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CAPITOLO I
EVOLUZIONE STORICA DELLA TORTURA
1. La tortura nel mondo antico
1.1. Premessa
C’è da credere che la tortura sia nata con l’uomo stesso, imposta da esigenze di
vita sociale più che da crudeltà istintiva; esigenze di ordine nell’osservanza delle
leggi. Più precisamente bisognerebbe dire che essa nasce con la società, come
esigenza di legittima difesa contro i trasgressori dell’ordine costituito. Di qui tutta
una serie di punizioni corporali che dovevano costituire un ammonimento per
l’interessato e un esempio per gli altri. È il caso della gogna delle dita (le dita
bloccate fino alla seconda falange), riservata ai ragazzi un po’ discoli, o della
berlina (collo e braccia immobilizzati in una grossa trave, ed esposti agli sberleffi
della gente, in luogo pubblico), riservata ai mentitori, ai ladri, agli ubriaconi, a
tutti coloro che disturbavano la quiete pubblica
1
. Inoltre, vediamo che da sempre
gli esseri umani hanno fatto ricorso a violenze fisiche e psicologiche sui loro
simili, al fine di estorcere informazioni ritenute fondamentali per i propri interessi
o per quelli del gruppo di appartenenza, con l’intento di salvaguardare la comunità
da pericoli o tutelarne l’ordine sociale interno. Di questa esigenza sociale ci
sembra faccia fede proprio la circostanza secondo la quale la tortura dei testimoni
precedette storicamente quella degli imputati. Si sentiva cioè, sin dall’antichità,
l’insopprimibile esigenza di procedere in qualche modo, anche ferocemente,
all’accertamento della verità e all’amministrazione della giustizia
2
.
La tortura ha avuto due caratteristiche: o veniva usata come strumento giudiziario
per il raggiungimento di un fine (la confessione: la “regina delle prove”) oppure
era attuata in sede di esecuzione capitale a scopo di esempio, con funzioni
1
F. DI BELLA, Storia della tortura, Milano, Sugar Editore, 1961, p. 10; A. FRESCAROLI, La
tortura attraverso i secoli, Milano, De Vecchi, 1970, pp. 30-31.
2
F. DI BELLA, Storia della tortura, cit., p.10; G. LATERRA, Storia della tortura, Firenze,
Editoriale Olimpia, 2007, p. 23.
6
deterrenti. Talvolta era utilizzata come passatempo dai tiranni, a puro titolo di
divertimento e, per lunghi periodi storici fu considerata con molta disinvoltura,
come una necessità indispensabile
3
.
Per quanto ripugnante possa apparire oggi la pratica della tortura, bisogna
considerare che per almeno tremila anni essa è stata legale, ed era parte integrante
di moltissimi codici vigenti in Europa e in Estremo Oriente.
Negli ordinamenti giuridici babilonesi, o ebraici, non si fa menzione di torture, ma
possediamo la prova che Assiri ed Egiziani vi fecero ricorso nei confronti dei
prigionieri di guerra: forse la più antica testimonianza pervenutaci è la
descrizione, fatta da un poeta egiziano, del modo in cui il faraone Ramsete II,
verso il 1300 a.C., sottoponeva a tortura i prigionieri per scoprire la dislocazione
delle forze nemiche durante l’invasione dell’Egitto ad opera degli Ittiti
4
.
1.2. Grecia
Anche nell’antica Grecia i prigionieri subivano la tortura; di regola, gli schiavi e
gli stranieri, nessuno dei quali vantava uno status giuridico nella società greca,
erano privi di garanzie
5
. Si affermava: "torturiamo soltanto, per fini di giustizia,
gli schiavi e gli stranieri. Godono di esenzione gli uomini liberi e i liberti"
6
. Gli
schiavi in particolare potevano sostituire benissimo i rispettivi padroni. Nei
procedimenti giudiziari, in caso di contrasti di vedute, era prassi che i contendenti
offrissero i propri schiavi perché li si torturasse, oppure che reclamassero il diritto
di torturare quelli della parte avversa. Dunque, gli schiavi rivestivano un ruolo
funzionalmente importante; così importante che senza schiavi non era possibile
svolgere alcun processo. Essi vi figuravano non soltanto come imputati ma quasi
sempre come testimoni, le cui deposizioni apparivano risolutive ai fini giudiziari.
