Milano, Bontadini insegnava filosofia teoretica, mentre Severino era docente di
filosofia morale.
La discussione di cui sopra, che pure verrà esaminata in ogni suo giro di
pensiero, non è al centro del nostro lavoro: nostro intento è quello di esaminare e
determinare il valore teoretico d’un enunciato della neoscolastica per mezzo d’un
dibattito innescato dalla contrapposizione d’un pensiero specularmene opposto,
per cui questa tesi ha un obiettivo essenzialmente speculativo.
Non ripercorreremo la storia del pensiero di Bontadini prima dell’enunciazione
del Principio di Parmenide, ma da subito verrà indagato il significato di questo
asserto: il significato dell’assunzione, reinterpretato e riformulato, d’un enunciato
del pensiero antico per un filosofo neoscolastico.
Anche per quanto riguarda Severino vale lo stesso discorso, anche perché buona
parte del suo pensiero è già inclusa nell’articolo nel quale chiama in causa il suo
collega in Cattolica (Severino insegnerà filosofia morale, nell’ateneo
ambrosiano, sino al 1969. Quindi, invitato a lasciare l’incarico per la dissonanza
del suo pensiero con la dottrina cattolica, dal 1970 insegnerà filosofia teoretica
all’Università di Venezia).
Soprattutto analizzeremo la concezione dell’essere che esporrà questo filosofo,
perché sarà dalla disamina dei suoi scritti, dalla valutazione di essi e dal
conseguente giudizio risultante che emergerà uno sguardo compiuto sul
Principio di Parmenide, ovvero, il valore speculativo d’una proposta della
metafisica contemporanea, e questo valore sarà appunto saggiato attraverso il
cimento con la sua antitesi tout court, cioè l’essere e il non-essere secondo
Severino.
Verrà, poi, puntualizzato ciò che Bontadini ribatte al suo interlocutore, e sarà
anche esaminato uno scritto del filosofo milanese non in diretta risposta a
Severino, ma che tuttavia recepisce l’influsso del dibattito stesso e che pertanto
rappresenta una seconda enucleazione del Principio di Parmenide, conseguenza
provocata dalla necessaria chiarificazione dei termini filosofici-chiave che erano
al centro della discussione.
5
Ma verranno anche rilevate le lacune teoretiche di Bontadini, quelle lacune non
gli permetteranno, cioè, né di difendere in modo del tutto coerente la propria
posizione, né di mettere in luce le premesse sulle quali si fonda la speculazione di
Severino: ma, continuando ad insistere sugli stessi spunti polemici, il filosofo
milanese dava segno di non aver rilevato quelle premesse, a nostro avviso errate,
del suo interlocutore, premesse che reggevano e reggono quell’orizzonte di
pensiero.
Ne risulta che le risposte bontadiniane appaiono, per certi versi, centrate troppo
ed inutilmente sulle conseguenze errate del pensiero del suo avversario,
conseguenze derivate da ben precise cause che, come ripetiamo, non vengono
mai messe a fuoco, dando modo a Severino di poter affermare che Bontadini, a
seguito della lettura dell’articolo del 1964, avrebbe dato un’altra impronta
speculativa al Principio di Parmenide, in quanto il filosofo milanese sarebbe
venuto, in parte, sulle sue (di Severino) posizioni.
In realtà, Bontadini preciserà i suoi enunciati in seguito al rigore concettuale di
Severino, questo sì, ma una conversione ontologica non ci fu. Ed anche su questo
punto faremo la chiarezza necessaria.
Nell’ultima parte di questo lavoro, poi, proponiamo una nostra breve riflessione
metafisica, prendendo spunto dalla critica radicale che Severino fa al pensiero
metafisico e, ad hominem, dalle obiezioni che il filosofo solleva nei confronti
della concezione dell’essere e del divenire presente in Bontadini: è possibile, ci
siamo chiesti, cominciare a pensare una metafisica che tenga conto, che non
ignori il discorso sull’essere e sul non-essere fatto da Severino?
La riflessione che abbiamo fatto è un primo tentativo di risposta, un abbozzo, e
dunque con risultati ipotetici: se ne tenga conto, perciò, leggendo quelle pagine.
In conclusione, possiamo dire che due sono gli obiettivi che ci siamo proposti. Il
primo, è quello di saggiare la validità della metafisica di Bontadini, attraverso il
confronto col pensiero di Severino; il secondo, abbozzare una strada alternativa
per il pensiero metafisico, ossia la riflessione di cui abbiamo detto sopra.
