Milano, Giuffrè, 2001, p. 353.
2
Ibidem, p. 353.
1. L’ISTITUTO DELL’ESPROPRIAZIONE
Titolo I – Le origini
4
Non si può parlare di espropriazione e quindi esula dalla definizione, la semplice
imposizione di un vincolo su beni di interesse pubblico (vincolo culturale,
idrogeologico, paesistico), perché con il vincolo l’amministrazione pone solo un limite
al godimento e alla disposizione del bene. In questi casi infatti, la proprietà del bene
rimane al proprietario e nessun indennizzo potrà rivendicare. Le limitazioni trovano il
loro fondamento nell’intrinseca natura del bene stesso.
«Il termine espropriazione, dunque, indica nel linguaggio giuridico, i casi di
sottrazione coattiva – cioè imposta per atto d’autorità – del diritto di proprietà; ed
estensivamente, anche di taluna soltanto delle facoltà che vi ineriscono (per esempio,
del possesso, dell’uso o del godimento, totale o parziale, di una cosa mobile o
immobile)»
3
. L’ablazione della proprietà è preordinata alla realizzazione di un
determinato interesse, privato o pubblico, il quale esige che la disponibilità del bene sia
trasferita nella sfera giuridica di un diverso soggetto. In un senso ancor più rigoroso
allora, è necessario escludere dalla categoria delle espropriazioni quei casi in cui la
privazione del diritto è imposta come sanzione punitiva (penale o amministrativa) o
come misura di sicurezza.
Un’ultima precisazione. L’espropriazione per pubblica utilità non è una vendita
forzata. Tale concetto, pur essendo largamente superato in dottrina, ha influenzato la
formulazione della legge del 1865 sull’espropriazione che, fino all’entrata in vigore del
nuovo testo unico, ha regolato l’istituto. «La configurazione dell’espropriazione come
vendita forzata si giustificava nel diritto romano allorché l’effetto voluto si realizzava
per mezzo di un atto di imperium che obbligava il proprietario ad alienare la cosa. E’
invece completamente estranea all’odierna normazione positiva della materia un ordine
rivolto da una pubblica autorità al proprietario, per costringerlo a vendere, a costituire
un diritto reale a favore altrui, a locare, ecc…»
4
. Pronunciata l’espropriazione, «le
azioni di rivendicazione, di usufrutto, di ipoteca, di diretto dominio e tutte le altre azioni
esperibili sui fondi si possono far valere non più sul fondo espropriato, ma
sull’indennità che lo rappresenta», secondo l’art. 52 comma 1 e 2, legge espr. p.u.
2359/1865. La posizione dell’espropriante è assimilabile a quella di un acquirente a
titolo originario. Inopportuna è allora la denominazione (che spesso i pratici usano), di
“prezzo” come sinonimo di “indennità”.
3
NICOLINI U., v. Espropriazione per p. u., in Enciclopedia del Diritto, XV, Milano, Giuffrè, 1966, pp.
806-807.
4
Ibidem, p. 808.
1. L’ISTITUTO DELL’ESPROPRIAZIONE
Titolo I – Le origini
5
Nell’espropriazione per pubblico interesse, la privazione del diritto e la
correlativa attribuzione ad altri, sono effetto diretto dell’atto della pubblica autorità. Di
regola, questa è l’autorità amministrativa.
Nei secoli scorsi viceversa, l’autorità espropriante si identificava con il principe
o il sovrano (come vedremo nei paragrafi seguenti). Oggi, l’autorità espropriante è
l’autorità amministrativa titolare del potere di espropriare e che cura il relativo
procedimento, secondo quanto affermato dall’art. 3 del nuovo testo unico (d.p.r. 8
giugno 2001, n. 327). Tale definizione deve essere letta alla luce dell’art. 6, comma 1,
del testo unico, in base al quale «l’autorità competente alla realizzazione di un’opera
pubblica o di pubblica utilità è anche competente all’emanazione degli atti del
procedimento espropriativo che si renda necessario». Nell’opera di semplificazione
procedimentale voluta dal testo unico, la materia dell’espropriazione è strumentale
rispetto allo scopo per il quale è necessaria l’acquisizione del bene, vale a dire la
realizzazione di opera di pubblica utilità. «L’autorità espropriante ora non è più, come
in passato, chi emette il decreto di esproprio (prefetto o presidente della giunta
regionale, a seconda che trovasse applicazione la legge 25 giugno 1865, n. 2359, o la
legge 22 ottobre 1971, n. 865), bensì l’autorità che, essendo competente alla
realizzazione dell’opera, è anche competente per il procedimento espropriativo»
5
.
