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Tutto ciò a supporto della messa in atto delle migliori iniziative, tese a
garantire l’accessibilità e la fruibilità, anche per le generazioni future,
dell’acqua, intesa come risorsa esauribile da tutelare e valorizzare
quale patrimonio dell’Umanità.
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Introduzione
Il Danubio è il fiume più importante dell’Europa Centrale e fa parte
del sistema idrico più vasto del Continente, il canale Danubio-Reno-
Meno che collega Rotterdam con il Mar Nero. Il canale principale del
Danubio oggi costituisce la frontiera tra l’Ungheria e la Slovacchia
lungo 120 km.
Il 16 settembre 1977 il governo della Repubblica Popolare d’Ungheria
e la Repubblica Popolare Cecoslovacca firmarono il “Trattato
Internazionale sulla Costruzione e Gestione Congiunta del Sistema di
Dighe di Gabčikovo-Nagymaros sul fiume Danubio”. L’obiettivo
principale era la produzione congiunta di energia idroelettrica; tra gli
obiettivi secondari rientravano la regolazione del flusso del fiume, lo
sviluppo dell’agricoltura e del trasporto fluviale. Il corso del fiume
oggetto del trattato di cui sopra ha inizio a Bratislava e si conclude a
Budapest, con una lunghezza di circa 200 km.
Il Trattato è entrato in vigore il 30 giugno 1978, e secondo la sentenza
della Corte Internazionale di Giustizia del 1997 è tuttora in vigore.
Il 27 ottobre 1989 il governo ungherese decise di cessare i lavori,
inerenti alle opere di sua competenza, quindi nel maggio del 1992.
dichiarò estinto l’accordo del 1977 attraverso una nota diplomatica,
invocando – tra gli altri – i principi della Convenzione di Vienna del
1969 sulla successione degli Stati nei trattati.
Nelle motivazioni della propria posizione, il governo ungherese
attribuì un particolare peso al principio rebus sic stantibus, facendo
riferimento all’art. 62. primo comma, lettera (a) della Convenzione di
Vienna.
8
In particolare, vennero invocati due aspetti del suddetto principio:
Al momento della stipulazione del trattato
- i mutamenti politici, tra gli Stati ed i governi all’interno degli
stessi, così radicali, degli anni successivi non potevano essere
previsti,
- non esistevano allora certe circostanze successivamente emerse,
che avrebbero influito sulla volontà delle parti in misura
decisiva.
La decisione del governo di sospendere i lavori fu fondamentalmente
politica: il progetto della diga era frutto del sistema politico che
l’aveva prodotto, e a tale sistema era collegato ed inseparabile.
In merito alla dichiarazione, dal 1988 in poi la nuova opposizione
democratica aveva sferrato un violento attacco politico contro il
partito unico ungherese
1
, mentre i tecnici progettisti ungheresi
sostenevano che a mutare non erano le circostanze ma il giudizio
politico-morale sul progetto.
Nel 1990 in Ungheria avvenne il cambiamento del regime e il nuovo
governo fu composto dall’opposizione moderata degli anni
precedenti, guidata dal partito democratico
2
, fortemente appoggiato
dal movimento ambientalista
3
, che fin dall’inizio era statocontrario al
progetto della diga, beneficiandone in termini di voto.
La Cecoslovacchia inziò a cercare soluzioni alternative per portare a
termine il progetto originale. Nacquero sei varianti proposte poi
all’Ungheria che le rifiutò avanzando la pretesa della risoluzione
definitiva del trattato originale.
1
MSZMP
2
Il presidente del MDF fu Antall Jòzsef, capo del primo governo democraticamente eletto nel
1990
3
Il movimento ambientalista in Ungheria non formò subito un partito politico, ma si spaccò nei
primi anni ’90: le varie frazioni di esso andarono a costituire le sezioni “verdi” all’interno dei
diversi partiti politici, formando quel modo la posizione ambientalista di ciascun partito.
9
Il 25 ottobre 1992 le imprese di costruzione cecoslovacche, secondo la
variante C, deviarono un tratto di 40 km in territorio cecoslovacco con
lo scopo di attivare la centrale idroelettrica di Gabcikovo. In questo
modo cessava la sinergia di progetto fra i due paesi.
L’Ungheria da allora in poi attivò opere di bonifica e di risanamento
del territorio in base ai suggerimenti ambientalisti mentre la posizione
cecoslovacca, successivamente slovacca, rimase legata agli ambienti
professionali-idrogeologici, lontana dall’influenza della politica
interna. I rapporti diplomatici tra i due paesi diventarono sempre più
conflittuali.
