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PRIMA PARTE
1. Concetti introduttivi
L’impresa lungo il suo ciclo di vita ha la possibilità di reperire finanziamenti, oltre al
capitale di rischio dell’imprenditore, in modi diversi in funzione della fase in cui si trova.
Il ciclo di vita dell’impresa è composto da cinque fasi: l’avvio, lo sviluppo,
l’espansione, la maturità, il declino e l’eventuale rilancio (turnaround) dell’azienda.
Figura 1 Ciclo di vita dell'impresa
La prima fase è caratterizzata dalla definizione e dall’iniziale sviluppo della business
idea, in questo stage, l’azienda è caratterizzata dalla necessità di ingenti investimenti per
l’avvio dell’attività. Essendo i flussi di cassa generati dall’impresa ancora negativi, come
anche i profitti, le risorse necessarie sono necessariamente reperite all’esterno. In
particolare, l’imprenditore può attingere al proprio patrimoni per finanziare l’azienda
oppure può ricorrere all’interevento di operatori attivi nel segmento early stage , come gli
incubators e i business angel. Nella fase successiva, l’azienda necessita di investimenti per
garantirsi lo sviluppo, tali investimenti possono essere finanziati mediante l’ingresso nella
società degli operatori di venture capital. Grazie agli investimenti effettuati in questa fase,
l’impresa aumenta rapidamente il fatturato ed incrementa le proprie quote di mercato e i
flussi di cassa e reddituali iniziano a diventare positivi.
Nelle fasi di espansione e maturità l’impresa necessita di finanziamenti volti al
consolidamento della propri posizione sul mercato e al mantenimento di essa.
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In questa fase l’impresa ha la possibilità di remunerare costantemente i propri azionisti
rappresentati dalle banche, dal pubblico di risparmiatori che ha sottoscritto le azioni sul
mercato azionario. Gli operatori di private equity intervengono generalmente in questo
stage con operazioni di buy out, di expansion o di replacement capital.
Nella fase del declino l’impresa è in una situazione di crisi che può essere dovuta a
cause esterne (cambiamento della struttura della domanda, cambiamenti nella tecnologia,
variazione di costo della materia prima/lavoro, variazioni sfavorevoli di tassi di cambio e
tassi d’interesse) e/o a cause interne (qualità del management e dei dipendenti,
conflittualità nella proprietà, struttura dei costi e dimensione dell’azienda, struttura
organizzativa), questa combinazione di cause porta l’impresa, inizialmente, a subire perdite
economiche e flussi di cassa negativi; in seguito è possibile che si presenti uno squilibrio
finanziario che può portare all’insolvenza dell’impresa. In questa fase l’impresa può, se
possibile, attuare delle operazioni di ristrutturazione, anche attraverso l’intervento di
operatori di private equity attivi nel turnaround. Se l’operazione di ristrutturazione ha
successo l’impresa entra in una fase di rilancio ritornando ad ottenere risultati economici e
finanziari positivi. Nel caso contrario si procederà alla liquidazione della società.
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2. L’attività di private equity e venture capital
Per private equity e venture capital si intende l’apporto di capitale azionario, o la
sottoscrizione di titoli convertibili in azioni, da parte di operatori specializzati, in un’ottica
temporale di medio - lungo termine, compiuti nei confronti d’imprese non quotate e con
elevato potenziale di sviluppo in termini di nuovi prodotti o servizi, nuove tecnologie,
nuove concezioni di mercato.
Nel corso del tempo l’attività di private equity si è evoluta, pur rimanendo invariati i
presupposti di fondo, diversificandosi in funzione del sistema imprenditoriale di
riferimento e del grado di sviluppo dei diversi mercati arrivando ad offrire una più
variegata gamma di possibilità di intervento. Di fatto il comune denominatore rimane
l’acquisizione di partecipazioni significative in imprese in un’ottica di medio – lungo
termine, con l’obbiettivo di sviluppo finalizzato al raggiungimento di una plusvalenza sulla
vendita delle azioni.