6
PARTE PRIMA
LA METAFISICA DI BONTADINI
7
CAPITOLO 1°
IL PRINCIPIO DI PARMENIDE IN DAL PROBLEMATICISMO
ALLA METAFISICA
1.1 Metafisica scolastica e metafisica classica
L’enunciazione del Principio di Parmenide (d’ora in poi P.d.P.) avviene, per la
prima volta, in 19 sintetici punti, messi nelle pagine finali di “Dal
problematicismo alla metafisica”
1
.
ll suo autore, Gustavo Bontadini, è dal 1951 ordinario di filosofia teoretica
all’Università Cattolica, dopo essere stato docente della stessa disciplina a Pavia
(dove aveva avuto come allievo proprio Emanuele Severino, del quale sarà
relatore della tesi di laurea).
Al momento di questa pubblicazione, egli ha già alle spalle diversi scritti, dei
quali il primo è “il Saggio di una metafisica dell’esperienza
2
”, sono pagine
dedicate al senso ed alla necessità della domanda sul fondamento dell’esistenza
umana; del 1942 sono “gli Studi sull’idealismo
3
”, raccolta di articoli scritti prima
dell’opera del ’38. Qui viene valutato positivamente l’apporto dell’idealismo alla
storia del pensiero, in quanto esso è sistema filosofico che rifiuta qualsiasi alterità
ed estraneità dell’essere al pensiero.
Pur tuttavia l’idealismo si presenta come una metafisica della pura immanenza:
questo, per l’autore degli Studi, il suo limite insuperabile.
Successivamente compare “Dall’attualismo al problematicismo”
4
, dove
Bontadini istituisce un confronto tra la posizione della neoscolastica e la filosofia
italiana contemporanea. Da questo confronto con l’attualismo e con l’eredità del
problematicismo, egli arriva alla conclusione che il pensiero metafisico torna
1
1° ediz. Marzorati, Milano, 1952; nuova ediz. Vita e Pensiero, Milano, 1996. Tutte le pagine delle
citazioni che compariranno delle opere di Bontadini si riferiscono sempre all’edizione Vita e Pensiero.
2
1° ediz. Vita e Pensiero, Milano, 1938, 3° ediz., 1995.
3
1° ediz. Argalia, Urbino, 1942; nuova ediz. Vita e Pensiero, Milano, 1995.
4
1° ediz. La Scuola, Brescia, 1946; nuova ediz. Vita e Pensiero, Milano, 1996.
8
d’attualità contro ogni conventio ad excludendum, come una possibilità da
raccogliere e da far crescere.
Successivamente vengono pubblicati gli “Studi sulla filosofia dell’età cartesiana”
e “Indagini di struttura sul gnoseologismo moderno”
5
. Sono opere, queste, di
carattere precipuamente storiografico: viene annotata la nascita del pensiero
moderno nel presupposto infondato, ad opera di Descartes, d’una essenziale
alterità dell’essere al conoscere, ponendo così le basi per l’instaurazione d’un
dualismo gnoseologico che tanta parte avrà poi, nelle fortune e sfortune del
pensiero moderno, e questo tragitto viene esaminato fino a Kant.
1.1.1. Anche in “Dal problematicismo . . .” c’è un confronto, lo dice il titolo
stesso, con la filosofia italiana del ‘900, con Ugo Spirito ed altri problematicisti
come Emanuele Gennaro, ma questo nella prima parte del volume, invece nella
seconda parte c’è qualcosa di diverso. La seconda sezione dell’opera è infatti
dedicata agli Interventi ai Convegni di studi filosofici cristiani (dal 1946 al
1951); questi Convegni erano organizzati da Padre Carlo Giacon, il quale
dirigeva anche il Centro di studi filosofici di Gallarate, ed era l’occasione, quella,
di periodiche riunioni e relazioni scritte, di mettere a confronto la teoresi di
filosofi e pensatori cristiani, sia d’indirizzo neoscolastico che personalista, ed
anche spiritualista.
Il qualcosa di diverso che abbiamo testè annotato, sta nel fatto che, per la prima
volta dal “Saggio d’una metafisica . . .” ad adesso, Bontadini propone la sua
metafisica, la sua proposta metafisica finalmente in positivo, come mai aveva
fatto prima.
Prima, dal “Saggio . . .” in poi, c’era sempre stata una difesa in negativo dei
principi metafisici di base: egli metteva in rilievo le aporie e le contraddizioni del
fenomenismo cartesiano, del dualismo gnoseologico, del pensiero kantiano, ma
non c’era ancora stata una pura e semplice, limpida, per usare dei termini fuori
moda, “dimostrazione dell’esistenza del soprasensibile”.
5
“Studi sulla filosofia ...”, 1° ediz. La Scuola, Brescia, 1947; “Indagini di struttura ...”, idem, Brescia,
1952, entrambe le opere poi riunite in un unico volume intitolato “Studi di filosofia dell’età moderna”,
idem, Brescia, 1966; nuova ediz. Vita e Pensiero, Milano, 1996.
