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Introduzione
Nella prima parte di codesto scritto si vuole andare ad analizzare i contenuti disposti dalla
riforma Gelli-Bianco (Legge n.24/2017) e le correlate questioni, principalmente le novità inerenti
alla responsabilità in ambito sanitario che sono sorte dopo la sua emanazione. Per fare ciò ci si
deve soffermare sulla distinzione che sussiste a livello civilistico della responsabilità mediante
esamina degli istituti della responsabilità contrattuale e della responsabilità extracontrattuale.
Questo passaggio ci consente di capire come diversi legislatori e giuristi italiani si sono
susseguiti tra loro per cercare di definire i criteri per la determinazione della natura della
responsabilità del medico e della struttura sanitaria. Sul tema della responsabilità medica difatti
è intervenuta storicamente la nota sentenza n.589/1999 della Corte di Cassazione con l’affermare
che la responsabilità del medico poteva essere inquadrata come responsabilità da contatto
sociale, offrendo il passaggio evolutivo del tempo dalla visione della singola responsabilità della
figura medica alla responsabilità sociale sanitaria. La questione verrà ripresa in considerazione
da parte del legislatore nel 2012 con l’intervento del c.d. Decreto Balduzzi (convertita poi in
Legge n. 189/2012) il quale prende posizione dichiarata sulla natura della responsabilità del
medico con il richiamo esplicito all’art. 2043 c.c. (responsabilità extracontrattuale). L’analisi del
Decreto Balduzzi è necessaria in quanto poi i concetti e le norme disposte verranno ripresi e
superati dalla riforma Gelli-Bianco del 2017. La Legge n.24/2017 non si propone di definire
soltanto gli ambiti in cui ricade la responsabilità sanitaria (nascita del c.d. doppio binario della
responsabilità) ma compie un passo in più verso la tutela della salute dell’individuo ex art. 32
Cost, prevedendo all’art. 1 del comma 2 che “la sicurezza delle cure si realizza anche mediante
l’insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso
all’erogazione di prestazioni sanitarie e l’utilizzo appropriato delle risorse strutturali,
tecnologiche e organizzative”.
Il concetto della sicurezza delle cure si riflette parallelamente anche sull’operato dei
professionisti sanitari, i quali hanno l’obbligo di attenersi, nell’esercizio della propria professione,
a determinati protocolli, procedure e linee guida accreditate dal mondo scientifico, al fine di
fornire le cure più sicure e di qualità possibili, nel rispetto del principio del neminem laedere e di
non recare danno alla persona assistita, danno suscettibile della generazione di responsabilità
sanitaria. La necessità di fornire delle cure sicure e di qualità ha comportato una notevole
revisione del concetto di salute e di innovazione dei sistemi e modelli organizzativi e gestionali
sanitari. Con queste premesse legislative prende sempre più piede il tema del rischio clinico e
sanitario, un tema sempre attuale in quanto, come da art. 4 comma 1 della Legge Gelli-Bianco,
ogni Regione ha l’obbligo di attuare percorsi idonei per la gestione del rischio sanitario da parte
delle strutture sanitarie e sociosanitarie (sia pubbliche che private) nel rispetto della sicurezza
delle cure.
Nella seconda parte ci si vuole soffermare sull’analisi del sistema sanitario della regione Friuli-
Venezia Giulia e di come questa, sulla scia anche delle novità introdotte dalla riforma Gelli-
Bianco, abbia cambiato la connotazione dell’organizzazione della rete dei servizi sanitari in
favore dell’introduzione di organismi di controllo e di risk management disposti su più livelli.
