7
comportò il contestuale crollò dei tradizionali partiti che governarono
l’Italia nel corso della cosiddetta Prima Repubblica, rese possibile lo
svilupparsi di un dibattito presso l’opinione pubblica a favore di un
decentramento del sistema amministrativo dello Stato; denunciando,
conseguentemente, il superamento di ormai logori schemi di riassetto
interno che prendessero spunto da continui, ma sterili conferimenti di
semplici compiti agli enti territoriali periferici.
Era necessario, in definitiva, trovare un criterio generale al quale
ispirarsi per poter riformare la complessiva azione della macchina
amministrativa, incapace di sostenere altrimenti gli importanti
mutamenti sociali che caratterizzeranno gli anni ’90.
Questo criterio venne suggerito dalle linee di sviluppo seguite in
sede europea. Il superamento della contrapposizione esistente tra le due
superpotenze mondiali U.S.A. e U.R.S.S. portò ad un rapido mutamento
del quadro istituzionale comune agli Stati membri della Comunità e alla
firma, il 9 febbraio 1992, del Trattato di Maastricht da parte di dodici
Capi di Stato europei.
Il Trattato, che entrò in vigore il 1 novembre 1993, adottò criteri e
procedimenti in favore di una ripartizione di funzioni e di competenze
fra gli Stati Membri e le autorità centrali della Comunità. Le ragioni di
tutto ciò sono evidenti. La caduta del Muro di Berlino comportò difatti
un profondo mutamento nell’assetto geopolitico globale, permettendo la
piena attuazione di quella cooperazione tra Stati posta alla base
dell’istituzione del Trattato della CEE del 1958.
Il principio di sussidiarietà, pienamente recepito nel Trattato di
Maastricht, pur collocandosi su un diverso piano operativo rispetto a
quello coinvolto dal principio di cooperazione, parte dal presupposto di
porre in capo alle istituzioni territoriali più vicine al cittadino le funzioni
che altrimenti sarebbero svolte a livello superiore. La necessità di dare
vita ad un coordinamento di complesse politiche di cooperazione e di
organizzazione, comportò la spinta verso l’alto di competenze e funzioni
fino a quel momento interessanti i singoli governi nazionali. A ciò si
8
aggiunse, all’interno di diversi Stati Membri, l’innesco di processi di
delegazione ai rispettivi enti territoriali rappresentativi di funzioni
anch’esse riservate sino a quel momento alle autorità centrali, sempre
seguendo lo schema suggerito dall’applicazione dell’idea di
sussidiarietà a livello europeo. Così come in altre nazioni, la previsione
in forma espressa nella Carta Europea del concetto di sussidiarietà
comporterà l’adozione anche in Italia del principio in questione, quale
criterio cui ispirarsi per un riassetto istituzionale ed amministrativo
interno.
Nel nostro ordinamento non si può tuttavia ignorare il lungo e
tortuoso processo di decentramento che ha anticipato, sotto diversi punti
di vista, l’introduzione del principio di sussidiarietà. Questo percorso
venne inaugurato con l’approvazione dei primi trasferimenti, in termini
di organici di personale e di dotazioni strutturali alle Regioni, conferite
con la legge 16 maggio 1970, n. 281. Con questa legge il legislatore
avviò la riforma dell’ordinamento regionale secondo quanto previsto dal
Titolo V° della Costituzione (ante L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3). Nel
dettato costituzionale, difatti, venivano espressamente previsti principi
imprescindibili per una piena attuazione del pluralismo autonomistico
collocato alla base della nostra architettura costituzionale. Si vedrà,
inoltre, che pur in forma implicita (e quindi non espressamente), il
principio di sussidiarietà trova un sostanziale favor da parte del
Costituente del 1948, che sembra indicarlo in diverse disposizioni (non
ultime quelle contenute ex artt 2 e 5 Cost.). Solo con la legge delega 22
luglio 1975, n. 382, cui seguirà il d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, le
Regioni si vedranno attribuite importanti funzioni e ampie deleghe, in
attuazione dell’art. 117 Cost. Tuttavia il d.P.R. 616/77 soffrirà di
importanti limiti che costringeranno il legislatore a minuziosi e
dettagliati interventi correttivi che si riverbereranno, inevitabilmente, su
tutto il processo di decentramento in atto.
