2
E’ questa “problematica continuità“ tra Uno e molti che più mi ha
affascinato nello studio della teoria della libertà martinettiana, continuità
che si fonda sulla tesi del gradualismo metafisico, in forza del quale
Martinetti si allontana dal teismo che, come scrive Sandro Mancini in un
saggio fondamentale circa l’esegesi cristica martinettiana, << pone Dio
come realtà trascendente e sostanzialmente distinta dal mondo e si fonda
sul principio della creazione >>
5
, oltre che dal panteismo immanentistico
che << intende naturalisticamente Dio come la totalità degli enti >>
6
.
Cercherò di dimostrare, nel corso del presente lavoro, come a riguardo
della teoria della libertà fatta propria dal filosofo canevasano non sia lecito
affermare con Eliodoro Mariani che << codesta presenza di Dio nell’attività
individuale, o meglio codesta identità dell’opera umana e divina, mette in
gioco, a rischio di sopprimerla, l’iniziativa individuale >>
7
.
Di contro tenterò di mostrare come l’uomo, plotinianamente definito
<< e„kšon ¢eˆ e„kouzÒmenoj >>
8
, ovvero immagine che progressivamente
si fa simile all’Uno-Ragione, sia libero << in quanto obbedisce alla sua
natura divina, in quanto segue la via che lo eleva sopra le tendenze
inferiori: rispetto a questo stato superiore, ogni vita inferiore appare
dominio della necessità.>>
9
.
E’ proprio in questo progressiva “semplificazione”, che richiama la
¤plwsij plotiniana, che vive la teoria della libertà martinettiana, nella
quale è precipua l’esigenza di liberazione dal nostro punto di vista
5
S. Mancini, L’interpretazione di Gesù nel pensiero di Martinetti, in AA.
VV., Icona dell’invisibile. Studi per un’interpretazione simbolica di Gesù
Cristo, a cura di V. Melchiorre, Milano, Vita e Pensiero, 1981, p. 9.
6
Ibidem.
7
E. Mariani, Esperienza e intuizione religiosa. Saggio sul pensiero di Piero
Martinetti, Roma, Pontificium Athenaeum Antonianum, 1964, p. 86.
8
P. Martinetti, Scritti di metafisica e di filosofia della religione, a cura di E.
Agazzi, Milano, Edizioni di Comunità, 1976, vol. I, p. 271.
9
Ibidem.
3
“imperfetto”, per avvicinarci il più possibile al punto di vista “perfetto“
dell’Unità, in cui tutto è chiaro, ovvero, come scrive Martinetti, Dio si
configura come << il dover essere del mondo >>
10
.
Martinetti “dualista-trascendente” perciò, e non, come alcuni critici lo
hanno definito “monista-immanente”: né il pensiero di Martinetti nei suoi
esiti ultimi << deve sboccare inesorabilmente in una forma di acosmismo
spinoziano >>
11
, né tanto meno la sua teoria della libertà << ha annullatto
l’uomo con la sua larva di libertà in Dio >>
12
.
La concezione metafisica di Martinetti, come cercheremo di mostrare, si
potrebbe definire panenteismo, come egli stesso afferma rifacendosi a
Krause: << Dio è bensì in tutte le cose, ma nello stesso tempo trascende
tutte le cose; Dio è sostanzialmente identico con tutte le cose, ma ne è
formalmente distinto, in quanto esso è la perfezione assoluta di ciò che,
come forma, costituisce la sostanzialità, la realtà delle cose. >>
13
Panenteismo sorretto da un gradualismo metafisico che sta alla base
dell’idealismo trascendente martinettiano: << Noi vogliamo dire soltanto
che non ci sono due forme della realtà, materia e spirito, ma una forma
sola, lo spirito, che si manifesta in una gradazione di realtà coscienti
distinte per luminosità, chiarezza, estensione: la quale dalla perfezione
relativa che culmina nel momento luminoso dell’appercezione discende
attraverso gli atti meno coscienti, istintivi, riflessi, fino ad una sfera
d’attività così remota dalla nostra coscienza che ora sembra incosciente,
10
Ivi, vol. II, p. 189.