Passaggio ulteriore effettuato dalla regione Friuli-Venezia Giulia è stato quello di istituire la
“Rete Cure Sicure FVG” nel 2016, mediante Delibera regionale n.1970 del 21 ottobre, ossia una
vera e propria rete integrata che si occupa della gestione e del coordinamento di tutte le attività
connesse alla sicurezza delle cure e di rischio clinico. Tramite La Rete Cure Sicure FVG la regione
si occupa sia del monitoraggio del corretto operato delle aziende sanitarie presenti sul territorio
sia dell’erogazione di documenti programmatici, aggiornati in vista delle migliori evidenze
scientifiche disponibili, da osservare nel rispetto dell’erogazione di cure e prestazioni sanitarie
che siano di qualità. Dunque, vi sono programmi regionali che riguardano i settori più delicati
suscettibili ad errore clinico e conseguente danno al paziente, e per questi motivi devono essere
analizzati dagli organi preposti alla gestione del rischio clinico. La regione Friuli Venezia Giulia
con i programmi della rete sulla sicurezza delle cure si concentra sulla revisione dei Bundle per
la prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza, sulla buona tenuta delle linee guida per la
somministrazione adeguata degli antibiotici (Antimicrobial stewardship), sulla realizzazione e
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aggiornamento delle linee guida regionali per la sicurezza delle pratiche clinico-assistenziali,
sulle linee guida per la gestione del rischio caduta negli scenari sanitari e di cura, su programmi
di monitoraggio territoriali per la gestione del paziente al di fuori dei contesti ospedalieri
(programma Sicuri a casa, per la gestione del paziente a domicilio).
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Capitolo primo
Analisi degli istituti giuridici fondamento della
responsabilità sanitaria
1. Analisi degli istituti giuridici relativi alla responsabilità
contrattuale ed extracontrattuale
1.1 La responsabilità contrattuale
In questi primi due capitoli pare opportuno affrontare la tematica della responsabilità
contrattuale ed extracontrattuale, in quanto nel caso sussista una responsabilità medica, la
norma ha fatto sì nel corso del tempo che tale responsabilità, a seconda della fattispecie
riscontrata, sia riconducibile a una responsabilità di tipo contrattuale od extracontrattuale.
La riconducibilità a una responsabilità di tipo contrattuale od extracontrattuale è sempre stato
un tema centrale da affrontare e rivedere tramite interventi legislativi in questi anni. Capire la
natura della responsabilità in ambito civile è fondamentale: questo è determinante per le
ripercussioni che vi possono essere sul piano sostanziale e procedurale (ad esempio che tipologia
di prescrizione è prevista, chi ha l’onere della prova della responsabilità e del danno).
In questo capitolo tratteremo della responsabilità contrattuale nella sua previsione generale.
Quando parliamo di responsabilità di tipo contrattuale dobbiamo citare necessariamente l’art.
1218 del Codice civile, che afferma: ‘’Il debitore che non esegue esattamente la prestazione
dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo è
stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa da lui non
imputabile’’. Da una prima lettura di tale articolo, risultano due concetti fondamentali da tenere
in considerazione: il concetto della ‘possibilità’ od ‘impossibilità’ della prestazione, il concetto
della ‘imputabilità’ o ‘non imputabilità’ al debitore. Di fronte alla chiamata in causa da parte del
creditore, il quale reclama l’inadempimento della prestazione e chiede il corrispettivo ed
eventuale risarcimento, il debitore che non vuole rispondere della responsabilità, alla quale
risulta essere chiamato in causa, dovrebbe provare per prima cosa che egli non è riuscito a
adempiere al compito richiesto poiché la prestazione, concordata agli albori, è diventata
impossibile da eseguire. Ma questa prova non sarebbe però sufficiente per scagionarsi
dall’accusa di inadempimento: il debitore dovrebbe altresì dimostrare che questa impossibilità
sopravvenuta non è a lui imputabile.
L’art. 1218 c.c. rappresenta essere il fondamento dal quale partono poi tutta una serie di articoli
del Codice civile relativi alla responsabilità per inadempimento, che vanno a disciplinare i casi
specifici di responsabilità, individuati secondo la relazione che sussiste tra i diversi tipi di
obbligazione che si possono venire a concretizzare. Questo articolo del Codice civile
chiaramente investe il debitore del fatto di dover dimostrare che l’inadempimento della
prestazione non è stata eseguita per determinati motivi riscontrati o sopravvenuti durante
l’esercizio della sua professione e delle mansioni da lui svolte.