Con la Carta delle Autonomie Locali approvata a Strasburgo il 15
ottobre 1985 e ratificata in Italia con la legge 439/89, il principio di
9
sussidiarietà inizierà ad affacciarsi nell’ordinamento positivo interno in
forma diretta ed espressa. Sarà però la grave crisi finanziaria, resa
ancor più evidente con l’approvazione del Trattato di Maastricht e la
conseguente introduzione di rilevanti vincoli economici e di controllo
della spese pubblica, a costringere il legislatore ad attuare un rilevante
riassetto delle autonomie locali. La legge 8 giugno 1990, n. 142, per la
prima volta nell’ordinamento repubblicano, disciplinerà in maniera
organica le attribuzioni compiute dal legislatore nazionale in favore
degli Enti Locali. Non sarà un intervento né definitivo, né risolutore.
Anzi, dopo neppure due anni, con la legge 25 marzo 1993, n. 81 e
l’introduzione dell’elezione diretta del Sindaco e del Presidente della
Provincia, l’ordinamento delle autonomie locali conoscerà una prima,
importante riorganizzazione compiuta proprio nel rispetto dell’impianto
fissato dalla 142/90.
Proprio l’introduzione dell’elezione diretta del Sindaco e del
Presidente della Provincia ha costituito premessa indispensabile e
necessaria, nel nostro ordinamento, per l’ingresso del principio di
sussidiarietà.
Al di là dell’evidente mutamento così realizzato rispetto al
precedente sistema, nel quale i partiti politici svolgevano un ruolo
preponderante nell’elezioni del Sindaco e del Presidente della Provincia
operando scelte discrezionali e scarsamente rispettose della volontà
degli elettori, si può dire che l’introduzione dell’elezione diretta
dell’organo esecutivo degli Enti Locali ha permesso che le autonomie
territoriali iniziassero a sviluppare un sistema di governance al centro
del quale non era più posto il potere pubblico, inteso come soggetto a sé
stante e sostanzialmente impermeabile alle esigenze e alle istanze dei
cittadini. Al contrario, si è andato velocemente sviluppato un sistema in
cui il Sindaco e il Presidente della Provincia, eletti direttamente dal
popolo, rivendicavano e cercavano di ottenere il maggior spazio di
autonomia e di potere possibile per soddisfare le aspettative e le attese
degli elettori e dei vari attori sociali presenti sul territorio.
10
Tutto ciò ha sicuramente agevolato il percorso che è poi sfociato
nell’approvazione delle leggi Bassanini, alle quali seguiranno, nel
volgere di pochi anni, diversi e rilevanti interventi legislativi d’analoga
ispirazione; fino ad arrivare ad una vera e propria
costituzionalizzazione del principio di sussidiarietà, operato con la
recente Legge Costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che ha riformato il
Titolo V° della Parte Seconda Costituzione. Quest’ultimo intervento,
compiuto con finalità e metodologie forse discutibili, difficilmente
rappresenterà la conclusione del percorso che ha portato
all’affermazione, nel giro di un decennio, del principio di sussidiarietà
nel nostro Paese. Con ogni probabilità, l’inserimento nella Costituzione
del principio in esame comporterà infatti l’estensione dello stesso ad
ambiti e spazi oggi forse neppure ipotizzabili.
Il quadro complessivo che emerge da questa pur rapida
ricostruzione dei principali interventi normativi in materia di
decentramento e di riorganizzazione dei poteri pubblici non è
certamente esente da critiche; critiche che si cercherà senz’altro di
rilevare in maniera puntuale, ma, nei limiti del possibile, senza lasciare
tradire più del dovuto le personali convinzioni di chi ha realizzato il
presente lavoro.
Nella lettura del testo che segue va comunque tenuto
necessariamente conto di un elemento che qui si riporta per non doverlo
ripetere con ossessiva costanza nel corso della trattazione. Il sistema di
governo e di amministrazione della cosa pubblica che sia il regime
liberale che quello Fascista avevano consegnato al costituente del 1948
era, necessariamente, considerando la natura delle ideologie in
questione, un sistema fortemente accentrato. Le resistenze culturali e
ideologiche che pertanto hanno condizionato la prima parte della vita
repubblicana non potevano che essere contrassegnate da una visione
fortemente accentuata dello Stato centrale, nel quale si sviluppava una
severa architettura istituzionale nella quale le autonomie locali erano
considerate alla stregua di semplici articolazioni dello Stato centrale.
