Aldo Battista Il principio di sussidiarietà nel diritto italiano e comunitario
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indebolire l’unità nazionale. Una democrazia funziona bene se ciascuna
istituzione esercita il proprio compito rispettando i limiti delle proprie
competenze.
Il principio di sussidiarietà fluisce dalla natura dell’uomo e dalla natura
delle stesse società in cui si svolge e si concreta la sua socialità. L’uomo,
infatti, dà vita a società a raggio sempre più alto non per rimanere assorbito e
in esse dissolversi, ma per raggiungere fini che, isolato, non potrebbe
raggiungere o che raggiungerebbe con maggiore difficoltà.
Soltanto un'Europa costruita sul federalismo potrà mantenere la
diversità dentro l'unità in quanto la sussidiarietà:
- garantisce meglio, rispetto ad uno stato centralizzato, la ripartizione ed il
controllo del potere statale;
- preserva le tradizioni e le caratteristiche storiche di un paese;
- intensifica il contatto diretto con i cittadini.
Il campo di applicazione di tale principio riguarda tutte quelle nuove
competenze comunitarie non esclusive, previste dal Trattato che istituisce la
Comunità europea, per le quali la Comunità ha il compito di incoraggiare la
cooperazione tra stati membri e se necessario di intervenire per completarne
l'operato. A tale proposito vengono usati nel Trattato i termini di "appoggio" e
di "azione complementare" i quali sottolineano il carattere suppletivo
dell'intervento comunitario in diversi campi come: l'istruzione, la formazione
professionale, la cultura, la sanità pubblica, la protezione dei consumatori, le
reti transeuropee e l'industria. In tutti questi settori le competenze sono
distribuite tra la Comunità e gli Stati membri; la Comunità non può sostituirsi
agli stati membri nella disciplina di tali materie, ma deve collaborare con loro
cercando di instaurare un rapporto abbastanza stretto. Proprio in questo
contesto opera il principio di sussidiarietà il quale funziona semplicemente da
ripartitore delle competenze tra Comunità e Stati membri; esso stabilisce che
la competenza in una certa materia passa alla Comunità qualora "gli obiettivi
dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati
membri e passano dunque a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione
Aldo Battista Il principio di sussidiarietà nel diritto italiano e comunitario
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in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario"
1
. Una volta che la
competenza è passata alla Comunità viene anche precisato che la sua
azione non deve andare "al di là di quanto necessario per il raggiungimento
degli obiettivi del presente trattato"
2
.
Il presente lavoro, diviso idealmente in due parti, evidenzia le
caratteristiche e gli aspetti del principio di sussidiarietà così come
regolamentato dal diritto comunitario e, successivamente, evidenzia lo stesso
principio nel diritto interno. In particolare, nel quinto capitolo viene introdotto il
tema della recente riforma del Titolo V della Costituzione analizzando le
implicazioni e le problematiche derivanti dalla costituzionalizzazione del
principio.
In dottrina, si è soliti distinguere la sussidiarietà verticale, quale criterio
di distribuzione delle competenze tra Stato e autonomie locali, da quella
orizzontale, intendendo per quest’ultima, un paradigma ordinatore dei
rapporti tra Stato, formazioni sociali, individui. In questo lavoro è stato
affrontato principalmente il tema della sussidiarietà verticale in quanto
maggiormente oggetto di regolamentazione normativa pur indicando gli
aspetti salienti e i principali rinvii alla sussidiarietà intesa nell’accezione
orizzontale.
Nelle conclusioni del lavoro è stata data una lettura, non usuale in
dottrina, del tema della sussidiarietà come principio di buona governance. La
sussidiarietà diventa così un principio di buona amministrazione e di
trasparenza dell’attività politica e non viene solo analizzato come
applicazione del principio di libertà dell’individuo. In particolare, viene
evidenziata l’interpretazione come sintesi dei principi di apertura,
partecipazione, responsabilità, efficacia, coerenza che devono costituire delle
best practise degli amministratori pubblici. Secondo questa accezione, la
sussidiarietà deve far parte delle capacità politiche degli amministratori
1
Trattato istitutivo della Comunità europea, art. 5.