Nel corso dei secoli, l’istituto dell’espropriazione ha subito un’evoluzione
storica non indifferente, in quanto il rapporto tra proprietà privata e autorità ha avuto
alterne vicende. Dall’origine nel mondo comunale alla prima vera legge della materia
del 1865 e poi attraverso il secolo scorso ad oggi, si è assistito ad una crescente
attenzione verso uno strumento costantemente utilizzato dall’autorità amministrativa.
Non a caso dunque, all’inizio del nuovo millennio, vede la luce il primo testo unico
interamente dedicato all’espropriazione. Ma ora ripercorriamo brevemente le tappe più
significative di questa evoluzione.
II. L’oggetto dell’indagine storica. – I rapporti tra lo Stato, la proprietà privata,
la libertà dell’individuo, costituiscono il principale punto d’incontro della vita sociale, la
quale raggiunge la sua valenza più drammatica nella questione dell’espropriazione per
pubblica utilità. Osservare questi rapporti, significa guardare la storia dei rapporti e
degli istituti stessi. Il punto di partenza di ogni ricostruzione degli istituti giuridici è il
5
CARINGELLA F., G. DE MARZO, R. DE NICTOLIS, L. MARUOTTI, L’espropriazione per pubblica utilità.
Commento al testo unico emanato con il decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327
come modificato dal D.lgs. 302/2002. Milano, Giuffrè, 2003, p. 24.
1. L’ISTITUTO DELL’ESPROPRIAZIONE
Titolo I – Le origini
6
diritto romano, il quale afferma che «la concezione propria di dominium – una
concezione individualistica, assoluta, esclusiva e intollerante di limitazioni provenienti
dall’esterno, sia pure dallo Stato e per motivi di pubblico interesse – impedì ai Romani
di creare un istituto dell’espropriazione per pubblica utilità»
6
. Le espropriazioni
restarono, infatti, casi isolati anche nell’età postclassica e nell’età giustinianea seppure
queste ultime erano aperte all’influsso del pensiero storico e cristiano (che ritenevano la
proprietà privata un bene importante ma da utilizzare prendendo in considerazione
anche gli interessi degli altri). L’antica concezione di dominium rimase inalterata.
La concezione collettivistica della proprietà, invece, è tipica del mondo
germanico, mentre in quello feudale, la commistione si caratterizza di elementi
pubblicistici e privatistici.
Tutte queste epoche storiche sono fondamentali per l’evoluzione e il diffondersi
del “sapere” giuridico; richiederebbero, però, una ricostruzione storica assai
importante, ma che esula dal campo dell’attuale ricerca.
L’attenzione si porta allora al periodo comunale, che vide il fiorire di istituzioni
volte alla tutela della libertà e della proprietà individuale.
III. L’esproprio nel mondo comunale. – La figura di proprietà che prevale in
Italia, con l’avvento del periodo comunale, non è più quella feudale, bensì quella
romanistica. Viene garantito agli individui, grazie alla concessione della carte
costituzionali da parte dei signori (realizzatosi sulla fine del XII secolo), il libero
espletamento dei diritti fondamentali della persona e delle libertà patrimoniali. Tra
questi, il diritto di possedere, di disporre liberamente (entro l’ambito della legge
ovviamente) e di non essere spogliati della propria cosa ingiustamente, senza una
ragione, dai funzionari del principe. Queste concessioni garantivano la proprietà da
sopraffazioni e ingiustizie e limitavano il potere del principe di auferre: si usa
precisamente questa parola, che la dottrina userà poi per la teoria dell’espropriazione
7
.
«Auferre era il potere di sottrarre una cosa mobile od immobile al privato in
forza dell’autorità sovrana. E’ questo – come si esprimono i giuristi dell’età intermedia
– l’auferre da parte del principe di una cosa del privato; istituto che non aveva una
speciale denominazione e che noi possiamo designare con ablazione della cosa.