11
Basti pensare che sino al 1990, anno dell’approvazione della legge 142,
gli Enti Locali erano governati dalle norme dettate in materia dal pur
rimaneggiatissimo Testo Unico del 1934, approvato in pieno regime
Fascista.
Non bisogna quindi credere che il processo di decentramento,
sfociato nell’introduzione del principio di sussidiarietà, si sia infranto
solo ed esclusivamente sulla incapacità o sulla mancanza di volontà di
rinnovamento che larga parte della classe politica e burocratica della
cosiddetta Prima Repubblica certamente denunciava. I complessi
meccanismi di amministrazione e di governo del territorio si erano
andati con gli anni cristallizzando, lasciando quasi temere che il
“ciclopico riassetto” dell’amministrazione pubblica finalmente operato
con le leggi Bassanini fosse, più che improbabile, impossibile. Con ciò
non si intende affermare che le leggi Bassanini hanno attuato realmente
quel “massimo decentramento possibile a Costituzione invariata” che gli
estensori della legge hanno annunciato al momento dell’approvazione
della 59/97. Certamente va riconosciuto a questa legge, e al suo
principale artefice, il Ministro della Funzione Pubblica Franco
Bassanini, al di là di giudizi di merito, di aver saputo dare nuovo
impulso e nuovo slancio ad un processo che, dopo il sussulto del periodo
1990-1993, sembrava spegnendosi.
Spetta ora a chi sarà chiamato a dare attuazione al nuovo Titolo V
della Costituzione (un testo che come detto, non è esente da critiche)
saper armonizzare il complesso quadro normativo con il nuovo assetto
costituzionale, sacrificando quanto vi è da sacrificare e salvando quanto
si ritiene di dover salvare. Di certo, rispetto ad un tempo, è necessario
che il legislatore statale e quello regionale, sappiano alzare lo sguardo
al di là dei confini nazionali, comprendendo che il sistema pubblico
italiano è oggi chiamato a confrontarsi e misurarsi con un processo di
integrazione europea che, nonostante le sue contraddizioni ed
imperfezioni, negli auspici di tutti noi dovrebbe rappresentare un
domani la casa comune di tutti i Popoli e le Nazioni europee.
12
CAPITOLO I°
IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ:
NOZIONE E ORIGINI
I.1 – NOZIONE DI SUSSIDIARIETÀ E SUE ORIGINI STORICHE
Prima di iniziare una disamina del principio di sussidiarietà e delle
sue applicazioni nel nostro ordinamento, è necessario tentare una
ricostruzione, seppur breve, del significato stesso del termine
sussidiarietà. Da una immediata ricognizione semantica del vocabolo, si
desume che esso risulta essere il composto latino derivante dall’incontro
della particella sub con il verbo sedère, termine col quale si indicava lo
“stare”, il “fermarsi”. Con particolare riferimento al lessico militare, il
termine subsidium, indicava l’idea di sostegno, di riserva o, più
genericamente, di aiuto
1
, anticipando così il significato che, nel tempo,
questo morfema avrebbe assunto nella sua elaborazione concettuale e
giuridica
2
.
Tralasciando i riferimenti all’origine aristotelica e tomistica del
termine compiuti da alcuni autori
3
, è opportuno, ai fini del presente
1
Con tale significato (subsidium) venivano infatti indicate le riserve militari romane che
dovevano intervenire, in caso di necessità, in sostegno delle coorti impegnate nella prima
acies.
2
I primi fenomeni di “sussidiarietà” si hanno nel III-IV sec. d.C., quando le Chiese più
piccole invocavano l’aiuto delle Chiese più grandi per la risoluzione dei vari problemi.
Queste a loro volta si appellavano agli organi superiori, procedendo in una scala verso l’alto
che si esauriva nell’eventuale intervento dell’autorità massima centrale, il Pontefice.