2
Trattato istitutivo della Comunità europea, art. 5.
Aldo Battista Il principio di sussidiarietà nel diritto italiano e comunitario
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pubblici e l’applicazione che ne viene data deve essere posta al giudizio
politico, e non solo giuridico, dei cittadini.
Aldo Battista Il principio di sussidiarietà nel diritto italiano e comunitario
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III. Il PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’
NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO.
III.1. Le origini della sussidiarietà.
Il termine sussidiarietà deriva dal latino subsidium e significa aiuto,
soccorso. Nella terminologia militare romana stava ad indicare le truppe di
riserva che rimanevano dietro al fronte, pronte a intervenire in aiuto alle coorti
che combattevano nella prima acies. Questa origine è forse ancora più
evidente nei relativi vocaboli inglese e francese nei quali a differenza
dell'italiano non è andata persa la "b": subsidiarity e subsidiarité. Dal punto di
vista linguistico è interessante notare che il termine sussidiarietà è comparso
solo recentemente nei comuni dizionari della lingua italiana
3
. Una spiegazione
a tale lacuna linguistica si potrebbe rintracciare nel fatto che, solo in tempi
recenti si è avuto il bisogno di utilizzare questo termine nel contesto
dell’organizzazione sociale ed è recente anche l’ingresso del principio di
sussidiarietà nel dibattito comune sotto la spinta delle discussioni sul tema
avvenute a livello comunitario.
3
“Da una ricerca effettuata nel gennaio 1997 tra i maggiori dizionari della lingua
italiana, Lo Zingarelli è risultato l’unico a contenere il vocabolo “sussidiarietà”. La
medesima ricerca effettuata nel 1994, aveva evidenziato che nessun dizionario, tra
quelli esaminati, facesse menzione del termine in oggetto”, in D'AGNOLO G., La
sussidiarietà, 1998, 3.
Aldo Battista Il principio di sussidiarietà nel diritto italiano e comunitario
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In relazione alla sua applicazione sociale, i primi cenni di una
riflessione su un principio analogo sono già presenti nel pensiero aristotelico
e vengono poi ripresi e rielaborati da San Tommaso come elemento di una
netta concezione del bene comune, come risultato di una pluralità di apporti
in un contesto comunitario, solidaristico e non conflittuale, all'interno del quale
alla personalità umana è offerta la possibilità di svilupparsi.
In prima luce, nella costruzione del bene comune, era quindi posto il
soggetto umano, considerato però bisognoso di un subsidium: le formazioni
sociali, i gruppi e in subordine il pubblico potere, che risulta così al contempo
utile e limitato. Sempre sulla scorta detta tradizione comunitaristica
medioevale, il principio di sussidiarietà verrà ripreso nella concezione
althusiana del contratto sociale come strumento per trasferire ai governanti
non un potere illimitato, ma solo la quantità di potere strettamente necessaria
al soddisfacimento dei bisogni dei consociati.
III.1.1. Radici filosofiche.
Il principio di sussidiarietà afferma che "siccome è illecito togliere agli
individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per
affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta
società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare". Tale principio
viene spesso e correttamente citato come uno dei capisaldi della dottrina
sociale della Chiesa. Solitamente si sorvola però sulla fonte dalla quale la
Chiesa l'ha ricavato. Mentre, ad esempio, buona parte dell'insegnamento
della Chiesa sull'etica trova fondamento diretto ed esplicito nei passi della
Sacra Scrittura, lo stesso non può dirsi di buona parte della dottrina sociale
della Chiesa, e soprattutto del principio di sussidiarietà. Esso infatti non trova
alcuna esplicita enunciazione nelle Scritture e, piuttosto, è giustificabile su
base argomentativa di tipo puramente razionale. Prima di appartenere alla
dottrina della Chiesa, il principio di sussidiarietà appartiene quindi alla filosofia
sociale. Esso è svincolato dalla Rivelazione, non viene derivato dal
Aldo Battista Il principio di sussidiarietà nel diritto italiano e comunitario
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depositum fidei, pur potendo essere illuminato da quest'ultimo, come avviene
del resto per qualsiasi verità fondamentale che riguarda l'uomo. Il principio in
questione viene infatti definito da Pio XI: "principio importantissimo nella
filosofia sociale"
4
.
