8sono caratterizzate da una propensione ad effettuare investimenti e da un tasso di sviluppo tale
da innescare un importante circolo virtuoso all’interno del sistema imprenditoriale, favorendo
così la creazione di nuovi posti di lavoro (AIFI, 2006; EVCA 2006; AT Kearney, 2006; PWC,
2008). L’opposta corrente di pensiero tende a minimizzare i risultati ottenuti dai fondi di
Private Equity, criticandone fortemente l’operato, opponendo una creazione di valore basata
sullo sfruttamento delle asimmetrie informative tra gli shareholders ed attraverso i benefici
dell’utilizzo del debito. L’evoluzione letteraria sembra propendere nell’affermare la tesi per
cui le organizzazioni di Private Equity apportino un valore aggiunto nelle aziende partecipate
sia in termini di redditività che di produttività (Kaplan, 1989; Smith, 1990; Muscarella e
Vetsuyns, 1990; Seth e Easterwood, 1993; Wright et al., 2001; Jensen, 1989; Lichtenberg e
Siegel,1989; Wright et al., 1992; Smith, 1990). La letteratura accademica è stata sviluppata
prevalentemente nel contesto anglosassone e con riferimento alle operazioni di leveraged buy
out, osservando i benefici ottenuti dall’indebitamento sia in termini fiscali che in termini di
disciplina.
Jensen su tutti è stato protagonista di numerosi studi a riguardo, sostenendo come le aziende
con elevati cash flow otterrebbero grossi benefici dall’indebitamento evitando in questo modo
comportamenti opportunistici da parte dei manager. Il lavoro condotto mira ad indagare
alcune aree della materia che si collocano in una zona “grigia” della letteratura, in quanto non
ancora ampiamente affrontate, evidenziando collegamenti con la letteratura
dell’entrepreneurship, della corporate governance, delle asimmetrie informative e dei costi di
agenzia. Il contesto analizzato sarà dapprima generale per poi attestarsi nell’area europea,
rilevando l’uso del Venture Capital per lo sviluppo di nuove iniziative aziendali, spin off
universitari e business incubators. Il periodo di riferimento sarà quindi di attualità, molto
spesso ricorrendo a teorie e contributi ancora in fase di sviluppo, portando in evidenzia
interrogativi e punti di riflessione collegati alla nuova via di sviluppo adottata nei recenti anni
dai fondi di Private Equity, nello specifico fondi di Venture Capital e finanziarie regionali che
ne adottano i medesimi meccanismi. Verranno nello stesso tempo affrontati i problemi delle
piccole medie imprese italiane, soprattutto proponendo come rimedio alle loro criticità
l’adozione del modus operandi adottato dai fondi di Private Equity. Per effettuare questa
analisi ci si è avvalsi di un caso aziendale, di una serie di interviste e questionari semi-
9strutturati sottoposti ai soggetti coinvolti. In particolare è stato indagato un caso di insuccesso
in cui la finanziaria regionale del Veneto (Veneto Sviluppo) è intervenuta in un’azienda che ha
dovuto affrontare grandi competitors e caratterizzata da una conduzione imprenditoriale restia
alla condivisione della leadership.
Nello specifico il lavoro è stato così strutturato:
• Nel primo capitolo verrà fornito un quadro di riferimento generale nel mondo del Private
Equity e Venture Capital, descrivendone le leve operative e le opportunità di sviluppo nel
mercato italiano. Verrà inoltre descritta la prassi operativa e l’evoluzione normativa che ne ha
caratterizzato lo sviluppo; hai fini di una maggiore comprensione dell’argomento trattato
verranno descritti i principali strumenti utilizzati ed i metodi di valutazione delle performance.
• Nel secondo capitolo l’attenzione verrà posta all’area corporate finance, menzionando
quindi le teorie che caratterizzano quest’area: la teoria della struttura finanziaria, la teoria
dell’agenzia, la teoria dell’imprenditorialità, le asimmetrie informative, la balanced
scorecard, la resource- based view. A complemento della panoramica della letteratura verrà
esplicato l’impatto della fiscalità nelle operazioni condotte dagli investitori istituzionali ed
infine l’utilizzo del risk management nel Private Equity, pratica ancora limitata ma di grande
interesse accademico.
• Nel terzo capitolo verrà presentata la situazione delle piccole medie imprese italiane,
descrivendone le criticità ed i collegamenti con il Private Equity. Si procederà
successivamente ad introdurre il concetto di finanziaria regionale e la diversa evoluzione nel
contesto europeo, la loro operatività e l’evoluzione storica dell’ambiente.
