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Introduzione
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità
appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
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Così recita l’articolo 1 della Costituzione che introduce il principio
lavorista. Potrebbe apparire poco originale riferirsi alla prima disposizione della
Norma Fondamentale, fonte che storicamente ha ispirato l’interesse di giuristi, di
politici ed intellettuali e che, al tempo stesso, sia sul piano semantico
dell’enunciazione che sul piano culturale è assimilata al patrimonio comune.
Proprio per questo accade di frequente che detto principio venga banalizzato e/o
privato del suo reale significato empirico.
Per quanto mi riguarda, è tutt’altro che scontato, oggi, partire dal
principio. Dal principio della nostra Costituzione, dello Stato Repubblicano e, in
particolare, dal fondamento della democrazia italiana: il lavoro. E questo non
certo per tendenza conservatrice, volta al passato, ma nella convinzione che, per
muoversi in avanti ed intraprendere un percorso di evoluzione e progresso, sia
sempre e comunque necessario, soprattutto per le nuove generazioni, conoscere
ciò che è stato, comprendere il suo significato, considerarne il contesto, costruirsi
le basi per poter scientemente offrire il proprio contributo per un reale
cambiamento.
La scelta dell’argomento che costituisce oggetto del presente lavoro trova
origine nella necessità di approfondire un tema che riguarda me e molti altri,
giovani e non solo, che si affacceranno a breve, o già lo fanno, sul mercato del
lavoro, avvertendo tutta l’insicurezza, l’ostilità e la problematicità di cui questo
mondo è pervaso. E suona quasi come una cacofonia il pensare che ciò che
formalmente sta alla base del nostro Stato ispirandone e pervadendone ogni altra
disposizione, sostanzialmente costituisca il problema maggiore che da decenni
affligge il nostro Paese. La ricerca parte, quindi, dalla necessità di consapevolezza
e, conseguentemente, dal desiderio di poter autonomamente avanzare tesi,
discutere ipotesi e soluzioni, esprimere giudizi, per quanto possibile fondati sulla
elaborazione di una conoscenza tecnica, obbiettiva e giuridica.
Una riflessione relativa al principio lavorista non può prescindere, dalla
preliminare considerazione del grande insieme in cui esso è compreso: quello dei
principi fondamentali, nucleo inderogabile della Costituzione. Essi sono contenuti
nei primi dodici articoli del Testo e, a ben vedere, già la loro collocazione
strutturale consente di percepire la loro insindacabile rilevanza. Possono essere
considerati come concetti indeterminati, programmatici, sufficientemente elastici,
quindi non applicabili a fattispecie concrete, ma destinati a costituire parametro di
riferimento per l‘azione del legislatore ed il lavoro dell’interprete. Tracciano la
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Art.1, Costituzione della Repubblica Italiana.
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linea guida del processo di evoluzione che l’Assemblea Costituente ha voluto
tracciare per il nuovo Stato. Esprimono le finalità e le basi ideali su cui deve
fondarsi l’ordinamento giuridico italiano e fungono da collante tra il momento
pre-giuridico e quello giuridico, nel quale deve essere garantito il loro rispetto. È
importante, infatti, considerare la Costituzione Italiana come momento di risposta
e di forte rottura nei confronti di un passato autoritario e totalitario. L’obbiettivo
ultimo di questo progetto mira all’affermazione di una cultura democratica, che
non si limiti al riconoscimento dei diritti civili, ma includa, in egual misura, quelli
sociali: la realizzazione di una uguaglianza formale e sostanziale che conferisca
pari dignità sociale a tutti i cittadini.
La Costituzione entra in vigore nell’anno 1948 dopo aver raggiunto una
maggioranza del 90% in una assemblea politicamente divisa, in cui il
compromesso costituzionale fu raggiunto grazie alla ricerca del dialogo da parte
delle forze politiche e sociali che si resero conto della situazione unica della storia
del paese: si intendeva voltare radicalmente pagina, in un clima, ancora, di grande
incertezza. Le nuove elezioni erano alle porte ed era difficile prevederne l’esito.
Così, la paura di soccombere prevalse sul desiderio di imporsi e vennero fissati i
limiti e i confini oltre i quali la maggioranza non poteva andare.