Detto questo, passiamo ora ad analizzare più nel dettaglio i due concetti fondamentali su cui si
erge l’art. 1218 c.c.: l’impossibilità della prestazione e l’imputabilità al debitore.
Vi è la necessità di capire cosa sta a significare ‘’impossibilità’’ della prestazione: l’impossibilità di
cui si fa riferimento è un’impossibilità di tipo oggettivo ed assoluto. L’impossibilità della
prestazione si considera oggettiva in quanto non dipende da una determinata condizione
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propria del debitore; considerata altresì assoluta i quanto non può essere arginata o superata
mediante alcun sforzo compiuto dal soggetto debitore. Possiamo dunque fare un semplice
esempio di prestazione che diviene impossibile: si pensi ad un treno merci che debba
consegnare in un determinato paese estero una particolare specialità di carne, ma che nel
frattempo quest’ultima venga bandita dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare del
paese d’arrivo. Ecco, in questo caso lo scenario che si prospetta, il debitore non può
intraprendere nessuna strategia per il superamento della legge locale, né quantomeno la
situazione si può certo affermare che nell’origine è stata ‘innescata’ dal soggetto debitore.
Il criterio però dell’impossibilità della prestazione in chiave oggettiva e assoluta è un criterio che
però risulta essere molto oneroso da dimostrare da parte del soggetto debitore.
Difatti, il concetto dell’impossibilità lo si deve rilegge in ottica anche di altri due articoli del
Codice civile, disposti in materia di obbligazioni, che apportano altri due principi generali da
tenere bene a mente: il principio della diligenza e il principio della correttezza. Il principio della
diligenza è riportato all’art. 1176 del Codice civile, disponendo in questo modo ‘’Nell’adempiere
l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. Nell’adempimento
delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi
con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.
Il principio della correttezza viene enunciato dall’art. 1175 del Codice civile: ‘’Il debitore e il
creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza”. Questo sta a significare che
l’inadempimento di una prestazione potrebbe verificarsi anche a seguito di condizioni che
mettono in seria difficoltà e precarietà il soggetto debitore come l’insorgenza di costi più
onerosi da sostenere, il riscontro di difficoltà che potrebbero comportare ad una certa
pericolosità della prestazione. Situazioni che mettono alla dura prova l’esecuzione delle azioni
inerenti alla prestazione concordata con il creditore, che però nell’ottica oggettiva non risulta
essere propriamente ‘’impossibile’’. Nell’analisi dell’adempimento commesso dal soggetto
debitore vanno pertanto presi in esame anche questi due principi. Sarebbe auspicabile che il
debitore non risponda di inadempimento in quanto siano sopravvenute circostanze che lo
mettano potenzialmente in pericolo, come sarebbe altresì auspicabile che non ne risponda
quando questo si trovi a ricorrere a mezzi più onerosi e differenti da quelli che si utilizzerebbero
normalmente per l’adempimento della medesima obbligazione. Secondo quanto detto, il
soggetto inadempiente della prestazione è chiamato a dimostrare il grado di impossibilità che
si è venuta a configurare a seguito, in quanto l’impossibilità può assumere varie sfaccettature.
L’importante è che la tipologia di impossibilità sia tale da giustificare il soggetto debitore
dall’inadempimento e liberarlo così dalla responsabilità contrattuale.
La responsabilità da inadempimento imputabile al soggetto debitore può essere di due
tipologie: si può avere una responsabilità per colpa oppure una responsabilità di tipo oggettivo.
Si propone di seguito una distinzione delle due tipologie di responsabilità, ma vi è da tenere a
mente che la responsabilità per inadempimento possono sussistere al contempo sia elementi di
‘colpa’, sia elementi di ‘non colpa’.