•
Nel quarto capitolo verrà dedicato ampio spazio al caso aziendale, nello specifico alle
caratteristiche dell’operazione e alle specificità del caso. Descrivendo le fasi di
strutturazione del deal, l’evoluzione della situazione aziendale precedente all’intervento
della finanziaria Veneto Sviluppo e la sua evoluzione nel tempo; verranno poi analizzati i
contributi apportati e le difficoltà incontrate. Molta attenzione sarà focalizzata nei
collegamenti con la letteratura, effettuando parallelismi e confronti atti a far emergere una
linea di tendenza che descriva la procedura operativa adottata. La scelta di analizzare un
caso aziendale di insuccesso, nel caso specifico di default dell’azienda, crea un forte
dibattito nell’utilizzo del Private Equity (come già in precedenza osservato) e nello specifico
10
l’utilizzo dello stesso nel contesto delle finanziarie regionali; l’analisi condotta permette
l’applicazione di uno tra i modelli maggiormente adottati nella pratica per il calcolo della
probabilità di fallimento aziendale, ossia il modello dello Z-score. La scelta è ricaduta su
questo modello in quanto esso rappresenta un compromesso accettato quasi all’unanimità tra
la semplicità di utilizzo e la sua capacità predditiva; questa conclusione si evince anche dalla
rapida elencazione e descrizione dei modelli disponibili nella teoria. Infine verrà dato spazio
all’analisi dei risultati ed alle conclusioni sull’operazione seguita, le difficoltà del contesto e
la rivalità dei grandi competitors; scopo duale del lavoro è anche quello di rilevare la
capacità preddittiva del modello per un’applicazione nel contesto delle PMI.
11
Capitolo 1
Il Private Equity aspetti definitori e politiche perseguite
1.1 Inquadramento e definizione
L’attività di Private Equity nasce nel contesto statunitense negli anni Ottanta,
dall’esigenza di creare un alleato per la crescita economica del paese e per lo sviluppo dei
mercati finanziari, svolgendo un’attività essenziale nella catena del finanziamento, attraverso
la fornitura del capitale di rischio e nell’apporto di competenze professionali e prassi efficienti
per la conduzione del business.
Possono essere rilevate quattro epoche che hanno caratterizzato l’evolversi nella storia del
Private Equity: la prima viene ricondotta al periodo che va dal 1946 al 1981, caratterizzata da
ridotti volumi di investimento, una rudimentale organizzazione delle aziende ed una limitata
familiarità e consapevolezza della realtà di questo contesto.
Il secondo boom si riconduce al periodo che va dal 1982 al 1993, caratterizzato da un
imponente uso dei leverage buyout finanziati da junk bond,
1
mentre la terza ondata risale al
periodo 1992-2002, con l’emersione della crisi dei risparmi e dei prestiti, gli scandali degli
insider trading, il collasso del mercato del real estate, la recessione dei primi anni Novanta e
la bolla speculativa delle aziende cosiddette Dot-com
2
nel 1999 e nel 2000.
L’ultimo boom viene collocato dal 2003 al 2007, quando sulla scia del crollo della bolla delle
imprese Dot-com i leveraged buyout raggiungono una grandezza senza pari e
l’istituzionalizzazione delle aziende di Private Equity è esemplificata dalla quotazione in
borsa nel 2007 di Blackstone Group.
1
Con il termine junk bond si intende titoli obbligazionari ad alto rendimento ma caratterizzati da un elevato
rischio per l’investitore.
2
Con il termine Dot-com ci si riferisce alle aziende appartenenti al settore ITC.
12
A livello mondiale secondo la società Private Equity Intelligence
3
, l’ammontare degli
investimenti effettuati tra il 2004 ed il 2006 è quasi triplicato, passando da poco più di 120 ad
oltre 300 miliardi di dollari; con riferimento all’Europa, l’ EVCA
4
ha rilevato che dal 1997 al
2006 l’ammontare investito è passato da 10 a 71 miliardi di euro. Tali tendenze sono
riscontrabili anche nel mercato italiano, dove secondo l’AIFI
5
l’ammontare delle operazioni
concluse tra il 2004 ed il 2007 è quasi triplicato (da 1,5 a 4,2 miliardi di euro). Il trend di
crescita non riguarda solo l’importo dei capitali investiti, ma anche il numero di deals: dalle
rilevazioni del Private Equity Monitor,
6
risulta infatti che il volume delle operazioni è
aumentato da 100 a 275, nel periodo 2003-2007; inoltre, nel primo trimestre del 2008 il
mercato del Private Equity italiano ha registrato un nuovo segnale di sviluppo, portando il
numero di deals effettuati a 292.
7
Pur rimanendo invariati i presupposti di fondo, le caratteristiche dell’investimento nel capitale
di rischio nel tempo sono mutate, ciò in ragione del sistema imprenditoriale a cui si collega, a
livello di sviluppo dei diversi mercati ed all’offerta nel tempo di una sempre più ampia
gamma di strumenti di intervento. La radice comune rimane l’acquisizione di partecipazioni
in imprese con un’ottica di medio-lungo termine, con l’obiettivo dello sviluppo dell’impresa,
dell’apporto di know how, dell’ aumento del suo valore e del capital gain all’atto del
disinvestimento.