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Penso si possa affermare che la vigente Costituzione ha consentito il lento,
faticoso avvio dell’ordinamento italiano, che non aveva dimestichezza con i
principi base del costituzionalismo occidentale – a partire dalla divisione dei
poteri –, verso uno sbocco democratico in un contesto sociale fortemente
arretrato che mostrava oltretutto evidenti “fratture interne” sia ideologiche sia
territoriali. (…) Dinanzi a quell’Assemblea, il 13 marzo 1947, così parlava Aldo
Moro: “Non possiamo fare una Costituzione afascista. Non possiamo dimenticare
quello che è stato, perché questa Costituzione oggi emerge da quella Resistenza,
da quella lotta, da quella negazione. Nei momenti duri e tragici nascono le
Costituzioni. Guai a noi se dimenticassimo questa sostanza comune che ci
unisce”
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. Questa affermazione intende sottolineare come lo spirito e, di
conseguenza, il contenuto della Carta Costituzionale siano alimentati da una
volontà di fissare valori universali, che evitino la ricaduta negli errori del passato
e garantiscano lo sviluppo e il successo della democrazia, tramite l’elaborazione
di un programma comune e condiviso. Vengono fissati limiti più che imposte
condotte. Viene incoraggiato il pluralismo e il relativismo, piuttosto che un
equilibrio statico e chiuso. Alla base di un lavoro così complesso e intriso di
idealismo, certo non sono mancate le contraddizioni e la presenza di enunciazioni
conflittuali e opposte, ma ciò ha conferito al dettato costituzionale anche
caratteristiche positive, non ultima la grande capacità di adattamento al
cambiamento. Il Costituente ha inteso, così, proiettare la Norma Fondamentale nel
futuro, mantenendola strettamente correlata alla realtà.
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R. BIN e G. PETRUZZELLA, Diritto Costituzionale, , Giappichelli Editore, Torino, 2000, p.129.
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A. D’ANDREA, Le parole della Costituzione,. dal sito www.associazionedeicostituzionalisti.it
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Le proprietà della nostra Carta rispondono perfettamente al concetto di
costituzione formulato da Rudolf Smend, padre della dottrina dell’integrazione:
Come diritto positivo la costituzione non è soltanto una norma, ma anche realtà…
questa realtà è persistente e quotidiana…costituisce un esempio particolarmente
imponente dell’indubitabile effetto d’integrazione di ogni comunità giuridica…
Questa realtà non è prodotta dalla costituzione intesa come -il momento statico e
persistente della vita statale-, ma viene costantemente riprodotta dalla vita
costituzionale in continuo rinnovamento.
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E’ necessario, pertanto, intendere la
nostra Costituzione come un progetto da attuare e non come un insieme di norme
e principi da applicare e tutelare attraverso un processo meccanico e freddo.
L’Assemblea Costituente e i suoi protagonisti hanno inteso offrire al popolo
italiano e, di conseguenza, alle sue istituzioni, l’opportunità e la libertà di
autogestirsi, rendendo disponibili gli strumenti necessari, tutti fondati sulla difesa
della persona e sull’affermazione del pluralismo sociale, per poter avviare un
percorso di costruzione di una realtà e di una Repubblica egalitaria, solidarista,
aperta, partecipativa, democratica. La Costituzione italiana e i suoi principi
fondamentali assumono una portata di superlegalità costituzionale, in quanto sono
la base di tutte le altre norme del testo. Costituiscono l’espressione concreta
dell’idea forza che li ispira, e che li riassume nell’art.1, per cui l’Italia è una
repubblica democratica fondata sul lavoro.
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Il principio lavorista è così modello e, al tempo stesso, lo strumento più
efficace, che i Padri Fondatori hanno lasciato in eredità all’Italia, per costruire il
suo avvenire e per mantenere vivi, anche nella sostanza, tutti gli altri valori
espressi nel testo. Il nostro testo costituzionale è fondamentalmente unico rispetto
agli altri, proprio perché colloca il lavoro in una posizione così preminente,
ponendo in secondo piano, ma solo apparentemente, i principi di dignità, di
libertà, di democrazia. La Costituzione nasce dal reale e anche la
costituzionalizzazione del principio lavorista è frutto di un processo quasi
spontaneo, che con forza ha evidenziato la centralità di questo valore, che andava
tutelato non in leggi speciali o comunque riferite unicamente alla disciplina del
rapporto di lavoro, ma in un contesto più ampio e onnicomprensivo, che avrebbe
liberato la figura del lavoratore dal vincolo riduttivo e parziale implicito nel
concetto di subordinazione e avrebbe creato un nuovo legame, questa volta
indissolubile, tra il lavoro e la persona, tra il lavoro e la dignità umana.