Nell’auferre la dottrina giuridica medioevale comprende non solo l’espropriazione per
pubblica utilità, ma tutti gli istituti che portano all’ablazione di una cosa del privato, in
6
NICOLINI U., v. Espropriazione per p. u., in Enciclopedia del Diritto,cit., p. 802.
7
Ibidem, p. 802.
1. L’ISTITUTO DELL’ESPROPRIAZIONE
Titolo I – Le origini
7
forza dell’autorità dello Stato. Non sempre, infatti, si parla di auferre nel senso di
espropriazione ordinata ed operata per il caso singolo, in base a un comando specifico
della volontà sovrana. Nella letteratura giuridica, infatti, sono citati quali esempi di
auferre, istituti concettualmente e strutturalmente molto diversi dall’espropriazione per
causa di pubblica utilità»
8
.
Rivive così la concezione romana della proprietà che si era appannata nell’età
feudale. «Il concetto di diritto di proprietà come diritto primario, non dipendente da
alcuna concessione sovrana, e perciò non revocabile ad nutum dallo Stato, viene
pienamente riconosciuto e sanzionato dal comune: gli statuti, che prevedono espropri
per causa di pubblica utilità e dietro compenso al danneggiato, mettono in pratica il
principio del non auferre arbitrario e con violenza, che il signore si obbliga a rispettare.
D’altro canto, della sovranità riguardo alle cose dei sudditi, […] la costituzione
comunale ci riflette una concezione corrispondente a quella romana e moderna»
9
.
Occorre precisare, però, che nel periodo comunale la proprietà non è concepita come un
diritto assoluto: la sua natura sociale emerge proprio grazie a particolari limitazioni, a
volte gravissime, ad essa imposte, tra le quali anche quella dall’esproprio. Nel comune
sono particolarmente avvertiti i valori della solidarietà e della collettività cristianamente
intesa: ciò consente di comprendere come l’interesse individuale è pur sempre parte di
quello collettivo, il quale, una volta ottenuto, fa sentire i suoi benefici a tutti.
I limiti alla proprietà (quali, per esempio, le servitù pubbliche, le requisizioni,
ecc.), non possono essere ricondotti ad arcaiche proprietà collettive, delle quali le
limitazioni stesse sarebbero dei residuati. L’espropriazione, la più importante delle
limitazioni alla proprietà, non si basa sulla permanenza in vita dei diritti delle comunità
sulle proprietà (in passato collettive, poi divise in possedimenti privati). Ciò è
dimostrato dal diffondersi e perfezionarsi, proprio nel diritto comunale, di questo
istituto dell’espropriazione per pubblica utilità. Se fosse stato legato a situazioni
storiche ormai scomparse, sarebbe andato eclissandosi.
«Ora, quando la res pubblica fu res communis e tutti godettero effettivamente
della prosperità dello Stato; quando si poté sviluppare quell’alto senso di solidarietà, si
arrivò facilmente – e proprio per questo – a capire come il sacrificio della proprietà
individuale ridondasse effettivamente a vantaggio di tutti»
10
. Quando venne conseguita
8
NICOLINI U., La proprietà, il principe e l’espropriazione per pubblica utilità. Studi sulla dottrina
giuridica intermedia. Milano, Giuffrè, 1952 (Università degli Studi di Roma. Pubblicazioni dell’Istituto
di Diritto Romano dei Diritti dell’Oriente Mediterraneo e di Storia del Diritto, XIV), pp. 189-190.
9
NICOLINI U., v. Espropriazione per p. u., in Enciclopedia del Diritto,cit., pp. 802-803.
10
Ibidem, p. 803.
1. L’ISTITUTO DELL’ESPROPRIAZIONE
Titolo I – Le origini
8
la forma di Stato comunale, i soggetti non temettero più di patire sopraffazioni
ingiustificate. Furono proprio quegli stessi uomini (che si opponevano a espropriazioni
o confische compiute arbitrariamente dal feudatario), a votare le delibere di espropri,
consapevoli di poter sottomettere le proprietà private a sacrifici stabiliti dalla legge e
posti a vantaggio di tutti. Con lo scopo di evitare nuovi e possibili abusi, vennero dettate
numerose garanzie che delimitarono le requisizioni, espropriazioni e quant’altro. Esse
costituirono l’ossatura di questi istituti, che noi oggi ritroviamo nello Stato moderno.