3
Secondo Aristotele, la società primaria dell’uomo era una sorta di organismo in cui
figuravano parti distinti (individuo, singolo, città, ecc.) chiamati ad operare in armonia e in
complementarietà tra loro. Tuttavia la completa autosufficienza (definita Autarchia, dal
greco Autós e Archéin) era raggiungibile solo tramite l’azione dell’organo politico, la città,
alla quale spettava il compito di garantire la felicità dei propri consociati. Cfr. Aristotele,
Politica,, BUR Rizzoli, Milano, 1995; secondo San Tommaso d’Aquino, pur partendo da una
concezione aristotelica del concetto di società, questa si presentava figurativamente come un
insieme di cerchi, tra loro concentrici e dominati dal principio di totalità, in cui l’uomo
figurava come elemento fondante ed integrante della stessa. Quest’ultima, attraverso la
propria azione,doveva garantire la felicità del cittadino. Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa
Teologica, Traduzione e commento dei Domenicani Italiani, testo latino dell'edizione
13
studio, soffermarci sull’evoluzione che esso ha conosciuto nel XIX°
secolo ad opera di importanti esponenti del liberalismo moderno. In uno
dei testi di maggior rilievo per il pensiero liberale, Alexis de Tocqueville
afferma che “l’uomo ha una sovranità sulle cose e soltanto quello che da
solo non può compiere deve essere affidato ad una organizzazione
collettiva. Le organizzazione collettive per garantire il massimo sviluppo
del singolo devono intervenire solo nell’esercizio di quelle attività che
non possono essere svolte da organismi di grado inferiore”
4
. Altresì J.S.
Mill, teorizza uno Stato capace di mantenere un numero limitato di
semplici “frazioni di pubblici affari di una nazione” lasciando ai cittadini
la gestione diretta delle rimanenti competenze e residuando allo Stato un
ruolo di intervento solo per quelle funzioni che altrimenti non potrebbero
trovare attuazione
5
.
L’intuizione dei due autori anticipa evidentemente lo sviluppo che
il principio di sussidiarietà conoscerà nel pensiero liberale. Saranno
infatti due esponenti dello stesso costituzionalismo liberale tedesco che
approfondiranno il tema. Secondo Georg Jellinek, lo Stato “può e deve
agire […] nella misura in cui, con i suoi mezzi, può realizzare nella
maniera migliore l’interesse che si vuole raggiungere”
6
.
Parallelamente allo sviluppo dell’idea di sussidiarietà nel pensiero
Leonina, 35 volumi, Bologna, 1985; Cfr. altresì, per una ricostruzione del principio di
sussidiarietà nel pensiero tomistico, con opportuni richiami alla filosofia aristotelica, H. J.
Blande, Das subsidiaritatsprinzip als Schranke des Europaischen Gemeinschaftsrechts? In
zeitschrift fur Gesetzgebung, 1991, pag. 133 ss; Cfr. altresì F.A. Roversi Monaco, a cura di,
Sussidiarietà e Pubbliche Amministrazioni, Atti del convegno per il 40° della Spisa,
Bologna, 1997.
4
A. de Tocqueville, De la democrazie en Amerique, Parigi, 1835
5
J.S. Mill, Considerations on Representative Government, in www.la.texas.edu. Ma anche
in autori non appartenenti al pensiero del liberalismo classico è possibile riscontrare
riferimenti al principio di sussidiarietà. Cfr. in merito J. P. Proudhon, Del principio
federativo, Asefi, 2000. In quest’ultimo l’idea di sussidiarietà evolse sino a divenire il punto
focale di una complessa ideologia che mirava alla costruzione di uno Stato privo di conflitti e
contrapposizioni tra singoli individui.
