5
Nell’ambito di tale definizione, la partecipazione veniva generalmente intesa come
temporanea, minoritaria e finalizzata, attraverso il contributo congiunto di know.how
non solo finanziario, allo sviluppo dell’impresa, all’aumento del suo valore e alla
possibilità di realizzazione di un elevato capital gain in sede di dimissione.
I vantaggi derivanti dalla cessione di una partecipazione all’investitore istituzionale in
capitale di rischio d’impresa, si evidenziano dall’elenco seguente
3
:
ξ si ha la possibilità di reperire denaro fresco e paziente per finanziare i piani di
sviluppo e di migliorare l’immagine aziendale nei confronti del mercato e
delle banche; inoltre, l’ingresso di un partner finanziario appone una garanzia
sulla validità d’impresa e dei suoi programmi (avanzamento dello standing
creditizio);
ξ apertura a nuovi orizzonti per le iniziative a conduzioni familiare, con
possibilità di creare network collaborativi grazie a conoscenze dell’investitore;
ξ guadagnare una maggiore capacità di competere dell’azienda che, grazie
all’intervento di un azionista di potere, è nella condizione di colloquiare con
più forza con i principali attori economici del settore e porgere eccellenti
garanzie ai clienti;
ξ sovente, con l’ingresso di un operatore istituzionale nel capitale dell’impresa,
si richiede un cambiamento di mentalità da parte dell’imprenditore medio-
piccolo adattandosi a logiche di mercato internazionali;
I benefici di sviluppo non sono ad appannaggio esclusivo della singola impresa, ma si
estendono all’intero sistema industriale e dell’economia del Paese: in tale ottica, “il
miglioramento del mercato del venture capital e del private equity diviene un valido
strumento politico per il sostegno delle economie locali verso un processo di
internazionalizzazione”
4
.
Sul fronte prettamente terminologico, secondo la prassi più diffusa nefli USA,
l’attività di investimento istituzionale nel capitale di rischio, definita nella sua
3
Aifi, “Capitale di rischio e sviluppo economico” , Il sole 24 ore, pg. 32
4
Gompers P., Lener J., “The venture capital cycle”, MIT Press, 1999, pg.85
6
globalità “attività di private equity”, viene suddivisa, in funzione della tipologia di
operatore che la pone in essere, tra venture capital funds e operazioni di buy out.
All’interno dell’attività svolta dai venture capital funds è possibile individuare due
sottoclassi, che identificano a loro volta numerose tipologie di investimenti. Si parla
infatti di early stage financing per indicare il finanziamento delle imprese nei primi
stadi di vita, mentre si fa riferimento all’expansion financing per segnalare gli
interventi attuati in imprese ormai sviluppate e mature, che hanno bisogno di capitali
per rafforzare la crescita.
L’attività di finanziamento, indipendentemente dalla fase del ciclo di vita delle
imprese, viene generalmente individuata come un sottoinsieme del più ampio settore
del “merchant banking”, inteso come insieme di attività di investimento e di
consulenza poste in essere da operatori finanziari a diretto supporto dell’attività
d’impresa.
7
1.1 Struttura finanziaria d’ impresa
La struttura finanziaria di un’impresa è “la composizione delle risorse monetarie
che consentono l’acquisizione di fattori produttivi necessari allo svolgimento
dell’attività d’impresa: essa è influenzata sia dal tipo d’attività svolta, che dovrà
essere in grado di fornire risorse monetarie alla gestione mediante flussi di cassa
positivi, e sia dalle scelte riguardo alle molteplici fonti cui accedere
5
”.
Il fabbisogno di risorse produttive crea una necessità di mezzi finanziari, ai quali
spetta il compito di rendere disponibili le prime. La composizione delle risorse
finanziarie concorre alla realizzazione del valore sul piano sia dell’efficienza,
minimizzando il costo delle fonti di finanziamento, e sia sul piano dell’efficacia,
assicurando in modo tempestivo ed economico il basilare afflusso di risorse.
In letteratura si parla di ciclo di crescita finanziaria
6
con riferimento alla diversa
distribuzione delle fonti di finanziamento nelle varie fasi di sviluppo dell’attivita ̀
d’impresa e in relazione a dimensioni e storie aziendali diverse.
