4
ad accertare la ricorrenza di determinate condizioni in presenza delle 
quali è consentito al tribunale fallimentare la pronuncia di un 
provvedimento per effetto del quale i debiti del fallito non soddisfatti 
integralmente all’esito della procedura fallimentare divengono 
inesigibili. 
 L’istituto, che costituisce un’assoluta novità introdotta nel sistema 
concorsuale, è descritto dalla Relazione Governativa al d.lgs. 9 
gennaio 2006 n° 5 in termini di “incentivante liberazione del fallito 
persona  fisica dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali 
non soddisfatti integralmente all’esito della procedura fallimentare”.
1
  
La novella non definisce espressamente il fenomeno giuridico 
dell’esdebitazione ma si limita a delinearne gli effetti, nell’articolo 
142 della legge fallimentare, in termini di beneficio della “liberazione 
dai debiti”.  
Nell’art. 143 si dispone che “Il tribunale, con il decreto di chiusura del 
fallimento o su ricorso del debitore presentato entro l'anno successivo, 
verificate le condizioni di cui all'articolo 142 e tenuto altresì conto dei 
comportamenti collaborativi del medesimo, sentito il curatore ed il 
comitato dei creditori, dichiara inesigibili nei confronti del debitore 
                                          
1
 Relazione illustrativa al d.lgs. n°5 del 2006 recante: “La riforma organica della disciplina delle 
procedure concorsuali di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n° 267”. 
 5
già dichiarato fallito i debiti concorsuali non soddisfatti 
integralmente”.  
Dall’analisi della disposizione, si evince che l’esdebitazione del fallito 
non è un effetto automatico della chiusura del fallimento. 
 L’inesigibilità dei debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali 
non soddisfatti, è resa possibile solo da un apposito provvedimento del 
tribunale previo accertamento della sussistenza delle condizioni 
descritte nell’articolo 142, la maggior parte delle quali attinenti a 
comportamenti corretti e collaborativi del fallito. 
L’istituto attribuisce dunque al fallito la possibilità di essere liberato 
dai vincoli obbligatori sopravvissuti al fallimento, come misura 
premiale per aver tenuto sia prima che durante la procedura, una 
condotta corretta tesa a salvaguardare le aspettative di 
soddisfacimento dei creditori.  
Come è stato osservato dalla Suprema Corte
2
 “ tra gli effetti della 
chiusura del fallimento non è compresa la liberazione del fallito dalle 
obbligazioni non fatte valere o non soddisfatte nel corso della 
procedura fallimentare; al contrario l’articolo 120 terzo comma 
dedicato agli effetti della chiusura del fallimento, dispone che i 
creditori con il decreto di chiusura del fallimento riacquistano il libero 
                                          
2
 Cass., sez. un., 26 novembre 1993 n°11718. 
 6
esercizio delle azioni individuali verso il debitore per la parte non 
soddisfatta dei loro crediti per capitale e interessi, il che comporta la 
possibilità per il creditore di far valere il suo credito nei confronti del 
debitore tornato in bonis”. 
La chiusura del fallimento dunque “non produce di per sé l’effetto 
dell’esdebitazione del fallito”,
3
 ma costituisce l’indispensabile 
condizione che può procurare al fallito la possibilità giuridica di 
ottenere, nel concorso delle condizioni stabilite dalla legge, un effetto 
favorevole che opera sul piano dei rapporti sostanziali.  
All’istituto dell’esdebitazione è comunemente attribuita natura 
sostanziale
4
 in quanto è estraneo alla procedura concorsuale, intesa 
come svolgimento di attività dirette a soddisfare il ceto creditorio, 
sebbene essa, e più precisamente il suo esito costituisca 
l’indispensabile presupposto per la sua applicazione. 
La riforma delinea dunque un procedimento preordinato a consentire 
la pronuncia di un provvedimento il cui effetto è quello di dare origine 
ad una nuova situazione giuridica consistente nella condizione di 
inesigibilità dei debiti concorsuali non soddisfatti integralmente.  
                                          
