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CAPITOLO I
LO STATO ED IL FATTORE RELIGIOSO
1.1 Legislazione in materia ecclesiastica dal 1848 al 1922
I rapporti tra Stato e Chiesa, ed i problemi connessi al
suddetto rapporto, rappresentano i capisaldi della storia italiana. La
disciplina giuridica del fenomeno religioso deve essere esaminata
tenendo conto delle vicende del passato: non può dunque prescindersi
dalla storia delle relazioni tra Stato e Chiesa nel nostro Paese. Per
convenzione, si suole trattare delle vicende che attengono alla politica
legislativa ecclesiastica tra Ottocento e Novecento dove in
corrispondenza ai diversi periodi storici sono connessi tre differenti
regimi politici che hanno caratterizzato la vita del Paese: il periodo
liberale, il regime fascista, la fase repubblicana e democratica. Prima
di affrontare tale tematica, appare necessario soffermarsi sul
significato e sulla rilevanza giuridica del fenomeno religioso, il quale
oltre ad essere un fenomeno individuale esplica la sua importanza
anche da un punto di vista sociale. L’aspetto comunitario si evidenzia
ancor di più nell’ambito della Chiesa cattolica, laddove esistono veri e
propri “centri organizzati” attraverso i quali vengono soddisfatti
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interessi di natura religiosa. E’ la rilevanza sociale del fenomeno
religioso che ha giustificato vari interventi da parte dello Stato che
saranno poi analizzati. Laddove l’individuo conforma la propria
condotta a regole morali tratte da dogmi religiosi, il comportamento
che ne scaturisce è oggetto di attenzione da parte dello Stato , che si fa
portatore degli interessi palesati dalla popolazione.
1.2 La tendenza separatista: 1848-1876
Nel periodo liberale la religione veniva concepita come un
problema individuale, di esclusiva competenza dei cittadini. La
protezione dell’individuo prevaleva rispetto alla tutela del gruppo a
cui il singolo era legato. D’altra parte, le dottrine giuridiche che si
affermarono in Germania alla fine del XIX secolo imponevano una
rivalutazione delle collettività organizzate e più in generale del
gruppo.
L’ordinamento allora vigente doveva quindi considerare, da
un lato l’affermazione dei valori individuali propri dell’ideologia
liberale e dall’altro non poteva sottrarsi dall’influsso delle teorie
giuridiche tedesche. Orbene, l’interesse religioso individuale diveniva
rilevante nella misura in cui riguardava il valore fondamentale della
libertà: il principio della libertà della persona umana, costituiva il
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fulcro dell’intera materia religiosa e di tutti gli istituti giuridici di
quell’epoca. Occorre inoltre ricordare che il legislatore liberale si
preoccupava di garantire la libertà e l’uguaglianza dei singoli cittadini
nei confronti del fenomeno religioso mentre assumeva un
atteggiamento di indifferenza riguardo a quei gruppi che perseguivano
scopi culturali.
La tendenza separatista
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ispirò la legislazione ecclesiastica a
partire dal 1848, anno in cui in Piemonte la Destra aveva sviluppato
una politica destinata ad estendersi alle altre regioni d’Italia a partire
dal 1859. Essa era basata sulla formula “libera Chiesa in libero Stato”
nella quale erano facilmente individuabili due atteggiamenti
contrapposti: molti esponenti della destra storica erano più sensibili
alla tradizione cattolico-liberale, i quali auspicavano un rafforzamento
dello Stato attraverso valori religiosi che potevano conseguirsi anche
mediante un programma di rinnovamento della Chiesa; altri esponenti
seguivano invece il solco tracciato dalla tradizione giurisdizionalista.