Nel primo capitolo ho inteso delineare il processo che ha portato alla
costituzionalizzazione del principio lavorista ed analizzare, di seguito, le risposte
sociali e politiche che questo cambiamento ha generato e le misure concrete poste
in essere per la sua applicazione. È stato interessante soffermarsi sulle dinamiche
storico-giuridiche e sulle necessità, non solo di natura politica, ma anche
economica, che hanno fatto di questo principio uno tra i più dibattuti, contestati,
4
R. SMEND, Verfassung und Verfassungsrecht, Munchen-Leipzig 1928 , trad. it., Costituzione e
diritto costituzionale, Giuffrè, Milano, 1988, p.150-153.
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C. MORTATI, La costituzione in senso materiale (1939), Giuffrè, Milano, 1998, ristampa
inalterata con Prefazione di G. Zagrebelsky, p.367.
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sminuiti o esaltati della vita Repubblicana italiana che, pure, ancora oggi,
conserva un’attualità innegabile, oltre che sorprendente.
Tre i capisaldi che hanno inciso sul declinarsi storico del lavoro e che ne
hanno determinato i contorni: la recente Riforma Biagi, che ha stravolto
nettamente l’orientamento del mondo lavoro inserendolo in un’ottica
internazionale e modernista; lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori, che consentì ai
precetti già contenuti nella Costituzione, in materia lavoristica e non solo, di
trovare un ulteriore punto di riferimento e di conferma, costituendo di fatto il
frutto di una forte manifestazione di volontà popolare, e sancendo la più grande
conquista dei lavoratori nella formulazione dell’art.18; la Costituzione, che si
rivela tutt’oggi il giudice più severo e indefettibile per la valutazione e la
considerazione di ogni proposta di cambiamento.
Alla Costituzione è dedicato l’intero secondo capitolo, nell’intento di
fornire un quadro quanto più esaustivo e neutrale, in coerenza con gli intenti e gli
interessi sopra dichiarati, delle disposizioni in essa contenute in materia
lavoristica, senza per questo trascurare l’analisi del dibattito dottrinale che ne è
conseguito. Dal commento all’art.1, passando per l’art. 3, art.4, fino a considerare
il titolo III dei Rapporti economici, si è cercato di fornire un’idea chiara
dell’esaustività di questo progetto, delle sue pretese e dei suoi valori, che, in
lettura combinata, danno vita all’anima evoluzionista, democratica, personalistica
e solidarista dello Stato Italiano.
Infine, nel terzo capitolo si è focalizzata l’attenzione sul presente, e quindi
su quello che è o potrà essere il futuro, di un Italia che lavora, stanca e insicura,
che da tempo arranca nel suo percorso di crescita e che cerca, nella mancanza di
svolte radicali, talvolta nella rigidità del passato, le cause dei suoi mali e che con
la Riforma Biagi realizza questo cambiamento, sebbene non privo di remore ed
errori di principio e di applicazione. Ma il cambiamento e l’evoluzione si pongono
come inevitabili, viaggiano in parallelo con l’idea stessa di progresso e
modernizzazione. L’esperienza, la prassi, la realtà svelano i punti deboli di un
sistema e le sue mancanze, ed è compito del legislatore portare a soluzione i
problemi e, se necessario, cambiare le regole e le leggi dell’ordinamento stesso, in
funzione del bene e dei bisogni della collettività.