Di seguito, si tenterà di tracciare alcune linee fondamentali della
filosofia sociale per una chiarificazione del principio di sussidiarietà.
III.1.1.1. Individuo e comunità
La formulazione del principio di sussidiarietà stabilisce un'analogia che
trova da un lato il rapporto tra individuo e comunità e dall'altro il rapporto tra
una "minore e inferiore comunità" e una "maggiore e più alta società". La
stessa libertà lasciata dalla comunità all'individuo, deve essere assicurata
dalla società di ordine superiore alla comunità inferiore. Pio XI, si è visto,
afferma: "è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le
forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità". Il giudizio di illiceità non
è primariamente di ordine morale, ma di ordine filosofico-sociale. Il principio
vuole descrivere il regolare svolgimento della vita comunitaria che prevede
che all'individuo sia garantita la possibilità di non essere sostituito nei compiti
che può svolgere autonomamente.
La comunità è il luogo nel quale la persona può realizzare alcune
esigenze fondamentali del proprio essere quali, ad esempio, il bisogno di
amare e di essere amata, il bisogno di esprimere la propria creatività, il
bisogno di essere accolta e di accogliere, il bisogno di adorare. Si tratta di
esigenze spesso dimenticate, spesso negate, che sono però ultimamente
incancellabili: se vengono soppresse nel loro presentarsi in una forma,
finiscono con l'esprimersi in forma diversa. La persona da sola non può
soddisfare le esigenze fondamentali citate: per farlo ha bisogno di uno spazio
comunitario di relazione. Esso non va confuso con la semplice socialità: un
4
PIO XI, Quadrigesimo anno, in www.vaticano.va 21.11.2001.
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gruppo di persone, di per sè, non dà vita ad alcun corpo comunitario. Perché
esso si costituisca è necessario che si generi tra le persone uno spazio
interpersonale. Esso ha la capacità di unire le persone, incoraggiandole a
mostrarsi per come sono, senza che vi sia alcuna pretesa nei loro confronti.
La persona infatti è capace di esprimersi nella maniera più piena solo quando
si sente accolta per quello che è e che riesce a dare. La massa, semplice
giustapposizione di individui fra loro estranei, non consente, ed anzi
scoraggia, il costituirsi dello spazio interpersonale. Alla massa mancano
alcune caratteristiche importanti proprie delle forme di relazione
interpersonale più intime quali ad esempio l'attenzione, l'accoglienza e la
discrezione. Nella massa la superficialità dei rapporti e la loro freddezza
tendono a frenare la formazione di relazioni comunitarie.
Proprio per quanto detto, la comunità non ha alcun diritto di sostituirsi
al singolo: finirebbe, altrimenti, per soffocarlo e verrebbe perciò meno al
proprio compito. Il dovere della comunità prima che etico è ontologico, cioè
relativo al rispetto delle leggi costitutive della propria specifica forma di
relazione. Una comunità che si sostituisse all'individuo sarebbe, magari in
misure diverse, priva di attenzione, accoglienza, e discrezione. In essa
l'individuo si sentirebbe non accolto e finirebbe, quindi, per ritrarsi, se non con
atto pubblico-formale almeno con una decisione intima di non-appartenenza.
Siccome la comunità non ha realtà ontologica indipendentemente dal
radicamento nei suoi membri, la comunità che viene meno alle proprie leggi
di relazione finisce col venire meno anche nel suo radicamento ontologico, in
quanto le persone si ritraggono da essa. Il dovere della comunità, cui il
principio di sussidiarietà si riferisce, è quindi filosofico-sociale prima che
morale.