8
In Italia l’AIFI (Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital) definisce l’attività
di Private Equity come: “l’attività di investimento nel capitale di rischio di imprese non
quotate, con l’obiettivo della valorizzazione dell’impresa oggetto di investimento ai fini della
sua dismissione entro un periodo di medio-lungo termine”.
9
3
Si rimanda al sito www.preqin.com.
4
Le statistiche sono pubblicate nel sito www.evca.eu.
5
www.afi.it.
6
Primo osservatorio attivo in Italia sul Private Equity www.privateequitymonitor.it.
7
Fonte osservatorio Private Equity monitor.
8
Delibera consiglio direttivo AIFI, 22 luglio 2004.
9
AIFI.
13
Sensibilmente differente la definizione dell’EVCA (European Private Equity and Venture
Capital Association), l’associazione degli operatori di Private Equity e Venture Capital a
livello europeo, che propone due differenti definizioni per il Private Equity e per il Venture
Capital:
Private Equity: “Private Equity provides equity capital to enterprises not quoted on a stock
market . Private Equity refers mainly to management buyout, management buy in,
replacement capital and venture purchase on quoted shares”.
Venture Capital: “Venture Capital is, strictly speaking, a subset of Private Equity investment
made for launch, early development, or expansion of business”.
10
Nella concezione italiana “il Venture Capital non costituisce attività diversa e distinta dal
Private Equity, bensì una particolare attività del Private Equity volta al finanziamento
dell’impresa in situazioni di elevato rischio per l’investitore”.
11
Nello specifico il Venture
Capital è rivolto allo sfruttamento delle nuove tecnologie e dell’offerta proveniente dalla
ricerca scientifica: infatti nel futuro sarà sempre più importante la capacità di interazione delle
imprese, delle organizzazioni e delle risorse umane. L’innovazione richiede un approccio che
non ne limiti i confini e per questo è necessario costituire organizzazioni ad alto livello di
creatività e di performance, best practices gestionali e persone, oltre che qualificate, che
sappiano lavorare in un sistema sempre più integrato per poter gestire l’intera catena del
valore. In un mondo dove l’innovazione è una necessità per mantenere ed accrescere la
competitività del sistema stesso
12
e dove nascono continuamente opportunità di fare impresa,
è vitale superare un vincolo che è quello del finanziamento, dunque il Venture Capital ed il
merchant banking
13
derivano da questa necessità. Si ricorda a titolo esemplificativo come il
ruolo dei Venture Capitalists sia stato di fondamentale importanza per le statunitensi Apple,
Microsoft e Federal Express;
10
Definizione EVCA.
11
Si veda Gervasoni, Sattin 2008.
12
Prefazione Sattin, Gervasoni 2008.
13
Attività consistente nell’ investimento nella forma di capitale di rischio, comprendente corporate finance,
Private Equity, merger&acquisition e financial advising.
14
i rapporti tra investitori istituzionali e le imprese vengono ricondotti dalla letteratura classica
in tre principali categorie:
•
Finanziamento dell’avvio
•
Finanziamento dello sviluppo
•
Finanziamento del cambiamento d’impresa
Le prime due tipologie sono riconducibili all’attività di Venture Capital, nella prima in
particolare si è soliti indicare con seed e start up financing il finanziamento dell’idea
imprenditoriale nelle sue prime fasi (stage financing);
14
è intuitivo come il grado di rischio in
questa fase sia molto elevato in quanto non sono disponibili trend storici ed altre analisi utili
per la valutazione dell’effettiva realizzabilità dell’idea e della sua commercializzazione.
Successivamente a questo stadio l’investimento è orientato a supportare la crescita e lo
sviluppo aziendale attraverso l’utilizzo dell’expansion financing;
15
nel caso in cui venga
espressa la volontà da parte di alcuni soci di uscire dalla compagine sociale si utilizza il
replacement capital financing.
L’u l t ima fa se so l i t amen te s i r i f e r i sce ad inves t imen t i d i en t i t à p iù cons i s t en t i pe r
l’acquisizione di partecipazioni di maggioranza, cambiamento totale della proprietà a favore
di manager interni (management buy out) od esterni (management buy in) solitamente
utilizzando lo strumento della leva finanziaria (leveraged buy out).
16
Oltre a queste operazioni l’investitore istituzionale è sempre più coinvolto negli investimenti
in ristrutturazioni di aziende in crisi (turnaround) e di bridge financing, avente il fine della
quotazione in borsa dell’impresa.
14
Si veda A. Dall’Acqua, 2000.
15
Si veda A. Dall’Acqua, 2000.
16
Si veda A. Damodaran, 2007.