9
Finora tutte le critiche mosse dal filosofo della Cattolica a determinate correnti
di pensiero, avevano lo scopo di mostrarne l’aporeticità, di contro
all’incontradditorietà degli asserti metafisici, ma di questa incontradditorietà, di
questa fondazione, Bontadini non aveva ancora scritto: ecco la diversità, la novità
del volume del 1952.
Non abbiamo intenzione di smentirci. Si era detto, nell’Introduzione, che non
avremmo ripercorso la storia del pensiero di Bontadini, e teniamo ferma questa
intenzione. Ed allora, in breve, poniamoci l’unica domanda che vale, in questo
contesto: per quale motivo, un filosofo neoscolastico, filosoficamente nato e
cresciuto alla scuola del pensiero tomista, nell’enucleazione dei principi-chiave
della metafisica, non riespone la prima via dell’Aquinate, non si rifà ai testi
tomistici di base, non si rifà neppure ad Aristotele, neppure a lui, ma riprende il
pensiero di Parmenide, un presocratico?
La risposta sta nella personalità di questo filosofo: dopo anni di difesa della
metafisica portando alla luce i limiti strutturali (ma anche i meriti) del pensiero
moderno, egli voleva affermare la sua proposta, il suo sistema di asserti che
portano al metempirico. Bontadini, cioè, non intendeva e non voleva essere un
compilatore di manuali del pensiero tomista: questa forma d’esposizione del
pensiero scolastico, forma sedimentatasi poi nei secoli, doveva sembrare
necessariamente sorpassata allo studioso che non aveva aprioristicamente
condannato come errore sic et simpliciter il pensiero di Kant, Hegel e Comte, ma
aveva invece valutato e giudicato questi filosofi collocandoli nella loro propria
dimensione storica, e non facendoli entrare a forza nel letto di Procuste del
binomio verità-errore.
Non solo, ma l’autore del “Saggio di una metafisica . . .” era anche convinto che
la metafisica doveva essere ridotta a pochi incontrovertibili asserti: uno sforzo di
essenzializzazione di contro all’edificazione di un sistema composto di domanda-
risposta, come se tutte le verità di fede sono custodite dal Magistero della Chiesa,
così allora tutte le verità di ragione dovessero essere affidate al pensiero tomista,
caricandolo di pesi e responsabilità fin quasi a schiacciarlo.
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Compito del metafisico, secondo Bontadini, è quello di rendere ragione
puramente e semplicemente dell’esperienza, perchè proprio l’esperienza è stata la
via crucis del pensiero moderno da Descartes in avanti: affermata, respinta,
ipostatizzata, l’esperienza doveva essere il banco di prova per il pensiero
d’ispirazione cristiana.
Rendere ragione dell’esperienza, cioè mediarla, ed essere ben consapevoli di
questa mediazione. L’esperienza è l’essere stesso, è tutto l’essere, oppure fa parte
dell’essere, ne è solo una parte?
Ed ora, a sostegno di quanto sopra, riportiamo proprio le parole del filosofo della
Cattolica, ed andiamo a prendere il nono capitolo di “Dal problematicismo . . .”,
che ha per titolo “Esperienza e metafisica”. C’interessano le pagine 158 e 159,
dove Bontadini, dopo aver ricordato che le correnti di pensiero del nostro tempo,
per la loro stessa struttura sono incapaci di mediare l’esperienza e quindi
rinunciano ad un compito di fondazione, mentre la neoscolastica, al di là del
rapido sorgere e del rapido morire di varie dottrine, si mantiene viva e continua la
sua opera, egli così prosegue: “Oggi la sordità è solo degli altri verso la
neoscolastica. S’aggiunga che il durare di questa non è senza mutazione e
progresso. La corrente, che investe e squassa lo scoglio, lo ha limitato, e la
neoscolastica appare oggi come una dottrina in via di semplificazione, di
essenzializzazione. Determinazione dei propri fondamenti e attenzione alla
vicenda storica sono i suoi due impegni attuali: l’uno e l’altro contribuiscono, in
guise diverse ma convergenti, a quella semplificazione, alla riduzione del
superfluo”.
Ecco: determinare i propri fondamenti. Ma, si dirà, questi fondamenti, la
metafisica non li ha già determinati da secoli?
E’ una nuova interpretazione quella che Bontadini vuole esporre, una
reinterpretazione degli stessi fondamenti, reinterpretazione resa ormai necessaria
dal secondo punto messo in luce dal passo che abbiamo letto, cioè l’attenzione
alla vicenda storica del pensiero moderno fa sì che, per poter essere
efficacemente riproposta all’uomo d’oggi la parola metafisica, si debba lasciare
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definitivamente al passato il progetto di grandiose e pedanti costruzioni di
sistemi, e se la domanda che chiede risposta è quella se l’essere esperito sia tutto
l’essere, l’essere che allora è all’origine, perchè non rifarsi ai cespiti di pensiero
dell’epoca classica, piuttosto che a quella medioevale?