Il mezzo migliore per vagliare la verità era considerato, per l’appunto, la tortura.
Questa avveniva di solito in pubblico, e i contendenti avevano il diritto di
esercitarla personalmente, anche se per lo più ricorrevano al torturatore civico, il
3
F. DI BELLA, Storia della tortura, cit., p. 10.
4
B. INNES, La storia della tortura, Roma, L’Airone, 2014, p. 13.
5
Ibidem.
6
F. DI BELLA, Storia della tortura, cit., pp. 59-60.
7
basanistes (spesso un ex schiavo)
7
. "Non c’è che un modo per accertare la verità:
sottoporre il testimone o l’accusato a tortura", dicevano i magistrati ateniesi.
"Perché? Perché l’uomo può essere sincero in un caso solo: fra gli spasimi del
supplizio". Aristotele, il più grande filosofo dell’antica Grecia, non aveva dubbi in
proposito. La verità, diceva, si trova sempre in fondo a un urlo
8
; soleva dire: "la
tortura è una specie di testimonianza obbligata". Quindi, gli uomini liberi
deponevano liberamente, gli schiavi erano costretti con la forza proprio in virtù
della loro condizione di esseri inferiori
9
. Questo trattamento diverso dipendeva
dalla considerazione e percezione che gli ateniesi avevano dei non-cittadini:
individui privi di ragione e della facoltà di discernere il vero dal falso
10
. Secondo
lo stesso Aristotele
11
, gli schiavi non potevano essere equiparati agli uomini liberi,
ai sapienti padroni del proprio intelletto i quali sostenuti dalla ragione e dal logos
possedevano la capacità di esprimere consapevolmente il vero, tuttavia non
potevano neanche essere degradati al rango di animali, possessori di soli istinti.
Secondo tale logica, i non-cittadini custodivano dentro di sé una verità sapiente
che però era “impedita” dal corpo e imprigionata, bloccata dalla mancanza di
ragione. Per tale motivo essi dovevano essere costretti con l’uso della tortura,
forzati attraverso la sofferenza del corpo, a riconoscere e poi a dire, o meglio a
“sprigionare” la verità
12
. Il principale scopo legale della tortura era quello di
estorcere informazioni non ottenute spontaneamente. Dal momento che di norma
non si potevano torturare i cittadini, bisognava ottenere la prova voluta da chi
probabilmente era al corrente delle faccende del padrone
13
.
Tra gli strumenti utilizzati, una singolare macchina da tortura fu inventata da
Perilao per il tiranno Falaride: un toro di rame, di cui ci fornisce la descrizione lo
scrittore satirico del II secolo Luciano. La vittima andava introdotta nel ventre del
toro, sotto il quale veniva acceso un fuoco; grazie ad un ingegnoso sistema di
7
B. INNES, La storia della tortura, cit., p. 13; F. DI BELLA, Storia della tortura, cit., p. 60.
8
A. FRESCAROLI, La tortura attraverso i secoli, cit., p. 67.
9
F. DI BELLA, Storia della tortura, cit., p. 61.
10
C. MAZZA, La tortura in età contemporanea, Roma, Bonanno, 2010, p. 16.
11
ARISTOTELE, La Politica, I, 1254 b-1255 a-1255b.
12
C. MAZZA, La tortura in età contemporanea, cit., p. 16.
13
B. INNES, La storia della tortura, cit., p. 14.
8
canne sonore collocate nella testa del toro, le urla di dolore della vittima finivano
col trasformarsi in un muggito mellifluo
14
.