Negli statuti dei secoli XII, XIII e XIV , abbondante, se pur in frammenti, è la
messe di notizie che si può cogliere. «Statutum era la norma sancita dagli organi
costituzionali a ciò preposti dagli ordinamenti particolari, che riconoscevano sopra di sé
l’autorità di un superior: in contrapposizione con la lex che è vocabolo tecnicamente
riservato alla manifestazione normativa emanata dall’autorità suprema e universale, cioè
l’imperatore»
11
. La libertà comunale fu rappresentata dallo statuto: dopo la pace di
Costanza (il cui trattato è considerato come magna charta delle libertà comunali), iniziò
l’epoca della maggior fioritura statutaria. «Il bisogno di consolidare le libertà
conquistate e di garantirle di fronte all’autorità imperiale, aveva fatto sentire per tempo
l’opportunità di mettere per iscritto le regole di governo»
12
.
Le limitazioni poste dai comuni alla proprietà privata sono sterminate: dalle più
deboli e generiche (attinenti il godimento della cosa), all’espropriazione dell’immobile
stesso a favore del comune (per cause direttamente riconosciute di pubblica utilità) o di
un privato e per iniziativa di questi (per cause indirettamente riconosciute di pubblica
utilità). Queste informazioni ci permettono di ricostruire l’istituto dell’espropriazione e
di guardare con ammirazione al senso giuridico e morale degli uomini di quell’epoca:
persone sì di limitata cultura ma, come riteneva a ragione Bartolo, dotate di grande
saggezza.
IV. L’importante opera della dottrina intermedia. – Una ricostruzione
storico-giuridica, basata semplicemente sulla legislazione statutaria, sarebbe
obiettivamente carente. E’ opportuno, allora, rivolgere il nostro sguardo alla dottrina
giuridica dell’età intermedia, quella cioè che va dalla scuola di Bologna (secoli XI-XII)
al giusnaturalismo
13
. Un arco di tempo che rappresenta un’autentica fonte
11
CALASSO F., Medio Evo del diritto. I – Le fonti. Milano, Giuffrè, 1954, p. 419.
12
Ibidem, p. 421.
13
Dottrina storicamente nata nel Seicento con Ugo Grozio e che afferma l’esistenza di un diritto naturale
dedotto dalla ragione umana, su cui poggia ogni diritto positivo.
1. L’ISTITUTO DELL’ESPROPRIAZIONE
Titolo I – Le origini
9
indispensabile per la conoscenza del diritto che, in quell’epoca, fu spesse volte creato
dall’opera dei giuristi. La dottrina intermedia «ci rivela chiaramente i principi generali,
le idee filosofiche e politiche che costituiscono immancabile sfondo di ogni quadro
giuridico e trama indispensabile del pensiero del giurista […]. L’età delle autonomie
comunali è appunto l’età delle scuole di diritto; le quali, nel sistema dei rapporti tra lo
Stato e le cose dei sudditi (o tra lo Stato e i sudditi in relazione alle cose loro: che per la
dottrina intermedia è la stessa cosa), si basano su quella che era ormai una realtà chiara
e certissima»
14
. La dottrina intermedia si allontana così da ogni concetto feudale e
inizia a costruire la nozione di proprietà (e le sue limitazioni), sui fondamenti dei
principi romanistici, aiutandosi con le elaborazioni del diritto canonico, rivelatosi utile
per giustificare l’esproprio e non l’arbitrio. Questo le permise di realizzare
perfettamente l’istituto dell’espropriazione per pubblica utilità. La proprietà privata,
rinata nell’epoca comunale senza più quei caratteri di illimitatezza del classico diritto
romano, viene comunque considerata dalla dottrina stessa come un diritto pur sempre
sottoposto a dei limiti, per diverse ragioni di carattere morale e sociale.
IV.1. Segue. L’espropriazione per pubblica utilità. – Vediamo ora come si
articola il sistema di pensiero della dottrina giuridica e politica dell’età intermedia,
considerando anche le notizie messe a disposizione dalla legislazione statutaria.