E se Aristotele è il Philosophus di S. Tommaso d’Aquino, perchè non riaccostarsi
a quel pensatore che per primo ha posto il problema della stabilità dell’essere,
della permanenza dell’essere, di quell’essere che deve essere sempre? Non è
forse in cerca dei fondamenti dell’essere, il metafisico?
Perchè non Parmenide, allora?
Attenzione alla vicenda storica: quell’attenzione che era completamente mancata
alla generazione di neoscolastici precedente quella di Bontadini, in quanto
l’unica attenzione era riservata al binomio verità-errore, senza alcuna
considerazione della problematica storica in cui si trovavano ad essere i
protagonisti della storia della filosofia moderna.
Dopo il passo che abbiamo letto, Bontadini, poco più sotto, così chiarisce bene il
suo pensiero: “Si avverte che si tratta soltanto, in sede filosofica, di recuperare
dal passato, e più dalla Grecia che dal Medioevo, un principio o un plesso di
principi, che hanno resistito alla critica, e che, in quanto forniti di assoluta
validità teoretica, sono chiamati ad un nuovo lavoro, ad una nuova mediazione.
Un principio, una logica speculativa, che già informò di sè un periodo storico,
che già si diede un corpo, venendo a contatto con una certa massa di cultura, e
che ora è chiamato a lievitare una massa diversa e perciò a darsi un corpo
diverso.
Da questo angolo visuale la denominazione di neotomismo, e quella stessa di
neoscolastica, pur mantenendo la loro validità e attualità, sono relativamente
scadute di importanza.
Certo è stato il tomismo, lui, a tutelare e a propinare quei principi; questa
essenziale benemerenza è sua. E se si guarda ai rapporti con la teologia è sempre
il tomismo, o, in genere, la scolastica che offre i temi determinati (in attesa,
peraltro, anche qui, di un grande rinnovamento, che lo straordinario sviluppo
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della teologia positiva fa presagire, di quella teologia positiva che in S. Tommaso
e in tutti i medioevali è soverchiata in peso e quasi sepolta dalla teologia
speculativa): ma, se si volge lo sguardo al perimetro della cultura, allora è chiaro
che la ‘sistemazione’ tomistica o le ‘sistemazioni’ scolastiche, considerate nella
loro integrità formale e materiale, non possono conservare un interesse che sia
più che storico (spaziato nostro), non possono essere tratte fuori dalla loro storica
localizzazione, perchè rispondevano ad interessi storicamente determinati
6
.
La denominazione che, in vece loro, prende credito è piuttosto quella di
metafisica classica, con la quale si indica appunto esclusivamente il fondamento,
le sue conseguenze apodittiche e la sua particolare posizione nei riguardi dello
sviluppo del pensiero occidentale (e non tutta la storica ramificazione, nella quale
intervengono anche categorie di diversa consistenza ed indole)”.
Ecco, allora, qui sintetizzati i punti del programma bontadiniano: 1) una logica,
una ragione incontrovertibile, che nei suoi asserti di fondazione si appoggia 2) al
pensiero classico più che alla sistemazione data da S. Tommaso, e per questo può
ben essere definita 3) metafisica classica.
1.2 Il P.d.P. nell’opera del 1952
Delineate le ragioni per cui il filosofo milanese si sente più “classico” che
propriamente neoscolastico, addentriamoci adesso nella struttura del Principio
che è oggetto di questa tesi, e torniamo al capitolo 8, vale a dire i già citati
Interventi ai Convegni . . ., e di nostro interesse è il paragrafo numero 2. Il punto
di partenza della metafisica (1947).
6
Posizione di pensiero, questa, riconfermata nel brevissimo scritto dal significativo titolo “Con Tommaso
oltre Tommaso”, contenuto in “Metafisica e deellenizzazione” (ma apparso precedentemente sulla
“Rivista di filosofia neoscolastica”), Vita e Pensiero, Milano, 1975: “L’arduità e la grandiosità dello
sforzo tomistico sta sotto gli occhi di tutti: tuttavia il suo significato e la sua importanza ci appaiono oggi
più nella luce storico-dialettica che non in quella, per così dire, soprastorica o teoretico-conclusiva. La sua
instabilità teoretica, in altri termini, è oggi altrettanto percepibile: il tomismo si manifesta come una
tappa, fuor di dubbio saliente, di quel processo, laboriosissimo, che è l’andare in sè della ‘filosofia
cristiana’”. Il passo riportato è a pag. 62, mentre lo scritto comprende le pagg. 59-64.
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