Il 19 gennaio 1993 l’inviato della Commissione Europea propose un
progetto per la divisione dell’acqua del Danubio secondo il quale due
terzi del flusso sarebbero rimasti nel canale principale e un terzo
avrebbe alimentato l’impianto di Gabčikovo. L’Ungheria accettò il
progetto, mentre la Slovacchia lo rifiutò.
Nell’aprile del 1993 i due governi chiesero alla Corte Internazionale di
Giustizia di pronunciarsi nel riesame del trattato stipulato tra essi nel
1977.
La Corte si pronunciò il 25 settembre 1997.
10
I. Parte: Il principio rebus sic stantibus
1. Capitolo: L’evoluzione della dottrina prima della
Convenzione di Vienna del 1969.
1.1. Le origini storiche
Nella storia troviamo riferimenti alla rilevanza del mutamento
delle circostanze fin dall’antichità, nell’opera di autori greci e
latini. Un’approfondita esplorazione della problematica fu già
compiuta da Polibio, che descrisse una sentenza dell’assemblea
spartana del 211. a. C, chiamata a decidere se mantenere in
vigore un trattato di alleanza con gli Etoli o sostituirlo con una
nuova con la Macedonia.
L’autore parlò di “radicale mutamento delle cose di Grecia”, che
egli ritenne essersi verificato a seguito dell’intervento dei barbari
Romani, a vantaggio dei quali avrebbe giocato il mantenimento
dell’alleanza con gli Etoli
1
.
Il pensiero di storici e moralisti greci e latini venne ripreso nel
diritto delle genti dal XVI. secolo. Grozio utilizzò tali tesi nel
definire i rapporti tra gli Stati in termini razionali. Egli sostenne,
che non si può pensare che uno Stato avesse inteso obbligarsi a
proprio svantaggio, quando si crea una situazione di
“impossibilità morale”, provocata dal mutamento delle
circostanze
2
.
Il pensiero groziano venne ripreso da Purendorf, da Textor e
successivamente da Vattel, il quale ritenne che se l’esistenza di
un certo stato di fatto era stata determinante per l’assunzione di
1
Polibio: Storie, 9, p. 28-29.
2
Grozio: De iure belli ac pacis
11
un obbligo, la permanenza di tale obbligo si legasse
indissolubilmente alla permanenza dello stato di fatto
1
.
Tra il XVI. e il XIX. secolo dall’inquadramento dell’istituto del
mutamento delle circostanze derivano due importanti
conseguenze:
- L’effetto del mutamento delle circostanze
non può essere che estintivo;
- L’estinzione del trattato è del tutto
automatica, a partire dal momento in cui il
mutamento si sia verificato.
1.2. I dubbi sull’applicabilità del principio rebus sic stantibus prima
della Convenzione di
Vienna
Dal XIX. secolo in poi numerosi autori hanno sostenuto che tutti
i trattati internazionali si intendono conclusi con la tacita
clausola rebus sic stantibus. Tra essi, Fauchille disse che:
“Les traités conclus sans fixation de durée doivent être
toujours censés contenir une clause rebus sic stantibus,
c’est à dire avoir été signés sous la reserve tacite qu’ils
cesseront d’être en vigueur quand les circostances à raison
desquelles ils ont été conclus auront cessé d’exister: la fin
d’un traité doit inévitablement suivre la disparition des
causes qui l’ont occasioné.”
2
Altri hanno giustificato la validità del principio con motivi di
giustizia, di equità, di diritti fondamentali, d’interesse dello
Stato, di necessità, oppure di legittima difesa.
La storia diplomatica del XIX. e del XX. secolo presenta
numerosi esempi di trattati denunciati da una delle parti
1
Vattel: La droit des gens on principes de la loi naturelle
2
Fauchille: Commentaries upon international law, 1871, Vol. III. P. 383.
12
contraenti adducendo il motivo di sopravvenuto mutamento
delle circostanze di fatto in vista delle quali furono stipulati. Fra
i più importanti sono i seguenti:
- nel 1870 la denuncia da parte della Russia
degli articoli del trattato di Parigi del 1856
relativi alla neutralizzazione del Mar Nero;
- nel 1908 l’annessione da parte dell’Austria-
Ungheria delle Province della Bosnia ed
Erzegovina;
- nel 1914 l’abolizione da parte della Turchia
del regime delle capitolazioni;
- nel 1919 la richiesta da parte dell’Italia
della città di Fiume;
- nel 1931 la soppressione da parte della Cina
dei trattati disuguali;
- nel 1932 il regolamento da parte della
Francia dei debiti interalleati; ecc.