11
M. F. Sciacca, Martinetti, Brescia, La Scuola, 1943, p. 114.
12
F. Romano, Il pensiero filosofico di Piero Martinetti, Padova, Cedam,
1959, p. 127.
13
P. Martinetti, Scritti di metafisica e di filosofia della religione, ..., cit., vol.
II, p. 188.
4
materiale, straniera allo spirito. Ma queste attività sono subcoscienti, non
incoscienti... >>
14
.
E ancora: << La natura materiale, il meccanismo, non è che una veste
dello spirito dietro a cui si cela un’attività spirituale simile a quella che
viviamo in noi stessi. >>
15
.
Una sola è la l’Unità, la Coscienza, ma molteplici le forme relative che
sono coscienza, nelle quali vive la legge dell’Unità come esigenza di
liberazione dalle “necessità inferiori“, attraverso una graduale liberazione
che si potenzia attraverso “sintesi successive“, nelle quali prende vita ogni
volta << una realtà nuova >>
16
, un arricchimento che << rivela a me un
altro e più comprensivo me stesso >>
17
, in una tensione infinita verso la
Necessitas immutabilitatis che è propria solo dell’Unità.
Si cercherà inoltre di mostrare se sia possibile parlare di << attualità >>
della teoria della libertà come << teoria completa della realtà >>
18
proposta da Martinetti: certamente il pensiero del filosofo piemontese fu
<< inattuale >> rispetto alla filosofia italiana ufficiale del suo tempo, verso
la quale mostrò una << noncuranza >>
19
non << ostentata >>
20
, come gli
rimproverò Ugo Spirito recensendo La libertà, ma << reale, sincera e
completa >>
21
.
La sua << visone idealistica trascendente >>
22
certo non collimava con lo
<< storicismo assoluto >> di Croce, o con l’<< attualismo >> di Gentile,
14
Ivi, vol. I, pp. 175-176.
15
Ivi, p. 158.
16
P. Martinetti, La libertà, Torino, Boringhieri, 1965, p. 344.
17
Ibidem.
18
Ivi, p. 21.
19
P. Martinetti, A proposito di una recensione, in << Rivista di filosofia >>,
XX, 1929, p. 264.
20
U. Spirito, recensione de: La libertà, in << Giornale critico della filosofia
italiana >>, X, 1929, p. 152.
21
P. Martinetti, A proposito di una recensione, ..., cit., p. 264.
22
Ibidem.
5
<< troppo umani >> ed hegeliani per Martinetti, che così scrisse di Hegel
nel suo saggio La filosofia religiosa dell’hegelianismo: << A me la
concezione hegeliana nel suo complesso ha sempre richiamato quella
famosa visione apocalittica di Giampaolo Richter quando i morti si levano
dalle tombe e chiedono: Dove è il Dio che ci hai promesso? Ed il Cristo
dopo aver percorso e scrutato l’universo, con amarezza risponde: Non vi è
Dio in nessuna parte. Così è del mondo hegeliano. Percorriamolo in tutte
le sue parti dall’idea pura alle creazioni più alte dello spirito: noi potremo
sentirvi in ogni parte il lavorìo d’una ragione onnipotente e della sua
dialettica inesorabile: ma Dio, ciò che noi chiamiamo Dio, non vi è in
nessuna parte. >>
23
.
Concordo appieno con il giudizio espresso da Luigi Pareyson circa
l’”apparente inattualità” di Martinetti: << ...l’attualità di Martinetti consiste
paradossalmente proprio in questa sua apparente inattualità, cioè nel
tornare alla fonte stessa del pensiero, fuori del tempo, come un classico:
nell’opposizione, tutta martinettiana, d’una realtà ideale e normativa, e
quindi sostanzialmente “inattuale“, a una realtà presente e “attualissima“,
ma giudicata imperfetta e insufficiente. >>
24
.
L’inattualità di Martinetti agli occhi dell’Umwelt filosofica a lui coeva, ho
cercato di delinearla nel primo capitolo, dove tento di far risuonare l’eco
immediata de La libertà, mediante l’analisi delle recensioni che La libertà
destò tra il 1929 e il 1930, eco che non fu affatto un concerto di consensi e
di plausi, ma piuttosto, a mio parere, un proliferare di fraintendimenti, o di
chiusure pregiudiziali nei confronti della teoria della libertà martinettiana.
