4
1.1 ORIGINI DEL PRINCIPIO.
Per un’analisi del principio di sussidiarietà orizzontale è opportuno
prendere le mosse da una ricognizione semantica della parola
sussidiarietà.
Derivante dal latino subsidium (dal verbo subsidere – essere posto
in riserva -, composto da sub + sedère che significa stare,
fermarsi)
1
, il termine ad oggetto sta ad indicare, nel linguaggio
militare, le truppe di riserva che stanno dietro il fronte (subsidiariae
chortes), in contrapposizione alle coorti schierate in prima linea, e
pronte ad intervenire nel caso in cui se ne presenti la necessità
2
.
Nella lingua italiana, il verbo sussidiare e il sostantivo sussidiario
indicano l’aiuto, l’ausilio, l’integrazione. L’idea che la parola
sussidiarietà evoca nel linguaggio corrente può assumere, talvolta,
significati assai differenti.
In un primo significato, la sussidiarietà è qualità di quanto è
secondario, in relazione alla cosa principale, e, per estensione, poco
importante o quantomeno di importanza minore.
1
A. RINELLA, Il principio di sussidiarietà:definizioni, comparazioni e modello di analisi, in
RINELLA A. CHOEN L., SCARMIGLIA R. (a cura di ), Sussidiarietà e ordinamenti
costituzionali, in Quaderni Giuridici, Trieste 1999, pag. 3.
2
J. HOFFNER, La Dottrina Sociale Cristiana, Roma 1986, pag. 39.
5
Tale significato è usato spesso nel linguaggio comune per esempio,
quando, ad un discorso principale, si aggiunge un ulteriore
ragionamento.
Altra cosa è la sussidiarietà quando sta ad indicare l’ausilio, il
sostegno, ed assume un valore suppletivo. In questo secondo caso il
termine perde il suo valore di fatto secondario e, invece, va ad
assumere una posizione principale all’interno di un contesto segnato
dalla presenza di più soggetti operanti in un medesimo contesto o in
contesti contigui.
<<Quando si richiama l’idea di supplenza la parola può
sottintendere i concetti di supplementarietà e di complementarietà.
Supplementarietà quando indica l’integrazione di qualcosa che
altrimenti sarebbe incompleto o parziale>>
3
.
La complementarietà è richiamata, invece, spesso nel linguaggio
giuridico, quando si è in presenza di un elemento che va a
completare un insieme di altri elementi particolari, recando al tutto
una struttura unitaria e creando un compromesso tra i singoli e la
pluralità.
Ampiamente usata nel campo giuridico amministrativo, la nozione
di sussidiarietà così intesa, interviene nelle regolazione delle sfere
di competenza di più organi complementari tra loro facenti capo
alla stessa struttura organizzativa o appartenenti a strutture di livelli
3
A. RINELLA, op. cit., pag. 4.
6
territoriali diversi, secondo un principio ordinatore, detto appunto
“principio di sussidiarietà”.
“ Ma deve tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella
filosofia sociale: che siccome è illecito togliere agli individui ciò
che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per
affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere ad una maggiore e
più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può
fare”, così Pio XI, nel 1931, con l’enciclica Quadragesimo Anno
definiva il principio di sussidiarietà.
Il principio collocato all’interno delle regole ordinatrici di un
organismo giuridico (es. lo Stato) si esprime in prima battuta come
l’espressione giuridica della nozione di sussidiarietà
4
.
Quindi in presenza di due o più soggetti le cui attività si vanno a
sovrapporre, esso si configura non tanto come spartiacque, come
alternativa tra due vie egualmente percorribili, bensì, comporta la
definizione dei casi e dei modi in cui la regola generale può e deve
essere disattesa al fine delle realizzazione del bene comune.
Il principio di sussidiarietà si manifesta, quindi, in via di eccezione.
In altri termini il principio non è esclusivo, né escludente, non porta
all’irrigidimento delle forme delle strutture amministrative ma,
invece, costituisce in momento di elasticità e di più facile
4
Cfr. A. RINELLA, op. cit., pag. 4-5.
7
adattamento di queste alle contingenti condizioni della società
civile.