III.1.1.2. Comunità e società
Anche innalzandosi di livello le cose, nel loro principio fondamentale, non
cambiano. La comunità, in quanto luogo del legame interpersonale più intimo,
Aldo Battista Il principio di sussidiarietà nel diritto italiano e comunitario
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ha un'attività propria. Al venire meno della comunità non vi è possibilità per il
singolo di esprimere le esigenze fondamentali di cui si è detto. Le forme
societarie ampie sono per propria costituzione inadatte a fornire al singolo
quello spazio interpersonale intimo di cui egli, peraltro, necessita. È perciò
importante che le forme societarie non pretendano di sostituirsi all'attività
comunitaria nei casi in cui questa è in grado di gestirsi in maniera autonoma.
La non sostituzione è però solo il livello minimale e sarebbe comunque
opportuno che lo affianchi anche un atteggiamento vigile delle società
competenti affinché le comunità siano messe nella migliore condizione
possibile di svolgere il loro compito.
Dato che i vissuti comunitari hanno esistenza nelle attività collettive,
l'invadenza delle forme societarie a questo livello non è solamente irrispettosa
delle forme inferiori: giunge a minacciarne la stessa esistenza. Mentre infatti
l'eventuale invadenza della comunità che si sostituisse al singolo non
toccherebbe l'ontologia personale, al livello superiore in cui una società si
sostituisse ad una comunità si rischierebbe seriamente di compromettere
l'ontologia comunitaria. Per una comunità l'adesione personale dei suoi
membri è fondamentale, ma non è sufficiente: rimarrebbe meramente
intenzionale se non si esprimesse in una trama di attività. Vi devono essere
delle attività in cui si esprime l'adesione personale: esse rappresentano la
concretezza, la fisicità del vissuto comunitario. Se una forma societaria
superiore si sostituisse completamente e permanentemente alle stesse
attività che prima veicolavano un vissuto comunitario, la comunità
rischierebbe di scomparire.
III.1.1.3. L'intervento discreto.
Il principio di intervento discreto è una regola fondamentale del vissuto
intersoggettivo. La sua attuazione è particolarmente importante in ambito
comunitario. Se il principio di sussidiarietà detta le regole del quando
intervenire, quello dell'intervento discreto stabilisce un criterio del come
Aldo Battista Il principio di sussidiarietà nel diritto italiano e comunitario
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intervenire. Esso, al livello più basso, si applica nel caso in cui una persona
ha un bisogno che da sola non è in grado di soddisfare
5
. Tale situazione si
può verificare sia per limiti ordinari della persona (es. l'avere essa un ambito
di competenza limitato), sia per suoi limiti straordinari (es. l'avere essa un
handicap). La comunità in quanto tale, o nella persona di alcuni suoi membri,
è tenuta ad intervenire qualora giudichi che soddisfare il bisogno della
persona costituisca un bene oggettivo. L'obbligo all'intervento dipende anche
da fattori tra cui l'urgenza e l'importanza oggettiva del bisogno, l'importanza
che esso riveste per la persona, le possibilità della comunità di intervenire in
un'efficace azione di sostegno, etc. Oltretutto, si deve stabilire quale sia nella
comunità il soggetto titolare della responsabilità dell'intervento.