Lo sviluppo d’impresa dipende da molteplici fattori, in particolare, dalle strategie
messe in atto per conseguire una valida gestione del patrimonio tecnologico e la sua
capacità innovativa giocano un ruolo di prim’ordine.
È essenziale perciò alimentare costantemente gli investimenti in innovazioni (ad
esempio mediante l’acquisizione di un nuovo impianto, lo sviluppo di un progetto di
ricerca) per garantire la crescita equilibrata e la sopravvivenza dell’impresa nel lungo
periodo. Attraverso una corretta gestione della variabile tecnologica, anche le piccole
e medie imprese si assicurano uno sviluppo equilibrato.
Al momento della nascita dell’impresa, le risorse a disposizione sono in genere di
natura interna, messe a disposizione sotto forma di conferimento societario e/o
prestito dal nucleo d’imprenditori coinvolti nell’iniziativa (risparmio personale).
5
Perrini, “Innovazione, stryttura finanziaria e valore d’impresa”, Economia & Management, N. 1,
Gennaio 2000, pg 48
6
Perrini, “Innovazione, stuyttura finanziaria e valore d’impresa”, Economia & Management, N. 1,
Gennaio 2000, pg 48
8
Quando le fonti interne sono insufficienti a supportare l’avvio, la strada alternativa è
quella di ricorrere a fonti esterne, scegliendo tra l’afflusso di capitale proprio o
capitale di rischio (mediante il reperimento di nuovi soci) e capitale di debito
(generalmente di carattere bancario).
Il capitale di rischio è contraddistinto da una flessibilità, da una stabilità assoluta
(nel senso che resta in azienda per una durata illimitata), dal mancato obbligo di
rimborso e dall’assenza di un impegno “formale” di remunerazione; è impensabile
che un investimento finanziario possa essere infruttuoso: il rendimento, se riferito al
capitale proprio, si presenta variabile, nel senso che gli organi aziendali.
Chiunque investe nel capitale di rischio si attende un rendimento medio ben preciso,
seppur variabile, correlato a vari livelli di azzardo.
L’investitore nel capitale di rischio non chiede garanzie patrimoniali, ma si accolla
una parte del rischio d’impresa come gli altri azionisti ed è interessato al processo di
creazione del valore dell’impresa per aumentare il valore della sua partecipazione e
quindi dei suoi profitti.
I venture capitalist non si limitano a finanziare l’idea imprenditoriale, ma la stimano
a priori molto accuratamente (mediante il processo di due diligence), contribuiscono
a potenziare e sviluppare il progetto sia nell’impostazione strategica e sia
verificandone le singole possibilità di concretizzazioni, prendono parte attivamente
alla gestione d’impresa, nominando manager di fiducia nel Consiglio di
Amministrazione e apprezzano le professionalità del team direttivo.
Il capitale di debito mostra proprietà opposte rispetto alla forma precedente: esso è
una fonte rigida di finanziamento, va restituito con schemi e tempi ben precisi
contrattualmente e va remunerato in misura predefinita, secondo un tasso d’interesse.
L’imprenditore sa, in questo caso, che la capacità di ripagare il suo debito, sottoforma
di quote capitale e interessi, è avvallata dal patrimonio aziendale e, talvolta, dai suoi
beni personali.
Nel caso in cui risulti impossibile il rimborso del prestito, l’istituto di credito può
chiedere la liquidazione dell’azienda e rivalersi sull’attivo patrimoniale per il
soddisfacimento del suo credito.
9
Le banche, in veste di fornitori del capitale di debito, non sono direttamente
interessate alla creazione del valore dell’impresa finanziata, ma solo alla sua
solvibilità finanziaria e forniscono all’impresa consulenze di tipo accessorio e
burocratico relativo al finanziamento.
Il finanziamento bancario presenta dei requisiti che poco si adattano alle esigenze
delle piccole imprese innovative e appena nate, che possono contare in prevalenza su
aspetti intangibili del progetto (know how, un’innovazione, le competenze
professionali del fondatore) e offrono poche garanzie in termini d’asset tangibili.
Nella realtà italiana vige, infatti, il principio “no guarantee no money”, ben riposto
nella prassi giornaliera di molte banche.
Le piccole imprese quindi, che hanno volontà e potenzialità di crescita, iniziano ad
aprirsi all’esterno attraverso l’acquisizione di nuovo capitale di rischio che proviene
dai business angel o incubator: essi sono agenti con rilevanti disponibilità proprie e
sono pronti in prima persona a rischiare nell’impresa stessa, agendo da talent scout di
nuovi imprenditori
7
.