Sebbene il vescovo Ketteler venga indicato come colui il quale alla
fine del XIX secolo, <<ben prima della pubblicazione delle
encicliche sociali ha formulato in maniera pertinente questo
principio ed è stato il primo a parlare di diritto sussidiario>>
5
, l’idea
di sussidiarietà ha origini ben più remote.
J. Hoffner
6
ci parla di un principio di antichissima sapienza umana.
Gia nel libro dell’Esodo leggiamo questo consiglio dato a Mosè:
“E’ compito troppo grave per te e non puoi resistere da solo, scegli
uomini capaci, e stabiliscili sul popolo come capi di migliaia, capi
di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine così il peso che
grava su di te sarà alleggerito, portandolo anch’essi insieme con
te”(18 18-22). Tommaso d’Aquino tocca il principio di sussidiarietà
quando, richiamandosi ad Aristotele, dichiara che un’unificazione e
una uniformazione esagerata minacciano l’esistenza della
repubblica composta da varie parti, cosi come la sinfonia e
l’armonia delle voci scompaiono quando tutte cantano la medesima
nota. Anche Dante sottolinea nel De Monarchia che l’imperatore
non deve interessarsi direttamente alle piccole questioni di ogni
5
<< Ogni membro inferiore si muove liberamente nella propria sfera e gode del diritto della più
libera autodeterminazione e autogoverno. Solo quando il membro inferiore di questo
organismo non è più in grado di raggiungere da solo i propri fini o di far fronte da solo al
pericolo che minaccia il suo sviluppo, entra in azione in suo favore il membro superiore>>.
(W. E. KETTELER, La questione operaia e il cristianesimo, Venezia 1870, pag. 91.)
6
J. HOFFNER, op. cit., pag. 41.
8
città, perché le nazioni, i regni e le città hanno caratteristiche
proprie e diverse, di cui bisogna tener conto in leggi speciali
7
.
Altusio nella sua Politica contribuisce a disegnare i contorni di un
momento nel quale il problema non sarà più quello della scelta dei
regimi, ma quello dell’autonomia degli uomini, che hanno
possibilità di esercitarla solo per mezzo e all’interno delle comunità
intermedie. Agli inizi dell’800 Tocqueville in Francia e Hegel in
Germania pur partendo da contesti molto differenti, ricercano
nell’idea ancora acerba di sussidiarietà la soluzione a problemi
sociali e politici dell’epoca. Durante il XIX secolo la nascita delle
due grandi ideologie: il socialismo e il liberalismo, porteranno
alcuni autori a muovere critiche a queste correnti di pensiero e,
nonostante i diversi punti di vista e le differenti conclusioni (e i
diversi ambiti), vi sarà un’impostazione generale consistente nel
riconoscimento di un’autonomia dell’uomo che è differente dalla
libertà come viene concepita dai liberisti e di un bene comune che
non coincide con l’uguaglianza rivendicata dalle correnti socialiste.
A cavallo tra l’800 e il 900 i Papi, per la prima volta cominceranno
ad interessarsi nelle encicliche e nei messaggi al problema socio
politico, inaugurando una tradizione che fino ai giorni nostri ha
contribuito alla definizione del principio di sussidiarietà inteso in
senso moderno, e ricercheranno la soluzione nello stato sussidiario,
7
J. HOFFNER, op. cit., pag. 42.
9
estendendo poi il principio anche alla materia dei rapporti
internazionali.
L’idea di sussidiarietà, quindi, ha subito nel corso della storia
un’evoluzione molto complessa.
Il principio com’è oggi inteso presenta una lunga serie d’aspetti
(che tuttavia sono integrati in un tutto unico). E’ da notare, inoltre,
che la sua natura è strettamente legata a quella tradizione europea,
che dall’antichità fino all’era contemporanea ha contribuito alla
definizione dello stato moderno europeo.
I presupposti filosofici all’idea di sussidiarietà derivano da una
determinata visione dell’individuo, inteso come singolo; della
società, quale luogo all’interno del quale si manifesta l’essenza di
ogni singola persona; del ruolo dello stato quale istanza suprema di
una comunità.