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Il separatismo tra Stato e Chiesa è convenzionalmente indicato come la separazione
di tali entità e rappresentò un mezzo politico per risolvere la c.d. questione romana
nel quadro dell’Unità d’Italia. Tale tesi separatista fu annunciata per la prima volta
da Cavour nei discorsi alla Camera del 25-27 marzo del 1861, con la celebre
formula “libera Chiesa in libero Stato”. In origine questa tesi fu utilizzata soprattutto
per tutelare la Chiesa nel senso della sua indipendenza, successivamente fu
impiegata per far prevalere l’autorità dello Stato. Nella sua concreta attuazione, il
separatismo ebbe solo una modesta applicazione. Negli anni di contrasto con la
Chiesa, le leggi eversive del 1948, 1855, 1866, 1867 risentivano della tradizione
giurisdizionalista, della tradizione che si riteneva competente a giudicare quali enti
ecclesiastici erano utili o inutili per la società. Si può affermare che fino ai Patti
Lateranensi del 1929, il rapporto tra Stato e Chiesa non era collocabile nell’ambito
del separatismo ma piuttosto poteva parlarsi di giurisdizionalismo liberale. F.
FINOCCHIARO, Diritto…cit p. 30-32, M. TEDESCHI, Manuale di diritto
ecclesiastico, II ed, Ed. G. Giappichelli, Torino, p. 18-25.
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L’articolo 1 dello Statuto del Regno 4 marzo 1848 n. 674
dichiarava che «La religione cattolica apostolica e romana è la sola
religione dello Stato» mentre le altre confessioni erano tollerate
«conformemente alle leggi».
I principi espressi dalle norme statuarie in materia religiosa
erano chiariti da più leggi: in primo luogo vi era la legge Sineo
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del 19
giugno 1848 n. 735, la quale disponeva che «La differenza di culto
non forma eccezione al godimento dei diritti civili e politici, ed
all’ammissibilità delle cariche civili e militari». Tale legge vigeva
seppure in contrasto con l’art.1 dello Statuto sopra menzionato che
invece non operava nessun riconoscimento della libertà religiosa nei
confronti dei cittadini non cattolici.
Nel quadro di un aspro conflitto tra Stato e Santa Sede si
inserivano le due leggi Siccardi: gli anni 1848-1849 non erano i
migliori per trattare con la Santa Sede in quanto Pio IX, profugo a
Gaeta a causa delle vicende che interessarono la Repubblica Romana,
non era disposto ad alcuna concessione. Proprio in quegli anni però il
Parlamento approvava le due leggi proposte dal Guardasigilli Siccardi,
quelle del 9 aprile 1850 n. 1013 e del 5 giugno 1850 n. 1037
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. La
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Sia prima che dopo la concessione dello Statuto, erano stati emanati dal re di
Sardegna vari atti che pure riguardavano il fattore religioso: la Lettera Patente 17
febbraio, n. 673, sul godimento dei diritti civile e politici e il conseguimento dei
gradi accademici dei valdesi; il r. d. 29 marzo 1848, n. 700, per l’ammissione degli
ebrei al servizio militare. F. FINOCCHIARO, Diritto…cit p. 47.
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prima era volta a sopprimere l’autonomia del foro ecclesiastico in ogni
genere di controversia o processo, cioè il diritto degli ecclesiastici a
godere di un trattamento giudiziario separato dal resto dei cittadini,
nonché a sopprimere il diritto di asilo nelle chiese e nei luoghi
immuni. La seconda invece, rendeva necessaria l’autorizzazione per
gli acquisti di tutti gli enti morali, pubblici e privati, ecclesiastici e
laici, nazionali e stranieri.
Sempre negli anni 1848-1876 si collocava, per quanto
riguarda la scuola pubblica, la legge 22 giugno 1857 n. 238, la c.d.