3
 NORELLI E., L’ESDEBITAZIONE DEL FALLITO, IN LA TUTELA DEI DIRITTI NELLA RIFORMA 
FALLIMENTARE, SCRITTI IN ONORE DI GIOVANNI LO CASCIO, MILANO, 2006, P.255 SS., 
SPECIALMENTE A PAG. 255;  
4
 VITALONE V., L’esdebitazione in Il diritto processuale del fallimento, Torino, 2008,p.351 ss., 
specialmente a pag. 351. 
 7
Sebbene l’articolo 143 della legge fallimentare utilizzi una 
formulazione che può indurre a considerare il decreto di esdebitazione 
alla stregua di una pronuncia meramente dichiarativa o di mero 
accertamento (la norma identifica il contenuto della pronuncia con la 
formula “dichiarazione di inesigibilità”dei debiti) è indubbio che al 
decreto di esdebitazione si debba, invece, attribuire la natura di 
pronuncia costitutiva 
5
 e non meramente dichiarativa.  
Con tale pronuncia, infatti, che assume la forma di un decreto 
camerale, non si accerta affatto una situazione preesistente; al 
contrario, essa dà origine ed è fonte di una nuova situazione giuridica 
soggettiva di vantaggio per il debitore, essendo idonea a provocare 
una modificazione della situazione patrimoniale dell’ex fallito sul 
piano dei suoi rapporti sostanziali con la massa dei creditori
6
.  
In sostanza, mentre nel sistema precedente, il creditore che non aveva 
trovato in seno alla procedura fallimentare l’intera soddisfazione del 
suo credito poteva agire per la differenza contro l’imprenditore fallito 
tornato in bonis, attraverso la “liberazione dai debiti residui” che 
realizza l’esdebitazione, sarà precluso ai creditori concorsuali 
                                          
5
costantino g., L’esdebitazione in Foro it., 2006, p.208 ss., specialmente a pag. 208. L’Autore 
definisce il provvedimento di esdebitazione un “provvedimento costitutivo, con effetti estintivi”.  
6
 NORELLI E., op cit., specialmente a pag.255. 
 8
avanzare successive pretese tese a soddisfare la parte dei crediti non 
soddisfatta nel fallimento.  
A riguardo si è osservato che “l’istituto dell’esdebitazione modifica, 
con norma eccezionale e solo per alcuni soggetti, il precedente sistema 
generale, in quanto derogando alla regola generale del nostro diritto 
civile per cui i debiti vanno pagati fino a che non vengano 
evangelicamente rimessi oppure fino a che non si prescrivano, non 
consente la conservazione, una volta chiuso il fallimento, del diritto 
dei creditori di cercare di riscuotere i crediti insoluti sui beni futuri del 
debitore”.
7
  
La regola generale dunque, rimane quella sancita dal 3° comma 
dell’articolo 120 della legge fallimentare: la chiusura del fallimento 
non incide sulle ragioni di credito rimaste insolute nei confronti del 
fallito. Il provvedimento che dichiara l’esdebitazione, invece, sancisce 
l’operatività di una regola contraria che interviene sfavorevolmente 
sulle singole posizioni creditorie rendendole inesigibili.  
Affinché giunga a compimento la funzione propria della procedura 
fallimentare, ossia la liquidazione del patrimonio del debitore e la 
ripartizione proporzionale di tutti gli utili fra i creditori ammessi, 
l’ordinamento esige che, una volta aperta la procedura fallimentare 
                                          