1.3. Roma antica
Schiavi e stranieri erano passibili di tortura anche secondo il diritto romano; lo
schiavo poteva essere ridotto anche a brandelli purché la sua deposizione fosse
comunque utile in un processo di uomini liberi
15
. C’era comunque una differenza
rispetto alla legge dei Greci: "Uno schiavo che confessi qualcosa a danno del suo
padrone non va creduto, perché non sarebbe conveniente che l’esistenza dei
signori venisse spezzata via a discrezione degli schiavi". Tale norma si applicava
anche agli schiavi sui quali gravava il sospetto di complicità in reati commessi dai
padroni, eccezion fatta per delitti quali tradimenti, adulteri o incesti. L’accusa
relativa a uno di questi crimini, ed anche quella mossa a una donna sospettata di
aver avvelenato il marito, poteva portare l’indagato alla quaestio, un’inchiesta
giudiziaria particolare che consentiva il ricorso alla tortura e nella quale, al tempo
degli imperatori romani, soprattutto di quelli convertitisi al cristianesimo,
rientrava anche l’accusa di magia o di stregoneria. Il tradimento, o il sospetto di
tradimento, comportava inevitabilmente l’impiego della tortura
16
. Dunque, la
tortura romana era definita “quaestio tormentorum”; la quaestio
17
era
l’interrogatorio giudiziario e tormentum lo strumento, cioè la tortura per arrivare
alla conoscenza della verità. La ragione basilare della tortura è sempre l’urgenza e
la necessità di raccogliere una prova ai fini della giustizia: ma non una prova
qualsiasi, bensì la prova per eccellenza, quella che in seguito i giuristi definirono
“la regina delle prove”, ovverosia la confessione
18
.
Presso i Romani la tecnica della tortura era regolarmente codificata, secondo un
protocollo abbastanza rigido. La tortura era ordinata formalmente dagli ufficiali di
14
Ivi, p. 17.
15
F. DI BELLA, Storia della tortura, cit., p. 61.
16
B. INNES, La storia della tortura, cit., pp. 17-18.
17
Vedasi la definizione di quaestio data da ULPIANO in Digesto 47. 10. 15. 41 (77 ad ed.):
“Quastionem intellegere debemus tormenta et corpis dolorem ad eruendam veritatem. Nuda ergo
interrogatio vel levis territio non pertinet ad hoc edictum. Quaestionis verbo etiam ea, quam
malam mansionem dicunt, continebitur. Cum igitur per vim et tormenta habita quaestio est, tunc
quaestio intellegitur”.
18
F. DI BELLA, Storia della tortura, cit., p. 58-59.
9
tribunale, veniva diretta tecnicamente al “quaestor” ed era compiuta
materialmente dal cd. “tortor”, il quale percepiva una indennità per ogni torturato.
Con il Cristianesimo, si tentò da più parti di temperare l’uso della tortura e
Antonino Pio stabilì per legge delle esenzioni categoriche: i ragazzi fino ai 14
anni, le donne in stato interessante e i vecchi, non potevano essere consegnati al
carnefice in qualsiasi procedimento, penale o civile. Inoltre fu fissato il principio
della “lex talionis”: gli accusatori che agissero per vendetta o per altri motivi
subivano le stesse precise torture degli innocenti qualora questi ultimi fossero
riusciti a dimostrarsi tali
19
.
I romani, ereditando un principio consacrato dalla società greca, ritenevano che gli
uomini liberi, i cittadini romani, non potessero essere sottoposti alla degradazione
della tortura
20
: “liberum hominem torqueri ne liceat”
21
. Questo principio resta
incrollabile nella Roma repubblicana; un po’ meno in quella imperiale. Con
l’avvento dell’Impero e con il succedersi delle inevitabili lotte personali per la
conquista del potere, infatti, l’immunità degli uomini liberi comincia a vacillare in
nome di supreme esigenze di ordine pubblico, del bene della patria
22
. Dunque, si
ritenne necessario sottoporre anche gli uomini liberi alla tortura in casi
eccezionali, come qualora fosse stato commesso un “crimen maiestatis”. Man
mano che la storia procedeva le deroghe furono moltiplicate e il despota finì per
fare della tortura uno dei propri divertimenti. Ottavio ad esempio sospettò un
giorno che il pretore Gallius nascondesse sotto la toga un pugnale, forse con
l’intenzione di ucciderlo. Si trattava invece di una tavoletta con le leggi. Ma lo
sventurato magistrato non poté dimostrarlo. Per ordine dell’imperatore venne
torturato affinché confessasse il complotto di lesa maestà. Un altro imperatore
romano, Caligola, era un personaggio che soffriva di malinconia durante i pasti;
usava le grida dei torturati come musica che allietasse i suoi banchetti
23
. Un tipo
di tortura escogitato personalmente da Tiberio secondo quanto riferisce lo storico
romano Svetonio in Vita dei Cesari, consisteva nel "far bere ai poveri sventurati
19
Ivi, pp. 66-67.