23
P. Martinetti, Funzione religiosa della filosofia. Saggi e discorsi, Roma,
Armando, 1972, pp. 196-197.
24
L. Pareyson, Attualità di Martinetti, in << Atti dell’Accademia delle
Scienze di Torino >>, Classe di Scienze morali, storiche, filologiche, CVII,
Anno Accademico CXC, 1973, p. 32.
6
Tre le critiche fondamentali mosse a Martinetti: la prima riguarda la
negazione nel filosofo canavesano del concetto di Dio-creatore (Martinetti
concepisce panenteisticamente Dio come Unità formale trascendente e
insieme come Unità “raccogliente”, vera Omnitudo realitatis); la seconda
riguarda la negazione recisa della teoria del liberum arbitrium
indifferentiae, definito da Martinetti << concetto assurdo, se altro mai, che
la critica ha perfettamente ragione di ridurre ad una semplice ignoranza
dei veri fattori. La coscienza della libertà non è affatto coscienza della
contingenza. La coscienza può testimoniare solo di ciò che è, può essere
coscienza solo di uno stato concreto e presente, non di uno stato
possibile>>
25
; la terza riguarda l’identificazione martinettiana di libertà e
necessità, diretta conseguenza della negazione dell’aequilibrium
indifferentiae: << la libertà non solo non esclude, ma implica la necessità,
perché esclude la contingenza >>
26
, a cui fa eco: << ...solo
l’assolutamente necessario è libero...>>
27
.
La polemica circa la concezione della libertà martinettiana tocca il proprio
apice nelle critiche di Agostino Gemelli e di Ugo Spirito, alle quali
Martinetti stranamente rispose, sebbene fosse convinto che << il pensiero
di un filosofo abbia senso e valore soprattutto per chi lo ha creato, in
quanto costituisce per lui un vero processo metafisico che interessa
l’essere suo in ciò che ha di più intimo e di più reale. L’esposizione, la
pubblicazione, l’accoglienza che esso trova ecc. non sono che
accidentalità irrilevanti. Ciascuno è chiuso nella suo pensiero come in una
torre: le stesse critiche del pensiero altrui non sono in fondo che mezzi di
autoaffermazione. >>
28
25
P. Martinetti, La libertà, ..., cit., p. 408.
26
Ivi, p. 313.
27
Ivi, p. 323.
28
M. F. Sciacca, Martinetti, Brescia, La Scuola, 1943, p. 21.
7
Partiamo da Gemelli: Martinetti avalla la propria tesi dell’identificazione di
libertà e necessità, affermando che << anche gli scolastici debbono
ammettere in più d’un caso questa coincidenza della libertà e della
necessità >>
29
.
Da questa affermazione nacque un’interminabile querelle con il fondatore
dell’Università Cattolica e della Rivista di filosofia neoscolastica, sulla
quale scriverà: << ...il tentativo di fare degli Scolastici i difensori di una
concezione della libertà ridotta a necessità, è tale uno sproposito che non
può essere tollerato sulla bocca di uno storico della filosofia...>>
30
.
Ma Martinetti non intendeva negare, come a più riprese rispose a Gemelli,
che la libertà negli Scolastici si delinea come “flexibilitas ad oppositos
actus”, ma solo che in alcune teorie, come quella dell’”habitus confirmatus”
in Alberto Magno e quella della libertà divina come “necessitas
immutabilitatis” nel Suarez, si può cogliere la << coincidenza della libertà e
della necessità >>
31
.
La polemica, come vedremo, non permise un confronto, ma si risolse in
<< astio e ingiurie>>
32
e nell’impossibilità totale di capirsi.
Spirito, invece, accusò Martinetti di dare al problema della libertà una
soluzione di sapore << naturalistico >>
33
: << Tra la libertà della pianta e la
libertà dell’uomo vien tolta ancora ogni differenza essenziale, e la vera
libertà, in fondo, viene abbassata a spontaneità >>
34
.