6
In sintesi si ricordi che il liberalismo tedesco mirava alla compressione più ampia dei poteri
statali in favore dello sviluppo del singolo individuo, inteso quale elemento centrale del
sistema sociale. Cfr. in merito N. Irti, Norma e luoghi, problemi di geo-diritto, La Terza,
Roma-Bari, 2001
14
liberale, è necessario ricordare il ruolo fondamentale svolto dalla
Dottrina sociale nella sua elaborazione e affermazione. Nell’enciclica
Quadragesimo anno, pubblicata il 15 maggio 1931, il Pontefice Pio XI°
afferma che “rimane fisso e stabile nella filosofia sociale codesto
fondamentale principio che non può essere né rimosso, né cambiato:
come è illecito sottrarre agli individui ciò che essi possono compiere con
le proprie forze e di loro iniziativa per trasferirlo alla comunità, così è
ingiusto affidare a una maggiore e più alta società quello che le minori e
inferiori comunità possono fare”
7
. Secondo la Quadragesimo anno, “è
necessario che l’autorità suprema dello Stato rimetta ad assemblee
minori ed inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minor
importanza”, potendo così ad esso riservarsi compiti “di direzione, cioè,
di vigilanza, di incitamento, di repressione, a seconda dei casi e delle
necessità”. Le parole del Santo Padre dimostrano chiaramente come
fosse presente anche nella Dottrina cattolica la preoccupazione di
limitare l’azione dello Stato, per contrastarne l’invadenza ai danni
dell’autonomia dei soggetti pubblici inferiori e dei singoli individui.
Il principio di sussidiarietà conosce così due possibili sviluppi. Si
parla in proposito di sussidiarietà verticale, indicando con tale locuzione
un riparto di competenze compiuto tra i vari livelli dell’ordinamento
positivo di uno Stato; di sussidiarietà orizzontale, per indicare il ruolo di
subsidiatio svolto dal soggetto pubblico in sostegno ed in aiuto dei
privati.
7
“Fixum [tamen] immotumque manet in philosophia sociali gravissimus illud principium
quod neque mutari potest: sicut quae a singularibus hominibus proprio marte e propria
industria possunt perfici, nefast est eisdem erigere et communitati demandare, ita quae a
minoribus et inferioribus communitatibus effici praestarique possunt, et ad maiorem et
altiorem societatem avocare iniuria est similque grave damnum ac recti ordinis
perturbatio”, Pio XI°, Quadragesimo anno, 15 maggio 1931, 81, in www.vaticano.va. Anche
il Pontefice Giovanni Paolo II, nella sua enciclica Centesimus Annus scrive: “Disfunzioni e
difetti dello Stato assistenziale derivano da una comprensione inadeguata dei compiti propri
dello Stato. Anche in questo ambito deve essere rispettato il principio di sussidiarietà: una
società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine
inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità
ed aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del
bene comune”. Giovanni Paolo II, Centesimus Annus, Città del Vaticano, 1° maggio 1991,
48, in www.vaticano.va.
15
La distinzione compiuta, permette di separare due ambiti diversi
tra loro, ma di cui il principio di sussidiarietà si presenta come unicum
concettuale. Pur essendo oggetto del presente lavoro il solo sviluppo del
principio di sussidiarietà in senso verticale, non si può non rilevare
infatti come l’attuazione del principio di sussidiarietà negli ordinamenti
positivi contemporanei sia il frutto della convergenza tra il pensiero
liberale moderno e l’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa.
Solo lo sviluppo di questo incontro ha permesso che il principio di
sussidiarietà trovasse piena realizzazione nel nostro, come negli altri
ordinamenti europei.
16
I.2 – EVOLUZIONE DEL PRINCIPIO IN AMBITO
COMUNITARIO E SUOI SVILUPPI NELL’AMBITO
INTERNO
Con l’espressione di sussidiarietà verticale, come visto poc’anzi, si
intende indicare in prima approssimazione “la individuazione della
competenza primaria [che] deve avvenire in modo da assegnarne la
titolarità al soggetto più vicino al cittadino”
8
. Questa affermazione pur
non essendo sufficientemente esaustiva, ci permette tuttavia di introdurre
il tema della sussidiarietà con specifico riferimento all’ambito giuridico.
Essa, come si vedrà più dettagliatamente oltre, non si risolve infatti nella
semplice allocazione del maggior numero di funzioni possibili agli enti
territoriali minori, senza ulteriori criteri di riferimento. Nella attribuzione
di competenze e funzioni esercitata secondo il principio di sussidiarietà
verticale
9
, si deve aver riguardo al rispetto di altri principi, criteri o, più
semplicemente, meccanismi, i quali giustifichino adeguatamente
l’applicazione del principio medesimo.