20
A. FRESCAROLI, La tortura attraverso i secoli, cit., p. 72.
21
QUINTILIANO, Declamatio Maior Septima.
22
A. FRESCAROLI, La tortura attraverso i secoli, cit., p. 72.
23
F. DI BELLA, Storia della tortura, cit., p. 62-63.
10
un’enorme quantità di vino e subito dopo legare loro i membri con una cordicella
di lustrini, per poi metterli alla ruota con indosso il legaccio, mentre avvertivano
la pressione dell’urina". L’imperatore Nerone dichiarò di non essere
personalmente responsabile dell’incendio di Roma avvenuto nel 64 d.C.,
addossandone la colpa a cristiani ed ebrei, e ciò grazie alle notizie carpite loro con
la tortura. Ad alcune vittime veniva fatta indossare la pelle di un lupo per renderle
preda dei cani feroci che le dilaniavano, altri erano spalmati di pece ed incendiati
"per fungere da torce di notte"
24
.
A Roma era diffusissimo l’impiego della tortura come strumento di punizione;
questa poteva rappresentare la vera e propria pena, o precedere l’esilio e la morte.
Ai cittadini era consentito torturare i debitori rinchiudendoli in prigioni private
fino a quando non avevano saldato il debito. Gli imperatori cristiani decretarono
che chiunque venisse giudicato colpevole di offese ad un sacerdote o ad un
vescovo, meritasse una punizione; in un primo momento la pena consistette
nell’amputazione di piedi e mani, e successivamente fu ridotta al taglio di una sola
mano. Il castigo previsto per gli eretici, o per chi recava offesa alla Chiesa, era la
flagellazione. A Roma tutti temevano la frusta usata per la fustigazione, il
flagellum ; le strisce che la formavano, di cuoio bovino e talvolta appesantite da
piombo, provocavano profonde ferite nella carne. Numerosi schiavi romani
morirono sotto i colpi della frusta. Una delle torture più severe, sempre a Roma,
era rappresentata dall’equuleus; pare che fosse una macchina di legno, fatta a
guisa di cavallo, su cui si metteva a giacere il paziente, poi legato piedi e mani, gli
si slogavano tutte le articolazioni con un complicato sistema di corde e di pesi
25
.
Dunque, nell’antichità greca e romana la tortura veniva intesa quale strumento
giudiziario che rientrava in una più ampia concezione del diritto e della giustizia,
perché si trattava di "un procedimento giudiziario con cui si cerca di estorcere
all’imputato o ad altro soggetto processuale, piegandone con forza o con artificio
la contraria volontà, una confessione o altra dichiarazione utile all’accertamento di
fatti non altrimenti accettati, al fine ultimo di definire il giudizio fondando la
sentenza sulla verità così ottenuta". Elemento essenziale perché la dichiarazione
24
B. INNES, La storia della tortura, cit., p. 18-19.
25
Ivi, p. 21.
11
del soggetto si possa dire estorta è la soppressione o limitazione della sua libertà
morale, in qualunque modo essa sia conseguita. L’elemento della sofferenza fisica
che il soggetto stesso è costretto a provare, non è dunque sufficiente; e non è
nemmeno, a rigore, necessario, perché, come la storia dell’istituto e l’esperienza
anche recente ampiamente confermano, la sofferenza morale inflitta allo scopo
immediato di vincere la resistenza nervosa del soggetto può essere più efficace
della sofferenza fisica, e d’altra parte il terrore d’un male possibile e minacciato
può essere volto a quel medesimo scopo di una sofferenza in atto
26
.