7
 Trib. Bolzano, (ord.), 20 dicembre 2006 disponibile in www.tribunaledibolzano.net. 
 9
con la sentenza dichiarativa di fallimento, siano rispettate le 
disposizioni previste negli artt. 51 e 52 della legge fallimentare che 
stabiliscono rispettivamente il divieto di proseguire le azioni esecutive 
individuali sul patrimonio del fallito, nonché l’obbligo per tutti i 
creditori che intendano far valere i loro diritti nei confronti del fallito, 
di farlo esclusivamente nell’ambito della stessa procedura fallimentare 
attraverso l’insinuazione al passivo dei rispettivi crediti.  
L’articolo 51 della legge fallimentare sancisce, infatti, il divieto di 
azioni esecutive individuali disponendo che “salvo diversa 
disposizione della legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento 
nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti 
maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni 
compresi nel fallimento”. Pertanto, le azioni esecutive individuali 
proposte dopo la dichiarazione di fallimento per crediti maturati anche 
durante il fallimento, vanno dichiarate inammissibili su istanza del 
curatore, unico soggetto legittimato (oppure d’ufficio), mentre le 
azioni esecutive individuali proposte prima della dichiarazione di 
fallimento ma ancora in corso, devono essere dichiarate improcedibili. 
Venendo meno le esigenze che giustificavano tale divieto, esso perde 
operatività come effetto che scaturisce dal provvedimento che 
 10
formalmente determina la chiusura della procedura fallimentare, il 
decreto di chiusura che, ai sensi dell’art. 120 della legge fallimentare, 
ripristina la possibilità per i creditori di riacquistare il libero esercizio 
delle loro azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro 
crediti per capitale e interessi. Qualora, infatti, sia fatto valere nei 
confronti del fallito tornato in bonis ed ammesso all’esdebitazione, un 
credito anteriore al fallimento, questi potrà opporre al creditore il 
provvedimento di esdebitazione e potrà farlo sia nell’ambito dei 
giudizi di cognizione, deducendo la relativa eccezione, e potrà anche 
farlo, se il creditore è munito di titolo esecutivo e minaccia 
l’esecuzione forzata, anche mediante l’opposizione all’esecuzione ex 
art 615 c.p.c
8
.  
A riguardo c’è chi 
9
rileva che l’esdebitazione introduce un importante 
deroga alla regola dell’art 2740 del codice civile secondo la quale “il 
debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi 
beni presenti e futuri”e “si introduce una nuova regola, sconosciuta 
nel nostro sistema, che consentiva, fino a ieri, soltanto al creditore di 
                                          
8
 COSTANTINO G., op. cit., specialmente a pag. 211. 
 
9
 SANTORO V., Commento all’art 142, La riforma della legge fallimentare, a cura  di NIGRO A. e 
SANDULLI M., Torino, 2006, specialmente a pag. 848. 
 
 11
rimettere il credito, non altri”
 10
  e ciò “ in aperta violazione del dogma 
pacta sunt servanda”.
11
 
Occorre precisare che, per espressa disposizione legislativa, 
l’esdebitazione è concessa solo a condizione che si sia realizzata, 
all’esito della procedura fallimentare un minimo soddisfacimento dei 
creditori concorsuali. Attraverso tale requisito si sollecita 
ulteriormente la condotta collaborativa del fallito il quale è ben 
consapevole, in vista di una futura istanza di esdebitazione, che per 
tendere a tale risultato, deve astenersi da ogni da ogni comportamento 
fraudolento atto a diminuire e rendere insufficiente il proprio 
patrimonio sottoposto ad esecuzione concorsuale.  
Così come si sottolinea nella Relazione Ministeriale al decreto 
legislativo 9 gennaio 2006, n° 5 “In sintonia con gli elencati principi 
di delega, l'istituto è stato strutturato in modo tale da evitare che, 
nell’applicazione pratica, possa incentivare distorsioni nei 
comportamenti del debitore insolvente. Altrimenti, il sistema si 
sbilancerebbe a danno dei creditori in un’ottica di un vero privilegio e 
non del mero favor debitoris, in stridente contrasto rispetto alla 
                                          
10
SCARSELLI G., La esdebitazione nella nuova legge fallimentare in Il diritto fallimentare e delle 
società commerciali,Padova, 2007, fasc. 1 pt.1, p.29 ss.,specialmente a pag. 31. 
 