La differenza maggiore tra private equity e venture capital sta nel tipo di investimento
effettuato, infatti gli operatori di venture capital si concentrano del finanziamento
dell’impresa nelle sue prime fasi del suo ciclo di vita, l’attività di venture capital si
concentra, quindi, in investimenti nelle prime fasi del ciclo imprenditoriale particolarmente
delicate e “avventurose”, al riguardo si utilizzano le espressioni seed capital e start up
capital. Sempre con riferimento alle fasi del ciclo di vita dell’impresa, l’investimento di
private equity si concentra nelle fasi successive a quelle iniziali in particolare è volto al
sostegno e allo sviluppo dell’impresa già avviata nelle fasi di espansione (expansion
capital) oppure agli investimenti focalizzati su cicli non ordinari e patologici dell’impresa
(turnaround investment).
In generale, il capitale investito può essere utilizzato per sviluppare nuovi prodotti e
nuove tecnologie, per espandere il circolante, per finanziare acquisizioni, o per rafforzare
la struttura finanziaria di una società. Il private equity può anche essere impiegato per
risolvere problemi connessi con l’assetto proprietario di un’impresa o con una sua generale
riorganizzazione. Inoltre è lo strumento privilegiato per la realizzazione di operazioni di
buy out/buy in, effettuate da manager interni od esterni all’azienda.
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3. Origini ed evoluzione del private equity e venture capital
La nascita di un vero e proprio mercato del venture capital e private equità è
individuabile negli Stati Uniti dove la prima società di investimento nel capitale di rischio,
l’American Research & Development Corp. (ARD), nacque nel 1946 a Boston a opera
dell’allora preside del MIT, Karl Compton, di Georges F.Doriot, professore dell’Harvard
Business School e di alcuni importanti uomini d’affari locali. L’ARD iniziò la sua attività
con una serie di investimenti ad alto profilo di rischio in alcune società nate dallo sviluppo
di tecnologie belliche. Alla luce della riluttanza manifestata dagli investitori istituzionali a
mettere a disposizione i propri capitali in questo nuovo business, l’ARD fu strutturata
come fondo chiuso, e le sue quote sottoscritte quasi esclusivamente da persone fisiche.
La creazione della prima venture capital limited partnership americana
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risale al 1958
con la fondazione della Draper, Gaither and Anderson. Nello stesso anno fu emanato lo
Small Business Investment Act che permise l’avvio di una stabile attività di investimento
nel capitale di rischio di neonate imprese. Questo permise la nascita di innumerevoli Small
Business Investment Companies, ossia istituti posseduti da privati e regolamentati dal
governo federale per quanto riguardava le modalità di finanziamento e le politiche di
investimento.
Il mercato USA del private equity conobbe poi una fase di fortissimo sviluppo verso la
fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta. Tale accelerazione è attribuibile ad un
intervento, datato 1979, da parte del US Department of Labor e tendente a esplicitare
alcune norme del Employee Retirement Income Scurity Act, documento contenente le
regole di gestione dei fondi pensione. Infatti fino a quel momento la legge vietava a tali
investitori l’impiego delle risorse da loro raccolte in attività ad alto profilo di rischio, quali
private equity e venture capital, a seguito di quell’intervento tale impiego fu ufficialmente
riconosciuto legittimo, generando di conseguenza un notevole afflusso di capitali freschi
verso il mercato del capitale di rischio e l’immediato lancio di diverse nuove limited
partnerships per gestire i capitali.
Il periodo successivo si caratterizzò sia per particolari successi realizzati dagli
operatori USA sia per un’instabilità del mercato. Sotto il primo aspetto, infatti, nel corso
degli anni Ottanta si completarono i cicli di investimento in alcune delle più importanti
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Oggi è una delle forme giuridiche più diffuse negli Stati Uniti per l’esercizio di attività di venture
capital e private equity, caratterizzata dalla possibilità di ottenere agevolazioni fiscali, oltre che la
responsabilità limitata dei propri soci. Questo tipo di società raccolgono i loro capitali presso investitori
qualificati quali fondi pensione, imprese assicurative, istituzioni bancarie e grandi gruppi industriali.