In questo discorso un ruolo centrale è assunto dal concetto di
dignità. L’idea tomista di persona rappresenta il nucleo del discorso
filosofico che conduce alla sussidiarietà. Unico valore ontologico,
essa racchiude in sé tutti gli altri valori, che si presentano quindi
come derivati. La libertà (di fare e di pensare), l’uguaglianza, la
responsabilità sono valori compresi nella dignità che mai si
identifica o coincide con uno solo di essi
8
. La sua natura, pur
essendo ricondotta ad una precisa visione che lega l’uomo al
8
J. HOFFNER, op. cit., pag. 44.
10
Creatore, ha la pretesa di far riconoscere la dignità come valore
universalmente condiviso. Tuttavia essa necessita di essere definita
in modo assoluto e definitivo. Nonostante i tentativi che la filosofia
ha fatto per trasporla su un piano razionale, i risultati hanno sempre
condotto a definizioni parziali e relative. Paradossalmente è proprio
la natura trascendente che gli fornisce quello status di valore
ontologico e assoluto
9
.
Tutti gli uomini sono eguali di fronte a Dio, sono degni e lo sono
allo stesso modo. Non esiste una scala di dignità, ciò implica
un’uguaglianza di partenza che è fondamentale nella definizione dei
diritti e dei doveri di cui ogni individuo è titolare.
La dignità, valore assoluto, tuttavia non si manifesta in modo
sempre uguale, anzi è fortemente influenzata dalle condizioni
storico-politico-sociali di un dato momento. In base alla concezione
aristotelica per la quale l’uomo è ciò che fa, ad ogni individuo si
riconosce un diritto d’autonomia (che è libertà e responsabilità).
L’autonomia, quale manifestazione dell’essere attraverso la propria
opera, implica anche il diritto di proprietà, poiché essendo i beni
frutto dell’azione, privare un individuo dei propri beni equivale a
deturpare la propria essenza.
La dignità non si esaurisce con l’autonomia, la sua concretizzazione
passa, anche attraverso altri valori. Uno di questi è il benessere,
9
MILLON-DELSOL, Lo Stato della sussidiarietà, Gorle 1995, pag. 120 e ss.
11
quale insieme di condizioni e di mezzi necessari per condurre
un’esistenza “umana”
10
. La definizione di questa situazione non è
mai definitiva e varia con il passare del tempo e il progresso della
civiltà.
Il valore della dignità, quindi, implica in capo ad ogni uomo diritti
quali la libertà, la proprietà privata, la responsabilità, l’uguaglianza
(in partenza), il benessere. Diritti dei quali ogni autorità deve tener
conto e dai quali non può prescindere nell’esercizio delle proprie
funzioni.
La visione della società, che ha accompagnato i sostenitori del
principio di sussidiarietà, non è stata sempre la stessa. Fin
dall’antichità il modello di riferimento era un tipo di società
organica in cui l’uomo e le comunità intermedie, come in un
organismo animale, costituivano le membra di un corpo, di un tutto
unico. Aristotele, infatti, descrive la società del suo tempo con una
serie di cerchi concentrici, dove l’individuo costituisce il centro e lo
stato, quale istanza suprema, è rappresentato dall’ultimo anello più
grande rispetto agli altri; tutte le altre comunità (la famiglia, il
villaggio) stanno all’interno tra questi due estremi ed ognuna
contiene quella di dimensione inferiore ed è contenuta da quella di
10
“Occorre rendere accessibile all’uomo tutto ciò di cui ha bisogno per condurre una vita
veramente umana, per esempio: nutrimento, abbigliamento, ambiente, diritto di scegliere
liberamente la propria condizione di vita e di fondare una famiglia, diritto all’educazione, al
lavoro, alla reputazione, al rispetto, a una informazione conveniente, diritto d’agire secondo la
propria coscienza, diritto alla salvaguardia della vita privata e a una giusta libertà, ivi compreso
in materia religiosa.”GIOVANNI XXIII, Vaticano II, par. 74.
12
dimensione maggiore. Tuttavia la posizione dell’individuo e delle
comunità rispetto allo stato e il ruolo che va ad assumere
quest’ultimo, hanno subito diverse mutazioni durante
l’avvicendamento e il confronto tra le varie correnti di pensiero.
Gli antichi concepivano l’uomo solo all’interno dei gruppi sociali.
La sua esistenza è inscindibile dal tutto unico, Aristotele, nel
descrivere la condizione dell’individuo, paragona l’uomo fuori
dalla società ad un piede o a una mano staccati dal corpo, membra
destinate a morire
11
.