Il principio di sussidiarietà è stato tacciato di essere “principio
ambiguo, con almeno trenta diversi significati, programma, formula
magica, alibi, mito, epitome della confusione, foglia di fico”
10
. Tuttavia
va detto che proprio la presunta ambiguità del principio ha permesso allo
stesso di affermarsi in angusti spazi culturali e giuridici, divenendo, nel
volgere di pochi anni, uno dei maggiori punti di riferimento
dell’architettura della costituenda Unione Europea. Sotto il profilo
giuridico, la prima applicazione del principio di sussidiarietà in forma
8
F. Frattini, Relazione Introduttiva, in Sussidiarietà e Pubbliche Amministrazioni – Atti del
convegno per il 40° della Spisa, Bologna, 1997, pag. 61.
9
Ai fini del presente lavoro, con l’espressione principio di sussidiarietà, si intenderà
esclusivamente la sussidiarietà verticale, specificandosi espressamente eventuali riferimenti
alla sussidiarietà orizzontale
10
S. Cassese, L’Aquila e le mosche, in Sussidiarietà e Pubbliche amministrazione, a cura di
F.A. Roversi Monaco, Atti del 40° della Spisa, Bologna, 1997
17
espressa va infatti ritrovato nel contesto comunitario
11
. Non per questo
bisogna credere che il principio abbia ricevuto immediato ed espresso
riconoscimento nella Comunità Europea. La prima apparizione del
principio di sussidiarietà si ha infatti con il suo inserimento, in forma
implicita ed indiretta, nell’art. 130 R4 nell’Atto Unico Europeo,
disciplinante i rapporti fra Stati membri in materia ambientale. Tale
articolo disponeva che la Comunità potesse agire in materia ambientale
ove gli obiettivi della stessa venissero “meglio realizzati a livello
comunitario piuttosto che a livello dei singoli Stati membri”. E’ tuttavia
evidente lo spirito di subsidiatio che alimenta questa norma, la quale
verrà abrogata con l’approvazione del Trattato di Maastricht con cui si
eleverà il principio di sussidiarietà a criterio ordinatorio dell’Unione
Europea ( secondo quanto disposto dall’art. 3B del Trattato medesimo
12
ratificato in Italia con la legge 3 novembre 1992, n. 454).
In prima istanza è quindi corretto affermare che l’evoluzione e
l’estensione del principio di sussidiarietà nel nostro ordinamento ha
origini comunitarie. Considerando l’art. 3B del Trattato, risalta però una
evidente differenza concettuale ed operativa tra quest’ultimo e la
definizione di sussidiarietà sinora offerta.
11
In diversi altri pesi europei, il principio di sussidiarietà era già noto e inserito nelle Carte
Costituzionali, anche se non in forma espressa. Ad esempio la Costituzione svizzera prevede
un meccanismo di avocazione simile nei rapporti fra Confederazione elvetica e cantoni. Del
tutto particolare è, invece, l’istituto della freguesia, presente nel sistema amministrativo
portoghese. Attraverso esso, l’esercizio di determinate funzioni è delegata ad un’Assemblea
popolare cui partecipano con diritto di voto tutti gli abitanti del centro rurale. Il tema della
sussidiarietà fu al centro di un notevole dibattito in Germania tra gli anni ’50 e ’60. In
estrema sintesi si può dire che i principali costituzionalisti tedeschi miravano a verificare la
presenza (o meno) del principio di sussidiarietà nella Grundgesetz del 1949. Secondo larga
parte di essi, il principio in esame troverebbe implicito accoglimento nei meccanismi previsti
dall’art. 83, nel quale sono contemplate tre ipotesi in cui la Federazione (Bund) può
richiamare a sé funzioni altrimenti delegate ai Land. Cfr. Per un’introduzione sull’argomento