Accusa che Martinetti non poteva accettare, e così rispose a Spirito dalla
sua Rivista di filosofia: << Ora da tutto il contesto del libro chiaramente
29
Ivi, p. 322.
30
A. Gemelli, Un terzetto filosofico: Martinetti, Banfi, Russo, in << Rivista
di filosofia neoscolastica >>, XXIII, 1931, p. 265.
31
P. Martinetti, La libertà, ..., cit., p. 322.
32
P. Martinetti, Conclusione, in << Rivista di filosofia >>, XXII, 1931, p.
457.
33
U. Spirito, recensione de: La libertà, ..., cit., p. 150.
34
Ivi, p. 151.
8
appare ad ogni lettore attento che io considero la spontaneità come un
grado inferiore, qualitativamente distinto, della vera libertà...Del resto, dal
momento che il recensente stesso riconosce che della mia dottrina della
libertà non è riuscito “a formarsi un’idea chiara e non è in grado quindi di
dare un significato esatto ai termini del problema della libertà“, a che pro
discutere? >>
35
.
Anche il confronto con Spirito si concluse così nell’incomunicabilità,
nell’”arroccamento” di chi non poteva, o non voleva capire.
Nel secondo capitolo, dedicato al rapporto della teoria martinettiana della
libertà con le teorie della libertà di Spinoza e Schopenhauer, mi sono
proposto di rintracciare alcuni punti essenziali di contatto e divergenza tra i
tre autori, cercando di mostrare il “difficile equilibrio” che si viene a creare
tra esegesi e teoresi, nella lettura martinettiana dei due filosofi. Martinetti
fu antistoricista e amava ripetere sovente, consentendo con
Schopenhauer, che la storia è “eadem, sed aliter”, ma fu anche, come
scrive Augusto del Noce, un << filosofo attraverso la storia >>
36
.
Vi è, secondo Martinetti, << nella successione dei sistemi qualcosa che
trascende il tempo: vi è in ogni dottrina qualcosa che può essere presente
perché è di tutti i tempi >>
37
E’ indubbio che Spinoza e Schopenhauer furono i “maestri” di Martinetti,
nel loro pensiero il filosofo canavesano potè contemplare quelle “verità
eterne”, perché “di tutti i tempi”, ma Martinetti fu anche interprete
personalissimo di entrambi, in una linea che a me pare possa essere così
chiarita: egli rifiutò un’interpretazione monistica-immanente per affermare,
al contrario, un’interpretazione dualistica-trascendente.
35
P. Martinetti, A proposito di una recensione, ..., cit., p. 263.
36
A. Del Noce, Martinetti nella cultura europea, italiana e piemontese, in
Giornata martinettiana, in << Filosofia >>, XV, 1964, p. 430.
37
P. Martinetti, Scritti di metafisica e di filosofia della religione, a cura di E.
Agazzi, Milano, Edizioni di Comunità, 1976, vol. II, p. 468.
9
Per quanto riguarda Spinoza, in Martinetti è perspicua una lenta,
progressiva svolta interpretativa: da un’iniziale lettura che accosta Spinoza
ad Hegel, facendone un “panologista immanente“, chiara ne l’Introduzione
alla metafisica del 1902, ad una lettura che ne fa il rappresentante
precipuo di un indirizzo dualistico-trascendente, assai vicino a Plotino, già
in nuce negli Scritti di metafisica e di filosofia della religione, ma patente
solo nello Spinoza postumo.
Questa interpretazione trova il suo punto di partenza nel riconoscere
all’imaginatio spinoziana, conoscenza mutila e confusa, che dal lato
pratico si esprime nella fluctuatio animi, un ruolo attivo e creativo nella
costituzione della realtà empirica, ruolo tanto più decettivo, quanto più
preminente rispetto alla potentia intellectus, che dà luogo alla scientia
intuitiva, la quale ci permette di contemplare il mondo sub specie
aeternitatis.
Il concetto di libertà in Spinoza si plasma perciò attorno al concetto di
“libera necessitas” divina: libero è l’uomo che << ex solo rationis dictamine
vivit >> (Eth. IV, Prop. XLVII, Dem.), cioè l’uomo non nasce libero, ma si
libera quanto più si lascia alle spalle il “dubitare” legato alla visione mutila
del mondo provocata dall’imaginatio, per affisare il proprio sguardo
nell’Unità divina, unica vera Realtà.