11
 CASTAGNOLA A. , L’esdebitazione del fallito, in G.Co, 2006, fasc.3, pt I, p.448 ss., specialmente 
a pag.457. 
 
 12
finalità di sviluppo dell'economia. Una previsione meramente e 
totalmente liberatoria per il debitore irrigidirebbe il sistema creditizio 
producendo una contrazione non solo del credito bancario e 
finanziario ma anche del sistema delle forniture, così rallentando il 
ciclo economico. L’ammissione all’esdebitazione, è stata quindi 
ancorata a parametri e limitazioni che ne evitino speculazioni dannose 
per il mercato
12
”.  
Dopo aver delineato per sommi capi gli aspetti innovativi dell’istituto 
in esame, il paragrafo successivo è dedicato all’indagine relativa 
all’analisi delle ragioni sulle quali si fonda l’istituto dell’esdebitazione 
nonché al suo significato nella nuova disciplina fallimentare, questioni 
sulle quali si sono soffermati i primi commentatori della riforma delle 
procedure concorsuali.  
                                          
12
 Relazione illustrativa al d.lgs. n°5 del 2006 recante: “La riforma organica della disciplina delle 
procedure concorsuali di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n° 267”. 
 13
2. L’esdebitazione: il suo significato nella nuova disciplina 
fallimentare. 
 
Prendendo in considerazione le prime argomentazioni caratterizzanti il 
dibattito che, all’indomani della legge delega sulla riforma delle 
procedure concorsuali, è stato dedicato sia all’indagine dei principi 
ispiratori del nuovo istituto dell’esdebitazione, che al suo significato 
nella nuova disciplina fallimentare, c’è chi osservava che “il 
neologismo, adottato nella rubrica del Capo IX sottolinea la valenza 
innovativa di una disciplina che si colloca nel contesto di un più 
generale ridimensionamento degli effetti del fallimento sulla persona 
del debitore ridimensionando in tal modo l’originario carattere 
afflittivo delle procedure concorsuali”.
13
 
Secondo alcuni, il legislatore, attraverso tale istituto, voleva 
semplicemente equilibrare le posizioni dei soggetti coinvolti nella 
procedura fallimentare: “con l’esdebitazione il fallimento non resta 
così semplicemente un modo di esecuzione a favore dei creditori, ma 
diventa anche una vantaggiosa occasione per il debitore del quale si 
                                          
13
LAZZARA M., Commento sub artt.142-144, in Il nuovo fallimento, SANTANGELI F.(a cura di),  
Milano, 2006,., specialmente a pag. 644. 
 
 14
incomincia a tener debito conto e la cui posizione inizia ad essere 
considerata su un piano di parità con quella dei creditori”.
14
 
Per i primi commentatori
15
della legge delega, la crisi economica 
dell’impresa non costituisce più un evento episodico imputabile ad un 
riprovevole comportamento colposo dell’imprenditore, ma diviene 
una componente del sistema commerciale.  
L’istituto si inserisce, infatti, nella rinnovata ratio delle procedure 
concorsuali: a tale stregua quest’ultime divengono “normali strumenti 
di gestione degli esiti di una scommessa imprenditoriale che ha avuto 
un esito negativo”.
16
 
 In tale mutato contesto si colloca la soppressione del pubblico 
registro dei falliti e la conseguente abrogazione dell’art 50
17
, oltre che 
dell’istituto della riabilitazione civile. 
 Il legislatore, infatti, ha ritenuto privo di ogni funzione l’istituto della 
riabilitazione civile il cui scopo era quello di rimuovere le cosiddette 
                                          
14
GHIA L., L’esdebitazione.Evoluzione storica, profili sostanziali procedurali e comparatistici, 
Milano,2008, specialmente a pag. 9. 
 