G. Durig, Verfassung und Verwaltung im Wohlfahrstsstaat, Juristenzeitung, 1953.
12
In realtà vi è stato chi non ha mancato di rilevare come, tra le previsioni dell’art. 130 R4
dell’Atto Unico e il successivo art. 3B (che ne dovrebbe rappresentare la continuazione e
l’ampliamento) sussista una notevole differenza. L’art. 130 R4 prevedeva infatti un
conferimento tanto in positivo quanto in negativo delle funzioni in materia ambientale alla
Comunità; il successivo art. 3B, laddove prevede che “… la Commissione interviene soltanto
se e nella misura in cui…” sembrerebbe fissare un criterio limitatore dell’intervento della
Comunità rispetto alle competenze degli Stati membri. Cfr. in merito, P. Mengozzi, Il diritto
comunitario e dell’Unione Europea, Cedam, 1997, pag. 80
18
Si è visto infatti che il principio di sussidiarietà mira ad
individuare competenze e funzioni in capo ai soggetti pubblici più vicini
al cittadino. Nel contesto comunitario, il principio opererebbe, invece, in
direzione, opposta, svolgendo un ruolo di accentramento di funzioni,
favorendo la concentrazione di poteri in capo ad una autorità centrale e
sopraordinata, rappresentata per l’appunto dalla Comunità europea.
Questa caratteristica di “bidirezionalità”
13
del principio di sussidiarietà
ha operato fin dal primo accoglimento del principio medesimo in sede
Comunitaria, con il già considerato art. 130 R4
14
. L’art. 3B
15
dispone
infatti che “nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la
Comunità interviene, secondo il principio di sussidiarietà, soltanto se e
nella misura in cui gli obiettivi dell’azione non possono essere
sufficientemente realizzati dagli Stati membri”.
Si attua così un processo di bottom up, con spostamento di
funzioni dal basso all’alto. La rinuncia da parte degli Stati membri di
proprie funzioni in favore della Comunità europea sembra dunque essere
in contraddizione con le caratteristiche sinora considerate del principio di
sussidiarietà, che dovrebbe favorire un processo di top down (ovvero di
spostamento di funzioni e competenze dall’alto verso il basso).
13
La caratteristica di “bidirezionalità” del principio di sussidiarietà è stata rilevata in dottrina
nell’individuazione di un profilo negativo e di un profilo positivo del principio in esame.
L’aspetto negativo si sostanzierebbe in un dovere di non ingerenza da parte dell’autorità
centrale nei confronti dell’autorità minore. L’aspetto positivo rileverebbe nell’attribuzione di
un “devoir d’ingerence” dell’autorità centrale quando sussista la necessità del suo intervento
in sostegno dell’autorità minore. Cfr in merito C. Millon – Delsol, Le principe de
subsidiaritè, Paris, 1993, pag. 72: “Priorité de compétence est donée à l’instance la plus
proche de l’action à accomplir. Mais en cas d’insuffisance, le secours venu d’en haut n’est
pas facultatif ni aléatiore: il devient un devoir”. Tra l’altro è interessante notare come nella
declinazione francese del termine, questo abbia mantenuto la originarietà della particella
sub-; Cfr. altresì G. Falcon, Il decreto 112 e il percorso istituzionale italiano, in Lo Stato
autonomista, a cura di G. Falcon, Il Mulino, Bologna 1998;
14
Norma con cui “il principio di sussidiarietà ha assunto una funzione bidirezionale anche
nella sua formulazione positiva”; cfr. P. Mengozzi, op. cit; L. Vandelli, Il principio di
sussidiarietà nel riparto di competenze tra diversi livelli territoriali: a proposito dell’art. 3B
del Trattato sull’Unione Europea, in RIDPC, 1993, p. 379 ss..
15
Divenuto, a seguito del Trattato di Amsterdam, art. 5
19
Ad “aggravare” il quadro vi sarebbe inoltre la previsione
contenuta nell’art. 238
16
che stabilisce che “quando un’azione della
Comunità risulti necessaria per raggiungere […] uno degli scopi della
Comunità, senza che il presente Trattato abbia previsto i poteri all’uopo
richiesti, il Consiglio […] prende le disposizioni del caso”. Pur se
elaborata per operare in casi eccezionali, nella realtà dei fatti tale
clausola si è risolta per essere la regola attraverso cui il Trattato di
Maastricht è riuscito a vincere quell’ “esercizio di espresse e ben definite
competenze”
17
posto alla base del Trattato stesso, a vantaggio di una sua
forza espansiva ed attrattiva; con effetto così generalizzante e dall’
applicazione, per molti aspetti, imprevedibile.