Per quanto riguarda Schopenahuer, l’interpretazione martinettiana fa leva
sul concetto di “carattere intelligibile”: in Schopenhauer la necessità
causale empirica (“quidquid fit, necessario fit”) viene contrapposta alla
libertà intelligibile (libertà come << indipendenza dal principio di
ragione >>
38
), ma così facendo la libertà si ridurrebbe alla << contingenza
assoluta >>
39
di un principio alogico e irrazionale qual’è la Voluntas, o
nell’elezione del proprio carattere intelligibile nell’eternità, frutto sì di << un
38
P. Martinetti, La libertà, ..., cit., p. 295.
39
Ivi, p. 293.
10
atto intelligibile libero >>
40
, ma che riduce la libertà ad << arbitrio
accidentale ed inesplicabile >>
41
.
È necessario porre, per non cadere in contraddizioni insolubili, la libertà
autentica nell’<< unità della Noluntas che è la realtà e la beatitudine
assoluta >>
42
, libertà che si delinea come processo di liberazione dalla
cieca Voluntas, “cosa in sé gnoseologica”, immanente all’esperienza, e
perciò principio dell’Apparenza che è il mondo fenomenico; dietro il “velo
di Maya”, sorto dal principium individuationis, si leva il nostro carattere
intelligibile come “realizzazione di un idea”, libero per la sua appartenenza
al mondo delle idee, << dove regna un ordine teleologico, una necessità
razionale >>
43
, la necessità ideale di liberarsi dalla Voluntas, per
partecipare sempre più della << libertà assoluta >>
44
che la Noluntas è.
La Voluntas come “cosa in sé metafisica” è inacettabile per Martinetti,
perché escluderebbe il cammino di liberazione dei “molti” verso l’”Uno”,
cardine dell’esegesi martinettiana di Schopenhauer, per affermare
unicamente il passaggio, la traduzione dell’”Uno” nei “molti“.
La Noluntas si configura così come “cosa in sé metafisica”, Unità
trascendente e intelligente, Ordine immutabile, ma a noi misterioso. È da
notare, a mio parere, il fatto che Schopenhauer in apertura della memoria
La libertà del volere umano pone significativamente la celebre
affermazione di Montaigne: << La liberté est un mystère >>, proprio per
sottolineare l’aspetto trascendente e perciò quoad nos inconoscibile della
“libertà assoluta “.
La libertà vive così nella liberazione progressiva dall’illusione creata dalla
Voluntas, secondo cui “l’altro da me” è necessariamente solo un nemico,
40
Ivi, p. 294.
41
Ivi, p. 295.
42
Ivi, p. 296
43
Ivi, p. 297.
44
Ivi, p. 296.
11
per partecipare sempre più alla << profonda unità >>
45
che ci indica la
Noluntas, riconoscendo così progressivamente che l’<< egoismo che
separa con un abisso individuo da individuo è una illusione
metafisica >>
46
.
In entrambi la libertà si delinea come liberazione da ciò che è molteplice e
confuso, il senso, per contemplare ciò che è Uno, immutabile, intelligente,
“assolutamente libero” in quanto “necessitas immutabilitatis”.
La stessa “esigenza di liberazione” la ritroviamo in Martinetti, ed è questo il
tema sviluppato nel terzo capitolo, che si basa sulla comparazione della
teoria della libertà delineata ne La libertà con quella proposta da Martinetti
nel saggio postumo Il problema del divenire, capitolo integrante della
probabile Metafisica generale, mai pubblicata in vita, ma che occupò il
filosofo canavese per tutta la vita.
Lo studio de Il problema del divenire mi ha permesso di inserire più
compiutamente la teoria della libertà martinettiana entro l’impianto
metafisico a lei sotteso, approfondendo gli esigui richiami metafisici
contenuti nel denso, ma troppo breve Epilogo metafisico, posto a
conclusione de La libertà.