Il finanziamento degli incubator rappresenta spesso un pre-requisito all’entrata nel
capitale di rischio d’operatori istituzionali.
Le imprese che si trovano in uno stadio di vita più avanzato, possono sia chiedere
finanziamenti esterni d’origine privata e sia rivolgersi al grande pubblico, per
esempio emettendo passività cartolari scambiabili sui mercati organizzati e di varia
scadenza (commercial papers, long term bonds), usufruire di ulteriori apporti di
capitale di rischio o raggiungere la quotazione in Borsa.
La scelta tra capitale di debito e di rischio è effettuata in conformità̀ ad una serie
d’elementi, quali ad esempio la convenienza economica della fonte di finanziamento,
le implicazioni fiscali, le esigenze legate al controllo dell’impresa e la compatibilità
con l’equilibrio e la struttura finanziaria desiderata o esistente.
7
AIFI, “Capitale di rischio e sviluppo economico”, Guerini e Associati,, 1996, pg. 37
10
1.2 La domanda e l’offerta di fondi di private equity
La domanda e l’offerta di capitali di rischio sono soggette ad andamenti ciclici. In
linea di massima, è possibile distinguere due fasi
6
: la prima, mercato del
compratore contraddistinta dalla superiorità dell’offerta e la seconda, mercato del
venditore dove prevale la domanda. Esse sono intervallate da fasi d’evoluzione
positive o negative: nella prima fase si verifica una sistematica sottovalutazione dei
capitali, mentre nella seconda una sopravvalutazione.
L’esistenza di una funzione d’offerta di fondi richiede il soddisfacimento di tre
condizioni essenziali. Si tratta del riconoscimento da parte delle società di private
equity nelle aziende target di:
• dinamiche e prospettive di crescita e di sviluppo;
• verifica di una volontà esplicita o di una certa apertura da parte della
proprietà alla cessione delle leve di comando e alla condivisone di scelte
strategiche;
• chiare prospettive di disinvestimento (way out).
Se queste condizioni sussistono, l’offerta di capitali si prospetta come una funzione
crescente del rendimento atteso medio dell’investimento. Essa avrà origine da un
determinato livello corrispondente ad una soglia minima, rappresentata dal
rendimento offerto da investimenti alternativi meno rischiosi (costo opportunità). Le
variazioni di pendenza della curva dipenderanno dalle ipotesi riguardo all’intensità di
sostituibilità del private equity con fonti alternative di impiego, e dall’aumento di
rendimento atteso richiesto in presenza di una maggiore rischiosità.
La curva presenta elasticità positiva nel tratto iniziale ed intermedio, in quanto
esistono vari sostituti in termini di impiego dei fondi e il rendimento atteso richiesto
per assumere i maggiori rischi è costante.
Dopo un certo livello di disponibilità, gli investimenti addizionali richiedono nuove
sottoscrizioni di fondi e rendimenti attesi più elevati a fronte del maggior impegno:
8
AIFI, “Capitale di rischio e sviluppo economico”, Guerini e Associati, 1996, pg. 67
11
in questo caso, oltre un certo ammontare di risorse finanziarie, la curva esibisce
un’inclinazione più evidenziata.
La funzione di domanda del capitale di rischio è viceversa decrescente al crescere
del rendimento atteso richiesto dall’investimento in partecipazione, in quanto
all’aumento di quest’ultimo diminuisce il numero di progetti nella situazione di
realizzarlo.
La condizione d’equilibrio q* sul mercato del private equity viene rappresentata
graficamente ponendo il rendimento atteso (R e*) sull’asse delle ordinate e la
quantitaà di fondi in ascissa. La posizione e gli spostamenti delle curve di domanda e
d’offerta dipendono da una serie di fattori di carattere macroeconomico, di natura
socio-culturale, di politica, dall’ordinamento dei mercati finanziari, e di carattere
aziendale.
Tra i fattori macroeconomici sono rilevanti la crescita economica, che favorisce il
proliferare di nuove idee e progetti innovativi e contribuisce a sostenere la domanda
di capitale di rischio, il livello dei tassi d’interesse e la curva dei rendimenti, che
rappresentano le possibilità̀ alternative all’uso dei fondi. Una maggiore crescita
induce una traslazione verso l’alto e verso destra della curva di domanda e verso
sinistra della curva d’offerta di fondi.