E comunque, i fatti e gli atti di natura giuridica, storico-politica, legislativa
e sociale oggetto di analisi nel presente lavoro, hanno certamente agevolato una
più consapevole presa d’atto delle gravi problematiche sociali ed economiche che
si registrano attualmente nel nostro Paese. Così come hanno consentito autonome
considerazioni circa le implicazioni che un clima di assoluta incertezza sulle
concrete possibilità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di una consistente
fascia di popolazione, e in molti casi di mantenimento del posto di lavoro, possa
comportare non solo sulle nuove generazioni. Si tratta di implicazioni che
coinvolgono non soltanto la dimensione sociale dei singoli, ma rischiano di
lederne i diritti fondamentali, quelli che i Padri Costituenti hanno consacrato come
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irrinunciabili per la piena realizzazione dei cittadini ed a tutela della dignità
personale e sociale. Inevitabilmente, dunque, le riflessioni operate si sono
concentrate sulla indiscutibilità e sulla fermezza che è necessario, anzi
obbligatorio attribuire ad un unico valore: quello della dignità umana, che può e
deve trovare principale fonte di realizzazione nell’espletamento di una attività
lavorativa che possa conferire, e riconoscere, ai singoli un ruolo all’interno del
contesto. Si tratta del vero valore cardine che la Costituzione sancisce ed
attraverso il quale la Costituzione stessa si declina. Si tratta, ancora, del principale
valore di riferimento, a cui ogni riforma o proposta di cambiamento deve ispirarsi
e, conseguentemente, adeguarsi soprattutto in ambito lavoristico. Quasi che, nel
non aver sempre tenuto a principale riferimento la dignità umana nel sia pure
necessitato percorso di modernizzazione continua richiesto dal contesto globale,
possa rintracciarsi una delle maggiori cause della inadeguatezza delle diverse
scelte di politica economica e sociale, spesso registrata nel nostro Paese.
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La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione
è un pezzo di carta, lo lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno
metterci il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito ,la volontà di mantenere
queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla
Costituzione è l’indifferenza politica. (…) La libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale
quando comincia a mancare (…) sulla libertà bisogna vigilare, vigilare dando il proprio
contributo alla vita politica.
Piero Calamandrei
Discorso agli studenti milanesi all’università di Milano, 1955
Ci sono date che rimangono consegnate alla storia del Paese, scandendo in modo significativo il
divenire: esse vanno ricordate e valorizzate al fine di coltivare tra gli italiani la coscienza
del comune passato storico. Ma la data del 1°gennaio 1948 è altro: perché ha segnato la
nascita di qualcosa che ha continuato a vivere, è vivo e ha un futuro – una tavola di principi
e valori, di diritti e di doveri, di regole e di equilibri, che costituisce la base del nostro stare
insieme animando una competizione democratica senza mettere a repentaglio il bene
comune.
Giorgio Napolitano
Discorso in occasione della celebrazione del 60°anniversario della Costituzione
Camera dei Deputati, 23 Giugno 2008
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Capitolo 1
Lavoro, Diritto al lavoro, Diritto del lavoro
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Il principio lavorista trova sintesi nell’art.1 della Carta Costituzionale,
secondo il quale la Repubblica Italiana è fondata sul lavoro, e piena esplicitazione
nell’affermato riconoscimento del diritto al lavoro a tutti i cittadini e del dovere
da parte di questi ultimi a concorrere al progresso materiale o spirituale della
società. Il lavoro, al centro del principio lavorista, assurge a fondamento della
nuova forma di Stato, diventando la chiave d’accesso alla democrazia e alla
partecipazione. Il lavoro non più fine a se stesso o esclusiva fonte di
sostentamento dei singoli, ma strumento per il tramite del quale ogni cittadino
contribuisce alla crescita comune.
Su tali basi, le dissertazioni sulle questioni di principio in materia di
lavoro, rimangono appannaggio della dottrina, mentre dal punto di vista
sostanziale e concreto si traducono nel diritto al lavoro, della cui titolarità viene
investito il cittadino nel momento stesso in cui entra a far parte di una società e
della sua organizzazione politica. Il lavoro diventa quindi una necessità vitale non
soltanto ai fini del sostentamento materiale, ma anche e soprattutto ai fini
dell’assunzione di un ruolo attivo all’interno del più ampio contesto sociale.
È innegabile il dibattito di cui è stato oggetto in fase costituente il concetto
di lavoro, ma è altrettanto innegabile che la sintesi cui si è pervenuti ha tradotto il
principio lavorista nella norma cardine dell’apparato repubblicano, il massimo a
cui una società veramente democratica può aspirare.