«I giuristi intermedi tengono presente, innanzitutto, l’intima natura della
proprietà che essi fanno dipendere dall’origine della stessa; essendo evidente che, dalla
causa che l’ha fatta sorgere, la proprietà riceve un marchio che la caratterizza e le
conferisce un aspetto particolare. La proprietà è un istituto iuris gentium, cioè introdotto
nella società dal diritto delle genti»
15
. Testimonianza di fondamentale rilievo, alla base
dei rapporti tra la proprietà ed autorità sovrana: il principe, entro certi limiti, dispone
del diritto delle genti, il quale gode di garanzie paragonabili a quelle del diritto divino e
del diritto naturale. Il diritto di proprietà racchiude in sé una serie di facoltà libere ma
comunque delimitate dalla legge e la proprietà viene concepita come principalmente
libera e assoluta, ma sottoposta concretamente alle più gravi limitazioni.
Attraverso questi due aspetti della proprietà che si mantengono in equilibrio
(libera ma passibile di restrizioni), la dottrina intermedia è in grado di adattare i bisogni
individuali e quelli della comunità. Del resto, è lo stesso equilibrio che trova riscontro
14
NICOLINI U., v. Espropriazione per p. u., in Enciclopedia del Diritto, cit., p. 804.
15
Ibidem, p. 804.
1. L’ISTITUTO DELL’ESPROPRIAZIONE
Titolo I – Le origini
10
nella legislazione statutaria a proposito della proprietà e le molte limitazioni che le
leggi pongono alla proprietà stessa.
I giuristi intermedi, seguendo un ordine logico e sistematico, affrontano poi la
posizione del principe, cioè dell’autorità sovrana, sia essa l’imperatore o una civitas nei
confronti della proprietà privata. Si tratta della questione se il principe sia legibus
solutus, come attestano le fonti romane e cioè se sia svincolato da ogni legge umana,
divina o delle genti.
La questione è importante perché «nell’indipendenza del principe dalle leggi i
giuristi vedono il fondamento formale del diritto d’esproprio. E si precisa che soltanto
dallo ius civile il principe si può dire solutus, non dalle leggi superiori alla volontà
dell’uomo, cioè dal diritto divino, naturale e delle genti. Così il rescriptum principis
cioè l’ordine particolare di natura amministrativa – e perciò anche l’ordine di esproprio
– avrà diversa forza se è emanato in lesione del diritto civile oppure del diritto divino e
delle genti. E il rescriptum contra ius gentium (che a noi particolarmente interessa,
perché è con tale rescritto che si può ordinare un esproprio), è valido se è emanato per
causa giusta o causa di pubblica utilità.
Da qui la dottrina passa allo studio dell’istituto dell’espropriazione nel quale
trovano applicazione le enunciazioni teoriche dei freni imposti al sovrano e di garanzie
della proprietà di fronte al principe»
16
. Il principio fulcro di questa materia è dato dalla
prevalenza dell’utile della collettività su quello dei singoli.
L’istituto viene naturalmente avvalorato anche dai passi del Corpus iuris
17
, «che
sembravano prevedere interventi del principe nella sfera della proprietà in deroga alla
normale libertà del titolare del diritto. Da questo sistema di regole ed eccezioni viene
ricavato dalla dottrina il principio della necessità, per l’esproprio, di una causa di
pubblica utilità (opere pubbliche di difesa, opere di pietà, ecc.). Soltanto per queste
cause si potrà espropriare, vale a dire auferre, portar via direttamente la cosa del privato
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NICOLINI U., v. Espropriazione per p. u., in Enciclopedia del Diritto, cit., p. 805.
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Il Corpus juris non manca totalmente di leggi riguardanti vere espropriazioni per pubblica utilità. Per
esempio, l’espropriazione degli immobili per l’esecuzione delle opere pubbliche è rilevante la L. 9, de
operibus publicis, VIII, 12, così concepita: «Si quando concessa a nobis licentia fuerit extruendi, id
sublimis magnificentia tua sciat esse servandum, ut nulla domus inchoandae publicae fabricae gratia
diruatur, nisi usque ad quinquaginta libras argenti aestimatione taxabitur. De aedificiis vero majoris
pretii, ad nostram scientiam referatur: ut ubi amplior poscitur quantitas, imperialis extet auctoritas».
Cosa dice questa legge? Che si può demolire una casa privata in occasione di un’opera d’interesse
pubblico, quando il valore del fondo non superi le 50 libbre d’argento: in caso contrario si richiede uno
speciale mandato del principe. A questa legge si può aggiungere la Novella VII, che, in caso di pubblica
utilità, autorizza con termini molto generali l’occupazione dei beni della Chiesa.