legge Lanza, la quale all’art. 10 prevedeva che «Negli istituti e nelle
scuole pubbliche la religione cattolica sarà fondamento dell’istruzione
e dell’educazione religiosa. Per gli acattolici sarà lasciato alla cura dei
rispettivi parenti. Nelle leggi speciali e nei regolamenti relativi
all’insegnamento pubblico si determinano le cautele da osservarsi
nella direzione ed istruzione religiosa degli alunni cattolici». Due anni
più tardi, la legge 13 novembre 1859 n. 3725 (la c.d. legge Casati)
stabiliva l’obbligo dell’istruzione religiosa secondo la confessione
cattolica e l’esonero per gli acattolici e per coloro il cui il padre, o chi
ne facesse le veci, avesse per iscritto dichiarato di «provvedere
privatamente all’istruzione religiosa». Tale legge non sempre veniva
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«Gli stabilimenti o corpi morali, siano ecclesiastici o laicali, non potranno
acquistare beni stabili senza essere a ciò autorizzati con regio decreto, previo il
parere del Consiglio di Stato. Le donazioni tra vivi e le disposizioni testamentarie a
loro favore non avranno effetto se essi non saranno nello stesso modo autorizzati ad
accettarli».
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applicata in conformità al principio in essa proclamato (da ricordare la
circolare Correnti 29.9.1870 che rendeva facoltativo l’insegnamento
della religione per gli allievi delle scuole elementari)
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.
In precedenza, con la legge 25 agosto 1848 n.777, aveva
inizio la legislazione eversiva e soppressiva degli enti. Essa infatti
prevedeva la soppressione della Compagnia di Gesù; l’esproprio dei
suoi beni; l’espulsione dei gesuiti che non facevano parte del regno, “i
regnicoli”, di uscire dall’ordine e vietava le case della corporazione
delle Dame del Sacro Cuore. Si trattava di un provvedimento
tipicamente giurisdizionalista e per nulla liberale.
Ciò che più appariva strano era il fatto che tale legislazione,
fortemente anticlericale, era stata emanata subito dopo l’entrata in
vigore dello Statuto Albertino, che invece qualificava la Stato in senso
confessionale, ritenendo gli altri culti meramente tollerati. Non
dobbiamo dimenticare che lo Statuto era una Costituzione flessibile e
non rigida come la nostra attuale ed era per questo che mancava un
meccanismo di controllo sulla costituzionalità delle leggi.
La tendenza giurisdizionalista
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era evidente anche nella legge
29 maggio 1855 n. 878, la quale soppresse le associazioni religiosa di
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S. Lariccia, Diritto ecclesiastico, Ed. Cedam, Padova, 1986, p. 16.
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Le scelte che giustificavano la politica ecclesiastica della destra piemontese erano
determinate dalle esigenze del bilancio dello Stato: difatti la liquidazione dell’asse
ecclesiastico consisteva in vari provvedimenti con i quali si provvedeva alla
soppressione degli ordini, delle corporazioni religiose; alla tassazione dei redditi
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vita contemplativa sulla base della utilità o inutilità degli enti
ecclesiastici. Ancora la legge 7 luglio 1866 n. 3036, soppresse tutte le
associazioni religiose, ne incamerò il patrimonio convertendo in
rendita pubblica al cinque per cento i beni di tutti gli enti ecclesiastici.
A completare l’eversione dell’asse ecclesiastico, vi era la legge 15
agosto 1867 n. 3848, la quale soppresse varie categorie di enti
ecclesiastici devolvendone allo Stato i beni; provvide poi alla
liquidazione di tali beni.
Le due leggi da ultimo richiamate furono poi estese anche
alla provincia di Roma.
1.3 Vicende politiche e legislative dalla proclamazione del
regno d’Italia: la legge delle Guarentigie
Dopo l’unificazione, il quadro legislativo si presentava
disorganico ed incompleto. Il legislatore italiano, in conformità al
principio dell’agnosticismo,
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proclamava l’uguaglianza tra i cittadini e
delle confessioni religiose dinanzi alla legge senza alcuna distinzione
delle persone giuridiche. Solo così poteva fronteggiarsi il gravoso deficit del
bilancio statuale. S. LARICCIA, Diritto…cit p. 17.
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L’agnosticismo consiste in un atteggiamento filosofico che non nega l’ esistenza di
Dio o di realtà soprasensibili, ma afferma l’impossibilità di conoscerle in
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derivante dalla religione professata, nonché la libertà di coscienza e di
culto.