Il percorso che ha portato al concetto costituzionale di tutela del diritto al
lavoro ha storicamente registrato un processo di evoluzione del principio lavorista
che può, per grandi linee, essere sintetizzato in tre fasi che, a partire dall’epoca
precedente al vigente codice civile, hanno portato alla costituzionalizzazione del
diritto al lavoro. Dalla semplice legislazione si è gradatamente pervenuti ad un
vero e proprio sistema di diritto del lavoro.
1.1 Il processo di costituzionalizzazione del lavoro.
La concezione moderna di lavoro, del principio del lavoro, e di
conseguenza del diritto/dovere al lavoro, è frutto di una conquista relativamente
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recente, propria e coeva all’affermazione del moderno Stato Sociale di diritto
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.
Infatti, inizialmente, non solo il senso comune, ma anche l’attenzione del
legislatore teneva in considerazione non il lavoro in quanto tale, ma il rapporto di
lavoro intercorrente tra lavoratore subordinato ed il suo datore di lavoro, che ha
trovato disciplina essenzialmente nel Codice Civile emanato nel 1865, nel quale
non era prevista una disciplina vera e propria del contratto di lavoro, ma si
introducevano unicamente norme di regolamentazione della locazione delle opere
e dei servizi. Allo stesso modo, la legislazione emanata nei primi decenni del
ventesimo secolo per disciplinare il lavoro, contemplava forme di tutela della
classe operaia, in quanto composta da prestatori di lavoro prevalentemente
manuale e/o industriale
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. Nel periodo, non si è avvertita la necessità di
regolamentare il lavoro industriale, nella convinzione della sovranità
dell’autonomia privata.
Successivamente, con l’avvento e lo sviluppo del processo di
industrializzazione, che ha investito la società occidentale dal 1750 in poi, furono
gradatamente introdotte leggi di tutela dei lavoratori, tutte inerenti la legislazione
sociale, la quale assumeva carattere eccezionale rispetto alla norma fondamentale
contenuta nel codice civile. Di fatto tale tipo di legislazione costituiva la risposta
dell’ordinamento alle questioni sociali sopravvenute, per proteggere il lavoratore,
concepito come la componente più debole nell’ambito del rapporto di lavoro, e le
sue condizioni economico-sociali. Tale fenomeno segnò l’avvio di un processo di
formazione della legislazione sociale del lavoro, sia pure sotto forma di un
insieme di norme che disciplinavano le condizioni del lavoratore. Ad esse si
andava affiancando, nel tempo, il metodo contrattuale o dell’autotutela collettiva,
di cui fu espressione significativa l’istituzione nel 1893 dei Collegi dei Probiviri
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,
caratterizzato non dalla promulgazione di fonti normative propriamente dette, ma
dagli esiti giurisprudenziali delle controversie inerenti il contratto di lavoro.
In quella che può essere definita la seconda fase, si assistette
all’incorporazione del diritto del lavoro nel sistema del diritto privato e quindi al
inserimento della disciplina delle leggi e dei contratti collettivi nell’ambito della
codificazione civile. Si trattava del periodo intercorso tra l’entrata in vigore del
Codice Civile (1942) e l’anno 1948, un periodo nel corso del quale si è conferita
maggiore rilevanza giuridica al fenomeno sociale del lavoro dipendente, inteso
come impiego della manodopera all’altrui servizio. L’inserimento delle norme
quale parte integrante del Codice civile, posero fine al fenomeno della
legislazione speciale, non più fonte anomala e esclusiva del diritto del lavoro, ma
parte della codificazione unificata del diritto privato
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che veniva così declinato in:
diritto civile, diritto commerciale e diritto del lavoro. Deve però precisarsi come
tale unificazione sia stata più formale che sostanziale, dal momento che soltanto le
norme generali sono state incluse nel Codice, mentre molti aspetti del rapporto di
6
F. DEL GIUDICE, F. MARIANI, F. IZZO , Diritto del lavoro, Edizioni giuridiche Simone, XIX
edizione, p. 6.
7
G. PERA , Diritto del lavoro, Cedam, Padova, 1996.
8
Legge 15 Giugno 1893, n.295.
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E. GHERA, Diritto del lavoro. Il rapporto di lavoro, Cacucci Editore, Bari, 2006.