PREFAZIONE
Nel panorama della finanza il Private Equity rappresenta una forma
di investimento innovativa e molto vantaggiosa rispetto ai classici strumenti
finanziari.
Definito come “investimento nel capitale di rischio delle imprese”, il
private equity offre il duplice vantaggio di fornire all’impresa sia i mezzi
monetari necessari per attuare un determinato progetto, sia le conoscenze e
le competenze tecniche da parte degli stessi finanziatori.
Gli operatori di private equity detti, investitori istituzionali, entrano a
far parte della vita dell’impresa sottoscrivendo quote di capitale di rischio e
aiutano l’imprenditore nella sua attività economica, controllando in questo
modo anche l’investimento effettuato, con lo scopo ultimo di accrescere il
valore dell’impresa e realizzare un utile al momento della vendita delle
quote acquisite.
Il vantaggio di tale strumento finanziario, rispetto alle forme più
classiche di investimento in capitale di rischio o di debito, risiede nel fatto
che alla fornitura di mezzi economici sottoforma di partecipazioni, viene
aggiunta una risorsa intangibile che è data dalla conoscenza e dalla capacità
manageriale dell’investitore. Per un determinato arco temporale, la gestione
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dell’impresa si arricchisce della presenza di investitori esterni che sono
legati ad essa come qualsiasi altro socio azionista.
Nel primo capitolo ci si sofferma sugli aspetti peculiari del processo
di investimento istituzionale nel capitale di rischio. Gran parte di esso è
centrato sulla descrizione del fenomeno e sui protagonisti di tale operazione,
gli investitori istituzionali, rappresentati da banche d’investimento, società
di gestione del risparmio, etc..
Essi svolgono tutte le fasi che vanno dalla raccolta dei capitali da
investire, fino alla scelta dell’impresa in cui investire tali risorse,
l’approccio con cui monitorare tale investimento e le modalità di
disinvestimento e chiusura dell’operazione.
Il secondo capitolo si propone di analizzare i differenti scenari di
investimento, che dipendono dallo stadio di sviluppo di una impresa.
È evidente infatti, che una impresa in principio di sviluppo richiederà
all’investitore un fabbisogno economico-conoscitivo diverso da quello di
una impresa in fase di espansione oppure da quello di un impresa in crisi.
A tal proposito si fa riferimento al modello del ciclo di vita
dell’impresa , modello di rappresentazione derivato dal famoso modello del
ciclo di vita dei prodotti e dei settori , al fine di individuare stadi di sviluppo
ben definiti in cui attuare specifiche operazioni di private equity .
Nel terzo capitolo si descrive la tendenza del mercato globale ed
italiano dell’investimento istituzionale nel capitale di rischio delle imprese.
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L’analisi parte dall’evoluzione storica dal dopoguerra ad oggi di tale
strumento finanziario, con grande attenzione al crollo del mercato delle
imprese hi-tech dei primi anni 2000 e alla crisi economica globale del 2007.
In seguito si pone l’accento sul mercato italiano del private equity ,
in termini di operatori che servono tale mercato, numero ed entità delle
operazioni, imprese obiettivo di tali operazioni e localizzazione geografica
delle operazioni.
Il lavoro si chiude con alcune considerazioni personali sul fenomeno
del private equity e, in particolare, sulla situazione attuale in Italia, sui
motivi che ne condizionano lo sviluppo, sugli ostacoli presenti nella nostra
economia e sugli indubbi vantaggi che tale strumento potrebbe apportare
alla crescita del comparto delle piccole e medie imprese, ampiamente
diffuse nel nostro paese.
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I CAPITOLO
IL PRIVATE EQUITY DESCRIZIONE DEGLI ASPETTI
PECULIARI DEL FENOMENO.
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1.Le decisioni finanziarie e la struttura finanziaria
d’impresa L’attività di produzione di beni o servizi che viene effettuata dalle
imprese necessita di mezzi, di qualsiasi natura, con i quali esse possano
svolgere questa attività. La raccolta di tali mezzi, per lo più finanziari, è
subordinata a particolari scelte o decisioni finanziarie che a loro volta
rispecchiano il fabbisogno finanziario dell’impresa in un certo istante e in
particolare gli investimenti da alimentare con tali fonti.
La struttura finanziaria di un’impresa è “la composizione delle
risorse monetarie che consentono l’acquisizione di fattori produttivi
necessari allo svolgimento dell’attività d’impresa: essa è influenzata sia
dal tipo d’attività svolta, che dovrà essere in grado di fornire risorse
monetarie alla gestione mediante flussi di cassa positivi, e sia dalle scelte
riguardo alle molteplici fonti cui accedere ” (Perrini F. , 2000)
1
.
Tali attività d’impresa assumono diverse scadenze temporali, in
particolare risultano essere a lungo o a breve termine. E’ importante quindi
che le passività destinate a finanziarle siano coerenti con la scadenza
temporale delle suddette attività. Infatti la coerenza del ciclo temporale
comporta che le aziende possono disporre dei fondi quando necessario e
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Perrini F., “Innovazione, struttura finanziaria e valore d’impresa”, Economia &
Management ,N.1, Gennaio 2000, cap. I .
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dunque predisporre un piano di rimborso in linea con l’esaurirsi del
fabbisogno.
1.1 Capitale di debito e capitale di rischio La struttura finanziaria delle imprese è una combinazione di capitale
di debito e di capitale di rischio e come tale varia sia in funzione delle
differenze tra le varie attività, sia in funzione delle singole fasi del ciclo di
sviluppo di tali business.