Solo dopo San Tommaso viene introdotta l’idea di un uomo come
universo a se stante, ciò deriva dalla visione cristiana del rapporto
tra creatura e creatore, tra persona e Dio. Tuttavia la società che ci
troviamo di fronte, è ancora una società organica dove all’individuo
non è riconosciuta una libertà di coscienza e dove fondamentali
risultano essere le comunità intermedie, che in una situazione di
latitanza dell’istanza statale, svolgono un ruolo determinante nel
soccorso all’individuo.
Solo nell’800 dopo le forti tendenze individualiste nel liberalismo,
troviamo in alcune correnti laiche e nella dottrina sociale cristiana
tutti gli elementi che hanno accompagnato la definizione del
principio di sussidiarietà cosi come noi lo intendiamo.
11
ARISTOTELE, Politica, I, 2, 1253°, pag. 25-26, Bari 2000.
13
La posizione dell’individuo nella società è autonoma, ad egli non
solo è riconosciuta un’autonomia di fare, ma anche di decidere e di
avere idee proprie. Le persone, singole e nel complesso, sono il
punto di partenza e il fine ultimo di tutte le azioni della società e
delle istanze governative. I gruppi sociali rivestono un ruolo
strategico nell’intermediazione tra lo stato e il singolo. Anch’essi
sono titolari di diritti poiché l’espressione (più o meno) diretta
dell’autonomia dei cittadini e portatori di interessi di determinate
categorie di persone.
Si tratta di una società complessa dove lo stato rappresenta l’ultima
istanza, poiché l’unico a poter garantire l’autosufficienza alla
comunità, e dove l’individuo è membro e interlocutore di diversi
soggetti aventi natura e dimensione sempre differenti.
Il riconoscimento della dignità della persona, e la conseguente
attribuzione di tutti i diritti che da essa derivano, portano, sul piano
della società nel suo complesso, un dovere ad assicurarne la
effettiva concretizzazione attraverso una condizione di benessere
diffuso
12
. A questa realizzazione delle condizioni necessarie per lo
sviluppo della persona umana è chiamato, in ultima istanza, lo stato,
quale soggetto supremo e unico in grado di garantirne la sicurezza e
la stabilità. In questo contesto è opportuno introdurre l’idea di bene
comune, quale bene della società intera, per il quale passa lo
12
A. RINELLA, op. cit., pag. 33.
14
sviluppo di ognuno. Il senso dell’idea di bene comune è duplice: da
una parte indica la doverosa apertura delle persone e gruppi sociali
a dei loro legittimi interessi particolari, agli interessi generali, nel
superamento d’ogni forma di corporativismo; dall’altra indica un
insieme di condizioni generali, affinché le persone e i gruppi sociali
possano raggiungere la loro finalità e vocazione. <<Proprio perché
l’istanza contenuta nel concetto di bene comune è equidistante sia
dal polo individualista come dal polo collettivista, il principio di
sussidiarietà non può dispiegare completamente i suoi effetti a
partire da un progetto di società di ispirazione liberale, come pure
non può essere realizzato completamente a partire da un progetto di
tipo collettivista o dirigista. Soltanto in una società in cui
l’individuo si pone in relazione d’interdipendenza con gli altri, si
può costituire l’adeguato ambito per la realizzazione della nozione
di sussidiarietà>>
13
. E’ da notare che lo stato, nella sua posizione di
primazia, è nella condizione migliore per l’elaborazione degli
indirizzi necessari a che tale bene possa realizzarsi. L’istanza
pubblica non è creatrice del bene comune, poiché esso risulta dalla
sintesi dei beni dei singoli soggetti, tuttavia ne è custode. Pur
rimanendo lo stato il titolare di un ruolo di direzione, ogni soggetto
sociale concorre al bene comune, al quale apporta il suo contributo
13
A. RINELLA, op. cit., pag. 35.
15
e dal quale ne riceve i benefici. <<L’idea di bene comune non si
oppone al bene particolare, ma lo ingloba e lo supera>>
14
.