Tra i fattori socio-culturali e economico-ambientali sono apprezzabili la mobilità
sociale, la propensione degli organismi finanziari ad investire nel capitale di rischio, i
diversi indicatori del sistema produttivo (percentuale di piccole e medie imprese sul
totale, tasso di natalità aziendale e di rotazione della proprietà del capitale), la
ripartizione della forza lavoro tra lavoratori autonomi e dipendenti, il livello di
cultura e la mobilità sociale, che favoriscono le decisioni degli operatori ad
intraprendere attività imprenditoriali.
Altri agenti caratteristici sono il livello di espansione dei mercati azionari, la
semplicità d’accesso alla quotazione in Borsa, il peso degli investitori istituzionali tra
gli operatori finanziari sul mercato.
Alcuni di questi fattori, come la struttura del sistema produttivo e la distribuzione
degli occupati, sono interessanti per la curva di domanda, mentre la propensione al
12
rischio d’intermediari e risparmiatori, lo sviluppo dei mercati azionari e la facilità
d’accesso alla quotazione riguardano l’offerta di fondi.
La politica economica e l’ordinamento dei mercati hanno svolto una parte
basilare nell’incentivare o arrestare la domanda e l’offerta di private equity.
Se esaminiamo, infatti, il ruolo svolto dai sistemi fiscali inerenti i livelli e la struttura
delle aliquote d’imposta sui fondi chiusi e la tassazione del capital gain, notiamo la
presenza di notevoli differenze tra i vari Paesi.
Altri agenti da prendere in analisi sono il sistema di corporate governance prevalente
nel Paese, la legislazione in materia commerciale e fallimentare e l’efficacia delle
procedure concorsuali. L’attività imprenditoriale e la domanda di capitale di rischio
sono fortemente influenzate da legislazioni eccessivamente severe e punitive in caso
di fallimento, così come l’offerta di fondi esterni e ̀ suggestionata dalla lentezza delle
procedure concorsuali.
La reputazione del venture capitalist e le passate performance dei loro
investimenti agiscono contemporaneamente sulla domanda e sull’offerta di fondi, in
quanto una vicenda passata di successo facilità la sottoscrizione di fondi chiusi e
fornisce incentivi agli imprenditori per imboccare piani di crescita e di creazione del
valore.
13
1.3 Gli operatori istituzionali: classificazione
I soggetti che offrono capitale di rischio alle imprese possono essere raggruppati
secondo le seguenti classi
9
:
• gli investitori istituzionali;
• le società private (corporate venture capital);
• i singoli investitori privati (business angel).
Gli investitori istituzionali sono costituiti da banche, banche d’affari, divisioni di
banche commerciali, società di assicurazione, fondi chiusi a carattere
locale/regionale, fondi chiusi a carattere sovranazionale e internazionale, fondi
pensione, società di gestione del risparmio (SGR) e agenzie governative. Tali soggetti
svolgono una funzione distinta in base alla loro natura pubblica o privata.
Gli investitori pubblici hanno il compito di fornire capitali di rischio e assistenza
finanziaria a piccole e medie imprese per consentire loro l’accesso ai mercati
regolamentati, per contribuire allo sviluppo d’imprese che operano nei settori
innovativi, ad esempio. L’attività di questi agenti è inserita nei più ampi programmi
di politica economica e monetaria che, da un’altra parte, disciplinano il loro agire
secondo logiche di natura politica, altamente burocratizzate che ne limitano
l’autonomia decisionale e di tipo strategico, dall’altra sostengono, mediante i loro
investimenti, aree geografiche depresse o settori industriali svantaggiati e, più in
generale, lo sviluppo economico e occupazionale del Paese.
Per quanto riguarda il ruolo degli operatori pubblici, esso è’ positivamente correlato
al grado di sviluppo del settore privato, dovendosi porre l’obiettivo di colmare le aree
di business non coperte da quest’ultimo.
All’aumentare del livello di maturità del mercato, le modalità di intervento pubblico
devono sempre più rendersi complementari e non sostitutive degli operatori privati,
evitando fenomeni di “spiazzamento”.
9
EVCA, “Why and how to invest in private equity”, Pubblicazione Interna, Zaventem, March 2001,
pg. 95