Nella responsabilità per colpa, come suggerisce la parola stessa, si ha una colpa deputabile alla
persona debitrice, ossia da azioni, fatti od omissioni che derivano da suo diretto
comportamento. La giurisprudenza ha ritenuto fondamentale chiarire il significato del concetto
di colpa: difatti, la colpa
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è qualsiasi forma di imprudenza, negligenza, imperizia, che il
danneggiante ha commesso nel compiere l’atto o l’attività dalla quale deriva il danno; il
soggetto responsabile risponde per non avere improntato la propria condotta all’uso di quelle
cure e di quelle cautele che ogni persona è tenuta ad adottare negli ordinari rapporti della vita.
Per non far in modo che non vi sia colpa generica, il debitore deve operare con l’opportuna
diligenza richiesta dalla situazione specifica. Un comportamento definito ‘diligente’ si ottempera
quando il soggetto debitore esegue la sua professione, il suo lavoro, le sue azioni con una certa
curanza, prudenza e applicandosi in tutta la sua competenza e professionalità. La
commisurazione della diligenza non è facile da determinare, ma l’art. 1176 del Codice civile ne
determina di certo una sfaccettatura che debba essere rispettata, ossia quella che adotterebbe
1
Cass. civ., Sez. III, 27 novembre 1972, n. 3462
5
il ‘’buon padre di famiglia’’. Difatti l’art. 1176 c.c. così dispone: “Nell’adempiere l’obbligazione il
debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. Nell’adempimento delle
obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con
riguardo alla natura dell’attività esercitata (c. 2)”. Inerentemente a tale articolo, la diligenza
2
che dovrebbe essere adottata quella che adotterebbe un altro soggetto nella medesima
situazione con serietà e dedizione, tenendo conto che comunque non esista una gradazione di
diligenza che sia universalmente riconosciuta per tutti. Difatti il grado di diligenza da adottare è
diverso a seconda della prestazione e del ruolo professionale o lavorativo che si va a ricoprire in
un determinato scenario. La diligenza va calibrata e va distribuita sulle varie azioni che vengono
intraprese dal soggetto debitore; le azioni e i comportamenti che vengono adottati dal
professionista sono tutti vincolati da regole, protocolli, procedure, leggi, consuetudini
socialmente e legalmente condivise. Più il soggetto debitore si attiene al rispetto delle regole
previste dalla disciplina del campo di appartenenza, più il soggetto debitore adotterà una
condotta che rispecchia la diligenza auspicata.
Altri elementi che troviamo citati nella definizione di colpa sono l’imprudenza e l’imperizia. Un
soggetto pone in essere un’azione definita imprudente quando viene intrapresa non valutando
abbastanza coscientemente i rischi, i pericoli e gli eventi dannosi che potrebbero verificarsi.
L’imperizia, diversamente, si ha nel soggetto che data la poca esperienza nel campo di
appartenenza e data la correlata poca abilità, adotta in essere comunque azioni che
coscienziosamente non dovrebbe adottare. Il soggetto imperito, appunto, è poco esperto in
quella materia o settore specifico, e dunque non possiede tutte le nozioni e gli strumenti che
garantirebbero in estrema potenzialità la buona riuscita dell’azione intrapresa.
La colpa da assoggettare al soggetto debitore può presentarsi con diversi livelli di intensità.
Possiamo avere una colpa di intensità più bassa, definita come colpa lieve (o colpa ordinaria).
Possiamo, invece, talvolta riscontrare la sussistenza di una colpa che è legata a fattori di
maggiore gravità e intensità all’interno dello scenario indagato: la colpa grave.
Nella colpa lieve si configura la violazione della consueta diligenza, quella diligenza che deve
appartenere al buon professionista.
Nella colpa grave, di maggiore entità rispetto alla lieve, si configura all’inosservanza dei livelli
minimi di attenzione, prudenza e di competenza da adottare in una precisa prestazione d’opera.
Il legislatore diviene più severo quando sussistono gi elementi che attestano che il prestatore
d’opera o il professionista sia stato disattento, incompetente in determinate circostanze.