E’ in questo contesto che si inserisce il principio di sussidiarietà
quale principio ordinatore dei rapporti tra i vari soggetti e della
ripartizione delle funzioni che le autorità sono chiamate ad
assolvere. In una società formata da cerchi concentrici, il rapporto
che c’è tra ogni livello è legato alle nozioni d’autonomia e di
bisogno. Il riconoscimento della dignità fornisce alla persona un
diritto d’autonomia, inteso come libertà di agire e di decidere. Se
l’essere si realizza attraverso le sue opere, negare ad un individuo la
proprietà delle sue azioni significa defraudarlo della sua essenza. E’
pur vero però che il singolo non è in grado di poter assolvere tutti i
suoi bisogni. Ogni qualvolta si presenta un bisogno insoddisfatto, il
livello superiore interviene a colmarlo. Allo stesso modo le
comunità intermedie, che sono sussidiarie all’individuo o ad altre
comunità più piccole, agiscono in favore dei propri interessi fin
quando non si trovano di fronte a delle necessità che non possono
soddisfare e richiedono l’aiuto ai gruppi più grandi. Lo stato che è il
livello superiore a tutti si assume i compiti che nessun soggetto
sociale è in grado di compiere. Questi sono generalmente la difesa
verso l’esterno, la sicurezza interna e la regolazione dei rapporti fra
i soggetti privati.
14
L. LORENZETTI in TOFFI-PIANA (a cura di), Corso di morale, IV, Brescia 1985, pag. 72.
16
<<Il principio di sussidiarietà si pone dunque sull’asse del rapporto
tra istanze diverse, nutrendosi del paradosso dell’autonomia e della
necessità. Ognuno ha il diritto di far da solo, ma non essendo in
grado di far tutto da solo ha bisogno di un organismo più grande
che lo aiuti a soddisfare i propri bisogni>>
15
. Sotto questo punto di
vista il principio di sussidiarietà presenta almeno due aspetti, uno
positivo e l’altro negativo. In base al diritto d’autonomia
riconosciuto agli individui e alle formazioni sociali, l’aspetto
negativo si presenta come un dovere di non-ingerenza da parte
dell’istanza pubblica negli affari dei privati, al fine della
realizzazione dell’uomo mediante le proprie opere e del contributo
che queste opere apportano nella costruzione del bene comune.
L’aspetto positivo della sussidiarietà, invece, attribuisce ad ogni
autorità il potere-dovere di sostenere, assistere, e quando
necessario, sostituire l’attore insufficiente nella soddisfazione di un
bisogno, in base a quell’idea di bene comune al quale, in questi
casi, la società non riesce ad adempiere in tutto o in parte
16
. La
caratteristica originale del principio di sussidiarietà sta nella sua
grande flessibilità di fronte alle situazioni contingenti, riesce,
infatti, a risolvere il paradosso dell’autonomia e della necessità
accentuando l’uno o l’altro aspetto senza entrare in contraddizione.
15
L. LORENZETTI, op. cit., pag. 74.
16
L. LORENZETTI, op. cit., pag. 75.
17
Benché postuli il rispetto degli individui e dei gruppi intermedi,
esso non mette in discussione l’importanza dello stato, ma, anzi, si
preoccupa di valorizzarlo attribuendogli soltanto i compiti di
regalità o richiedendo il suo intervento (in ultima istanza) solo in
presenza di un’effettiva necessità.
Il principio di sussidiarietà, quindi, nasce e trae la sua origine
concettuale e culturale nella sfera dinamica delle relazioni tra lo
stato e la società civile
17
. In questo contesto il principio si pone su
due piani operativi, uno orizzontale e l’altro verticale. Pur
mantenendo lo stesso criterio, esso nel primo caso attiene ai
rapporti tra l’istanza pubblica e l’individuo e i gruppi sociali in
ordine a: ripartizione dei compiti legati alla concretizzazione del
bene comune, autonomia degli attori sociali di perseguire le proprie
finalità, dovere di soccorso da parte dell’istanza pubblica in caso di
bisogno.
Sul piano verticale, invece, la questione è incentrata sulla gestione
delle funzioni attribuite alla sfera pubblica, secondo il criterio di
prossimità che attribuisce alle istanze più vicine alla situazione di
bisogno la titolarità dell’azione sussidiaria e trasferendola ai livelli
superiori solo nei casi in cui le prime non siano in grado di recare il
soccorso o quando la natura del soccorso sia incompatibile con la
dimensione territoriale o particolare dei livelli più vicini.
17
A. RINELLA, op. cit., pag. 35.