15
 LO CASCIO G., I principi della legge  delega della riforma fallimentare in Il Fallimento fasc. 9 
2005, p.985 ss., specialmente a pag. 985.  
 
16
 LAZZARA M., op cit., specialmente a pag. 644. 
 
17
L’art 50 della Relazione illustrativa al d.lgs. n°5 del 2006 dispone che: “Sempre al fine di dare 
attuazione al criterio di delega che richiede l’eliminazione delle sanzioni personali del fallimento 
ed in coordinamento con le novità apportate in sede di riabilitazione e di esdebitazione, è stato 
abrogato unitamente al procedimento di riabilitazione, l’articolo che prevedeva l’istituzione del 
pubblico registro dei falliti”. 
 
 15
incapacità personali che colpivano l’imprenditore commerciale iscritto 
nel registro dei falliti che non venivano meno con la chiusura della 
procedura concorsuale. 
C’è chi
18
 osserva che il legislatore della riforma “ha avuto una visione 
del fallimento non più punitiva verso il fallito, al punto di premiarlo 
con la liberazione dai debiti insoluti, una volta che questi risulti 
affidabile per effetto della condotta collaborativa prestata durante il 
fallimento, a differenza di quanto invece avveniva nel previgente 
sistema, in cui la condotta del fallito in seno alla procedura 
fallimentare era priva di rilevanza giuridica e al più veniva valutata la 
condotta successiva alla chiusura del fallimento ai fini della 
riabilitazione”.  
In coerenza con principi proclamati dalla legge delega
19
 una delle 
linee ispiratrici della riforma fallimentare è l’attenuazione delle 
conseguenze personali del fallimento.  
                                          
18
 PLENTEDA D., La legge delega per la riforma delle procedure concorsuali: principi e criteri 
direttivi in il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 2005 fasc. 8, p.966 ss., specialmente 
pag. 967. 
 
19
  Art 1, comma 6, n° 4) della legge 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con 
modificazioni, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del 
Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la 
modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché 
per la riforma organica delle procedure concorsuali), dispone che il Governo si attiene ai seguenti 
principi e criteri direttivi: “Modificare la disciplina delle conseguenze personali del fallimento, 
eliminando le sanzioni personali e prevedendo che le limitazioni alla libertà di residenza e di 
corrispondenza del fallito siano connesse alle sole esigenze di procedura”. 
 16
Secondo la disciplina pre-riforma, il fallito era soggetto ad una serie di 
incapacità personali che gli derivano dall’iscrizione del suo nome nel 
pubblico registro dei falliti. Tali incapacità, non venivano meno per 
effetto della chiusura del fallimento, ma soltanto per effetto 
dell’avvenuta riabilitazione civile, che costituiva un procedimento di 
volontaria giurisdizione preordinato a conseguire la cessazione degli 
effetti personali che il fallimento determinava nei confronti del fallito. 
Lo scopo della riabilitazione, infatti, era quello di cancellare il nome 
del fallito dal registro dei falliti e valeva sia ad eliminare le infamie e 
le incapacità personali che discendevano da quella iscrizione. Essa 
poteva essere concessa dal Tribunale che aveva dichiarato il 
fallimento, su richiesta dell’ex fallito o dei suoi eredi, qualora fosse 
presente una sola delle tre seguenti condizioni: 1)che il debitore 
avesse pagato tutti i creditori fallimentari; 2)che avesse adempiuto gli 
obblighi assunti con il concordato fallimentare, se ammesso; 3)che 
avesse dato prove effettive e costanti di buona condotta per almeno 
cinque anni dopo la chiusura del fallimento. La riabilitazione inoltre, 
non poteva essere concessa qualora l’ex fallito fosse stato condannato 
per bancarotta fraudolenta o per un altro delitto contro il patrimonio, 
la fede pubblica, la pubblica economia ed il commercio.