Il capitale ottenuto a titolo di debito rende l’impresa debitrice
verso il possessore del titolo in oggetto. Ciò comporta che nel momento
in cui l’impresa emette il titolo obbligazionario promette al possessore di
esso il pagamento periodico di una somma a titolo di interesse e alla
scadenza del prestito la restituzione del capitale.
Per contro, il capitale ottenuto a titolo di capitale di rischio
attribuisce al sottoscrittore la qualità di socio, il che include una serie di
diritti
molto diversi rispetto a quelli del creditore, primo fra tutti la
possibilità di intervenire nella gestione dell’azienda.
Questa distinzione non è tuttavia ben definita, infatti esistono alcuni
strumenti finanziari ibridi , i quali ne rendono più sfumati i confini : si pensi
alle azioni di risparmio , che comportano la perdita di quei diritti
amministrativi tipici delle azioni a favore di quelli patrimoniali , oppure al
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debito mezzanino 2
. Inoltre il ricorso al capitale di rischio richiede un sistema
di mercati, istituzioni e intermediari finanziari con la duplice funzione di
ridurre da un lato le asimmetrie informative che si vengono a creare tra
emittenti e investitori e dall’altro i costi di transazione relativi allo scambio
dei capitali.
Il creditore di capitale di debito o obbligazionista , data la natura
esclusivamente patrimoniale dei suoi diritti, mira al rimborso del capitale
prestato e al conseguimento di un utile formato dagli interessi maturati su
tale somma, ove ciò non avvenga il creditore ha il diritto di rivalersi
sull’attivo patrimoniale della società chiedendone la liquidazione. Inoltre
data l’esistenza di alcuni strumenti informativi, come ad esempio il rating,
che esprimono giudizi sulla capacità di solvibilità di un impresa, il creditore,
per tutelarsi contro il rischio di insolvenza , tende ad applicare tassi di
interesse maggiori.
È questo il motivo per cui il ricorso al capitale di debito presenta dei
limiti , superati i quali non è più possibile ottenere ulteriore credito. Inoltre,
in base al principio della leva finanziaria , è conveniente optare per
l’indebitamento fin quando il reddito operativo garantito dai capitali così
reperiti si mantiene superiore al loro costo. Ma dato che l’aumento di
capitale attinto a titolo di debito tende ad aumentarne il costo, pur potendo
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Si tratta di strumenti ibridi che combinano il debito, per lo più subordinato, al cosiddetto
equity kicker (o sweetener), che consente al creditore mezzanine di guadagnare
dall’incremento di valore del capitale di rischio. Per una trattazione più analitica, si veda
Forestieri G. (2005) “Corporate and investment banking”, Egeam Cap. 9 .
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in una certa misura contribuire a sostenere lo sviluppo di un impresa nel
breve periodo, ne limita quello futuro.
L’investitore nel capitale di rischio invece sopportando una parte del
rischio d’impresa ne diviene socio azionista a tutti gli effetti e nello
sfruttamento dei suoi diritti è interessato al processo di creazione del valore
dell’impresa per aumentare il valore della sua partecipazione e di
conseguenza i suoi profitti.
Per questo motivo le decisioni finanziarie tra capitale di rischio e di
debito prendono in considerazione una serie di elementi, come la
convenienza economica del finanziamento, le implicazioni fiscali,
l’esigenza o meno di mantenere costante l’azionariato e la compatibilità con
la struttura finanziaria esistente.
2.L’investimento istituzionale nel capitale di rischio L’attività di “investimento istituzionale nel capitale di rischio” è
definita dall’AIFI
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come l’apporto di risorse finanziarie da parte di operatori
specializzati o investitori istituzionali , tramite la partecipazione azionaria
oppure la sottoscrizione di titoli obbligazionari convertibili in azioni,
solitamente per un arco temporale medio - lungo, in aziende dotate di un
progetto competitivo e di un elevato potenziale di sviluppo, congiuntamente
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L’ AIFI è l’associazione italiana del Private Equity e del Venture Capital, costituita nel
maggio 1986 al fine di sviluppare, coordinare e rappresentare, in sede istituzionale, i
soggetti attivi sul mercato italiano dell'investimento in capitale di rischio.
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ai mezzi finanziari, l’investitore offre esperienze professionali, competenze
tecnico-manageriali ed una rete di contatti con altri investitori ed istituzioni
finanziarie.
Emerge subito da questa definizione quello che è lo strumento del
private equity , ovvero una forma di finanziamento, sostanzialmente diversa
da quelle tradizionali , che associa alla fornitura di mezzi economici sotto
forma di capitale di rischio, il trasferimento delle conoscenze e delle
competenze degli investitori che abbinate a quelle dei manager promotori di
progetti innovativi e potenzialmente di successo, hanno la capacità di creare
valore per l’impresa e di remunerare gli investitori nel medio- lungo
periodo.
2.1 Private Equity e Venture Capital Per descrivere l’attività di investimento istituzionale nel capitale di
rischio di un impresa si fa riferimento al termine inglese private equity,
diventato molto comune anche nella letteratura italiana in materia
finanziaria. Molto spesso al ternine private equity viene associato un altro
termine di origine anglosassone il venture capital. Tali qualifiche, sebbene
siano spesso usate come sinonimi , hanno un significato diverso che varia
talvolta a seconda del paese di riferimento. In effetti nella letteratura
statunitense, l’attività di investimento istituzionale nel capitale di rischio,
nella sua globalità, viene definita come private equity ed è suddivisa in
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