La responsabilità del debitore viene soppesata a seconda se sussista colpa lieve o colpa grave. La
legge, in alcune casistiche, prevede che non basti semplicemente la colpa ordinaria (lieve) per
determinare in modo così schiacciante la responsabilità: difatti, la responsabilità si attesta solo
se l’inadempimento del debitore è correlato alla sussistenza di colpa grave. In tal senso,
richiamiamo l’art. 2236 del Codice di procedura civile, in quanto proprio viene riportato: “Se la
prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera
non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave”.
Il professionista o il debitore può essere anche chiamato a rispondere di responsabilità di tipo
oggettivo, ossia una responsabilità senza colpa. Vi sono delle situazioni dove il debitore è
ugualmente chiamato a rispondere del mancato adempimento della prestazione anche
quando lo stesso inadempimento non dipende strettamente dalle sue azioni. Nella
responsabilità oggettiva sussiste un fattore esterno che ha comportato la non corretta
esecuzione (totale o parziale) dell’attività lavorativa. Tale fattore esterno deve essere
necessariamente indagato, poiché è molto importante capire se il debitore avrebbe potuto
mettere in pratica delle azioni di tipo preventivo per eliminarlo o mitigarlo. Si parla dunque di
rischio. La legge prevede che il debitore debba rispondere dei rischi che sono caratteristici e
intriseci della propria attività lavorativa. Parliamo di rischi tipici: su questi il lavoratore, il
professionista, può con l’esperienza e con le buone pratiche (condivise dalla più ampia platea di
professionisti appartenenti alla stessa categoria) cercare di evitare la concretizzazione di tale
2
Trombetta M., Profili di responsabilità, in rivista ‘Agorà’ n. 59, luglio 2016, pag. 63 e sgg.
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rischio, che se si manifestasse comporterebbe alla determinazione sicura di un danno.
Inversamente, non si ritiene propriamente giusto che il soggetto debitore debba rispondere di
fattori esterni che sfuggono totalmente alla premeditazione dell’attività lavorativa e a tutte le
previsioni possibili. Stiamo parlando di fattori esterni che sfuggono all’organizzazione
dell’operato del soggetto debitore: stiamo parlando di caso fortuito. Il caso fortuito è
chiaramente un fattore esterno, non prevedibile, non calcolabile, che a volte dipende da forti
calamità. Si sta parlando di elementi, eventi, fattori del tutto estranei al controllo del
professionista, che sono riconducibili a cause di forza maggiore.
All’interno della responsabilità per colpa, la giurisprudenza per affermare che in determinate
condizioni una prestazione non è stata eseguita del tutto a causa di fattori esterni, non la
decreta come ‘impossibile’, bensì si dice che la prestazione è divenuta ‘inesigibile’. Quindi il
legislatore può fondare il giudizio di inesigibilità, richiamando quello che è il concetto della
correttezza, come affermato dall’art 1175 c.c. il quale riporta che “Il debitore e il creditore devono
comportarsi secondo le regole della correttezza”. Se in determinate circostanze sfavorevoli al
debitore mettono quest’ultimo fortemente in crisi nel suo operato, nel suo lavoro,
nell’esecuzione della prestazione, il creditore dovrebbe possedere il buon senso di non
pretendere la prestazione concordata agli albori del contratto. Il creditore, appunto, non può
esigere che il debitore effettui la prestazione, quando questa è divenuta decisamente
impossibile per cause esterne sopravvenute che mettono a rischio la non buona riuscita
dell’opera lavorativa o mettono a rischio i soggetti medesimi che hanno stipulato il contratto
(pericolo di vita per il creditore, pericolo di vita per il creditore, rischio infortuni sul lavoro, rischio
menomazioni a carico di persone terze coinvolte nella prestazione concordata, ecc. ecc.)