Il regno d’Italia proclamato nel 1861, aveva come sua
Costituzione lo Statuto Albertino concesso da Carlo Alberto re di
Savoia al regno di Sardegna nel 1848 e poi esteso al Regno d’Italia. Al
momento dell’unificazione nazionale fu estesa a tutto il Regno la
legislazione sardo-piemontese, la quale si ricollegava direttamente al
codice civile napoleonico del 20 giugno 1837.
I rapporti tra il nuovo Regno d’ Italia e la Chiesa Cattolica
erano tesi, in quanto all’unificazione mancavano alcuni territori
soggetti al dominio temporale del Papa: si trattava dello Stato
Pontificio sul quale Papa Pio IX non aveva nessuna intenzione di
perdere la propria sovranità temporale.
Nel 1870 lo Stato italiano occupava Roma proclamandola
Capitale del Regno d’Italia: di qui nasce la “Questione Romana”. Per
compensare il pontefice della perdita del potere politico veniva
approvata la legge delle Guarentigie
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del 13 maggio 1871 n. 214,
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La legge delle Guarentigie, legge di diritto pubblico interno era suddivisa in due
titoli: il primo “Prerogative del Sommo Pontefice e della Santa Sede” stabiliva
all’art.1 che «La persona del Sommo Pontefice è sacra ed inviolabile», mentre
all’art 2 stabiliva che «L’attentato contro la sua persona e la provocazione a
commetterlo sono puniti con le stesse pene stabilite per l’attentato e per la
provocazione a commetterlo contro la persona del re». Inoltre vi erano altre
importanti norme che riconoscevano altrettante importanti prerogative al Sommo
Pontefice e alla Santa Sede. Il secondo titolo riguardava “le relazioni dello Stato con
la Chiesa”, laddove veniva abolita ogni restrizione speciale all’esercizio del diritto di
riunione dei membri del clero cattolico; non si richiedeva più ai Vescovi di prestare
il giuramento al re. S. LARICCIA, Diritto…cit, p. 20-2, M. TEDESCHI,
Manuale…cit, p. 67-76.
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considerata come ultimo prodotto della legislazione eversiva, la quale
gli riconosceva importanti prerogative: l’inviolabilità della persona
con gli onori sovrani, il possesso dei palazzi del Vaticano, del
Laterano e la villa di Castelgandolfo, una cospicua dotazione annua, e
la piena libertà di svolgere la propria missione spirituale nell’Italia e
nel mondo. Ma il Papa, nonostante la concessione, non accettò ed anzi
vietò ai cattolici di partecipare alla vita politica (con la bolla “Non
expedit” ossia “non conviene”). Con tale legge di carattere
propriamente giurisdizionalista e non separatista, la “questione
romana”
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era ancora aperta.
La tutela alla libertà religiosa venne garantita anche
successivamente alla caduta della Destra e all’avvento della Sinistra al
potere e cioè anche dopo il 1876. La politica ecclesiastica di questi
anni fu ispirata da principi laicisti e aconfessionali. E’ proprio in tale
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Dopo la breccia di Porta Pia del 1870, che segnava l’estinzione dello Stato
Pontificio, la Santa Sede, cioè l’organo di governo della Chiesa cattolica, si trovava
ad agire sul piano internazionale in un situazione particolare poiché, venuto meno
uno degli elementi costitutivi degli Stati - il territorio - ed essendo considerati
soggetti di diritto internazionale solo questi ultimi, non si vedeva a che titolo potesse
aver riconosciuta una sua personalità sul piano internazionale. Sembrava possibile
affermare che la personalità internazionale spettasse unicamente alla Santa Sede,
ente differente dallo Stato della Città del Vaticano, anch’esso rilevante sul piano
internazionale, e che entrambi non potevano confondersi con la Chiesa cattolica che
non aveva una personalità internazionale diversa da quella della Santa Sede.
L’enorme importanza attribuita dalla Chiesa Cattolica alla soluzione della questione
romana, costituì il motivo principale della sottoscrizione dei Patti Lateranensi. Il
Trattato era il protocollo principale dei Patti, con il quale nasceva lo Stato della Città
del Vaticano, che rimane in vita ancora oggi, dopo la revisione del Concordato. M.