Il principio dell'intervento discreto prevede che l'azione comunitaria non
si limiti ad attuare quanto il singolo voleva conseguire, ma che lo metta in
grado di agire per quel fine in maniera il più possibile autonoma. La comunità
assume così un atteggiamento discreto, cioè capace di comprendere la
giusta misura del proprio intervento. L'aiuto viene fornito in maniera tale da
lasciare al beneficiario, quanto più si può, uno spazio di collaborazione e di
impegno personale. Egli ha così diritto di rivendicare almeno una parte del
merito che l'azione comporta: solo in tal modo la persona può crescere e
maturare, esprimendo se stessa. In certi casi, sarebbe preferibile non fornire
alcun aiuto piuttosto che compiere un atto contrario all'intervento discreto. Si
potrebbero altrimenti infliggere umiliazioni che farebbero pesare alla persona
i suoi limiti, e non le consentirebbero invece di viverli come occasione di
crescita nell'attenzione, nella gratuità e nella creatività comuni. Si
rischierebbe poi di creare un atteggiamento negativo nella persona portatrice
5
“L'uomo ha una sovranità sulle cose e soltanto quello che da solo non può
compiere deve essere affidato ad una organizzazione collettiva. Le organizzazioni
collettive per garantire il massimo sviluppo del singolo, devono intervenire solo
nell'esercizio di quelle attività che non possono essere svolte da organismi di grado
inferiore”, in Tocqueville, La democrazia in America, Parigi, 1835.
Aldo Battista Il principio di sussidiarietà nel diritto italiano e comunitario
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del bisogno, la quale finirebbe con l'assumere un ruolo passivo e
rinunciatario.
Quanto fin qui svolto, per descrivere la regola del rapporto individuo-
comunità, si deve poi estendere al rapporto comunità-forme societarie
superiori. L'estensione comporta però un'asimmetria. Il rapporto tra comunità
e forme societarie, diversamente da quello tra individuo e comunità, non ha la
persona come termine di relazione. Le preoccupazioni di non umiliare le
persone che regolavano il livello inferiore assumono, nel livello superiore, una
forma diversa: rispettare, incoraggiare e promuovere l'organizzazione
interpersonale inferiore e non comprometterne la sussistenza in quanto
attività collettiva finalizzata. L'azione dei corpi societari più alti, nell'aiutare
con discrezione i corpi comunitari, deve sempre orientarsi al bene personale,
unico termine di riferimento definitivo.
III.1.2. Idealismo e liberalismo costituzionale tedesco.
L'idealismo tedesco è un'importante corrente di pensiero sviluppatasi
in Germania verso la fine del 1700. Trascinatori di tale movimento sono i
filosofi Wilhelm Von Humboldt e Immanuel Kant. L'idealismo tedesco si
proponeva di realizzare un ideale supremo di “bene comune", inteso come
sviluppo libero dell'individuo, restringendo i fini ed i compiti dello Stato alla
sola sicurezza individuale e collettiva, con esclusione di quel "benessere"
richiamato dalla Costituzione americana.
Anche se questa concezione di uno stato limitato nei fini e nei compiti
va considerata abbandonata, la sua idea di base, cioè la tutela della libertà
individuale attraverso la determinazione di precisi limiti alle attività dello stato,
viene ripresa verso la fine del 1800 sempre in Germania nella nuova corrente
del Liberalismo costituzionale tedesco. Tale movimento si sviluppò grazie agli
scritti di Robert Von Mohl e Georg Jellinek. Secondo questi scrittori non
vanno limitati i compiti e gli scopi dello Stato in sé, ma la loro realizzazione da
parte dello Stato. Per Jellinek lo Stato può e deve agire "nella misura in cui
Aldo Battista Il principio di sussidiarietà nel diritto italiano e comunitario
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l'azione individuale o cooperativa non può realizzare il fine da raggiungere" e
"nella misura in cui lo Stato, con i suoi mezzi, può realizzare nella maniera
migliore l'interesse che si vuole raggiungere". In queste poche righe l'autore
tedesco aveva già enunciato il principio di sussidiarietà praticamente un
secolo fa gettando le basi concettuali per la costruzione di una Germania
federale.
III.1.3. La dottrina sociale cattolica.
La concezione liberale del principio di sussidiarietà converge nel XX
secolo con la dottrina sociale cattolica che ha dato al principio di sussidiarietà
la sua formulazione classica nell'Enciclica "Quadrigesimo anno" del papa Pio
XI, pubblicata il 15 maggio 1931:
"Tuttavia rimane fisso e stabile nella filosofia sociale codesto fondamentale
principio che non può essere né rimosso, né cambiato: come è illecito
sottrarre agli individui ciò che essi possono compiere con le proprie forze e di
loro iniziativa per trasferirlo alla comunità, così è ingiusto affidare a una
maggiore e più alta società quello che le minori e inferiori comunità possono
fare”
6
.