1.4. Tortura: un problema logico.
Per l’antichità classica il problema della tortura fu soprattutto un “problema di
logica”, ebbe cioè per oggetto l’idoneità dei tormenti come mezzo di scoperta del
vero, e specialmente si curarono di risolverlo i retori e gli oratori
27
, come ad
esempio Aristotele, che agli avvocati consiglia, secondo le necessità della difesa,
ora di lodare la tortura come quella che costringe i testimoni a dire la verità per
essere liberati dal dolore, ora di confutarne le risultanze col sostenere che anche
chi è forzato può dire il falso non meno che il vero
28
. Non molto dissimile è
l’atteggiamento di Cicerone, il quale in una celebre arringa inveisce contro la
fallacia dei tormenti, che in mezzo agli spasimi, alle speranze, alla paura non
lasciano alcun luogo alla verità
29
; ma altresì è a sostegno dei tormenti dove lo
richieda l’opportunità della difesa. Cicerone affermava che le testimonianze si
ricavavano dalla necessità di operare sul corpo e sull’anima: per cui le deposizioni
ricavate con la frusta, la tortura o il fuoco, apparivano espressione della stessa
verità
30
. È il terzo dei maggiori retori antichi, Quintiliano, il quale osserva che da
una parte si riconosceva nella tortura un mezzo di far confessare il vero, dall’altra
parte si rispondeva che in essa era agevolata la menzogna dei più robusti, era resa
26
P. FIORELLI, La tortura giudiziaria nel diritto comune, vol. I, Milano, Giuffré, 1953, cit., p. 4.
27
P. FIORELLI, La tortura giudiziaria nel diritto comune, vol. II, Milano, Giuffré, 1954, cit., p.
207.
28
ARISTOTELE, Ars rhetorica, 1,15.
29
CICERONE, Pro P. Cornelio Sulla, cap. 28 (78)
30
F. DI BELLA, Storia della tortura, cit., p. 64.
12
necessaria quella dei più deboli
31
. Ancora, Ulpiano: "Quaestioni fidem non semper
nec tamen numquam habendam constitutionibus declaratur: etenim res est fragilis
et periculusa et quae veritatem fallat", e osserva che molti, fisicamente più
resistenti, superano i tormenti senza curarsene, altri invece, anziché resistere al
dolore, son pronti a incolpare sé stessi e gli altri di qualunque delitto
32
. Più che del
solo Ulpiano, questa voce di sfiducia, di sfiducia relativa e ponderata, appartiene
in generale a tutto il diritto romano, espresso, come il giurista sottolinea, nelle
Costituzioni dei suoi legislatori. È però una sfiducia fondata solo su fredde ragioni
di logica, valide sempre di per sé. La sofferenza che a un innocente poteva essere
inflitta per ordine del giudice non faceva più impressione di quella che poteva
sentire il paziente sotto i ferri del chirurgo. La salvezza di una vita in questo caso,
la scoperta di un’importante verità in quella erano fini ugualmente superiori e tali
da giustificare il ricorso a quei mezzi
33
. Platone la considerava una crudeltà
giuridica da porre sullo stesso piano della crudeltà del chirurgo, volta a fin di
bene. Per cui era da considerarsi estremamente morale
34
. Una parola nuova sarà
detta dal Cristianesimo.
La tortura viene inserita negli scrittori cristiani dei primi due secoli in un
problema più grande, e comincia ad avere un senso il domandarsi, in generale,
perché si fa e come si giustifica la tortura, il mettere su due piatti d’una stessa
bilancia il mezzo d’una crudeltà certa e il fine incerto d’una verità da scoprire
35
.
Intorno all’anno 200 Tertulliano giudica indegna d’un giudice cristiano
l’applicazione dei tormenti che implicava la potestà di un uomo di infliggere ad
altri uomini sofferenze corporali
36
. La Chiesa non poteva non riconoscere alle
autorità civili il diritto della repressione penale; ma d’altra parte questa potestà,
nel pensiero della Chiesa, doveva esercitarsi con moderazione, entro quei limiti
che derivavano dal rispetto della legge di Dio. E quel divieto di infliggere
tormenti che Tertulliano aveva proposto alla coscienza di tutti i credenti, fu
31
QUINTILIANO, Institutio Oratoria, 5, 4. Anche nelle Declamationes minores (decl. 269, 379)
si leggono dichiarazioni di sfiducia nell’uso dei tormenti.
32
Digesto, 48, 18, 1, 23 (l. I, Quaestioni, ff. de quaestionibus).
33
P. FIORELLI, La tortura giudiziaria nel diritto comune, vol. II, cit., pp. 210-211.
34
F. DI BELLA, Storia della tortura, cit., p. 64.
35
P. FIORELLI, La tortura giudiziaria nel diritto comune, vol. II, cit., pp. 211-212.
36
TERTULLIANO, De Corona, cap. 11; De Id., cap. 17.