In contrapposizione alle tesi di cui sopra, nel periodo precedente
alla Convenzione di Vienna molti autori ritennero che solo la
norma pacta sunt servanda avesse reale esigenza giuridica e non
ci sarebbe prova dell’esistenza di una consuetudine che
riconosce cittadinanza all’ordinamento internazionale per la
regola rebus sic stantibus, nonostante i numerosi casi storici che
riconoscevano tale regola nella prassi internazionale.
Questi autori considerarono il principio pacta sunt servanda
indispensabile alla convivenza ordinata degli Stati ed alla
possibilità di rapporti tra essi se si partisse dal presupposto della
obbligatorietà delle promesse che essi si scambiano
1
. Tali autori
negarono che il principio rebus sic stantibus fosse un istituto
giuridico e l’hanno configurato come semplice motivo di
1
Giovanni Scalfati Fusco: La clausola rebus sic stantibus nel diritto internazionale. Napoli, 1936.
p. 6.
13
revisione dei trattati. Il primo a negare ogni qualificazione
giuridica al principio rebus sic stantibus fu Bruno Schmidt il
quale vede in essa una massima di esperienza che si fonda sulla
forza delle cose. Egli qualifica il principio rebus sic stantibus
come limite al vigore delle norme giuridiche internazionali
1
.
Alla teoria di Schmidt aderì anche l’italiano Salvioli il quale
considera il principio solo come fatto, qualcosa di pregiuridico
ed afferma che i trattati debbono giuridicamente valere e
vincolare
2
.
La regola rebus sic stantibus venne richiamata anche da
Rousseau
3
, secondo cui essa non potrebbe comportare
l’estinzione dei trattati, bensì solo la loro modifica, riadattandoli
alle nuove circostanze.
Tale posizione venne adattata dalla delegazione francese alla
Convenzione di Vienna, che si astenne dalla votazione dell’art.
62. e dalla ratifica immediata del Testo.
1.3. La Conferenza di Parigi del 1919
Nella Conferenza di Parigi fu elaborato anche il Patto della
Società delle Nazioni che era parte integrante dei trattati di pace
e aveva per scopo l’organizzazione della comunità
internazionale. L’art. 19. del Patto disponeva in merito alla
revisione dei trattati internazionali con la regolamentazione del
processo di sostituzione dei trattati superati per la
sopravvenienza di mutamenti nella situazione politica.
L’art. 19. fu un tentativo di codificazione del principio rebus sic
stantibus, con la riforma della sua applicabilità, ponendo freno
all’arbitrio della sua utilizzazione. I presupposti del principio
1
Bruno Schmidt: Über die Völkerrechtliche Clausula r.s.s. 1907.
2
G. Salvioli: Rivista di diritto internazionale 1914. p. 265-275.
3
Rousseau: Principes Gènèraux, p. 596.
14
rebus sic stantibus e quelli dell’art. 19. furono identici, ma la
soggettività e la procedura prevista furono diverse: l’art. 19.
restava limitato ai membri della Società, e anche la procedura
nel sistema della Società delle Nazioni passava attraverso
l’intervento dell’Assemblea. Pertanto, la regola rebus sic
stantibus sopravviveva come istituto del diritto internazionale
generale anche parallelamente alla Società delle Nazioni.
Nel corso dell’intera vita della Società, essa fu investita di una
sola domanda riferibile all’art. 19: il Perù e la Bolivia chiesero
che si procedesse ad un riesame di due trattati stipulati nel 1904,
rispettivamente fra Perù e Cile, e Bolivia e Cile. A seguito della
domanda l’Assemblea diede mandato ad una Commissione di
giuristi di formulare un parere sulla questione, che indusse le
parti al ritiro della loro richiesta
1
.
1.4. La Carta ONU
Alcuni autori
2
sostengono che il procedimento di revisione dei
trattati internazionali sia stato almeno indirettamente regolato
dalla Carta delle Nazioni Unite, accordandosi dei poteri primari
di intervento in materia all’Assemblea Generale.
Nella Carta ONU non esiste alcuna disposizione che
predisponga uno specifico meccanismo di revisione dei tratatti,
gli autori in parola hanno considerato applicabile in materia l’art.
14, suggerendo che l’Assemblea Generale potrebbe e dovrebbe
raccomandare agli Stati appropriate misure, inclusa la revisione
di un trattato internazionale.
1
Luigi Sico: Gli effetti del mutamento delle circostanze sui trattati internazionali, CEDAM,
Padova, 1983. p. 101.
2
Sibert: Traitè de DI public, Tomoll, Paris, 1951; Giraud: Le droit international public et la
politique RC. 1963.