Questa linea di pensiero costituisce un punto di riferimento centrale
dell'insegnamento di Giovanni Paolo II; nell'Enciclica Centesimus Annus, del
1991, si legge: "Disfunzioni e difetti nello Stato assistenziale derivano da
un'inadeguata comprensione dei compiti propri dello Stato… una società di
ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine
6 "Fixum tamen immotumque manet in philosophia sociali gravissimus illud
principium quod neque mutari potest: sicut quae a singularibus hominibus proprio
marte e propria industria possunt perfici, nefast est eisdem eripere et communitati
demandare, ita quae a minoribus et inferioribus communitatibus effici praestarique
possunt, ea ad maiorem et altiorem societatem avocare iniuria est simulque grave
damnum ac recti ordinis perturbatio", in PIO XI, Quadrigesimo anno, in
www.vaticano.va 21.11.2001, n.80.
Aldo Battista Il principio di sussidiarietà nel diritto italiano e comunitario
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inferiore, privandola delle sue competenze… deve piuttosto sostenerla in
caso di necessità ed aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre
componenti sociali, in vista del bene comune".
La formulazione di tale principio rivela primariamente la
preoccupazione di limitare l’azione dello Stato al fine di salvaguardare dalla
sua invadenza l’autonomia dei singoli e delle società minori e intermedie. La
calamità di uno Stato accentratore e assorbente, tendente a sovrapporsi alla
società, era cosa attuale e operante negli Stati fascista, nazista e collettivista
russo. D’altra parte, bisognava evitare anche che, in una società di tipo
liberale, gli individui si trovassero soli di fronte allo Stato.
L’oggetto naturale di qualsiasi intervento dello Stato “è quello di aiutare
in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già di distruggerle o
di assorbirle”
7
. Risulta chiaramente che allo Stato spetta il compito di un
intervento positivo nella società: aiutare, sostenere, integrare le varie membra
del corpo sociale, creando le condizioni favorevoli alla loro autopromozione,
lasciando ad esse ciò che loro compete e le cose che possono assumere in
proprio. “E’ necessario, che l’autorità suprema dello Stato rimetta ad
assemblee minori e inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minor
importanza, dalle quali essa del resto sarebbe più che mai distratta; e allora
essa potrà eseguire con più libertà, con più forza ed efficacia le parti che a lei
spettano, perché essa sola può compiere; di direzione cioè, di vigilanza, di
incitamento, di repressione, a seconda dei casi e delle necessità”
8
. In altri
termini, l’intervento dello Stato, secondo la Quadrigesimo Anno, non deve
essere né intervento minimale né intervento di mera supplenza. Lo Stato è
esplicitamente chiamato a compiere un intervento integratore, che esso solo
può espletare avviandosi verso la figura di uno Stato, la cui attività di
intervento non si esaurisce tutta in apporto che giunge dal di fuori del
sistema, quasi come qualcosa di estraneo e di esterno ad esso, ma è attività
7
PIO XI, Quadrigesimo anno, in www.vaticano.va 21.11.2001
8
PIO XI, Quadrigesimo anno, in www.vaticano.va 21.11.2001, n. 81.
Aldo Battista Il principio di sussidiarietà nel diritto italiano e comunitario
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che entra a costituirlo, come elemento importante, sia mediante azione
imprenditoriale, sia mediante azione programmatrice dell’economia. Il
principio di sussidiarietà non si estende solo al campo politico, anche se si
applica prioritariamente alle relazioni tra Stato e gruppi della società civile,
perché lo Stato rappresenta l’autorità per eccellenza: “Oltre che i singoli
uomini e lo Stato esistono pure altri organismi intermedi aventi una propria
consistenza, una propria ragion di essere, un proprio modo di operare ai quali
dunque deve essere riconosciuta una sfera di azione di un’ampiezza
proporzionata alle rispettive finalità; sfera entro la quale hanno il diritto di
agire automaticamente e sulla propria responsabilità”
9
.