Ancora, altri criteri che sono presi in esame nello svolgimento della prestazione concordata
all’interno di un contratto sono: l’obbligazione di mezzi e le obbligazioni di risultato. La regola
che si fonda sull’obbligazione di risultato prevede che il debitore è fortemente e
indiscutibilmente tenuto a raggiungere, creare o fornire al creditore il risultato concordato e
previsto nella formulazione del contratto. Quindi nell’obbligazione di risultato, il debitore ha il
dovere di raggiungere quegli obiettivi che sono stati impartiti dal creditore, previsti
esplicitamente dall’accordo della prestazione. In questo criterio, non contano i mezzi utilizzati (a
meno che non vengano anche questi disciplinati dall’accordo contrattuale), ma conta il
raggiungimento del risultato sperato. Ad esempio, nel contratto stipulato tra un’impresa edile e
un soggetto privato (creditore), viene concordata la costruzione di una villa: in questo caso non
importa la tipologia di cemento che viene utilizzata, il tipo di mattone che viene scelto, la
quantità di operai effettivamente impiegati sul campo, conta solamente che si raggiunga il
risultato concordato in principio, e che questo risultato complessivamente sia stato edificato a
regola d’arte.
Dimostrare, eventualmente, di non essere responsabile in caso di inadempimento della
prestazione concordata in una situazione dove vi è un obbligo di risultato non è del tutto così
semplice: le modalità per provare che non sussista nessuna responsabilità sono ardue, e in ogni
caso al debitore o professionista non basterà utilizzare il principio dell’utilizzo della diligenza
prevista posseduta dal ‘buon padre di famiglia’.
Nell’altra tipologia di obbligazione abbiamo l’utilizzo di mezzi. Ci sono difatti alcune attività che
prevedono il solito obbligo di mezzi, e non di risultato. In questo caso l’adempimento della
prestazione dovrà essere condotto con mezzi adeguati e/o previsti dal contratto: il debitore
eseguirà la prestazione concordata a livello contrattuale nel modo atteso, ma in questo caso
non è tenuto a garantire il risultato sperato dal creditore. La regola dell’obbligazione di mezzi è
di fondamentale rilievo per quanto concerne la disciplina della responsabilità in campo medico
e sanitario.
Il professionista sanitario è tenuto all’obbligo di mezzi, ma non è tenuto all’obbligo di risultato.
Questo in quanto poiché l’attività medica non è un’attività prestabilita, che segue determinate
attività rigide che garantiscono risultati esatti. Come è dato sapere: la medicina non è una
scienza esatta, e in quanto a questo, non può dar luce a esiti certi e indiscutibili. Medesima cosa
è anche il processo assistenziale che circonda la cura propriamente medica: processi,
metodiche, attività, interazioni che derivano dall’operato delle più varie disponibili figure
assistenziali che vi sono ormai nel mondo sanitario odierno.
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L’obbligazione principale del medico o dell’esercente della professione sanitaria è quello sì di
curare al meglio il malato, ma non necessariamente apportare l’estrema garanzia di guarirlo.
I molteplici contenziosi tra medico paziente non possono riguardare la presunzione di risultato.