La libertà come liberazione è per Martinetti fondata sulla presenza
nell’uomo di una << personalità divina >>
47
, << la punta del nostro
spirito>>
48
, che ci rende modus Dei, e perciò solo formalmente distinti da
Dio, si declina come progressivo farsi immagine della << necessità
divina >>
49
, che resta sempre, però, a parte hominis, un ideale incompiuto,
45
Ivi, p. 297.
46
Ibidem.
47
Ivi, p. 445.
48
P. Martinetti, Scritti di metafisica e di filosofia della religione, cit., ..., vol.
I, p. 282
49
Ivi, p. 251.
12
tšloj supremo che urta sempre contro la << necessità ilica >>
50
, in cui,
come esseri limitati, strutturalmente viviamo: << ... per quanto noi
spingiamo oltre la nostra spiegazione delle cose, urteremo sempre contro
il limite impenetrabile del caso... Il caso è dovuto quindi bensí ad
un’ignoranza; ma quest’ignoranza è nel fondamento suo invincibile. >>
51
.
La libertà come liberazione si delinea sempre come libertà relativa,
<< inplica la presenza di possibili ostacoli >>
52
, da cui discende << che
Dio non è libero, ma, come Plotino lo chiama, è il creatore della libertà
(™leuqeropoiÒj, Enneadi, VI. 8. 12). >>
53
.
Se Dio è << creatore della libertà >>, allora << la negazione della libertà è
negazione di Dio>>
54
: Dio è salvatore come Unità formale, perché << un
essere da lui sostanzialmente distinto è impensabile >>
55
.
Dio è così il << dover essere del mondo>>
56
, dover-essere che si
configura come << graduale liberazione dai vincoli delle necessità
inferiori >>
57
, come << conversione qualitativa >>
58
, che ci permette di
capire, contemplando noi stessi e il mondo sub specie aeternitatis, che
<< il mondo è ciò che siamo, ciò che abbiamo costituito, l’unità data: Dio è
ciò che dobbiamo essere, è l’ideale che sta a fondamento dell’essere
50
Ibidem.
51
P. Martinetti, La libertà, ..., cit., p. 312.
52
P. Martinetti, Scritti di metafisica e di filosofia della religione, ..., cit., vol.
I, p. 252. Nota.
53
Ibidem.
54
P. Martinetti, La libertà,..., cit., p. 446.
55
Ivi, p. 443.
56
P. Martinetti, Scritti di metafisica e di filosofia della religione, ..., cit., vol.
II, p. 189.
57
P. Martinetti, La libertà, ..., cit., p. 438
58
P. Martinetti, Funzione religiosa della filosofia. Saggi e discorsi, Roma,
Armando, 1972, p. 91.
13
nostro, e che si rivela gradatamente nella vita dello spirito, la causa
formale e finale che muove tutta l’attività spirituale.>>
59
.
Dissento dalla critica martinettiana che afferma, in virtù della negazione
del libero arbitrio nell’uomo da parte del filosofo canavesano, che << la
libertà del soggetto cosciente non è altro che la libera necessità della
Natura divina, mentre l’io è il teatro passivo dell’azione di Dio >>
60
, o che
<< la concezione del Martinetti ci appare certo grandiosa, ma come una
tragedia euripidea >>
61
, per evidenziare l’”ambiguità vitale“ che vive nella
teoria della libertà martinettiana.
Vi sono in Martinetti, a mio parere, due punti di vista dai quali osservare il
problema della libertà: il primo è rappresentato dal punto di vista dell’Unità
trascendente, rispetto alla quale la molteplicità non esiste, << dal punto di
vista del perfetto non vi è l’imperfetto >>
62
; il secondo dal punto di vista
dell’uomo, per il quale l’” imperfetto “ esiste, ma esiste proprio perché ex-
sistit, perché è visto, a parte hominis, come esistente extra Deum.
Il compito dell’uomo si configura perciò come progressiva e-liminazione
del punto di vista legato all’<< oscurità del nostro intelletto >>
63
, per
penetrare la << natura assoluta della realtà >>
64
: eliminazione che non
può mai essere assoluta, perchè << é possibile solo dal punto di vista
dell’assoluto >>
65
.
59
P. Martinetti, Scritti di metafisica e di filosofia della religione, ..., cit., vol.
II, p. 189.