Tuttavia, nel rispetto del corretto contenuto concettuale del
principio di sussidiarietà , è necessario prestare la dovuta attenzione alla
condizione posta dall’art. 3B, secondo il quale, come sopra visto,
l’intervento sussidiario dell’Unione è legittimo soltanto “se e nella
misura in cui” l’azione non possa essere esercitata con sufficiente
efficacia e adeguatezza dallo Stato membro. Si tratta di una condizione
rilevante, che permette di affermare che, in sede comunitaria, il principio
di sussidiarietà non opera come criterio di ripartizione delle competenze,
quanto come “equilibratore della funzionalità del sistema in caso di
insufficienza dell’istanza inferiore ad esercitare adeguatamente le
[proprie] competenze”
18
.
Secondo quanto disposto dalla normativa comunitaria, pertanto
deve essere innanzitutto evidente la prova che l’Autorità superiore riesca
effettivamente ed efficacemente a conseguire gli obiettivi prefissati (cd.
prova della efficacia comparata); in secondo luogo è necessario che tali
obiettivi assumano una dimensione tale da rendere più efficace il loro
conseguimento tramite l’azione dell’autorità superiore sopra considerata
16
Divenuto, a seguito del Trattato di Amsterdam, art. 308.
17
A. Rinella, Osservazioni in ordine alla ripartizione delle competenze tra Comunità e
europea e Stati membri alla luce del principio di sussidiarietà, in QGUTS, Roma, 1994.
18
G. Rucco, Il principio di sussidiarietà quale criterio del recente processo di
riorganizzazione del sistema pubblico italiano, in www.pust.edu
20
(cd. prova delle dimensioni)
19
. Una compresenza di condizioni
richiamata anche da numerose comunicazioni compiute dalla
Commissione europea sull’argomento. Una volta verificata la presenza
di questi due requisiti, si schiudono le porte all’esercizio del meccanismo
previsto dall’art. 238 che concretizza la cosiddetta regola dei poteri
impliciti
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, fondamentale per il superamento delle barriere funzionali in
cui incorrerebbe il Trattato
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.
La contraddizione, a questo punto solo apparente, si spiega quindi
secondo i criteri fissati dalla prova dell’efficacia comparata e dalla prova
delle dimensioni, in base ai quali ai livelli inferiori è precluso l’esercizio
di quelle funzioni che siano realizzabili in forma più adeguata ed
efficace a livello superiore. Tuttavia va considerato un tema di primaria
importanza, al quale non mancano di fare riferimento coloro che temono
un progressivo svuotamento, in nome del principio di sussidiarietà, del
ruolo dello Stato centrale. esso si troverebbe infatti stretto tra il
progressivo effetto assorbente esercitato dall’Unione Europea e la
continua cessione ad enti territoriali sub statali di porzioni sempre più
importanti di amministrazione e gestione della cosa pubblica.
In realtà, proprio considerando quanto sopra visto, si può
affermare che il ruolo e l’operatività dello Stato centrale non è posto
minimamente in discussione dall’attuazione del principio di
sussidiarietà. Esso infatti trova applicazione nel contesto comunitario per
garantire lo svolgimento di funzioni e il conseguimento di obiettivi che
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Cfr. in merito, F. Frattini, op. cit., pag. 61 ss.; Boll. CE 10-1992, pag. 121
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Per poteri impliciti devono intendersi quei settori di competenza residuale e generale
attribuita alla Unione Europea proprio per tramite della previsione fissata nell’art. 235. Cfr P.
Mengozzi, op. cit., pag. 82
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In questo contesto, si può altresì sottolineare il carattere “funzionale” del Trattato,
realizzato per garantire una evoluzione dei compiti dell’Unione Europea altrimenti ristretti
negli angusti spazi di rigide attribuzioni di competenza. In tal senso, cfr. M.P. Chiti,
Principio di sussidiarietà, pubblica amministrazione e diritto amministrativo in Sussidiarietà
e Pubbliche Amministrazioni, Atti del convegno per il 40° della Spisa, Bologna, 1997.
Secondo l’Autore, tale caratteristica del Trattato potrà altresì fungere da stimolo per il
conseguimento di nuovi obiettivi anche in campo amministrativo. E’ utile richiamare in tal
senso la comunicazione della Commissione europea in cui è contenuta l’affermazione
secondo cui la competenza esclusiva della Comunità è “destinata ad evolvere in funzione dei
progressi dell’integrazione”, non potendo essa “essere in alcun modo cristallizzata”.