TEDESCHI, Manuale…cit. p. 67-71. ID, Cavour e la questione romana 1860-1861,
Ed. Giuffrè, Milano, 1978. ID. I capitolati Cavour-Ricasoli. Documenti sui primi
tentativi per il componimento della questione romana, nel vol. Vecchi e nuovi saggi
di diritto ecclesiastico, Ed. Giappichelli, Milano, 1990.
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fase che si collocava anche la legge Coppino
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di matrice chiaramente
giurisdizionalista: essa rendeva obbligatoria l’istruzione elementare;
non indicava la religione tra le materie obbligatorie di insegnamento
nelle scuole elementari, anche se non sopprimeva espressamente
l’insegnamento di tale materia; riteneva essenziale «… lo studio delle
prime nozioni dei doveri dell’uomo e del cittadino» ( art.2)
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.
Subito dopo l’avvento del fascismo iniziarono le trattative
segrete Pacelli-Barone, considerati i fautori della riconciliazione tra lo
Stato e la Santa Sede. Il fascismo, alle origini, non era certo
favorevole alla Chiesa la quale voleva che fosse operato un pieno
riconoscimento della personalità della Santa Sede, in modo da poter
essere considerata soggetto di diritto internazionale. Solo con i Patti
Lateranensi
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, la Questiona Romana poteva ritenersi conclusa. Tali
Patti vennero sottoscritti l’11 febbraio del 1929 tra lo Stato,
rappresentato da Benito Mussolini, e la Chiesa, rappresentata dal
cardinale Gasparri, segretario di Stato del Vaticano. Essi erano
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Legge 15 luglio 1877, n. 3961.
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Questa norma insieme ad altre con le quali si voleva realizzare la laicizzazione
della scuola,veniva contrastata soprattutto nei comuni laddove era vivo e fervido il
movimento cattolico organizzato. S. LARICCIA, Diritto…cit, p. 23.
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Per il diritto ecclesiastico italiano, i Patti costituiscono una vera e propria svolta in
quanto con essi si riprese la contrattazione bilaterale che era stata interrotta intorno
al XIX secolo. I Patti rappresentarono un duro colpo per le posizioni liberali e
giurisdizionaliste, oltreché un grandissimo successo per la Chiesa Cattolica. Di essi
però, restano in vigore solo il Trattato ed i relativi allegati mentre il Concordato no.
Dopo la seconda guerra mondiale, la Costituzione del 1948 recepì i Patti nonostante
la loro matrice fascista, proprio per non riaprire la questione romana. M.
TEDESCHI, Manuale… cit, pp. 30-31.
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composti da tre documenti: un Trattato, un Concordato ed una
Convenzione finanziaria. Gli accordi non riguardavano solo la
“questione romana”, alla quale è dedicato il Trattato, ma anche le
condizioni della religione e della Chiesa in Italia (disciplinate nel
Concordato). All’art.1 del Trattato si ribadiva che la religione di Stato
era quella cattolica; lo Stato rinunciava alla propria sovranità sul
territorio della Città del Vaticano a favore del Papa; nel Concordato si
regolavano anche molte altre materie, fra cui l’obbligo
dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali; il
riconoscimento degli effetti civili del matrimonio cattolico
(matrimonio concordatario); venivano sancite agevolazioni fiscali per
gli enti ecclesiastici e sovvenzioni per i parroci da parte dello Stato
(cosiddetta “congrua”). Il Concordato del 1929 riconosceva ampia
libertà alla Chiesa cattolica, rinunciava a taluni vecchi strumenti
dell’apparato giurisdizionalista anche se manteneva in vigore quelli
che erano ritenuti funzionali.
Nel 1929, il governo sottopose le leggi per l’esecuzione dei
Patti all’approvazione della Camera e del Senato: il Parlamento
approvò rapidamente le leggi che davano ad essi esecuzione.
Con essi l’allora Capo del Governo Benito Mussolini si
augurava di poter contare sulla Chiesa e di aver eliminato nel
contempo un potenziale avversario politico.