al paziente vanno garantiti le obbligazioni inerenti all’utilizzo dei mezzi e della più auspicabile
diligenza professionale. Molto spesso nei contenziosi che insorgono tra sanitario-paziente
vengono trascinati molti elementi pur di provare la responsabilità in capo al medico a seguito
della ‘non guarigione’ dalla malattia o dalla condizione patologica (acuta, cronica) in cui versa il
paziente. La Cassazione
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per questi motivi è intervenuta a definire che il paziente non può
pretendere l’obbligo di risultato dall’esercente della professione sanitaria o dalla struttura
ospedaliera. Il chiarimento è emerso e di affermato a seguito della vicenda legislativa tra un
paziente che chiamava in causa la struttura ospedaliera, in quanto recandosi in pronto soccorso
dopo una caduta da cavallo, non gli erano state diagnosticate delle fratture a carico
dell’emitorace destro, ma solo delle contusioni. Le fratture erano state riscontrate
successivamente in occasione di indagine diagnostica di iniziativa presso uno studio radiologico
privato. Il paziente, dunque, pretendeva il risarcimento dei danni subiti a causa dell’erronea
diagnosi formulata dal pronto soccorso della struttura ospedaliera. Quello che sta pretendendo
in questo caso il paziente è un’obbligazione di risultato, ovvero sta pretendendo, in sede di
ricorso, l’esattezza della diagnosi in quel momento in capo al pronto soccorso ospedalieri. Il
legislatore nell’occasione ribadisce e ricorre a uno dei principi stabiliti in precedenza
4
, secondo
cui il soggetto danneggiato può agire per il risarcimento del danno, ma non può ricondurre
sotto la sfera della responsabilità di tipo contrattuale il non raggiungimento del risultato, in
quanto non è automaticamente assicurato della prestazione sanitaria, oggetto
dell’obbligazione, svolta con diligenza ed accuratezza. La corretta esecuzione della prestazione,
sebbene esente da errori o inesattezze, può non garantire il risultato sperato dal soggetto
creditore. Nel caso riportato, non può essere pretesa la corretta diagnosi (obbligazione di
risultato), e inoltre non sussiste responsabilità contrattuale in quanto non è stato provato il
‘nesso di casualità materiale’, ossia la correlazione della condotta del medico o dell’equipe di
pronto soccorso e l’evento (il fatto di aver riportato fratture costali). non va confusa
l’insoddisfazione dell’interesse dell’indagine strumentale con l’esecuzione della prestazione
sanitaria. Infine, secondo quanto riporta sempre dalla sentenza della Cassazione civile n. 26905,
la responsabilità medica si attesta “solo dopo che il paziente ha dimostrato che tra il
peggioramento della salute o la mancata guarigione e la condotta tenuta dal medico
(indipendentemente dall’elemento soggettivo di imputazione della responsabilità) sussiste il
nesso di derivazione causale”. Per questi motivi è stato reso inammissibile il ricorso da parte del
paziente promosso contro il presidio ospedaliero.
Tralasciando il concetto di colpa, della responsabilità connessa, e dei criteri integrativi previsti
dalla dottrina per quello che concerne la prestazione, parliamo ora dell’elemento soggettivo del
dolo, in quanto può sussistere un inadempimento di tipo volontario svolto da parte del soggetto
debitore. Il concetto di dolo risiede nella volontà, coscienza e consapevolezza delle azioni
intraprese dalla persona. Si verifica dolo ancorquando il danno riportato dal creditore non è
strettamente voluto dal debitore, ma è correlato alla possibile conseguenza del comportamento
intrapreso (il così detto dolo eventuale).
Il dolo viene escluso quando il debitore o il professionista non è consapevole perfettamente che
quell’attività da lui svolta, da quell’azione o comportamento in pratica dipendono conseguenze
poi dannose per il creditore (e infatti non vi è la volontà di ledere, e quindi ci ricongiungiamo
all’elemento soggettivo della colpa).
Se per il legislatore la colpa ordinaria o grave è un criterio di sussistenza di responsabilità,
laddove sussista l’elemento soggettivo del dolo è ancora più grave. Il dolo
5
consiste in qualsiasi
inganno, circonvenzione e comportamento volontario atto per raggirare la controparte col fine
di indurla a concludere il negozio. Il dolo che ritroviamo all’interno della responsabilità
3
Cassazione civile sez. VI, 26/11/2020, (ud 16/06/2020, dep. 26/11/2020), n. 26905
4
Cassazione Sezioni Unite, n. 13533 del 30/10/2001
5
Alpa G., Manuale di diritto privato, Padova, CEDAM, 2020, pag. 635
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contrattuale indica, appunto, la volontà di ingannare; diverso è il dolo che ritroviamo all’interno
della responsabilità extracontrattuale è caratterizzato più dalla volontà di voler arrecare danno.
Non è semplice, tuttavia, per il legislatore identificare le perfette dinamiche che si celano dietro
le condizioni psichiche che hanno determinato la scelta di determinate azioni e determinati
comportamenti, che comportino alla fine la non corretta esecuzione o erronea esecuzione della
prestazione.