60
C. Santoro, Il problema della libertà in Piero Martinetti, Lecce, Milella,
1993, p. 129.
61
A. Poggi, recensione de: La libertà, in << Bilychnis >>, XIX, 1930, p. 58.
62
P. Martinetti, Scritti di metafisica e di filosofia della religone, ..., cit., vol.
II, p. 145.
63
Ivi, p. 146.
64
Ivi, p. 147.
65
Ivi, p. 146.
14
L’”esigenza di liberazione“ che costituisce il cuore della teoria della libertà
martinettiana vive plotinianamente nel << ritorno dell’imperfetto al
perfetto >>
66
, nel contemplare il mondo, quanto più possibile, a parte Dei.
Ecco perché Martinetti può scrivere, facendosi profeta di una religione
come “metafisica del saggio“, che solo il sapiens è libero perché guarda il
mondo e sé stesso sub specie Unitatis: << Noi diamo perciò ragione agli
stoici che dicevano solo il saggio essere libero: per quanto anche nel
saggio la libertà non sia mai perfetta >>
67
.
Se per Martinetti, come per Spinoza: << Cognitio mali cognitio est
inadaequata >> (Eth. IV, Prop. XLIV), allora, come scrive il filosofo
piemontese scrivendo un saggio su La dottrina della libertà in Benedetto
Spinoza, la liberazione nasce dal riconoscere che in noi vive << una
personalità divina >>
68
da liberare dalle “necessità inferiori“: << ...Dio è
l’anima stessa nella sua essenza e la sua libera necessità è anche la
libertà dell’anima umana. Ma questa libertà è naturalmente un ideale: nella
vita empirica l’uomo è schiavo di mille necessità che hanno la loro radice
soltanto nella sua ignoranza. >>
69
.
La tesi decisiva che farà da sfondo a tutto il presente lavoro e che tenterò
di dimostrare è che per Martinetti l’uomo è innanzitutto homo religiosus, in
quanto per lui, come per Africano Spir, la libertà è << “la parte
dell’assoluto nell’uomo”, è un’esigenza della natura superiore dell’uomo
che egli non può rinnegare perché egli vede e sente che ciò sarebbe un
rinnegare il suo vero e proprio essere >>
70
.
66
P. Martinetti, Scritti di metafisica e di filosofia della religione, ..., cit., vol.
II, p. 146.
67
P. Martinetti, La libertà, ..., cit., pp. 367-368.
68
P. Martinetti, La libertà, ..., cit., p. 445.
69
P. Martinetti, La libertà, ..., cit., p. 261.
70
P. Martinetti, Il pensiero di Africano Spir, Torino, Albert Meynier, 1990,
p. 46.
15
Ma l’uomo è altresì, per la sua natura di metaxÚ tra finito e infinito, anche
“zùon dittÒn”, ovvero vive, intimior intimo suo, una profonda << dualità
interiore >>
71
: può essere capax Dei e perciò libero nella misura in cui è
capace di riconoscere che << Dio è ciò che dobbiamo essere, è l’ideale
che sta a fondamento dell’essere nostro, e che si rivela gradatamente
nella vita dello spirito, la causa formale e finale che muove tutta l’attività
spirituale>>
72
, come, d’altro canto, può anche essere “cieco” di fronte alla
necessità nella quale vive paradossalmente la sua libertà autentica,
ovvero la necessità di farsi simile alla necessitas immutabilitatis in cui vive
l’Unità assoluta, disattendendo il << compito ideale >>
73
di ogni uomo,
compito che si traduce nell’eliminazione, per quanto sempre relativa, del
punto di vista empirico, in cui il male sembra avere realtà sostanziale, per
affisarsi quanto più possibile, lottando contro il male, nel punto di vista del
perfetto, in cui il male, l’imperfetto, altro non è se non << l’ombra
dell’assoluto >>
74
.
71
P. Martinetti, Gesù Cristo e il Cristianesimo, Milano, Denti, 1949, vol. II,
p. 17.
72
P. Martinetti, Scritti di metafisica e di filosofia della religione, ..., cit., vol.
II, p. 189.
73
Ivi, p. 146.
74
Ibidem.