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aziende tecnologiche, e vennero realizzate altrettante rilevanti operazioni di buy out.
Contestualmente l’andamento della raccolta fece registrare volumi estremamente cospicui
nella prima parte del decennio e una drastica riduzione nel periodo successivo. Gli anni
Novanta hanno poi rappresentato il periodo di maggiore crescita per l’intero settore di
private equity e venture capital americano, grazie al coincidere di una serie di elementi che
hanno permesso al mercato di superare le difficoltà del periodo precedente. L’elemento
principale che favorì questo sviluppo è riconducibile al notevole sviluppo di nuove
tecnologie, specialmente nel settore dell’Inforamation Technology, che ha permesso la
creazione di continue opportunità di investimento per gli operatori statunitensi.
Per quanto riguarda l’Europa, la nascita e il primo sviluppo del mercato del venture
capital e private equity è ricondotta al Regno Unito. Proprio a operatori del Regno Unito
sono attribuibili i primi interventi di successo già nel corso del 1800, riferendosi agli
investimenti realizzati dai fondi comuni di investimento inglesi nelle American Railways.
Successivamente, nel 1945, la Bank of England e alcuni tra i principali istituti di credito
britannici fondarono la 3i – Investing in Industry, con lo scopo di fornire risorse
finanziarie, sotto forma sia di capitale di rischio che di capitale di debito a medio-lungo
termine, a imprese con elevate prospettive di crescita.
A livello europeo, invece, la nascita di un vero e proprio mercato del venture capital e
del private equity è riconducibile ai primi anni Ottanta, quando nel dicembre 1980, il
Consiglio europeo, riconoscendo la strategicità dello sviluppo di nuove tecnologie e la
contestuale difficoltà di accesso per i piccoli imprenditori europei al mercato dei capitali di
rischio, sponsorizzo la creazione del Venture Capital Liaison Office, un ufficio di
collegamento tra i diversi operatori con sede a Bruxelles. Successivamente, nell’agosto del
1983, fu creata la European Venture Capital Association (EVCA) con obbiettivo la
promozione e lo sviluppo del mercato del capitale di rischio in tutti i Paesi europei.
Infine in Italia, l’anno di avvio del settore del private equity è fatto risalire al 1986,
quando alcune finanziarie private e di emanazione bancaria diedero vita all’associazione di
categoria, l’AIFI (Associazione del private equity e venture capital), allo scopo di dare una
voce istituzionale alla volontà comune di costituire e sviluppare un mercato italiano del
capitale di rischio. Su fronte normativo, gli interventi di maggior rilievo che hanno
caratterizzato tale evoluzione sono:
delibera del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio del
febbraio 1987;
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l’emanazione del Testo Unico in materia bancaria e creditizia nel settembre
1993 (D.lgs. 385/93);
l’emanazione della Legge 344/93, istitutiva dei fondi di investimento mobiliari
chiusi;
l’emanazione del Testo Unico della Finanza nel febbraio 1998 (D.lgs. 58/98);
l’emanazione del decreto del Ministero del Tesoro n.228 del maggio 1999;
l’emanazione del provvedimento di Banca d’Italia del settembre 1999;
l’emanazione del decreto del Ministero del Tesoro n.47 del gennaio 2003;
l’emanazione del provvedimento di Banca d’Italia dell’aprile 2005.
Fino al 1986, in Italia, l’attività di investimento diretto nel capitale di rischio di
imprese industriali non quotate era tassativamente preclusa alle aziende di credito e agli
istituti centrali di categoria. A partire dal febbraio 1987, con la delibera del CICR e la
relativa circolare della Banca d’Italia, del mese seguente, anche le aziende di credito e gli
istituti centrali di categoria vennero abilitati a operare nel capital e di rischio tramite
società di intermediazione finanziaria di loro emanazione.