La sussidiarietà è comprensibile soltanto all’interno di una determinata
visione deIl’uomo e della società, richiede cioè alcune condizioni
antropologiche e filosofiche: la fiducia nei soggetti sociali e nella loro cura
dell’interesse generale, l’intuizione secondo cui l’autorità non è detentrice per
natura della competenza assoluta quanto alla qualificazione e realizzazione
dell’interesse generale ma richiede anche una condizione sociologica: la
volontà di autonomia e di iniziativa dei soggetti sociali; mentre l’applicazione
della sussidiarietà coincide con delle tradizioni di libertà. I fondamenti della
sussidiarietà non sono solo negativi e vanno al di là della semplice paura che
le autorità più alte abusino del loro potere. Essi fanno riferimento alla dignità
stessa dell’uomo riflettendo il primato della persona sulle cose, tipico della
Dottrina sociale della Chiesa cattolica: “Nella concezione cristiana della
società l’uomo, lungi dall’essere oggetto ed elemento passivo della vita
sociale, ne è invece, e deve esserne e rimanerne, il soggetto, il fondamento e
il fine”
10
.
In questa Enciclica il principio di sussidiarietà viene visto come criterio
di valorizzazione delle capacità della persona e delle formazioni sociali
9
PIO XI, Quadrigesimo anno, in www.vaticano.va 21.11.2001, n. 85.
10
Pio XII, Radiomessaggio natalizio, in AA.VV., Sussidiarietà, 2000, 25.
Aldo Battista Il principio di sussidiarietà nel diritto italiano e comunitario
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intermedie contro lo statalismo
11
. Infatti Pio XI dice che è al pari di un
sacrilegio il fatto di togliere delle competenze a dei singoli uomini che
potrebbero ben eseguirle e darle alla comunanza, al limite tali competenze
potrebbero essere affidate a comunità inferiori comunque più vicine ai singoli
cittadini.
Si legge ancora in questa Enciclica che dare le competenze alla
comunità è un'offesa per qualsiasi tipo di società e reca un grave danno in
quanto sconvolge il giusto ordine. In sostanza Pio XI afferma che i poteri di un
determinato livello devono occuparsi soltanto delle materie che non
potrebbero essere trattate in maniera soddisfacente al livello inferiore. La
concezione soggiacente è quella della società umana vista come una
gerarchia di differenti comunità ognuna ordinata a fini differenti radicati nella
natura razionale dell’uomo e governata dalla legge naturale. Il modello
gerarchico di società non danneggia le comunità più piccole. Tutte hanno il
loro intrinseco valore e i loro fini oggettivi., La forma superiore non rende
superflua né abolisce la minore, né può assorbire le sue funzioni.
L’implicazione è che ogni comunità più alta realizza una funzione sussidiaria
rispetto a quelle inferiori senza fagocitarle.
Dato che si tratta di un principio e non di una norma la caratteristica
della sussidiarietà è di essere basata su criteri di intervento come l’incapacità,
la negligenza dell’autorità di livello inferiore. Non sarebbe quindi possibile
irrigidire il principio prescrivendo ad esempio in termini giuridici un ambito di
competenze esclusive. Il principio sottintende che non esistono competenze
esclusive e che a seconda delle circostanze può presentarsi la necessità di
un intervento statale minimo, al limite nullo, oppure di un intervento massimo,
totale. La sussidiarietà non va intesa come puro decentramento di funzioni
come la intende il liberismo o il marxismo o qualsiasi cultura non
11
“in questo contesto personalistico la funzione sussidiaria non è quindi secondaria
e unicamente strumentale ma piuttosto una indispensabile dimensione senza la
quale l’uomo non realizza la sua libertà”, in AA.VV., Sussidiarietà, 2000, 26.