Il dolo si può distinguere in dolo determinante o in dolo incidente. Il dolo è determinante
quando i raggiri utilizzati da parte del soggetto debitore sono talmente persuasivi che se non vi
fossero stati, a livello oggettivo della trattativa, il creditore non avrebbe mai accettato la
negoziazione in corso, e di conseguenza non avrebbe contrattato (come da art. 1439 del Codice
civile “il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati da uno dei
contraenti sono stati tali che, senza di essi, l’altra parte non avrebbe contrattato”). Invece, il
dolo incidente si verifica quando i raggiri, effettuati da uno dei contraenti del contratto, fanno sì
che il contratto si concluda con condizioni diverse da quelle che avrebbe inizialmente sperato
uno dei due contraenti (il presupposto è comunque la volontà di chiudere il negoziato da
entrambe le parti). Il dolo incidente non comporta l’annullamento del contratto, come da art.
1440 c.c., il quale dispone “se i raggiri non sono stati tali da determinare il consenso, il contratto
è valido, benché senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni diverse; ma il contraente in
mala fede risponde dei danni”.
Il debitore che è chiamato a rispondere di fronte ad elementi di responsabilità per
inadempimento degli accordi contrattuali per dolo, sarà obbligato a forme di risarcimento ben
maggiori rispetto alla responsabilità per colpa.
Parlando più ampiamente di responsabilità di tipo contrattuale, arrivati a questo punto, è di
fondamentale importanza parlare dell’onere della prova e di danno.
Il funzionamento processuale civile dell’onere della prova può essere desunto all’art. 2697 del
c.c., in quanto “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il
fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato
o estinto, deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”. Dunque, all’interno della
responsabilità contrattuale, è il soggetto creditore, il quale chiama in causa il debitore, che è
tenuto a dimostrare i fatti che sono intercorsi nella vicenda che hanno poi determinato un
danno ingiusto. È il soggetto che si dichiara leso che deve dichiarare l’esistenza
dell’obbligazione che esiste tra lui e il soggetto debitore, deve dichiarare l’inadempimento del
debitore, deve dichiarare il danno causato derivante dall’inadempimento e deve affermare
l’imputabilità del tutto al debitore.
Per quanto riguarda l’imputabilità dell’inadempimento al debitore, la norma civilistica prevede
che vi sia un’inversione dell’onere della prova, ossia è il soggetto debitore che, per evitare di
essere riconosciuto come responsabile della vicenda, ed evitare l’obbligo di risarcimento, deve
provare che l’inadempimento non è a lui imputabile. Questo si evince chiaramente dall’art. 1218
del Codice di procedura civile, proprio in quanto “Il debitore (…) è tenuto al risarcimento del
danno se non prova che l’inadempimento (…) della prestazione” non deriva da cause ed eventi
a lui non riconducibili.
All’interno della responsabilità di tipo contrattuale, si evince come il legislatore tenda a tutelare
maggiormente la figura del creditore, in quanto a non rispettare la contrattazione stabilita, per
lo più è sempre il soggetto debitore che risulta inadempiente. All’interno di un processo civile
capiamo per responsabilità contrattuale, capiamo che il creditore è esonerato dal provare le
dinamiche legate all’inadempimento. L’onere della prova è tutta a carico del soggetto debitore.
Capiamo bene che il processo per designare o meno la responsabilità ruota tutta attorno al
trovare le giuste prove che dimostrino di aver provveduto al rispetto del contratto e non solo:
deve da dimostrarsi anche il tutto è stato eseguito con il dovuto rispetto delle norme, protocolli
e adottando la diligenza prevista dal legislatore. L’onere della prova è un procedimento
piuttosto gravoso, ecco perché è di fondamentale importanza capire a quale soggetto viene
impartito il dovere di esibire prove al fine scagionarsi da una presunta responsabilità.